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Fascicolo 2, Luglio 2022


Vivere una sola vita /in una sola città / in un solo Paese / in un solo universo/ vivere in un solo mondo / è prigione.
Amare un solo amico, /un solo padre, / una sola madre, / una sola famiglia / amare una sola persona / è prigione.
Conoscere una sola lingua, /un solo lavoro, / un solo costume, / una sola civiltà / conoscere una sola logica / è prigione.
Avere un solo corpo, / un solo pensiero, / una sola conoscenza, / una sola essenza / avere un solo essere / è prigione.

(Ndjock Ngana, Prigione, in Nhindo nero, Edizioni Anterem, 1994)

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

ESPULSIONI
In questo secondo numero del 2022 la Rassegna allontanamenti prende in considerazione alcuni provvedimenti giurisdizionali emessi nel primo quadrimestre del corrente anno ritenuti significativi al fine di un’analisi critica degli orientamenti, nuovi o consolidati.
 
Espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo
Ai sensi dell’art. 3, co. 1, d.l. 144/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. 155/2005, recante nuove norme in materia di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, il Ministro dell’interno o, su sua delega, il prefetto, può disporre l’espulsione dello straniero nei cui confronti vi sono fondati motivi per ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Trattasi di una tipologia espulsiva assai simile a quella – più nota – prevista all’art. 13, co. 1, d. lgs. 286/98, disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato: in entrambi i casi trattasi di esercizio di alta discrezionalità amministrativa avente finalità eminentemente cautelare, non essendo necessario che sia appurata con certezza la sussistenza del pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi per ritenerlo sufficiente.
Il Consiglio di Stato, sez. III, sent. 857/2022, pubblicata il 7.2.2022, ha respinto un ricorso in cui si lamentava sia la mancanza di ragionevolezza e proporzionalità della decisione del giudice di prime cure, che l’erronea valutazione del rischio di violazione del principio di non refoulement, atteso che un rimpatrio fondato sul sospetto di terrorismo avrebbe esposto l’espulso a pregiudizi in tutte le sue manifestazioni del vivere civile. L’omissione disposta in sentenza di tutti gli elementi identificativi del caso concreto non consente la sua ricostruzione in fatto, tuttavia è agevole notare per quanto d’interesse in questa sede che detto rischio è stato ritenuto infondato per due ordini di ragioni: da un lato, perché le informazioni sulla situazione politica dell’ignoto paese di destinazione fornite da accreditate organizzazioni internazionali, e riportate dal giudice di primo grado, dimostrerebbero l’importante cammino di democratizzazione compiute da quel Paese, e, d’altro canto, che i pericoli connessi con il rimpatrio debbono essere concreti, attuali e sufficientemente circostanziati atteso che, diversamente, sarebbe impossibile espellere lo straniero sospettato di collusione con il terrorismo islamico.
Pur non potendo conoscere la fattispecie concreta, per le ragioni anzidette, emerge con chiarezza la limitazione oggettiva del diritto di difesa qualora il sindacato giudiziale sia meramente estrinseco e formale, come nelle ipotesi di prevenzione del rischio terroristico.
 
Espulsione in presenza di legami familiari
Il Giudice di pace di Roma rigettava un ricorso avverso un decreto di espulsione adottato nei confronti di uno straniero che fece ingresso in Italia a seguito di ricongiungimento familiare con il padre, sul presupposto che costui dopo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari nel 2013, successivamente rinnovato fino al 2016 non avesse più rinnovato il titolo di soggiorno, pur continuando a trattenersi sul territorio dello Stato illegalmente. Cass. civ. sez. I, ord. 7124/2022, pubblicata il 4.3.2022 accoglie il ricorso dello straniero sotto il profilo dell’omessa valutazione, da parte del giudice di merito, dei criteri indicati all’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 che introduce un importante temperamento nell’applicazione automatica delle cause espulsive per motivi di ingresso e soggiorno illegale, nei confronti dello straniero che abbia effettuato il diritto al ricongiungimento familiare, secondo cui occorre tenere conto della natura ed effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno in Italia, e dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il Paese di origine. Con l’occasione, la Corte precisa che la citata disposizione recepisce il sedimentato orientamento giurisprudenziale della Corte EDU secondo cui non può aversi interferenza nell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare, a meno che questa non sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria per la sicurezza nazionale e pubblica, la prevenzione dei reati e la protezione della salute e della morale. Inoltre, la Corte richiama i principi della direttiva 2008/115/CE (c.d. «direttiva rimpatri»), che impone alla pubblica autorità un obbligo generale di valutazione «caso per caso» dell’esistenza delle condizioni previste per l’applicazione delle misure espulsive, senza procedere all’applicazione automatica e standardizzata dei parametri normativi, fondata sulla mera ricorrenza astratta di detti parametri.
Invece, Cass. civ. sez. I, ord. n. 7946/2022, pubblicata in data 11.3.2022, ribadisce il suo orientamento (già sottoposto a serrata critica nella Rassegna allontanamenti pubblicata sul n. 1.2022 di questa Rivista) secondo cui il disposto dell’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 trova applicazione solo nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) di tale norma e non anche come nel caso in esame nelle ipotesi di espulsione disposta ai sensi dell’art. 14, co. 5-ter, d.lgs. 286/98 (espulsione disposta a seguito di inottemperanza a pregresso ordine questorile di allontanamento).
 
