TRIBUNALE DI MILANO – sentenza del 17 aprile 2024 n. 4206
Contratto di convivenza - iscrizione anagrafica del cittadino straniero convivente di fatto sprovvisto di permesso di soggiorno - applicabilità del D.lgs. 30/2007 anche al familiare statico
Con la sentenza in esame, che si inserisce nel filone di sentenze relative al diritto del convivente di fatto di ottenere l’iscrizione anagrafica, il Tribunale di Milano si è espresso sulla questione del diritto alla registrazione del contratto di convivenza e all’iscrizione anagrafica del cittadino straniero familiare di cittadino italiano in quanto convivente di fatto.
Nel caso concreto, i ricorrenti, dopo aver stipulato un patto di convivenza, sottoscritto per autentica dal difensore, presentavano domanda di iscrizione anagrafica al Comune ottenendo una risposta negativa in ragione dell’assenza del permesso di soggiorno. Contestualmente, la questura respingeva la richiesta di permesso di soggiorno in quanto la ricorrente non aveva ottenuto l’iscrizione anagrafica come convivente di cittadino italiano.
Con la sentenza in commento, il Tribunale di Roma, adito dai ricorrenti per l’accertamento del diritto alla registrazione del contratto di convivenza e per la contestuale iscrizione anagrafica della cittadina straniera, accoglie la domanda ribadendo la normativa di riferimento nei casi in cui un membro della coppia sia cittadino italiano.
Il Tribunale ha in primo luogo evidenziato che «la circostanza che un membro della coppia sia cittadino italiano determina l’applicazione della legge 30/2007 e non del d.lgs. 286/98, ciò in forza del principio di non discriminazione sancito in termini generali dall’art. 53 l. 234/12 con riguardo alle norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne e dall’art. 23 della legge».
In proposito, il Tribunale non ha accolto la tesi dal Ministero secondo cui la disciplina di cui all’art. 23 d.lgs. 30/2007 così come novellata dal d.l. 69/2023 non sarebbe applicabile ai familiari dei cittadini italiani statici precisando che «la modifica riguarda esclusivamente la tipologia di permesso di soggiorno che può essere rilasciato al familiare straniero del cittadino italiano e non i presupposti per la iscrizione anagrafica del familiare convivente di fatto». Il Tribunale aggiunge altresì che la modifica normativa che prevede un trattamento deteriore per i cittadini italiani statici dovrebbe applicarsi solo ai cittadini italiani che abbiano ottenuto l’accertamento della cittadinanza jure sanguinis dopo la nascita, non potendo ragionevolmente applicarsi a chi sia da sempre italiano. Sotto questo profilo, l’interpretazione del nuovo art. 23 data dal Tribunale non appare condivisibile, sia perchè la disposizione di cui al comma 1-bis si riferisce a tutti i cittadini italiani che non abbiano esercitato la libera circolazione, senza distinguere tra cittadini italiani che fin dalla nascita avessero il riconoscimento della cittadinanza riconosciuto nei registri di stato civile, sia perché il cittadino italiano che ottenga l’accertamento della cittadinanza italiana jure sanguinis dopo la nascita non può subire un trattamento diverso da quello spettante agli altri cittadini, avendo l’accertamento carattere retroattivo. La singolare tesi è comunque significativa delle difficoltà interpretative determinate dal nuovo art. 23 d.lgs. n. 30/2007.
In secondo luogo, il Tribunale ha chiarito che gli Stati membri, nel selezionare le modalità per l’accertamento della stabile convivenza, devono prevedere criteri che agevolino l’ingresso e il soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata e che non privino l’art. 3, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38 del suo effetto utile.
Il Tribunale ha infine chiarito che il contrasto che emerge dall’art. 3 del d.lgs. 30/2007, che da un lato ricalca il termine “agevola” e dall’altro impone la disponibilità di un permesso di soggiorno richiedendo “documentazione ufficiale” a sostegno della stabilità della relazione, deve essere risolto attraverso un’interpretazione del diritto interno conforme al diritto europeo «in base alla quale dunque è possibile riconoscere valenza alla relazione stabile con effettiva esplicazione del diritto ad ottenere l’iscrizione anagrafica nella popolazione residente in qualità di membro di una coppia di fatto anche attraverso la produzione di documentazione diversa dal permesso di soggiorno».
TRIBUNALE DI TORINO – sentenza dell’ 8 aprile 2024
Permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare tra coniugi - estensione della tutela rafforzata a tutti coloro che hanno in Italia legami familiari
Con la sentenza dell’8 aprile 2024, il Tribunale di Torino si è pronunciato su una fattispecie frequente: il caso dello straniero che, pur avendo i requisiti per ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari, non abbia presentato la domanda «entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare», come richiesto dall’art. 30, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 286/1998.
