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Fascicolo 2, Luglio 2018


«Riflettere sull’immigrazione, in fondo, significa interrogare lo Stato, i suoi fondamenti, i suoi meccanismi interni di strutturazione e di funzionamento. Interrogare lo Stato in questo modo, mediante l’immigrazione, significa in ultima analisi “denaturalizzare”, per così dire, ciò che viene considerato “naturale” e “ristoricizzare” lo Stato o ciò che nello Stato sembra colpito da amnesia, cioè significa ricordare le condizioni sociali e storiche della sua genesi. La “naturalizzazione” dello Stato, come la percepiamo in noi stessi, opera come se lo Stato fosse un dato immediato, come se fosse un oggetto dato di per sé, per natura, cioè eterno, affrancato da ogni determinazione esterna, indipendente da ogni considerazione storica, indipendente dalla storia e dalla propria storia, da cui si preferisce separarlo per sempre, anche se non si smette di elaborare e di raccontare questa storia. L’immigrazione – ed è questo il motivo per cui essa disturba – costringe a smascherare lo Stato, a smascherare il modo in cui lo pensiamo e in cui pensa se stesso».

(A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, prefazione di P. Bourdieu, ed. it. a cura di S. Palidda, Milano, Raffaello Cortina, 2002).

Editoriale

Un cambiamento effettivo nella regolazione dell’immigrazione in Italia?
La domanda è sempre importante, perché il diritto degli stranieri in ogni Stato è sottoposto a cambiamenti frequenti e repentini, derivanti dall’evoluzione del fenomeno migratorio e delle sue cause e da nuovi indirizzi politici; e le sue norme, in ogni Stato democratico-sociale, sono prodotte con un procedimento che contraddice il circuito democratico rappresentativo:
in generale le norme legislative sono decise dalla maggioranza di assemblee rappresentative elette dagli elettori e perciò si presume che siano conformi alla volontà della maggioranza dei medesimi elettori, mentre le norme del diritto degli stranieri riguardano persone che mai neppure indirettamente le hanno volute. Infatti i parlamenti degli Stati democratici eletti dai soli cittadini decidono le norme che regolano la condizione giuridica degli stranieri, sicché nuove maggioranze politico-parlamentari spesso ne modificano i contenuti o l’applicazione, seppur nei limiti costituzionali, europei e internazionali.
La domanda si ripropone dopo le elezioni parlamentari italiane del 2018 e l’entrata in carica del nuovo Governo presieduto da Giuseppe Conte, che si è caratterizzato, in queste prime settimane, con azioni apparentemente energiche e con dichiarazioni che parrebbero incentivare xenofobia e odio etnico, ma che attuano un più generale indirizzo politico-amministrativo sull’immigrazione, ricavabile dalle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio dei Ministri svolte di fronte alle Camere il 5 e 6 giugno 2018 e dal «Contratto per il governo del cambiamento» tra Lega e Movimento 5 stelle, alla cui realizzazione il Governo è politicamente vincolato dalle mozioni di fiducia approvate dalle due Camere. Gli obiettivi indicati in questi programmi appaiono eterogenei ed ambivalenti e meritano approfondimenti. Infatti, da un lato, alcune proposte sembrano legittime, fattibili e ragionevoli, seppur in un contesto ambiguo, ma non sempre paiono innovative.
In proposito il Presidente del Consiglio dei Ministri di fronte alle Camere ha dichiarato che il nuovo Governo, per evitare che l’Italia sia lasciata sola dal resto dell’UE negli oneri di soccorso e accoglienza dei migranti nel Mediterraneo, mira al «superamento del Regolamento di Dublino al fine di ottenere l'effettivo rispetto del principio di equa ripartizione delle responsabilità e di realizzare sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo», e vuole altresì che «le procedure mirate all'accertamento dello status di rifugiato siano certe e veloci, anche al fine di garantire più efficacemente i loro diritti e di non lasciarli nell'incertezza». Il Presidente del Consiglio ha affermato inoltre: «difendiamo e difenderemo gli immigrati che arrivano regolarmente sul nostro territorio, lavorano, si inseriscono nelle nostre comunità, rispettandone le leggi e, anzi, offrendo un contributo che riteniamo decisivo allo sviluppo del Paese», e conclude anche che «vogliamo che il tema sia affrontato nel rispetto della piena dignità di tanti che soffrono, di tanti che hanno tutti i presupposti per potere, in accordo con le convenzioni internazionali, conseguire uno status che li tuteli più approfonditamente. Vogliamo che i flussi migratori siano regolamentati e, soprattutto, che il problema sia affrontato a livello europeo, perché, com'è stato anche riconosciuto autorevolmente qualche giorno fa, siamo stati lasciati soli». Inoltre di fronte all’uccisione del sindacalista Sacko, bracciante regolarmente soggiornante, il Presidente del Consiglio afferma di fronte alle Camere la solidarietà del nuovo Governo e l’esigenza che «la politica deve farsi carico del dramma di queste persone e garantire percorsi di legalità, che costituiscono la stella polare di questo programma di Governo».