Effetti della domanda di protezione internazionale presentata successivamente all’adozione di decreto espulsivo
Quali sono le conseguenze sulla legittimità ed efficacia di un provvedimento prefettizio di espulsione a seguito della presentazione di una successiva domanda di protezione internazionale?
Premesso che si versa in ipotesi di impugnazione di decreto espulsivo e non di convalida del trattenimento amministrativo, la questione è stata risolta da Cass. civ. sez. VI, ord. n. 3437/2022, pubblicata il 3.2.2022 che ha condiviso il principio, espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove la domanda di protezione internazionale dello straniero sia proposta dopo l’adozione del decreto di espulsione del medesimo, detto decreto non è colpito da sopravvenuta invalidità, restandone soltanto sospesa l’efficacia, sicché non può, in ragione della sola proposizione della menzionata domanda, pronunciarsene l’annullamento (cfr. Cass. n. 5437 del 2020).
Negli stessi termini, ma con motivazione più articolata, si veda Cass. civ. sez. lavoro, ord. n. 13364/2022,, pubblicata in data 28.4.2022: premesso l’orientamento consolidato espresso nell’ordinanza prima riportata, la Corte distingue le ipotesi in cui la domanda di protezione sia stata presentata prima oppure dopo l’entrata in vigore dell’art. 35-bis, d.lgs. 25/2008 ad opera della l. n. 46/2017 (c.d. «riforma Minniti»). Invero, prima di tale riforma operava la sospensione ex lege dell’efficacia esecutiva del provvedimento negativo emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, in caso di impugnazione giurisdizionale, fino al passaggio in giudicato della decisione giudiziale, con la conseguenza che restava sospesa automaticamente pure l’efficacia del procedimento espulsivo per il medesimo lasso di tempo. Invece, a seguito della novella introdotta nel 2017, l’efficacia sospensiva dell’esecutività della decisione amministrativa della domanda di asilo ordinariamente opera, in caso di ricorso giurisdizionale avverso tale decisione, solo fino alla pronuncia di primo grado (salvo quanto previsto al comma 4 del citato art. 35-bis): consegue che la sospensione del decreto espulsivo operi per un lasso di tempo minore rispetto alla domanda presentata prima della cennata novella del 2017. Ha quindi errato il Giudice di pace di Ragusa che, nel caso in esame, ha ritenuto ininfluente la domanda di protezione internazionale rispetto alla validità ed efficacia del decreto espulsivo.
 
La pandemia COVID-19 costituisce causa di forza maggiore rilevante ai sensi del soggiorno divenuto illegale?
Il Giudice di pace di Bari ha rigettato il ricorso avverso un decreto di espulsione, disposto per motivi di soggiorno illegale, conseguente al mancato rispetto del termine massimo di permanenza per i soggiorni di breve durata, disattendendo le doglianze difensive che invocavano la forza maggiore in conseguenza della chiusura delle frontiere con l’Albania derivante dalla pandemia. Cass. civ. sez. I, ord. n. 12658/2022, pubblicata in data 20.4.2022, ha cassato l’ordinanza impugnata rilevando come il provvedimento impugnato non abbia preso in esame il motivo d’impugnazione, il che si risolve in una radicale carenza di motivazione e, inoltre, rilevando una radicale contraddittorietà della motivazione, avendo il giudice sostenuto la mera inefficacia del decreto espulsivo, di per sé legittimo, che tuttavia non poteva essere eseguito per causa di forza maggiore. La causa di forza maggiore, ove adeguatamente accertata, essendo espressamente prevista dall’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98 quale scriminante delle condotte ivi indicate, non ha efficacia meramente sospensiva dell’espulsione, ma ne determina l’annullabilità.
 
Espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione
Nella Rassegna allontanamenti dello scorso numero di questa Rivista avevamo iniziato a considerare le espulsioni a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, sia in ragione della natura amministrativa di questa tipologia di espulsioni, anche se disposte dal magistrato di sorveglianza, che di un interessante fenomeno di adeguamento della relativa giurisprudenza di legittimità rispetto alle tematiche tipiche inerenti i divieti di espulsione.
In questo contesto, merita attenzione Cass. pen. sez. I, sent. 15600/2022, pubblicata il 13.1.2022, che affronta il tema della rilevanza della condizione di transgender di un condannato ai fini dell’applicabilità dell’art. 19, d.lgs. 286/98, originariamente negata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia a seguito di opposizione alla misura disposta dal magistrato di sorveglianza della stessa città. I giudici di merito, pur ritenendo accertata la condizione di transgender di un cittadino peruviano, in passato soggetto a vessazioni e violenze nel suo Paese in ragione del suo orientamento sessuale, avevano ritenuto che il rischio di persecuzione, derivante dalla cultura omofoba diffusa in quello Stato, non lo esponesse a rischi di persecuzione perché la legislazione peruviana – sin dal 2017 – affermava la libertà delle scelte individuali, mentre il divieto di refoulement presupporrebbe il collegamento con provvedimenti normativi vessatori o sistematiche violazioni dei diritti umani da parte di autorità pubbliche, e non già di singoli individui. La motivazione della sentenza in commento, dopo avere ribadito la natura amministrativa di questa tipologia espulsiva (richiamando Corte cost. ord. n. 226/2004), evidenzia come essa debba essere assistita da tutte le garanzie che accompagnano la disciplina delle espulsioni amministrative e, tra queste, i divieti previsti all’art. 19, d.lgs. 286/98: sicché è onere dell’interessato prospettare il rischio per la propria incolumità, ma è onere del giudice verificare, in concreto, la fondatezza di tali allegazioni, anche ricorrendo all’analisi delle fonti sovranazionali utilizzate nell’ambito delle procedure di protezione internazionale, indipendentemente dal fatto che l’interessato vi abbia fatto ricorso, cui segue ampio richiamo alla giurisprudenza civile di settore inerente le forme di protezione internazionale tipiche. La Corte annulla con rinvio l’ordinanza impugnata, atteso che il giudice del merito si è limitato a confermare la legittimità della disposta misura espulsiva sulla base della mancanza di prova della provenienza istituzionale della persecuzione, senza, invece, verificarne la fondatezza con riferimento ad agenti persecutori non statali.
Per quanto concerne il divieto di espulsione dello straniero convivente col coniuge o con parente entro il secondo grado cittadino italiano (art. 19, co. 2, lett. c, d.lgs. 298/98) Cass, pen, sez. I, sent. n. 10296/2022, pubblicata in data 13.1.2022, si pone nel solco della sentenza della stessa sezione 36513/2021 pubblicata sullo scorso numero di questa Rassegna, e opera un’interessante riepilogo dei diversi orientamenti giurisprudenziali della cassazione penale in tema. Da un lato, un orientamento più rigoroso che, valorizzando il tenore letterale delle norme, ritiene che le cause ostative all’espulsione abbiano carattere eccezionale e non possano essere interpretate analogicamente, sicché non possono essere contemplati legami familiari diversi da quelli espressamente previsti dalla. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98. Altre pronunce, invece, consentono al giudice di sorveglianza di procedere ad un’attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero in rapporto alla sua complessiva situazione familiare, alla luce della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno in Italia e dell’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il Paese di origine, senza limitarsi alla stretta osservanza della specifica causa impeditiva all’espulsione normativamente prevista
Tale quadro è ora mutato a seguito della novella di cui al d.l. 130/2020, convertito, con modificazioni, in l. 173/2020 che, com’è noto, ha implementato il terzo periodo dell’art. 19, co. 1.1, d.lgs. 286/98, estendendo il divieto di espulsione ai casi di violazione del rispetto del diritto alla vita privata e familiare (sempre che l’allontanamento non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica e di protezione della salute). Così facendo, il legislatore con disposizione senz’altro rilevante nella fattispecie, in forza sia del principio generale per cui le modifiche normative che incidono in bonam partem sull’applicazione della legge penale hanno effetto sui procedimenti in corso che dell’espressa previsione dell’art. 15, co. 1, del citato decreto legge ha stabilito che, nel valutare l’adozione del provvedimento di espulsione ex art. 16, co. 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l’autorità giudiziaria deve tener conto delle conseguenze che l’allontanamento del condannato dal territorio nazionale determinerebbe sulla sua vita privata e familiare e ha, dunque, riconosciuto la rilevanza, tra l’altro, di legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizzate all'art. 19, co. 2, lett. c).
È inibito al giudice di merito disporre l’espulsione a titolo di misura sostitutiva della detenzione ai sensi dell’art. 16, co. 1, d.lgs. 286/98 (anche su accordo delle parti) quando l’imputato straniero è privo di passaporto: in tal senso Cass. pen. sez.VI, sent. n. 15881/2022, pubblicata il 16.3.2022. Premessa accurata disquisizione penalistica sul concetto di illegalità della pena, estensibile anche alla misura di sicurezza ed alla sanzione sostitutiva, la Corte perviene alla conclusione per cui è illegale la sanzione disposta in casi in cui l’ordinamento giuridico non consente la sostituzione della pena detentiva, ovvero quella disposta in misura eccedente i limiti legali. In tale contesto è illegale la sanzione dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena disposta nei confronti di un imputato straniero privo di passaporto o di altro documento d’identificazione in corso di validità perché non consentita dall’ordinamento. Infatti, la mancanza di passaporto impedisce l’esecuzione immediata dell’espulsione e concretizza un concreto pericolo che lo straniero possa sottrarsi all’esecuzione del provvedimento.
 