Il Tribunale, accertato che – diversamente da quanto ritenuto dalla questura – lo straniero integrava tutti i requisiti di reddito e di alloggio richiesti dalla normativa in materia di ricongiungimento familiare, afferma che in tal caso sussiste il diritto al rilascio del permesso di soggiorno anche se il ricorrente soggiorni da anni illegalmente sul territorio.
In tal senso, ad avviso del giudice, deve essere richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 202 del 2013, che ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 286/98, «in quanto non offriva il medesimo grado di tutela, rispetto a coloro che avevano esercitato il diritto al ricongiungimento, a coloro che, pur avendone i requisiti, non avevano esercitato il medesimo diritto».
Secondo il Tribunale, alla luce di tale pronuncia, la normativa di settore e, in particolare, l’art. 30 del Testo unico, deve essere letta nel senso che, laddove sussistano in astratto i presupposti per fare luogo al ricongiungimento, è possibile prescindere dal possesso di un valido titolo di ingresso e soggiorno nel territorio, dovendo essere «valorizzata la circostanza che il ricorrente risieda ormai da molti anni in Italia – seppur in assenza di valido titolo – ed abbia qui costituito un nucleo familiare con il quale convive stabilmente».
Una diversa interpretazione verrebbe a confliggere con i principi affermati dalla Corte costituzionale e si risolverebbe in un’applicazione del diritto vivente contraria ai dettami della Costituzione italiana e dell’ordinamento sovranazionale.
La decisione del Tribunale risulta apprezzabile laddove consente agli stranieri che abbiano i requisiti sostanziali previsti per il ricongiungimento di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno pur in assenza di condizioni di tipo formale o temporale, quali quelli relativi all’esercizio del diritto entro un termine determinato.
TRIBUNALE DI ROMA – ordinanza del 27 marzo 2024
Ricongiungimento familiare - possibilità di richiedere il visto anche in caso di mancato ottenimento del nulla osta per silenzio-inadempimento della prefettura
Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Roma ha condannato l’Ambasciata d’Italia ad Ankara a rilasciare il visto per ricongiungimento familiare alla figlia e alla moglie del ricorrente nonostante lo stesso non fosse in possesso del nulla osta della prefettura, ritenendo sussistenti tutti i requisiti necessari al rilascio di quest’ultimo e del visto.
La fattispecie in oggetto riguardava la domanda di ricongiungimento familiare presentata da un cittadino turco titolare di permesso di soggiorno per lavoro subordinato il quale, a fronte del fatto che lo Sportello unico competente non aveva neppure avviato la pratica nel termine di novanta giorni previsto dall’art. 29 d.lgs. 286/98, si rivolgeva all’Ispettorato generale della pubblica amministrazione attivando i poteri sostitutivi previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Dal momento che neanche l’Ispettorato concludeva il procedimento nel termine di 45 giorni, il ricorrente presentava istanza per il rilascio dei visti all’Ambasciata ad Ankara, in applicazione dell’art. 6, co. 5, d.p.r. 394/1999 rappresentando, da un lato, le difficili condizioni di vita della moglie e della figlia che a seguito di un terremoto che aveva distrutto la loro abitazione vivevano nella tendopoli predisposta dalla Protezione civile, dall’altro, i danni psicologici che l’intero nucleo familiare subiva a causa del ritardo dell’Amministrazione. Tuttavia, anche tale istanza aveva esito negativo, ritenendo l’Ambasciata che fosse necessario il possesso del nulla osta.
Nell’accogliere il ricorso proposto il Tribunale ha ricordato che le due fasi di cui consta la procedura per il ricongiungimento familiare, la prima presso lo Sportello unico per l’immigrazione per la verifica dei requisiti oggettivi per il rilascio del nulla osta, la seconda presso l’Ambasciata per la verifica dei requisiti soggettivi per il rilascio del visto, sono autonome.
In proposito il Tribunale ha ribadito che, da un lato, l’Ambasciata anche in seguito al rilascio del nulla osta può negare il visto in seguito agli accertamenti effettuati e che, dall’altro, il mancato ottenimento del nulla osta non preclude una decisione dell’Ambasciata sulla domanda di visto, come si desume chiaramente dall’art. 6, comma 5, d.p.r. 394/1999, il quale prevede che «le autorità consolari, ricevuto il nulla osta di cui al comma 4 ovvero, se sono trascorsi novanta giorni dalla domanda di nulla osta, ricevuta copia della stessa domanda e degli atti contrassegnati a norma del medesimo comma 4, rilasciano il visto d’ingresso […]».
In secondo luogo, il Tribunale ha richiamato l’art.30 del d.lgs. 286/98 nella parte in cui prevede che contro i provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, l’interessato può proporre opposizione innanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 150/2011 che, al comma 3, prevede espressamente che la sentenza che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Se sussistono i presupposti di legge il richiedente il ricongiungimento può pertanto chiedere direttamente al giudice di ordinare il rilascio del visto di ingresso pur in assenza del nulla osta, nel caso in cui quest’ultimo sia stato negato o sussista un silenzio inadempimento dell’amministrazione incaricata del rilascio.