Tutti questi intenti così enunciati paiono conformi ai principi costituzionali, internazionali ed europei e funzionali a renderne ancora più efficace l’applicazione, dando priorità ai diritti fondamentali della persona, al diritto di asilo e all’esigenza di una regolazione efficace dei flussi migratori. Tuttavia si tratta di intenti poco innovativi.
1) Non si precisa né quale sarebbe la nuova disciplina ordinaria dell’immigrazione regolare rispetto a quella oggi vigente, né se e come si reprimeranno effettivamente le varie forme di sfruttamento lavorativo degli stranieri.
2) La velocizzazione delle procedure di esame delle domande di asilo deriva non già da atti adottati dal nuovo Governo, bensì dall’entrata in servizio il 22 maggio 2018, dei 250 esperti specializzati delle Commissioni territoriali per la protezione internazionale, assunti in base al d.l. n. 13/2017.
3) Anche la posizione enunciata circa la proposta di riforma del regolamento UE sulla determinazione dello Stato competente all’esame delle domande di asilo sembra ripetere quella dei Governi precedenti e pare sostanzialmente concordare con la versione emendata dal Parlamento europeo della proposta di riforma di tale regolamento, la quale mira all’equa ripartizione delle responsabilità e a sistemi automatici di ricollocazione obbligatoria dei richiedenti asilo. Forse perciò (e non certo per una supposta simpatia politica coi governi dell’Europa orientale) il nuovo Governo italiano ha rigettato la proposta di mediazione che era stata avanzata dalla presidenza bulgara del Consiglio europeo che avrebbe lasciato sostanzialmente intatto, soprattutto in carico all’Italia, l’onere di accoglienza di tutti i migranti salvati in mare.
Appare evidente però una significativa contraddizione: questa maggioranza politica che mira ad aumentare la sovranità statale italiana di fronte a presunte ingerenze eccessive dell’UE, appare invece di fatto consapevole che è indispensabile maggiore cooperazione e solidarietà europea rispetto alla gestione del fenomeno migratorio che l’Italia mai, da sola, riuscirà a governare in modo efficace essendo in prima linea nel controllo delle frontiere marittime meridionali dell’UE. Dunque al di là di dichiarazioni pubbliche che invocano la sovranità nazionale, anche la nuova maggioranza coi suoi atti concreti conferma ciò che consente e promuove l’art. 11 Cost. e cioè limitazioni di sovranità statali in favore di un’organizzazione internazionale che assicuri pace e giustizia tra le nazioni.
Dall’altro lato invece altre proposte del nuovo Governo e della nuova maggioranza appaiono troppo ambigue o illegittime o di difficile realizzabilità o di dubbia legittimità.
In proposito il Presidente del Consiglio dei Ministri nelle dichiarazioni fatte alle Camere, prima, afferma: «metteremo fine al business dell'immigrazione, che è cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà» e, poi, dichiara che «per garantire l'indispensabile integrazione non dobbiamo solo combattere con severa determinazione le forme più odiose di sfruttamento legate al traffico di esseri umani, perpetrate da scafisti privi di scrupoli. Dobbiamo anche riorganizzare e rendere efficiente il sistema dell'accoglienza, assicurando trasparenza sull'utilizzo dei fondi pubblici ed eliminando ogni forma d'infiltrazione della criminalità organizzata. Ove non ricorrano i presupposti di legge per la loro permanenza, ci adopereremo al fine di rendere effettive le procedure di rimpatrio e affinché in sede europea tutti i Paesi terzi che vorranno stringere accordi di cooperazione con un Paese membro dell'Unione accedano alla sottoscrizione di accordi bilaterali di gestione dei flussi migratori».
Le ambiguità e le ombre su tali aspetti e su altri appaiono notevoli.