Profili procedurali: motivazione apparente o perplessa
Pubblichiamo ora un paio di ordinanze della Suprema Corte, rilevanti non certo per la loro complessità in ordine alle questioni trattate, quanto piuttosto perché emblematiche di un modo di decidere a dir poco frettoloso e superficiale in cui talvolta incappano taluni uffici dei Giudici di pace, cui è devoluta la cognizione di questa delicata materia.
A fronte di un ricorso in opposizione ad espulsione amministrativa in cui si deduceva che il ricorrente era un «apolide di fatto», aveva profondi legami familiari in Italia essendo coniugato con una donna nata in Italia da cui aveva avuto due figli e, ancora, di essere lui stesso nato in Italia, sicché non sussisteva la condizione espulsiva consistente nell’avere fatto ingresso illegale nel territorio nazionale, sottraendosi ai controlli di frontiera, il Giudice di pace di Avellino lo rigettava sostenendo che il provvedimento espulsivo era stato ritualmente notificato, che dalla documentazione in atti emergeva che costui fosse serbo, che, sprovvisto di permesso di soggiorno, soggiornava illegalmente sul territorio nazionale, essendo pure stato condannato per rapina, e, infine, che le questioni sollevate dalla difesa non erano sorrette da idonea prova. Ricorre per Cassazione lo straniero deducendo la nullità dell’ordinanza del Giudice di pace per difetto assoluto di motivazione ex art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., in assenza di qualsiasi motivazione in ordine alle eccezioni sollevate con l’impugnazione. Cass. civ. sez. I, ord. n. 7120/2022, pubblicata il 4.3.2022, accoglie il ricorso, avendo cura di precisare che «questa Corte ha ripetutamente statuito che il provvedimento del giudice di pace, anche se adottato all’esito del procedimento camerale di opposizione all’espulsione, è affetto da nullità ove sia del tutto privo dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione, trattandosi di un procedimento contenzioso avente ad oggetto diritti soggettivi». Qualora, dal raffronto tra le questioni sollevate nel giudizio di merito e la decisione del giudice emerga con chiarezza che tali questioni non sono state affrontate, si versa in ipotesi di motivazione apparente: «la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.».
Il Giudice di pace di Torino rigetta un ricorso avverso un decreto prefettizio di espulsione sul presupposto che lo straniero avesse fatto ingresso illegale in Italia dalla Svizzera, sottraendosi ai controlli di frontiera, sicché ricorreva la condizione di cui all’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98, che la domanda di protezione internazionale era stata respinta e che costui era privo di permesso di soggiorno. Cass. civ. sez. I, ord. n. 5033/2022, pubblicata il 16.2.2022, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, volto all’annullamento dell’ordinanza per motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dopo avere rilevato che il Giudice del merito effettivamente aveva confuso l’ipotesi espulsiva relativa all’ingresso illegale di cui alla lett. a) dell’art. 13, co. 2, d.lgs. 286/98 con quella relativa alla lett. b) delle stessa norma (relativa al soggiorno illegale) dà atto che «la decisione in esame non consente di comprendere il percorso logico/argomentativo seguito per addivenire alla conferma del decreto di espulsione, stante la pluralità degli argomenti addotti contemporaneamente, relativi a fattispecie espulsive distinte e soggette a presupposti differenti».
 
Omessa traduzione dell’espulsione e tardività dell’impugnazione
Il Giudice di pace di Udine ha dichiarato inammissibile il ricorso depositato in data 1.9.2020 in opposizione a decreto di espulsione adottato e notificato il 9.3.2020, rilevando la pacifica violazione del termine di trenta giorni previsto all’art. 18, co. 3, d.lgs. 150/2011, nonostante il ricorrente cittadino georgiano avesse lamentato che l’atto fosse stato notificato in lingua inglese a lui sconosciuta, con conseguenza nullità del decreto espulsivo che può essere fatta valere in ogni tempo. Cass. civ. sez. I, ord. n. 15196/2022, pubblicata il 12.5.2022, dopo avere dato atto che il Giudice di pace non si era pronunciato sull’eccepita nullità, osserva che il mancato adempimento dell’obbligo di traduzione in lingua nota all’espellendo comporta la nullità del decreto di espulsione, che può essere fatta valere in ogni tempo, perché l’esigenza primaria di non vanificare il diritto di azione, garantito dall’art. 24 Cost., fa sì che nell’ipotesi di ignoranza senza colpa di siffatto provvedimento (in particolare per l’inosservanza dell’obbligo di traduzione dell’atto) debba ritenersi non decorso il termine (Corte cost. n. 198/2000). Consegue che l’ordinanza gravata è annullata con rinvio, dovendo il Giudice di pace accertare se la dedotta violazione abbia determinato l’ignoranza del contenuto dell’atto, nonché quando lo straniero abbia ottenuto adeguata conoscenza del contenuto dello stesso sì da far decorrere il dies a quo per la proposizione del ricorso tardivo.
 
