ANNO 2016
Visto di reingresso
Con
sentenza 18.7.2016, n. 8199 il Tar per il Lazio, Roma, ha annullato il diniego di visto di reingresso di un cittadino straniero già soggiornante in Italia, opposto dall’Ambasciata italiana in Bangladesh, su parere negativo della questura di Ancona, secondo cui il cittadino straniero non aveva provveduto a chiedere il rinnovo del titolo di soggiorno nei termini di legge.
Dopo avere esaminato la normativa specifica (art. 8, d.p.r. 34/99 e decreto del Ministero degli esteri dell’11.5.2011 in materia di tipologia di visti) ed evidenziato l’analogia tra la situazione dello straniero che ha smarrito o gli è stato rubato il permesso di soggiorno con quella dello straniero in possesso del titolo di soggiorno «differenziandosi da essa solo in relazione all’onere del richiedente di dar prova della non imputabilità della perdita del possesso del documento (attraverso la produzione di copia della denuncia di furto o smarrimento) e al corrispondente obbligo dell’Amministrazione di accertare l’“esistenza” del titolo di soggiorno», il Tar romano censura il parere negativo della questura, e conseguentemente del diniego di visto di reingresso, per essersi attestata sulla mancata richiesta di rinnovo del titolo e non, invece, sulla perdita involontaria del titolo che ha determinato la necessità d richiesta del visto di reingresso, come previsto dalla vigente normativa.
Requisiti del procedimento amministrativo per il rinnovo del permesso di soggiorno
Con
sentenza 25.8.2016, n. 3695 il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per violazione delle regole del procedimento amministrativo ed in particolare per omesso invio del cd.
preavviso di rigetto ex art. 10
bis legge n. 241/90 e s.m. Nel caso di specie, peraltro, la questura aveva prodotto un preavviso di rigetto ma inadeguato, in quanto indicante un elenco da barrare di requisiti, uno solo dei quali era stato effettivamente segnato dalla PA; oltre al fatto che non vi era prova che esso fosse stato concretamente consegnato all’interessata.
La violazione procedimentale in questione ha impedito, secondo il Consiglio di Stato, all’Amministrazione di tenere conto della effettiva situazione, anche familiare, della cittadina straniera a cui era addebitata un’insufficienza reddituale, ritenuta ostativa al rinnovo del titolo di soggiorno. Vizio che il Giudice d’appello ha ritenuto assorbente rispetto ad altri aspetti.
Requisiti per il rilascio o rinnovo del titolo di soggiorno
Con
sentenza 25.8.2016, n. 3697 il Consiglio di Stato ha affermato che la
tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi non può essere ritenuta ostativa al rilascio del permesso di soggiorno, ma deve essere valutata, insieme agli altri requisiti, ai fini del rilascio del titolo.
Il caso riguardava il procedimento di emersione dal lavoro irregolare (legge n. 102/2009), ma il principio è applicabile ordinariamente: per potere perfezionare la regolarizzazione, il datore di lavoro doveva dimostrare di avere un reddito non inferiore ad € 20.000, ciò che ha fatto mediante dichiarazione tardiva all’Agenzia della entrate. Per tale motivo il Tar Piemonte aveva rigettato il ricorso proposto dal lavoratore regolarizzando, ipotizzando la fittizietà della dichiarazione, al solo fine di conseguire i benefici dell’emersione.
Il Consiglio di Stato, invece, ha accolto l’impugnazione, ritenendo che la tardiva dichiarazione dei redditi non può essere ritenuta inesistente, tant’è che rileva ai fini della riscossione delle tasse, e pertanto è elemento che deve essere valutato, ai fini del permesso di soggiorno (in termini: Cons. St. n. 1257/2016).
Con
sentenza 29.8.2016, n. 3717 il Consiglio di Stato ha affrontato varie questioni afferenti i presupposti per la conservazione del permesso di soggiorno del lavoratore straniero, al quale il questore aveva negato il rinnovo perché, durante il periodo di vigenza del
permesso per attesa occupazione, non aveva dimostrato una continuità lavorativa né di avere percepito redditi sufficienti.
Il Tar Veneto aveva rigettato il ricorso, peraltro escludendo che la capacità reddituale potesse essere dimostrata anche attraverso elargizioni di amici e/o parenti.