1) Circa la riforma dell’accoglienza il «Contratto per il governo del cambiamento» afferma, tra l’altro, che «dato che i meccanismi attuali e i consistenti fondi stanziati per l’accoglienza costituiscono un elemento di attrazione per la criminalità, occorre un più attento controllo dei costi. Per questo è necessario dare trasparenza alla gestione dei fondi pubblici destinati al sistema di accoglienza, così da eliminare l’infiltrazione della criminalità organizzata. Occorre introdurre l’obbligo di pubblicità dei bilanci dei soggetti gestori per assicurare verifiche puntuali sulla rendicontazione dei servizi e dei beni erogati, sulle spese sostenute e sui risultati conseguiti. Si deve superare l’attuale sistema di affidamento a privati dei centri e puntare ad un maggiore coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, a cominciare da quelle territoriali, affidando la gestione dei centri stessi alle regioni e prevedendo misure che dispongano l’acquisizione del preventivo assenso degli enti locali coinvolti, quale condizione necessaria per la loro istituzione».
Gli intenti di eliminare infiltrazioni criminali nella gestione dell’accoglienza degli asilanti sono ovviamente lodevoli, ma non sono affatto innovativi, perché già sono imposti dalle norme in vigore che consentono agli uffici centrali e periferici del Ministero dell’Interno di svolgere costanti verifiche contabili e gestionali su ogni gestore.
Più in generale l’ipotizzata riorganizzazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo forse mira alle esigenze, previste dall’art. 97 Cost., che ogni pubblica amministrazione assicuri l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico e che i pubblici uffici siano organizzati tenendo conto del buon andamento. Tuttavia essa non sembra comportare un effettivo e durevole cambiamento del sistema italiano di accoglienza perché non pare modificare i due vizi che inficiano la legittimità dell’attuale sistema.
In primo luogo la riorganizzazione ipotizzata non adegua effettivamente il sistema di accoglienza alle concrete esigenze e al numero effettivo degli asilanti presenti in Italia, il che viola la direttiva UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo, perché non prevede alcun aumento delle risorse finanziarie necessarie per assicurare un’effettiva e completa assistenza al numero e alle esigenze concrete di tutti i richiedenti asilo, il che significa che anche il nuovo Governo, come per decenni avevano fatto i precedenti Governi, prevede risorse sottostimate rispetto alle effettive esigenze e al numero effettivo dei richiedenti asilo e neppure chiede gli aumenti delle coperture di tali spese coi fondi dell’UE, mentre proprio tale sottostima è la principale causa della perdurante impreparazione dei poteri pubblici italiani di fronte alle nuove domande di asilo.
In secondo luogo anche la riorganizzazione ipotizzata delinea un sistema che non appare conforme agli artt. 118, 119 e 120 Cost., i quali invece esigono che la legislazione statale istituisca un unico sistema improntato alle strutture della rete SPRAR, sopprimendo i centri di accoglienza straordinari attivati dai prefetti, e configurandolo non più come rete di strutture facoltative attivate sulla base di volontari progetti da parte degli enti locali e non completamente finanziati dallo Stato, bensì come rete di strutture finanziate integralmente dallo Stato (anche con i contributi dell’UE) da attivarsi in modo obbligatorio in ogni Comune (nessuno escluso) commisurato alle dimensioni e caratteristiche di ogni Comune con un coordinamento regionale e statale e gestite sia direttamente dagli enti locali o da quegli enti del Terzo settore che caso per caso siano in grado di svolgere attività di pubblico interesse.
2) Circa il contrasto ai reati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, il «Contratto per il governo del cambiamento» afferma che «è imprescindibile scardinare il business degli scafisti che ha causato sbarchi e morti nel mar Mediterraneo e smantellare le organizzazioni criminali internazionali per la tratta degli esseri umani, con ulteriore cooperazione e coinvolgimento della polizia giudiziaria di altri Paesi europei».
Sono affermazioni che appaiono ambigue e poco innovative: i reati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare sono già puniti dall’art. 12, d. lgs. n. 286/1998 e la collaborazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati UE in materia è da anni già attiva e sempre più intensificata, anche con l’ausilio delle agenzie europee. In realtà i principali disincentivi delle reti di sfruttamento dell’immigrazione irregolare non sono né la repressione penale, né la creazione di agenzie europee o la collaborazione con esse, bensì nuove forme realistiche di immigrazione regolare, ma nei nuovi indirizzi politico-amministrativi manca proprio ogni ipotesi in proposito.
