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Fascicolo 2, Luglio 2018


«Riflettere sull’immigrazione, in fondo, significa interrogare lo Stato, i suoi fondamenti, i suoi meccanismi interni di strutturazione e di funzionamento. Interrogare lo Stato in questo modo, mediante l’immigrazione, significa in ultima analisi “denaturalizzare”, per così dire, ciò che viene considerato “naturale” e “ristoricizzare” lo Stato o ciò che nello Stato sembra colpito da amnesia, cioè significa ricordare le condizioni sociali e storiche della sua genesi. La “naturalizzazione” dello Stato, come la percepiamo in noi stessi, opera come se lo Stato fosse un dato immediato, come se fosse un oggetto dato di per sé, per natura, cioè eterno, affrancato da ogni determinazione esterna, indipendente da ogni considerazione storica, indipendente dalla storia e dalla propria storia, da cui si preferisce separarlo per sempre, anche se non si smette di elaborare e di raccontare questa storia. L’immigrazione – ed è questo il motivo per cui essa disturba – costringe a smascherare lo Stato, a smascherare il modo in cui lo pensiamo e in cui pensa se stesso».

(A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, prefazione di P. Bourdieu, ed. it. a cura di S. Palidda, Milano, Raffaello Cortina, 2002).

Non discriminazione

Nel corso dei primi mesi del 2018 i giudici sono nuovamente dovuti intervenire per affermare la diretta applicabilità dell’art. 12 della dir. 2011/98/UE con conseguente disapplicazione delle norme nazionali sulla base delle quali l’INPS rifiuta la erogazione delle prestazioni sociali.
Si segnala, inoltre, che la Corte Costituzionale è recentemente intervenuta con le sentenze n. 106 del 24.5.2018 e n. 107 del 25.5.2018 per affermare la natura discriminatoria del termine di residenza (rispettivamente di dieci e quindici anni) introdotto dalle leggi regionali della Liguria e del Veneto.
 
Leggi regionali e requisito di residenza
Con sentenza n. 106 del 24.5.2018 la Corte costituzionale ha ritenuto discriminatorio il requisito di dieci anni di residenza consecutivi nel territorio nazionale richiesto per i soli cittadini provenienti da paesi terzi ai fini dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica introdotto con la l.r. Liguria n. 13/17, essendo lo stesso irragionevole e sproporzionato. La Corte costituzionale ha sottolineato che tale requisito si pone in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 11 della dir. 2003/109/CE ed ha dichiarato di conseguenza l’art. 4, co. 1, della citata legge costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost. L’art. 11 dir. 2003/109/CE prevede che il soggiornante di lungo periodo «gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: ...l’accesso …alla procedura per l’ottenimento di un alloggio» e tale direttiva non consente agli Stati membri di porre limiti a questa prescrizione paritaria, salva solo la possibilità di limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo abbia eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio.
Nella successiva sentenza n. 107 del 25.5.2018 la Corte costituzionale ha affermato che il titolo di precedenza della residenza quindicennale nella Regione per l’accesso agli asili nido, introdotto dalla l.r del Veneto n. 6/17, non ha alcun collegamento con la funzione sociale ed educativa di detto servizio sociale (che deve invece rispondere a finalità di uguaglianza sostanziale), né può essere giustificato con l’argomento del contributo pregresso alle finanze pubbliche; inoltre, detto titolo di precedenza contrasta con il principio di libera circolazione nell’Unione ex art. 21 TFUE e con il divieto di porre ostacoli alla mobilità tra le Regioni ex art. 120 Cost. Pertanto la norma regionale che sostituisce la precedenza per i bambini a rischio di svantaggio sociale, con i figli di genitori con residenza quindicennale deve essere dichiarata incostituzionale per violazione degli artt. 3, 117 e 120 Cost.
In tale provvedimento la Corte ha ribadito con particolare riferimento al requisito della residenza protratta che «mentre la residenza costituisce, rispetto a una provvidenza regionale, “un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio” (sentenza n. 432 del 2005), non altrettanto può dirsi quanto alla residenza protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, ove di carattere generale e dirimente, non risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto “introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari”, non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata prolungata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che in linea astratta ben possono connotare la domanda di accesso al sistema di protezione sociale (sentenza n. 40 del 2011) (sentenza n. 222 del 2013)».
 
Bonus bebè
In relazione al c.d. bonus bebè previsto dall’art. 1, co. 125 della l. n. 190/14, si richiamano le pronunce (tutte in Banca dati ASGI) del Tribunale di Busto Arsizio (ord. 24.1.2018), del Tribunale di Milano (ord. 28.2.2018), del Tribunale di Bergamo (ord. 2.3.2018) e del Tribunale di Mantova (ord. 10.3.2018). I giudici hanno affermato che l’art. 1, co. 125, l. 190/2014, nella parte in cui riconosce il bonus bebè ai soli cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo, contrasta con quanto disposto all’art. 12 della dir. 2011/98/UE che riconosce ai titolari di permesso unico di lavoro la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno in materia di sicurezza sociale nella quale rientra il beneficio in questione riconducibile alle prestazioni familiari di cui all’art. 3, co. 1, lett. j) del reg. 883/2004. Quanto ai rimedi si segnala quanto deciso dal Tribunale di Bergamo che, avendo constatato la reiterata condotta discriminatoria attuata dall’INPS in suddetta materia, nella pronuncia sopracitata si è così espresso: «Detta condotta discriminatoria deve essere pertanto eliminata attribuendo la prestazione ai soggetti legittimati e dandone adeguata pubblicità sul sito istituzionale nonché adeguando i moduli on line per la domanda amministrativa»,  imponendo all’istituto un comportamento conforme alla legge e sottolineando l’obbligo di dare corretta informazione al pubblico.
 