Divieto di valutazione dell’atto presupposto del decreto di espulsione
Cass. civ. sez. I, ord. n. 10480/2022, pubblicata in data 31.3.2022, accoglie il ricorso del Ministero dell’interno avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Firenze che, in accoglimento di un ricorso avverso un decreto di espulsione prefettizio, lo annulla sul presupposto dell’insussistenza delle ragioni ostative al rinnovo del permesso di soggiorno della straniera. L’estensione del sindacato incidentale del giudice dell’espulsione all’atto presupposto (diniego di rinnovo del permesso di soggiorno) è, per costante giurisprudenza di legittimità, vietata. Invero, il provvedimento amministrativo di espulsione è obbligatorio a carattere vincolato, sicché il giudice ordinario deve solo valutare l’esistenza dei requisiti di legge dell’atto sottoposto alla sua valutazione, perché le valutazioni sulla legittimità del provvedimento del questore di mancato rilascio, diniego di rinnovo o revoca del permesso di soggiorno (che possono costituire il presupposto del decreto di espulsione, qualora lo straniero si trattenga illegittimamente sul territorio nazionale dopo la notifica del rigetto questorile) rientrano ordinariamente nell’ambito della giurisdizione amministrativa. Consegue che, non solo la pendenza di un giudizio avanti il giudice amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione del decreto del questore di rigetto della domanda di permesso di soggiorno non giustifica la sospensione del processo relativo all’espulsione in attesa delle decisione del Tar (attesa la carenza di pregiudizialità giuridica tra il processo civile e quello amministrativo), ma è pure inibito al giudice ordinario il potere di disapplicare l’atto amministrativo presupposto emesso dal questore. La pronuncia in commento offre tuttavia lo spunto per ulteriori considerazioni. A nostro avviso tale consolidato principio non impedisce però al giudice ordinario di sospendere l’efficacia esecutiva del decreto di espulsione (che è cosa diversa dalla sospensione del processo) in attesa della decisione del giudice amministrativo sul ricorso anteriormente proposto, né impedisce analoga sospensione quando la cognizione sull’atto presupposto è devoluta alla sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale ordinario (come nel caso in cui il titolo di soggiorno denegato inerisca il diritto all’unità familiare) perché in queste ipotesi non opera alcun riparto di giurisdizione: entrambi i giudizi soggiacciono alla giurisdizione ordinaria. Anzi, a ben vedere la competenza del giudice di pace è derogata in favore del Tribunale in composizione monocratica dall’art. 1, d.l. 241/2004, convertito in l. 271/2004, ove si prevede che «rimane ferma la competenza del tribunale in composizione monocratica e del tribunale per i minorenni ai sensi del comma 6 dell’art. 30 e del comma 3 dell’art. 31 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni», aggiungendo che «in pendenza di un giudizio riguardante le materie sopra citate, i provvedimenti di convalida di cui agli artt. 13 e 14 dello stesso decreto legislativo e l’esame dei relativi ricorsi sono di competenza del Tribunale in composizione monocratica». L’attribuzione di tale competenza è stata più volte confermata dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass, civ, sez. VI, ord. 16075 pubblicata il 14.6.2019; Cass., sez. VI, 13.7.2018, n. 18622; Cass., sez. I, 18.6.2010, n. 14849). Infine, a nostro avviso, qualora il decreto di espulsione per irregolarità sopravvenuta del soggiorno dello straniero sul territorio dello Stato, sia stato emesso successivamente all’adozione di un’ordinanza cautelare di sospensiva del Tar in ordine al diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, dovrebbe ritenersi precluso l’esercizio stesso della potestà espulsiva prefettizia. Mentre, qualora analoga ordinanza cautelare di sospensiva venisse adottata in pendenza del giudizio sull’espulsione disposta sempre per irregolarità del soggiorno, il giudice ordinario dovrebbe sospendere l’efficacia esecutiva dell’espulsione, in attesa delle determinazioni del giudice amministrativo: opinando diversamente, l’esecuzione dell’espulsione vanificherebbe l’accertamento dell’interesse legittimo dello straniero ad ottenere il titolo di soggiorno, con irreparabile violazione dell’art. 24 Cost. e del diritto ad un ricorso effettivo, e, al tempo stesso, renderebbe irrilevante la decisione del giudice amministrativo in ordine alla accertata sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora nel caso in esame.
 
Ricorso per cassazione: legittimazione passiva e notifica del ricorso
Cass. civ. sez. I, ord. n. 9825/2022 pubblicata il 25.3.2022, ribadisce (con ampi richiami giurisprudenziali) il granitico orientamento secondo cui nei giudizi di opposizione ai provvedimenti prefettizi di espulsione, la legittimazione passiva appartiene, in via esclusiva, personale e permanente, al prefetto quale autorità che ha emanato il provvedimento ed è inammissibile il ricorso per Cassazione notificato al Ministero dell’interno presso l’Avvocatura generale dello Stato, invece che al prefetto in proprio. Nel caso di specie, non essendosi il prefetto costituito, e non essendosi avvalso del patrocinio dell’Avvocatura distrettuale nel giudizio di merito, la Corte dispone la rinotificazione del ricorso, assegnando un termine perentorio di sessanta giorni.
 