3) Circa il soccorso dei migranti in mare il «Contratto per il governo del cambiamento» mira «alla riduzione della pressione dei flussi sulle frontiere esterne e del conseguente traffico di esseri umani e contestualmente, nella medesima ottica, ad una verifica sulle attuali missioni europee nel Mediterraneo, penalizzanti per il nostro Paese, in particolare per le clausole che prevedono l’approdo delle navi utilizzate per le operazioni nei nostri porti nazionali senza alcuna responsabilità condivisa dagli altri stati europei». Un simile proposito forse mira a dare una migliore ed effettiva attuazione al principio di solidarietà con gli altri Stati UE previsto dall’art. 80 TFUE, attuazione però che deve essere decisa a livello degli organi dell’UE.
La proposta più innovativa che attua questo proposito pare una di quelle indicate dal Presidente Conte fin nella riunione informale intergovernativa di Bruxelles del 24 giugno 2018, secondo la quale tra gli stranieri entrati irregolarmente nel territorio di uno Stato UE non si devono includere coloro che vi siano stati sbarcati in ottemperanza degli obblighi internazionali di ricerca e soccorso delle persone in pericolo nel mare, sicché l’obbligo dello Stato di soccorrere e sbarcare i migranti in pericolo nel porto sicuro più vicino dovrebbe essere sempre disgiunto dall’obbligo di assisterli e di esaminare le loro domande di asilo, che invece dovrebbe essere ripartito tra gli Stati UE.
Tale proposta innoverebbe l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 13, par. 1, del regolamento n. 604/2013 e sgraverebbe i Paesi di primo ingresso sulla frontiera marittima esterna dell’UE dagli oneri della successiva trattazione delle domande di asilo. Essa riguarderebbe soltanto l’ipotesi dei migranti ammessi negli Stati UE giunti attraverso le acque internazionali e le frontiere esterne dell’UE, cioè un’ipotesi diversa da quella degli ingressi massicci irregolari dei migranti via terra attraverso le frontiere interne.
La proposta italiana non precisa però in base a quali criteri vincolanti e predeterminati (e non decisi caso per caso sulla base della buona volontà di qualche Stato membro) i migranti salvati e sbarcati dovrebbero essere ripartiti verso altri Stati dell’UE per essere assistiti e in base a quali criteri le loro domande di asilo dovrebbero essere esaminate. Tale lacuna e le precedenti deludenti esperienze di ricollocamento dei richiedenti asilo sbarcati in Italia rendono illusoria e poco fattibile nel lungo periodo questa proposta. Anche le altre proposte italiane appaiono generiche e poco innovative, perché in modo vago ribadiscono l’esigenza di una gestione comune da parte dell’UE e di tutti gli Stati dell’UE delle frontiere esterne marittime e del superamento del regolamento di Dublino (senza specificare però come e quando), ma confermano l’art. 79, par. 5 del TFUE che prevede il diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo, il quale costituisce una contraddizione nella regolazione comune dell’immigrazione e un pericolo per l’abbattimento dei controlli alle frontiere interne dell’UE e costituisce da sempre lo strumento usato da ogni altro Stato dell’UE per affermare che la gran parte dei migranti sbarcati in Italia sono non già asilanti, quanto piuttosto migranti economici.
Tuttavia fin quando non si raggiunga un accordo europeo sulla proposta innovativa ipotizzata dal Governo italiano (il che potrebbe essere lento e difficile come accade da anni nell’UE), vi è il serio rischio che, nel tentativo di indurre gli altri Stati europei a realizzare un simile proposito, il Governo italiano si riduca a irrazionali e illegittimi gesti unilaterali, cioè ad esercitare le facoltà ministeriali di limitare o vietare il transito o la sosta di navi mercantili nel mare territoriale per motivi di ordine pubblico (previsto dall’art. 83 cod. nav.), con modalità che comportano un uso immotivato e illegittimo della forza per impedire lo sbarco nei porti italiani di qualsiasi nave non italiana abbia soccorso migranti al di fuori delle acque territoriali italiane.
