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Fascicolo 2, Luglio 2023


Una volta ancora -non la prima volta, tanto meno l'ultima - il bacino del Mediterraneo è tracciato da esuli sconfitti e braccati alla ricerca di una patria appena abbandonata in macerie e perpetuamente promessa, di un'identità profonda che non mette radici se non nel futuro, e non si purifica se non contaminandosi
 
(Vittorio Sermonti, Eneide, Milano, 2008)
 

Non discriminazione

Nel corso del primo quadrimestre del 2023 le pronunce in tema di discriminazione hanno riguardato in prevalenza le disposizioni della normativa regionale (primaria e secondaria). 

Alloggi pubblici

La Corte costituzionale con sentenza n. 77/2023 ha dichiarato illegittimo l’art. 5 comma 1 lett. b) della legge della Regione Liguria 29 giugno 2004 n. 10, come modificato dall’art. 4, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2017, n. 13, che imponeva, per poter accedere agli alloggi ERP, il requisito di residenza quinquennale in Regione o, in alternativa, l’attività lavorativa nel bacino di utenza del bando per il medesimo periodo.

Nella citata sentenza la Corte costituzionale, dopo aver premesso che analoga disposizione, contenuta nella legge della Regione Lombardia era stata già dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 44/2020, ne ha richiamato il contenuto ed ha ribadito che alla pregressa residenza, di per sé considerata, non può attribuirsi alcun valore prognostico circa la futura permanenza del beneficiario sul territorio regionale e dunque è irragionevole affidarsi a tale requisito per evitare un avvicendamento troppo rapido nell’assegnazione degli alloggi affermando che la stabilità futura del richiedente dipende, semmai, proprio dal fatto di ottenere una casa. Inoltre ha sottolineato che il requisito di radicamento territoriale, quand’anche fosse legittimo, non potrebbe mai prevalere sulla considerazione del bisogno, che è l’unico criterio che deve presiedere alle politiche sociali con la conseguenza che qualsiasi barriera all’accesso basata su un requisito estraneo al bisogno, deve ritenersi illegittima. Da ultimo la Corte costituzionale, in relazione alle osservazioni mosse dalla Regione Liguria, secondo la quale la sentenza n. 44/2020 avrebbe accertato i vizi di irragionevolezza e di discriminazione (sia per gli italiani che per gli stranieri, se privi del requisito in esame) che si differenzierebbero dalla censura di discriminazione indiretta degli stranieri avanzata dal giudice remittente, ha osservato che «Di fronte a norme che differenziano alcuni soggetti dagli altri ai fini dell’accesso a una prestazione sociale, gli argomenti relativi all’eguaglianza e quelli relativi alla ragionevolezza si sovrappongono e si intrecciano, costituendo la ragionevolezza, oltre che canone autonomo di legittimità della legge, anche – e prima ancora – criterio applicativo del principio di eguaglianza (sentenza n. 148 del 2017 e ordinanza n. 184 del 2018). Nella vicenda relativa alla legge lombarda, l’ordinanza di rimessione aveva invocato congiuntamente i principi di eguaglianza e ragionevolezza, e la sentenza n. 44 del 2020 conclude accertando il contrasto “con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché [la norma] produce una irragionevole disparità di trattamento a danno” dei cittadini e degli stranieri privi del requisito. L’ordinanza del Tribunale di Genova, per parte sua, lamenta una discriminazione indiretta a danno degli stranieri e invoca poi, a sostegno, due decisioni di questa Corte che hanno affermato la necessità che i requisiti introdotti per l’accesso al welfare rispondano al principio di ragionevolezza (la seconda delle pronunce richiamate è proprio la sentenza n. 44 del 2020). Allo stesso modo del rimettente nel caso lombardo, dunque, anche il Tribunale di Genova ha censurato un’irragionevole disparità di trattamento, cioè il vizio accertato dalla sentenza n. 44 del 2020, e anche in questo caso, non diversamente che in quello, questa Corte non può esimersi dall’accertarne la sussistenza.» (ved. in Banca dati ASGI).

Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 7 marzo 2023, ha affermato che costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto, con l’art. 8, comma 1, lettera a) del d.p.g.r. n. 2543/94, il requisito della residenza in Italia da almeno cinque anni ed il requisito dell’avere un’attività lavorativa stabile per i soli cittadini extracomunitari. Nell’ordinanza in esame il Tribunale, dopo aver ampiamente motivato in merito alla legittimazione attiva dell’ASGI richiamando il dettato dell’art. 5 d.lgs. 215/2003 ritenuto applicabile anche alle discriminazioni per nazionalità, nel merito ha richiamato il contenuto della sentenza della Corte costituzionale n.44/2020 affermando conclusivamente che «Non vi è pertanto dubbio sull’illegittimità della norma regolamentare impugnata, tanto che – sul punto – la Regione resistente si è rimessa alla decisione del Tribunale, condividendo di fatto l’eccezione di ASGI» ed ordinando alla Regione Piemonte di eliminare con effetto immediato tale previsione regolamentare. Conseguentemente ha accertato la natura discriminatoria della condotta tenuta dalla Agenzia territoriale per la casa del Piemonte centrale consistente nell’aver inserito nel bando di concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 i sopra citati requisiti per i soli cittadini extracomunitari nonché «l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni» richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 9/2021. Si segnala, infine, che il Tribunale non ha accolto la richiesta di risarcimento danni formulata dalla parte ricorrente in quanto «l’impugnato art. 8 del d.p.g.r. 2543/94 è atto politico della Giunta regionale e, in quanto tale, non può essere considerato fonte di diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.» e, quanto all’ATC, in quanto i bandi impugnati erano ancora in corso di esecuzione «così che la tempestiva eliminazione delle norme ritenute discriminatorie vale ad eliminare qualsivoglia fonte di danno.».

Il Consiglio di Stato, con sentenza del 6 marzo 2023, e la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 17/2023 del 23 febbraio 2023, si sono pronunciati in merito al carattere discriminatorio delle norme secondarie regionali e statali che fanno gravare sui soli cittadini extra UE l’onere aggiuntivo di produrre idonea documentazione attestante la non proprietà di immobili all’estero ai fini dell’accesso agli alloggi ERP, sottolineando che si pongono in contrasto con gli artt. 2, comma 5 e 40, comma 6, TU immigrazione e, pertanto, devono essere disapplicate, anche alla luce delle statuizioni della sentenza Corte cost. n. 9/2021.

In particolare la Corte d’appello di Trieste, dopo aver richiamato i principi affermati dalla sopra citata sentenza della Corte costituzionale ed il diritto alla parità di trattamento dei lungo soggiornanti garantito dall’art. 11, direttiva 2003/109 e la prevalenza della normativa speciale ISEE e dell’art. 18, comma 3-bis, l. 241/90 nonché l’illegittimità della fonte secondaria costituita dall’art. 3 d.p.r. n. 445/2020, per contrasto con l’art. 2, comma 5 TU immigrazione, ha concluso che si tratta di elementi che convergono nel senso dell’illegittimità della previsione regolamentare regionale, e non ha ritenuto, al riguardo, necessario sollevare l’incidente di costituzionalità sulla norma di legge regionale alla quale il regolamento si richiama.

Il Tribunale di Udine, con ordinanza del 8 febbraio 2023, ha sollevato incidente di costituzionalità in riferimento alle seguenti disposizioni: a) art. 29, comma 1-bis l.r. Friuli VG n. 1/2016 nella parte in cui, prevedendo una diversa modalità di attestazione del requisito dell’impossidenza di immobili all’estero per italiani e stranieri, ostacola l’accesso di questi ultimi al contributo per il sostegno alle locazioni; b) art. 29 cit. in relazione al disposto del comma 1, lettera d) nella parte in cui, tra i requisiti minimi per l’accesso al sostegno alle locazioni, indica il non essere proprietari di altri alloggi né in Italia, né all’estero. Ad avviso del giudice remittente tali questioni devono ritenersi rilevanti, nel caso sottoposto al suo esame, anche se il beneficio può essere comunque contestualmente riconosciuto ai ricorrenti in qualità di titolari del permesso di lungo periodo – e quindi tutelati dalla direttiva 2003/109 mediante disapplicazione della norma regionale – stante la richiesta, nell’ambito del piano di rimozione delle discriminazioni accertate, dell’ordine di modifica del regolamento regionale applicativo nella parte in cui riproduce le disposizioni di legge.

La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del 18 gennaio 2023, ha dichiarato che costituisce discriminazione il comportamento del Comune dell’Aquila consistente nell’aver adottato non solo la determina dirigenziale n. 362 del 4.2.2020 e il conseguente avviso pubblico 11.2.2020 del settore politiche per il benessere della persona, ma anche la delibera di Giunta n. 383 del 27.9.2018 ed il conseguente bando e la delibera di Giunta n. 298 del 15.7.2019 e il conseguente bando, nella parte in cui prevedevano, come requisito per l’inserimento in graduatoria per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anziché la titolarità di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 o in subordine di un permesso di soggiorno di almeno 2 anni ex art. 40, comma 6 TU, condannando il Comune a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale agli appellanti ed a non inserire più nei bandi futuri tale requisito. (tutte in Banca dati ASGI).