Il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione
Pur trattandosi di principi generali, non specifici del settore, pare opportuno rammentarli attesa l’elevata ricorrenza di dichiarazioni d’inammissibilità della Suprema Corte, anche in questi ambiti. Cass. civ. sez. VI. ord. n. 3436/2022, pubblicata il 3.2.2022, riassume bene il fondamentale rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione che, ove non osservato, determina l’inammissibilità del ricorso, vanificando motivi di gravame pur pregevoli. Ivi si afferma a chiare lettere il principio di diritto per cui: «per giurisprudenza pacifica di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella decisione impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio a quo, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 7981 del 2007; Cass. n. 16632 del 2010). In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000)».
 
TRATTENIMENTO
Motivazione
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civ. 28.1.2022 n. 2612, ha ritenuto idonea la motivazione del decreto di convalida del trattenimento nel quale si dia atto che non emergono profili di manifesta illegittimità del decreto di respingimento né documentati motivi per l’applicazione dei divieti di allontanamento ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 e si riconosca invece l’esistenza dei presupposti per il trattenimento, dovendosi reperire idoneo vettore.
La rilevata mancanza del vettore aereo, a fronte di diverse questioni decisive sollevate dalla difesa in udienza, è insufficiente a fondare legittimamente il decreto di proroga del trattenimento, secondo quanto stabilito dalla Corte di cassazione con ordinanza sez. I civ. 11.2.2022 n. 4559.
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I civ. 14.2.2022 n. 4777, ha annullato il decreto di proroga del trattenimento del cittadino straniero, soccorso in mare e temporaneamente ammesso nel territorio italiano per necessità di pubblico soccorso, e destinatario di un decreto di espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 286/1998. La Corte ha accolto la tesi del ricorrente secondo cui egli non era entrato in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera, bensì era stato sottoposto, al momento dello sbarco, a identificazione e fotosegnalamento. Poiché egli era privo dei requisiti per l’ingresso in Italia, sarebbe stato onere del questore emettere un provvedimento di respingimento c.d. differito ai sensi dell’art. 10, co. 2, lett. b), d.lgs. n. 286/1998, la cui mancata adozione determina la radicale nullità del provvedimento di espulsione e rende pertanto illegittimo il trattenimento. Nello stesso senso Cass. ordinanza sez. I civile 18.2.2022 n. 5402.
Secondo l’ordinanza sez. I civ. 14.2.2022 n. 4781, è apparente la motivazione del decreto di convalida del trattenimento che si riduca a mera formula di stile e non dia conto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudicante e non si confronti con le specifiche deduzioni della difesa.
Ancora, secondo l’ordinanza sez. I civ. 4.3.2022 n. 7128, il mero richiamo ai presupposti di cui all’art. 14 d.lgs. 286/1998 non integra una effettiva motivazione perché si limita in presenza di contestazioni della legittimità della richiesta di proroga da parte della difesa dello straniero a rinviare alla norma che, astrattamente, permette tale proroga. Nello stesso senso l’ordinanza sez. I civ. 24.5.2022 n. 16802.
Perplessa e incomprensibile, e pertanto viziata, è, secondo le ordinanze pronunciate dalla I sezione civile della Corte di cassazione il 14.2.2022 (n. 4783), il 15.2.2022 (n. 4918), il 16.2.2022 (n. 5123 e n. 5124), la motivazione del decreto di convalida del trattenimento di un cittadino straniero già sottoposto a quarantena sanitaria; il Giudice di pace aveva dapprima negato che tale misura costituisse restrizione della libertà personale, e subito dopo aveva invece affermato che lo fosse. Su situazioni apparentemente analoghe si registrano tuttavia decisioni di segno contrario (ordinanze della VI sez. civile del 17.2.2022, n. 5210 e n. 5321), in cui la Corte ha ritenuto sufficiente l’indicazione della mancanza del passaporto e della difficoltà di reperire un vettore idoneo.
È poi legittima, secondo l’ordinanza sez. I civ. 15.2.2022 n. 4919, la motivazione della convalida del trattenimento durante il periodo di sospensione dei trasporti aerei e marittimi verso il Paese di origine, poiché mancavano al momento della convalida elementi sicuri per stabilire ex ante se la durata della chiusura si sarebbe protratta per tutto il periodo di trattenimento consentito.
 
Legami familiari
L’ordinanza sez. I civ. 14.2.2022 n. 4779 ribadisce l’inapplicabilità dell’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. n. 286/1998, che impone la valutazione dei legami familiari in Italia dello straniero espellendo, anche alle espulsioni disposte per pericolosità sociale.
 