I rifiuti di sbarco attuati nel giugno 2018 confermano che un simile uso dei poteri ministeriali comporta controproducenti reazioni proprio da parte degli altri Stati UE che si vorrebbero convincere, strumentalizza i migranti e produce illegittimi effetti sulla loro condizione inerme, già provata e in stato di bisogno, perché elude l’accesso al territorio italiano, che è indispensabile per consentire un effettivo accesso al diritto di asilo previsto dall’art. 10, co. 3 Cost. e rischia di violare gli obblighi internazionali in vigore per l’Italia, tra cui il divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto dall’art. 3 CEDU come interpretato in modo vincolante dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in base ai quali è doveroso il più celere soccorso delle persone in pericolo di vita che si trovino in mare e l’approdo nel più vicino porto sicuro anche per consentire loro di essere informate sui loro diritti e doveri, sulla possibilità di presentare domanda di asilo e di farsi assistere e difendere in condizione di sicurezza. Ovviamente il divieto di espulsione ricavato dallo stesso art. 3 CEDU vieta che tali migranti siano in alcun modo riconsegnati alle autorità libiche o comunque portati in Libia finché non cesseranno la guerra civile e i diffusi trattamenti inumani e degradanti che subiscono i migranti irregolari ivi detenuti. Pertanto gli accordi in forma semplificata con le varie autorità libiche sono inconcludenti, oltre che incostituzionali in mancanza della preventiva legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost. 
4) Il Contratto per il governo del cambiamento afferma anche che «la valutazione dell’ammissibilità delle domande di protezione internazionale deve avvenire nei Paesi di origine o di transito, col supporto delle Agenzie europee, in strutture che garantiscano la piena tutela dei diritti umani» e auspica l’«adozione di procedure accelerate e/o di frontiera, l’individuazione dei Paesi sicuri di origine e provenienza, la protezione all’interno del Paese di origine».
Simili limitazioni ed esternalizzazioni in Stati terzi delle procedure di presentazione e di esame delle domande di asilo (aspetti analizzati nel saggio L'esternalizzazione delle frontiere quali conseguenze giuridiche? L'inefficacia delle politiche umanitarie di rimozione degli "effetti collaterali" con particolare attenzione al resettlement. La necessità di vie legali effettive e vincolanti pubblicato in questo numero della Rivista) appaiono molto opinabili rispetto alla loro effettiva realizzabilità (come confermano i rifiuti di realizzare qualsiasi tipo di centro giunti subito da tutti i governi nordafricani, incluso quello libico) e appaiono di dubbia legittimità rispetto all’effettivo esercizio del diritto di asilo costituzionalmente garantito e alle garanzie concernenti l’esame delle domande, salvo che in concreto si riveli che siano la sola via per l’accesso al diritto di asilo e sempre che si rispettino i (futuri e incerti) regolamenti UE che disciplinano la risistemazione delle persone bisognose di protezione (si veda in proposito su questo numero della Rivista il saggio di Gatta sulle Vie di accesso legale alla protezione internazionale nell’Unione europea: iniziative e insufficienti risultati nella politica europea di asilo) e le norme UE sulle procedure di esame delle domande di asilo, le quali prevedono soltanto una mera procedura di esame più velocizzata e non già forme rigide di inammissibilità delle domande presentate dai cittadini degli Stati presunti “sicuri” (la cui stessa esistenza pare però assai controversa).
5) Anche la misura indicata nel Contratto dell’«allineamento delle attuali forme di protezione agli standard internazionali» appare ambigua e di dubbia legittimità, perché non potrebbe certo comportare né una violazione delle peculiarità del diritto di asilo garantite dalla Costituzione italiana allo straniero al quale nel proprio Paese non è effettivamente garantito l’esercizio anche di una sola delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, né l’abrogazione o la limitazione del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai tanti stranieri che pur non avendo i requisiti previsti dalle norme UE per la protezione internazionale (status di rifugiato o status di protezione sussidiaria) non possano essere rimpatriati per motivi umanitari o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali.
6) Il Contratto afferma che «al fine di garantire un corretto bilanciamento con gli interessi di sicurezza e ordine pubblico, occorre poi prevedere specifiche fattispecie di reato che comportino, qualora commessi da richiedenti asilo, il loro immediato allontanamento dal territorio nazionale».
Simili previsioni appaiono di dubbia legittimità rispetto alle vigenti norme costituzionali, internazionali ed europee e anche questo tema è affrontato nel saggio, pubblicato su questo numero della Rivista, di Patrizia Papa su L’esclusione per non meritevolezza, i motivi di sicurezza e di pericolo, il principio di non refoulement e il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
7) Il Contratto mira soprattutto ad un drastico aumento dei rimpatri, sul presupposto (non dimostrato) che in Italia sia presente mezzo milione di stranieri in situazione di soggiorno irregolare e a tale scopo prefigura misure, che però paiono poco innovative o poco realizzabili.