Il Giudice amministrativo d’appello, invece, se da un lato ha confermato l’irrilevanza di dette elargizioni, dall’altro ha annullato il provvedimento dando rilievo, innanzitutto, alle contestazioni effettuate dal lavoratore nei confronti dei datori di lavoro presso i quali aveva svolto attività lavorativa, per non avere gli stessi né corrisposto una retribuzione coincidente con l’orario effettivamente impiegato, né versato i corrispondenti contributi previdenziali. Contestazioni (denuncia all’Ispettorato del lavoro e all’INPS) che rappresentano «un principio di prova» dell’attività lavorativa svolta, tenuto anche conto, sottolinea l’Alto Consesso, che «il contesto lavorativo ed ambientale dei braccianti nel settore agricolo sovente si caratterizza per l’esistenza di condizioni di sfruttamento del lavoro in condizioni irregolari (in nero) specie nei confronti degli immigrati che svolgono lavori stagionali, in cui le assunzioni a termine avvengono con l’ausilio di agenti intermediari».
Il Consiglio di Stato, inoltre, ha affermato che, per quanto riguarda il permesso per attesa occupazione, di cui all’art. 22, co. 11, TU) «la finalizzazione di tale tipologia di titolo di soggiorno al superamento del periodo di mancata occupazione dell’immigrato (in presenza di nota criticità del collocamento nel mondo del lavoro) porta ad escludere che in tale periodo all’immigrato medesimo sia richiesto di produrre egualmente il reddito minimo annuo (derivante da fonti lecite e non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale), come richiesto dalla normativa sull’immigrazione». In altri termini, il permesso per attesa occupazione serve per verificare se, nelle more, il lavoratore straniero trovi un’occupazione e pertanto sarebbe irragionevole pretendere che debba comunque dimostrare un determinato reddito.
Un ulteriore importante principio affermato nella sentenza riguarda il reddito che il lavoratore deve dimostrare per ottenere il rinnovo del titolo di soggiorno: se per il ricongiungimento familiare il legislatore ha indicato un determinato parametro reddituale (importo dell’assegno sociale annuo), per «altre situazioni personali (come nel caso all’esame, in cui si tratta di un singolo individuo) tale importo (secondo l’orientamento della Sezione) non può costituire un limite rigido, ma rappresenta solo un termine di raffronto utile per valutare in concreto la capacità dell’immigrato di avere un reddito sufficiente al proprio sostentamento».
Con
sentenza 10.2.2016, n. 175 il Tar Emilia Romagna, Bologna
, ha annullato il provvedimento del questore di Forlì-Cesena che aveva negato il
permesso di soggiorno per cure mediche ad un cittadino straniero affetto da patologia invalidante, perché non ha tenuto conto della gravità della malattia e del fatto che era seguito da anni dal Servizio sanitario pubblico di Cesena, nonché omettendo di considerare la presenza in Italia della famiglia.
Il giudice regionale ha dato rilievo anche alla risalente presenza in Italia del cittadino straniero, il cui rientro nel Paese «potrebbe compromettere quelle possibilità di cura che in loco vengono garantite efficacemente», nel contempo «costringerebbe al rientro in Marocco anche del resto della famiglia, interrompendo il percorso di studi dei figli più grandi che stanno per conseguire attestati utili per trovare un lavoro con cui mantenere la famiglia».
In sintesi, il Tar emiliano-romagnolo ha affermato la necessità di valutare la complessiva situazione del cittadino straniero e il preminente interesse del minore.
Permesso UE per soggiornanti di lungo periodo
Con
sentenza 12.5.2016, n. 162 il Tar per il Friuli Venezia Giulia ha annullato il provvedimento del questore di Gorizia di revoca del titolo di soggiorno ad una cittadina del Bangladesh, già soggiornante in Italia, a causa di una prolungata assenza dal territorio nazionale (superiore a 12 mesi).
Il Tar giuliano premette che l’assenza dal territorio dell’Unione europea per un periodo consecutivo superiore a 12 mesi o dallo Stato per un periodo continuativo superiore a 6 anni (art. 9, co. 7 TU), rappresenta una ipotesi di revoca-decadenza che opera automaticamente, a differenza della revoca per «pericolosità sociale» (misura sanzionatoria) per la quale vanno valutati e comparati altri criteri (durata della presenza, legami familiari, ecc.).
Tuttavia, il Tar ritiene che, per attenuare detto automatismo, debbano avere rilievo eventuali cause di giustificazione dell’assenza, per non discriminare rispetto a situazioni analoghe (titolare di ordinario permesso di soggiorno o in attesa di conseguire il PSUE), penalizzando colui che, già titolare di permesso di lungo periodo esprime una maggiore stabilità di presenza.