Premio alla nascita
Ad avviso dei giudici di merito, che al riguardo si sono pronunciati, l’esclusione, disposta con Circolare INPS n. 39/2017, delle titolari di premesso unico di lavoro dall’accesso al premio alla nascita di cui all’art. 1, co. 353 della l. 232/2016, che ha esteso a suddetto beneficio i medesimi requisiti previsti per il bonus bebè, costituisce una condotta discriminatoria, sia in quanto non sussiste alcun potere in capo all’Istituto di restringere i potenziali beneficiari della prestazione, sia perché una tale limitazione contrasta con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 12 della dir. 2011/98/UE che in quanto sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato è dotato di diretta applicabilità. L’unico rimedio possibile è quindi la disapplicazione della disposizione nazionale contrastante che consente di eliminare la condotta discriminatoria estendendo il beneficio a tutte le madri regolarmente soggiornanti.
Si sono ad oggi pronunciati il Tribunale di Venezia in data 9.3.2018, Tribunale di Treviso in data 8.3.2018 ed in data 9.2.2018, il Tribunale di Bergamo del 27 gennaio 2018 (vedi Banca dati ASGI).
 
Assegno di maternità
Il rifiuto di riconoscere la prestazione prevista dall’art. 74, d.lgs 151/2001 alle cittadine extra UE titolari di un permesso unico di lavoro è stato reputato comportamento discriminatorio, in quanto «rientra tra le prestazioni di maternità connesse alla nascita del figlio ed al possesso di redditi entro determinati limiti previsti dal regolamento CE 883/04 a sua volta richiamato dall’art. 12, co. 1, lett. e), della dir. 2011/98 che esprime il principio di parità di trattamento. Tale principio, è chiaro, preciso e incondizionato e deve essere applicato direttamente dalle pubbliche amministrazioni» (vedi Trib. Bergamo, ord. 23.3.2018, in Banca dati ASGI).
 
Assegno per il nucleo familiare
Il Tribunale di Brescia ed il Tribunale di Alessandria hanno nuovamente dovuto pronunciarsi sul comportamento discriminatorio posto in essere dall’INPS in relazione alla mancata concessione ai cittadini di paesi terzi, titolari di permesso di soggiorno a fini lavorativi o lungo soggiornanti, i cui familiari a carico risultino residenti all’estero, dell’assegno per il nucleo familiare di cui all’art. 2, l. 153/1988. In entrambi i casi i giudici hanno ribadito che si tratta di una prestazione assistenziale a carattere essenziale e pertanto non solo rientra nell’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento di cui all’art. 11, lett. d), della dir. 2003/109 ma deve anche trovare applicazione senza alcuna facoltà di deroga in capo agli Stati. «Tale principio di parità in quanto chiaro, preciso e incondizionato deve essere direttamente applicato dalle pubbliche amministrazioni e pertanto l’art. 2, co. 6bis, l.153/1998 deve essere disapplicato nella parte in cui, a differenza di quanto previsto per i cittadini italiani, consente il computo nel nucleo familiare dei soli familiari residenti sul territorio nazionale» (ord. 6.2.2018 Tribunale di Brescia in Banca dati ASGI). Il Tribunale di Alessandria (ord. 1.3.2018 in Banca dati ASGI), in applicazione del principio espresso nella sentenza della Corte di Cassazione sez. Lavoro dell’8.2.2017), ha inoltre sottolineato che tale comportamento «costituisce una discriminazione collettiva per ragioni di nazionalità per violazione del principio direttamente applicabile di parità di trattamento di cui all’art. 12 della direttiva 2011/98 e all’art. 11 della direttiva 2003/109». Al riguardo si ricorda che la Corte di Cassazione Sezione Lavoro sopracitata aveva così statuito: «Deve pertanto ritenersi – sulla base delle stesse premesse e del contenuto della legge Europea 97/2013 – che l’ANF costituisca prestazione che lo Stato Italiano ha riconosciuto di erogare in condizioni di parità (ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2003/109 CE) ai cittadini non comunitari lungo soggiornanti; che esso sia stato riconosciuto in sede di tardivo adempimento in base alla legge 97/2013 ed in conformità alla direttiva; e che pertanto il mancato riconoscimento della prestazione in questi stessi termini da parte dell’INPS (con la circolare n. 4/2014) concreta una discriminazione collettiva sotto il profilo della nazionalità» (in Banca dati Osservatorio sulle Immigrazioni).
 
Tariffe RC auto
Il Tribunale di Bologna con ord. del 7.3.2018 ha ritenuto che le tariffe RC Auto di assicurazione calibrate tenendo conto, tra i fattori di rischio considerati nel calcolo del premio finale, di un coefficiente che dipende dallo Stato di conseguimento della patente di guida desunto dallo Stato di nascita del conducente, sono contrarie al diritto dell’Unione europea e all’art. 43 del d.lgs 286/98, in quanto restrizioni che costituiscono un comportamento discriminatorio che riserva a soggetti di nazionalità straniera un trattamento svantaggioso nella sottoscrizione delle polizze assicurative, essendo evidente che la cittadinanza non ha un impatto sulla capacità di guida degli utenti (in Banca dati ASGI) .

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