Infatti la prima misura ipotizzata è la durata complessiva massima del trattenimento degli stranieri espulsi o respinti da accompagnare alla frontiera fino ai 18 mesi consentiti dalla direttiva UE sui rimpatri, ma tale durata era già stata portata da 6 mesi a 18 mesi dal d.l. m. 89/2011 e fu poi ridotta a un periodo massimo di 90 giorni dalla legge 30 ottobre 2014, n. 163 perché l’estensione a 18 mesi si era rivelata inutile e controproducente per assicurare l’effettivo rimpatrio.
Anche la seconda misura ipotizzata, cioè la realizzazione in almeno ogni regione di luoghi di permanenza temporanea per il rimpatrio degli stranieri, non è innovativa, ma attua norme già state previste dal d. l. n. 13/2017.
Infine anche il terzo tipo di misure ipotizzate, cioè accordi di riammissione degli irregolari con gli Stati di origine, non è certo innovativo e in ogni caso tali accordi sono del tutto futuri e incerti perché potrebbero essere conclusi soltanto se le autorità italiane svolgessero trattative così vantaggiose da convincere le autorità dei tanti Stati di origine a stipulare accordi di riammissione dei rispettivi cittadini espulsi, il che finora non è riuscito ad alcun Governo, anche perché gli Stati di origine non sono invogliati a concordare l’immediata riammissione dei loro connazionali senza concrete contropartite altrettanto immediate consistenti, che non sono certo gli esigui stanziamenti dei fondi italiani ed europei per la cooperazione internazionale, mentre lo sarebbe la previsione di quote di nuovi ingressi regolari per lavoro riservate ai propri concittadini (il che appare ovviamente più urgente e non eludibile per regolare i flussi di emigrazione dai Paesi confinanti ad elevata disoccupazione come la Tunisia).
Nessuno di tali intenti dunque pare un effettivo cambiamento, perché da decenni i governi italiani ed europei di ogni colore hanno tentato la medesima politica di prevenzione e repressione dell’immigrazione irregolare, che però non ha avuto e non avrà alcun duraturo successo finché non saranno previste forme regolari, consistenti e realistiche di ingressi per motivi di lavoro.
8) Ambiguo e potenzialmente illegittimo appare l’intento indicato nel Contratto di «revisione della vigente normativa in materia di ricongiungimenti familiari e di sussidi sociali, al fine di evitare casi fittizi, l’indebito utilizzo dei sussidi erogati e garantire la loro effettiva sostenibilità rispetto alla condizione economica del nostro Paese». Un simile proposito è doveroso se mira al risparmio e alla repressione di eventuali abusi, mentre è illegittimo se comporta discriminazioni in base alla cittadinanza o limiti sull’effettivo esercizio del diritto degli stranieri regolarmente soggiornanti al mantenimento o al riacquisto dell’unità familiare e all’accesso ai diritti sociali in condizione di parità coi cittadini, diritti entrambi prescritti dalle vigenti norme costituzionali ed europee.
Il programma e il Contratto per il governo del cambiamento prevedono anche altri due obiettivi che indirettamente riguardano l’immigrazione, concernenti i rapporti con le confessioni religiose (e in particolare con l’Islam) e la gestione degli insediamenti di popolazione di etnia Rom.
1) Si mira a «adottare una normativa ad hoc che preveda l’istituzione di un registro dei ministri di culto e la tracciabilità dei finanziamenti per la costruzione delle moschee e, in generale, dei luoghi di culto, anche se diversamente denominati», a «disporre di strumenti adeguati per consentire il controllo e la chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali nonché di moschee e di luoghi di culto, comunque denominati, che risultino irregolari» e ad «adottare una specifica legge quadro sulle moschee e luoghi di culto, che preveda anche il coinvolgimento delle comunità locali». Tali limiti nei confronti di confessioni religiose che non abbiano ancora stipulato intese con lo Stato (il riferimento è sicuramente alla religione islamica) sono costituzionalmente illegittimi perché violano l’eguale libertà e la libertà di organizzazione interna delle confessioni religiose prevista dall’art. 8 Cost., garantite anche a quelle sprovviste di Intesa con lo Stato, la libertà religiosa garantita a tutti dall’art. 19 Cost. e il divieto di prevedere speciali gravami ed oneri per qualsiasi ente religioso previsto dall’art. 20 Cost. Peraltro tali misure riguarderebbero soltanto confessioni che non abbiano stipulato con lo Stato l’intesa prevista dall’art. 8 Cost., il che potrebbe incentivare i musulmani che vivono in Italia ad accordarsi per istituire una loro rappresentanza unitaria che negozi e stipuli col Governo l’intesa tra lo Stato e la confessione religiosa islamica, con cui si regolino gli aspetti incerti e controversi dei reciproci rapporti (come da decenni già è accaduto ai musulmani che vivono in Spagna e in Belgio).