Le affermazioni del Tribunale si fondano tutte su chiare previsioni normative, ma meritano di essere segnalate, vista la frequente disapplicazione di tali disposizioni da parte delle autorità amministrative chiamate a realizzare il diritto al ricongiungimento familiare.
MINORI
CORTE DI GIUSTIZIA UE, sentenza del 30 gennaio 2024 n. 560, causa C-560/20 .
Ricongiungimento familiare di un rifugiato minore non accompagnato con i suoi genitori - possibilità di ricongiungere la sorella che necessita di assistenza dei genitori a causa di una grave malattia - data rilevante per valutare lo status di minore
Nel caso in esame, i genitori e la sorella maggiorenne di un rifugiato siriano minore non accompagnato residente in Austria avevano presentato la domanda di ingresso e soggiorno in Austria ai fini del ricongiungimento familiare con il proprio figlio/fratello presso l’Ambasciata della Repubblica d’Austria in Siria. Sebbene il cittadino siriano residente in Austria fosse minorenne alla data di presentazione delle domande, le istanze di ricongiungimento dei genitori e della sorella venivano respinte dall’Ambasciata sulla base della circostanza che il familiare era diventato maggiorenne nel corso della procedura per il ricongiungimento familiare.
Successivamente, i familiari presentavano domanda di permesso soggiorno per ricongiungimento familiare al capo del governo del Land di Vienna, i genitori invocando i diritti enunciati dalla Direttiva 2003/86, la sorella l’art. 8 CEDU.
L’autorità adita respingeva anche queste domande e i ricorrenti impugnavano il rigetto di queste ultime di fronte al Tribunale amministrativo di Vienna che sollevava diverse questioni pregiudiziali davanti alla Corte di Giustizia, osservando tra le altre cose che benché la sorella del soggiornante non rientrasse tra i familiari per i quali è previsto il ricongiungimento familiare, la stessa viveva con i genitori in Siria ed era affetta da una grave malattia a causa della quale dipendeva in modo totale e permanente dall’assistenza dei genitori.
Il giudice del rinvio constatava dunque che, tenuto conto della situazione in cui si trovava la sorella, qualora a quest’ultima non fosse stato concesso un permesso di soggiorno i genitori sarebbero stati costretti di fatto a rinunciare al ricongiungimento familiare con il figlio.
Il giudice del rinvio chiedeva quindi di interpretare la direttiva 2003/86/CE e in particolare di chiarire, da un lato, se l’art. 10 par. 3 lett. a) in combinato disposto con l’art. 2 lett. f) potesse applicarsi anche qualora il rifugiato avesse raggiunto la maggiore età durante il procedimento di ricongiungimento familiare, e, dall’altro, se l’art. 10 par. 3 lett. a) dovesse essere interpretato nel senso di imporre il rilascio del permesso di soggiorno alla sorella maggiorenne di un rifugiato minore non accompagnato qualora il rifiuto nel rilascio privasse il rifugiato del suo diritto al ricongiungimento con i genitori.
Nell’ambito del procedimento pregiudiziale la Corte di Giustizia, in primo luogo, ribadisce che un minore non accompagnato che diventa maggiorenne nel corso della procedura di ricongiungimento conserva il suo diritto al ricongiungimento familiare.
In secondo luogo, – ed è questa la parte più significativa della pronuncia – la Corte ribadisce che gli Stati membri devono interpretare la direttiva relativa al ricongiungimento familiare alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare del rispetto della vita privata e familiare sancito dall’articolo 7 della Carta e del superiore interesse del minore sancito con l’articolo 24 paragrafo 2 della stessa.
Ne consegue che l’art. 10 che mira specificamente a favorire il ricongiungimento dei rifugiati minori non accompagnati con i loro genitori riveste una grande importanza per il rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta e acquista carattere incondizionato.
Secondo i giudici di Lussemburgo, se la sorella non fosse ammessa a beneficiare del ricongiungimento familiare con il fratello contestualmente ai suoi genitori, il rifugiato minorenne sarebbe di fatto privato del suo diritto al ricongiungimento familiare con i genitori dato che questi, tenuto conto della particolare gravità della malattia della figlia, non potrebbero raggiungere in Austria il figlio senza portare con loro anche la figlia. Questo risultato sarebbe incompatibile con il carattere incondizionato del diritto del rifugiato al ricongiungimento con i genitori, pregiudicando l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86 privandola del suo effetto utile e violando non solo l’art. 10 par. 3 lett. a) ma anche l’articolo 7 e l’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta di cui la direttiva deve garantire il rispetto.