Trattenimento del richiedente asilo
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. L. civile 12.4.2022 n. 11859, ha ribadito che la competenza sulla convalida del trattenimento di cittadina straniera che abbia manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale spetta alla sezione specializzata del Tribunale ordinario e non al Giudice di pace; la Corte aggiunge che è irrilevante, ai fini della competenza, il fatto che la domanda fosse reiterata.
La Corte è intervenuta anche sull’ambito della cognizione del giudizio di convalida, nella particolare ipotesi del trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. n. 142/3015, quando la domanda sia considerata pretestuosa e dilatoria. La Corte, con ordinanza sez. VI civ. 26.4.2022 n. 13016, ha affermato che il giudice deve valutare sommariamente il merito della domanda di protezione internazionale, non anche elementi diversi quali la condotta tenuta dal cittadino straniero prima della presentazione della domanda.
Il superamento dei termini previsti dall’art. 28-bis d.lgs. 25/2008 per la procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale presentata in corso di trattenimento costituisce un ritardo non imputabile al richiedente asilo e non giustifica la proroga del trattenimento; così ha stabilito il Tribunale di Roma con  decreti Trib. Roma 4.3.2022 R.G. 2214/2022 Trib. Roma 4.3.2022 R.G. 1906/2022 Trib. Roma 9.3.2022 R.G. 2932/2022 . Un provvedimento interessante è quello, sempre del Tribunale capitolino, dell’11.3.2022 ( Trib. Roma 11.3.2022 ), che ha convalidato il trattenimento e ordinato la cessazione del trattenimento e l’immediata liberazione del trattenuto qualora la decisione della Commissione sulla domanda non risulti emessa nel rispetto dei termini di cui all’art. 28-bis, co. 2, d.lgs. n. 25/2008 per la conclusione della procedura accelerata.
Anche il ritardo nella trasmissione (mediante l’inserimento nel sistema Vestanet) della domanda alla Commissione territoriale comporta l’illegittimità del trattenimento, secondo il Tribunale di Roma ( Trib. Roma 8.4.2022 ) investito della richiesta di riesame del trattenimento di un cittadino straniero la cui domanda era stata trasmessa alla Commissione sei giorni dopo la presentazione. La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I civile 31.5.2022 n. 17596, ha confermato che la durata del trattenimento del cittadino straniero che abbia presentato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale prima di essere trattenuto è di 30 giorni e non di 60 (come già affermato dalla sentenza sez. I 3.2.2021 n. 2457, già in questa Rassegna). L’ordinanza tuttavia, si pone in contrasto con la sentenza sez. I 3.2.2021 n. 2458: pur dichiarando adesione alla sentenza del 2021, ne stravolge il senso e la svuota di significato. Secondo l’ordinanza, infatti, il superamento dei termini per la procedura accelerata non inficia la legittimità del trattenimento per la durata convalidata dal Tribunale (nel caso di specie, per 30 giorni), potendo tutt’al più far venir meno la giustificazione di una successiva proroga.
 
Doppia tutela
Oggetto del giudizio di convalida è la misura restrittiva della libertà personale e non il provvedimento di espulsione, che ne costituisce atto presupposto sindacabile in via incidentale solo per manifesta illegittimità. Per questo la Corte di cassazione, con ordinanza sez. L. civile 7.2.2022 n. 3769, ha annullato il decreto del Giudice di pace che, chiamato a convalidare le misure alternative al trattenimento, aveva invece «confermato» il decreto di espulsione. Il principio della c.d. «doppia tutela» è ribadito anche nell’ordinanza sez. I civile 20.4.2022 n. 12641, nell’ordinanza sez. I civile 4.3.2022 n. 7119, e nell’ordinanza sez. I civile 30.5.2022 n. 17422; quest’ultima si segnala per un’interpretazione alquanto restrittiva del principio di «doppia tutela», che sembra limitare la cognizione del giudice della convalida, in relazione all’atto presupposto, alla sola esistenza ed efficacia e non anche alla sua non manifesta illegittimità.
 
Misure alternative al trattenimento
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civile 11.1.2022 n. 613, ha affermato che l’assenza di un termine massimo di durata delle misure alternative al trattenimento non viola l’art. 2 del prot. 4 della CEDU, a causa della minor afflittività di tali misure rispetto al trattenimento, e in considerazione del fatto che dette misure sarebbero applicate in vista di un imminente rimpatrio. La motivazione della Corte appare apodittica, poiché non risolve il problema della protrazione di tali misure per periodi anche molto estesi; si rammenta, in proposito, il decreto del Giudice di Pace di Roma del 28.10.2020 R.G. 18740/2018 (pubblicato in questa Rassegna, n. 1.2021), che revocava misure alternative al trattenimento disposte il 21.3.2018 e quindi ancora in esecuzione dopo oltre due anni e mezzo.
 
Bis in idem
Nell’ordinanza sez. L. civile 28.1.2022 n. 2715 la Corte di cassazione ha annullato il decreto con cui il Giudice di pace aveva convalidato le misure alternative che erano state già oggetto di precedente richiesta di convalida, non accolta.
 
Diritto al contraddittorio e partecipazione del trattenuto all’udienza
Ancora una volta la Corte, con ordinanza sez. I civile 21.1.2022 n. 1852, ribadisce che al procedimento giurisdizionale di decisione sulla proroga del trattenimento dello straniero nel Centro di identificazione ed espulsione si applicano le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato previste dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 per il procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento, senza che sia necessaria una richiesta dell’interessato di essere sentito.
 