Acquisto della casa di abitazione con credito agevolato

Il Tribunale di Udine, con ordinanza del 1 febbraio 2023, ha affermato che costituisce discriminazione in base alla nazionalità la richiesta, da parte della Regione e ai soli stranieri, di documenti aggiuntivi, rispetto a quanto richiesto agli italiani, per la prova dell’impossidenza di immobili ad uso abitativo nel Paese di origine e in quello di provenienza ai fini dell’accesso al credito agevolato per l’acquisto della casa di abitazione ed ha concluso che gli stranieri esclusi per non aver prodotto detti documenti hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione mentre la Regione, in presenza di una domanda collettiva proposta da associazione legittimata, può essere condannata alla modifica del regolamento regionale che conteneva detta previsione. Si legge, in particolare nel provvedimento, in merito all’onere probatorio, che «Quanto alla comparabilità, la situazione di un cittadino comunitario e quella di un cittadino di uno Stato extracomunitario non presentano – rispetto al possesso e alla prova del requisito della non titolarità di altri alloggi – alcuna significativa differenza: entrambi, infatti, possono essere proprietari di immobili ad uso abitativo (in Italia e all’estero) ed identica è anche la possibilità per lo Stato italiano di controllare la rispondenza al vero delle loro rispettive autocertificazioni. Tale possibilità è ancorata non alla cittadinanza comunitaria o extracomunitaria di chi rende la dichiarazione, ma alle condizioni organizzative del Paese rispetto al quale la verifica deve essere eseguita e cioè al fatto che ivi esistano un sistema catastale e un’autorità pubblica in grado di certificare le condizioni patrimoniali dei cittadini o residenti il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti.».

Il Tribunale ha, tuttavia, respinto la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale «sia perché richiesto solo in via subordinata rispetto al ripristino della parità di condizioni nell’erogazione della prestazione richiesta, sia perché allo stato effettivamente non vi sono elementi dotati di adeguata oggettiva efficacia probatoria per ritenere che i ricorrenti, una volta riammessi alla procedura, subiscano in concreto un pregiudizio significativo di carattere patrimoniale» riconoscendo solamente il risarcimento del danno non patrimoniale «essendo la condotta della Regione certamente lesiva non solo del loro diritto essenziale di disporre di una abitazione, ma soprattutto della loro dignità di persone, interesse questo di rango primario costituzionale, che appare tanto più incisivamente aggredito ove si consideri non solo la durata della sua compromissione (la domanda di ammissione alla procedura risale a oltre tre anni e mezzo fa), ma anche il fatto che la natura discriminatoria della normativa regionale era già stata accertata e dichiarata da molti altri Tribunali del Distretto, in primo e secondo grado, in fattispecie del tutto sovrapponibili e che la legge regionale dell’Abruzzo (di tenore quasi identico) è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima.» (tutte in Banca dati ASGI).

Assegno al nucleo famigliare

Il Tribunale di Busto Arsizio, con ordinanza del 2 gennaio 2023, in adesione ad un consolidato orientamento giurisprudenziale ha dichiarato discriminatoria la condotta tenuta dall’INPS, consistente nell’aver negato al ricorrente, cittadino extra UE, l’assegno per il nucleo familiare di cui all’art. 2 del d.l. n. 69/1488, convertito nella legge n. 153/1488, in relazione alla coniuge e ai figli minori residenti all’estero, l’assegno per il nucleo familiare, dovendoli computare nel nucleo familiare al pari dei cittadini italiani in applicazione diretta delle direttive auto esecutive ed indipendentemente dal recepimento da parte dello Stato nell’ordinamento interno. La Corte di cassazione, con ordinanza in data 8 marzo 2023, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000 – nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo così i titolari di permesso unico lavoro – per contrasto sia con l’art. 12 direttiva 2011/98, sia con gli artt. 3 e 38, comma 1, 11 e 117 Cost. questi ultimi con riferimento all’art. 34 CDFUE e allo stesso art. 12 direttiva 2011/98. La Corte ha affermato che, sussistendo un’ipotesi di doppia pregiudizialità, occorre privilegiare la questione di legittimità costituzionale (tutte in Banca dati ASGI).

Accesso al SSN

Il Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 6 febbraio 2023, ha ritenuto discriminatorio il comportamento della Regione Veneto consistente nell’aver escluso, con delibera n. 753/2019, dall’accesso gratuito al SSN gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi familiari che rientrano nelle condizioni di cui all’art. 19, co. 2, lett. c) TUI e conseguentemente quello della USSL 8 Berica per non aver disapplicato la delibera in osservanza dell’art. 34 del TUI ed ha concluso che la Regione Veneto deve modificare la delibera rimuovendo la previsione discriminatoria e l’USSL 8 Berica deve provvedere all’iscrizione obbligatoria e gratuita al Servizio sanitario nazionale della ricorrente (ved. in Banca dati ASGI).

Esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria

Il Tribunale di Milano, con ordinanza 12 gennaio 2023, ha affermato che costituisce discriminazione la condotta della Regione Lombardia consistente nel negare il diritto alla esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (c.d. ticket) di cui all’articolo 8, comma 16, l. n. 537/1993 a tutti i residenti disoccupati (in particolare richiedenti asilo e rifugiati) che ne facciano richiesta e che rientrino nelle condizioni di reddito, indipendentemente dalla esistenza o meno di un pregresso rapporto di lavoro (ved. in Banca dati ASGI).

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