ANNO 2017
Giurisdizione in materia di permesso di soggiorno per motivi umanitari
Con
sentenza 6.4-23.5.2017, n. 2412 il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar Brescia (n. 378/2017) che aveva declinato la propria giurisdizione, in favore di quella ordinaria, relativamente ad un provvedimento di diniego di rilascio di permesso di soggiorno per richiesta asilo, da valersi nelle more dell’impugnazione davanti al giudice ordinario del diniego di riconoscimento della protezione internazionale ed in particolare pendente il giudizio d’appello.
Il Consiglio di Stato conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale va proposta davanti al giudice ordinario l’impugnazione del diniego di permesso di soggiorno, ex art. 5, co. 6 TU 286/98, all’esito del rigetto di riconoscimento della protezione internazionale operato dalla Commissione territoriale, in quanto «la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dagli artt. 2 Cost. e 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e, pertanto, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui può demandarsi solo l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore (cfr., oltre alle sentenze citate dal Tar, recentemente, Cass. civ., SU, n. 5059/2017; Cons. St., III, n. 3825/2015 e n. 4413/2014)».
Il Giudice amministrativo d’appello conferma anche il diniego di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tenuto conto dell’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di ripartizione della giurisdizione in ipotesi analoghe a quella trattata.
Requisiti per il rilascio o rinnovo del titolo di soggiorno: esistenza di un rapporto di lavoro
Con
sentenza 25.5-30.5.2017, n. 2586 il Consiglio di Stato ha rigettato un ricorso, che invece il Tar per la Toscana aveva accolto, con cui era stato impugnato il diniego di rinnovo del titolo di soggiorno lavorativo per
mancata istaurazione del rapporto di lavoro, per il quale la cittadina straniera era stata autorizzata all’ingresso in Italia. Nel corso del giudizio di 1^ grado, la ricorrente aveva dimostrato di avere successivamente intrapreso una regolare attività lavorativa, ma poiché la
nuova circostanza non era stata portata all’attenzione della questura precedentemente al provvedimento di diniego di rinnovo, non poteva, secondo il Consiglio di Stato, essere valutata ai fini della verifica di legittimità del provvedimento impugnato.
Il Giudice d’appello, tuttavia, ha demandato all’Amministrazione il compito di valutare se, alla luce del nuovo rapporto di lavoro intrapreso, possa rilasciarsi il rinnovo del titolo di soggiorno, ai sensi dell’art. 5, co. 5, TU.
Diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per pericolosità sociale
Con
sentenza 25.5-30.5.2017, n. 2591 il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno a cittadino straniero gravato da condanna penale per il reato di cui all’art 73, co. 5, d.p.r. 309/90. La decisione è motivata in ragione della legittimità della valutazione di pericolosità sociale effettuata dal questore, in considerazione anche di ulteriori pendenze penali, ed ha affermato che la condanna penale è ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno «
in assenza di legami rilevanti ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998».
Il Consiglio di Stato ha ritenuto irrilevanti la duratura presenza in Italia del cittadino straniero (9 anni), lo svolgimento di attività lavorativa regolare e la presentazione di istanza di riabilitazione a seguito del passaggio in giudicato della condanna.
Permesso UE per soggiornanti di lungo periodo
Il Tar per il Piemonte, con
sentenza 9.1.2017, n. 32, ha rigettato il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, motivato in ragione della inidoneità alloggiativa certificata dal Comune. Il caso riguardava il certificato rilasciato dall’Ente locale in cui si attestava l’idoneità per 3 persone mentre il nucleo familiare era di 5 componenti, di cui 3 minorenni di età inferiore ai 14 anni. Secondo il ricorrente, il requisito alloggiativo richiesto dall’art. 9, co. 1, TU doveva essere interpretato ed applicato analogicamente a quanto avviene in materia di ricongiungimento familiare, ovverosia non ricomprendendo nella idoneità i minori infraquattordicenni, per i quali è sufficiente il consenso del proprietario dell’alloggio.
Secondo il Tar Piemonte non è accoglibile siffatta tesi, cioè l’estensione analogica delle previsioni normative sopra indicate, perché l’art. 9, TU, nell’individuare i requisiti per il rilascio del permesso UE di lungo soggiorno non richiama espressamente l’art. 29, co. 3, lett. a) del medesimo TU e pertanto la norma va interpretata restrittivamente. Il giudice regionale, infatti, ritiene che sia ragionevole e non discriminatoria la differenza di trattamento tra colui che chiede il ricongiungimento familiare e chi chiede, invece, il permesso di lungo soggiorno, essendo diversa la finalità perseguita dal legislatore, nel primo caso la tutela dell’unità familiare (e dunque una maggiore elasticità dei requisiti), nel secondo l’effettiva integrazione sociale del cittadino straniero, tenuto conto che il PSUE consente l’esercizio di una vasta gamma di diritti sociali.