Proroga
La Corte di cassazione ha ribadito che la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio, sicché è illegittimo il decreto di proroga qualora manchi l’indicazione degli elementi concreti che consentirebbero di ritenere possibile l'identificazione dello straniero (Cass. ordinanza sez. VI civile 11.1.2022 n. 610).
La mera richiesta di identificazione inviata all’Ambasciata e rimasta senza riscontro non costituisce elemento concreto che consenta di ritenere probabile l’identificazione e pertanto è insufficiente a motivare una proroga del trattenimento successiva alla prima (Cass. ordinanza sez. I civile 19.1.2022 n. 1648).
Anche l’esistenza del rischio pandemico può essere valutata dal giudice della convalida, non in quanto suscettibile di ledere direttamente la salute del cittadino straniero trattenuto bensì in quanto evento che nella sua obiettività si frapponga alle operazioni di identificazione dello straniero o di organizzazione del viaggio di rimpatrio, giustificando o meno la concessione della proroga al trattenimento (Cass. ordinanza sez. VI civile 28.1.2022 n. 2611).
Cass. ordinanza sez. I civile 15.2.2022 n. 4918 ha affermato che «L’intervenuta cassazione del provvedimento di convalida del trattenimento comporta il venir meno del presupposto del successivo provvedimento con cui è stata disposta la proroga del trattenimento, non potendosi ipotizzare alcuna proroga di un trattenimento fondato su un titolo ormai privo di efficacia. Resta fermo l’interesse del cittadino straniero ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento di convalida della proroga del trattenimento disposta dal giudice di pace, seguìto a provvedimento di respingimento e contestuale trattenimento la cui convalida sia stata cassata dalla Corte di Cassazione, sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano».
 
Provvedimento presupposto
Il principio, già ricordato, della doppia tutela, secondo il quale il giudice della convalida non può valutare i vizi dell’atto presupposto, al di fuori della manifesta illegittimità, se applicato in modo meccanico porta a conclusioni poco convincenti, quale quella cui approda l’ordinanza sez. I civile 15.2.2022 n. 4920, in cui la Corte di cassazione afferma che la mancata opposizione nei termini di legge avverso il decreto di espulsione, nel caso di specie non tradotto in lingua nota al destinatario, preclude al giudice della convalida la possibilità di rilevare la manifesta illegittimità dell’atto presupposto, poiché ormai intangibile ancorché, come pur riconosce la Corte, impugnabile con opposizione tardiva a partire dal momento della effettiva conoscenza.
L’accertamento dell’attuale pericolosità sociale, posta alla base del decreto di espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. c), d.lgs. n. 286/1998, grava anche sul giudice chiamato a convalidare l’accompagnamento coattivo alla frontiera: così Cass. ordinanza sez. I civile 29.4.2022 n. 13610.
 
Risarcimento del danno da illegittimo trattenimento
L’illegittimo trattenimento nel Centro di identificazione per l’espulsione (come si chiamava all’epoca dei fatti oggetto della causa) costituisce lesione del diritto inviolabile costituzionalmente garantito della libertà personale, risarcibile ex art. 2059 c.c. Ai fini della concreta liquidazione del danno, può applicarsi in analogica l’art. 315 c.p.p., dettato per l’ingiusta detenzione, evidente essendo l’analogia tra «detenzione» penale e «trattenimento» strumentale alla esecuzione dell’espulsione, comportando entrambi la privazione della libertà personale (Cass. ordinanza sez. I civile 11.2.2022 n. 4562).
 
Rito per l’impugnazione
L’impugnazione del provvedimento di convalida delle misure alternative al trattenimento è qualificata come ricorso per Cassazione ed è pertanto assoggettata alle regole generali dettate dal codice di procedura civile, ivi compreso, in mancanza di un’espressa deroga, l’art. 327, co. 2, il quale prevede che il decorso del termine semestrale decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato comporta la decadenza dall’impugnazione, che si verifica, ai sensi della medesima disposizione, indipendentemente dalla notificazione della decisione. La Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civile 24.5.2022 n. 16814, ha quindi dichiarato inammissibile poiché tardivo il ricorso proposto successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., e ha escluso che la notificazione del provvedimento impugnato, successiva alla scadenza di detto termine, e quindi quando il decreto di convalida era ormai passato in giudicato, fosse idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.
 
Termini
I termini posti dall’art. 14 per la convalida delle misure alternative al trattenimento sono previsti a garanzia del diritto costituzionalmente garantito alla libertà personale; se tali termini, indicati ad horas, vengono superati senza che intervenga la convalida, il provvedimento cessa di avere effetto. Qualora il giudice provveda alla convalida oltre i termini, il decreto di convalida è illegittimo (Cass. ordinanza sez. I civile 24.5.2022 n. 16704).
Può accadere che dagli atti non risulti l’orario di trasmissione della richiesta di convalida all’organo giurisdizionale. In tal caso è sottratta alla parte e al giudice la possibilità di stabilire se il termine sia stato rispettato. Questo è il caso deciso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza sez. VI civile 17.1.2022 n. 1207; la Corte tuttavia non ha affermato un principio di diritto, ritenendo il motivo di ricorso «[a]specifico ed esplorativo» e pertanto inammissibile.

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