2) Il Contratto riguarda anche i “campi nomadi”, per i quali propone: «chiusura di tutti i campi nomadi irregolari in attuazione delle direttive comunitarie; contrasto ai roghi tossici; obbligo di frequenza scolastica dei minori pena l’allontanamento dalla famiglia o perdita della responsabilità potestà genitoriale», nonché «il pieno superamento dei campi Rom in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea».
Questi ultimi intenti appaiono non innovativi, poco comprensibili o illegittimi: nei confronti di eventuali campi abusivi si tratta di applicare le norme già vigenti, mentre l’obbligo scolastico è già previsto da 70 anni dalla Costituzione e il suo mancato rispetto da parte dei genitori è già oggi un indizio considerato dai magistrati per verificare lo stato di abbandono dei minori, anche se l’art. 31 Cost. e le leggi vigenti prevedono che famiglie numerose o indigenti devono essere anzitutto aiutate anche economicamente. Il superamento dei campi rom in armonia con l’UE è un intento poco comprensibile perché mancano in proposito norme dell’UE.
Invece il Contratto pare dimenticarsi che rom e sinti sono presenti in Italia da 600 anni, che oggi hanno una condizione giuridica assai eterogenea (cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri dell’UE, apolidi, cittadini di Stati terzi, rifugiati), che la maggioranza di essi è sedentaria e non certo nomade e che tuttora manca la legge statale prescritta dall’art. 6 Cost. necessaria per prevedere apposite norme di tutela della minoranza linguistica rom e sinta, le quali, attuando le norme internazionali sulle minoranze, ne favorirebbero l’inclusione sociale, il rispetto delle particolarità linguistiche e culturali, la prevenzione e la repressione di ogni forma di marginalizzazione e discriminazione, inclusa l’adozione di schedature etniche o di poteri emergenziali (provvedimenti per nulla innovativi, ma che furono già intrapresi dal Governo nel 2008 e che già furono dichiarati illegittimi o discriminatori dalla magistratura).
Più in generale il “Contratto per il governo del cambiamento” all’inizio ribadisce il rispetto della Costituzione, il che però contraddice tante dichiarazioni del nuovo Ministro dell’Interno poco istituzionali, ma sostanzialmente aggressive e vagamente xenofobe o razziste. Tuttavia la dialettica parlamentare potrebbe impedire l’adozione di misure incostituzionali e che violino le norme internazionali ed europee e favorire piuttosto una revisione organica, realistica e lungimirante delle norme italiane sull’immigrazione.
In via generale si può dunque affermare che nel programma paiono prevalenti intenti ben poco innovativi o di dubbia legittimità o futuri e incerti perché condizionati al consenso di altri Stati e in generale paiono dimenticate le caratteristiche oggettive del fenomeno migratorio.
Ogni regione e ogni famiglia italiana hanno vissuto al loro interno tante migrazioni antiche e recenti. Una regione italiana (la Lombardia) prende il nome proprio da una grande popolazione immigrata in gran parte d’Italia. L’Italia è un paese di grandissima emigrazione, tanto che è il secondo Paese al mondo per emigrati all’estero (27 milioni di italiani emigrati dal 1871 al 1974; 60 milioni di oriundi italiani nel mondo e 4,5 italiani residenti all’estero), ma già dal 1974 (cioè da ben 44 anni) è diventato un Paese di immigrazione: oggi vi soggiornano regolarmente già 5,5 milioni di stranieri, di cui quasi 4 milioni cittadini non appartenenti all’UE, la grande maggioranza dei quali è socialmente integrata essendo titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e centinaia di migliaia di stranieri hanno poi acquisito la cittadinanza italiana (ben 200.000 nel 2017). L’Italia deve prepararsi a immigrazioni ben più consistenti essendo un Paese a progressivo invecchiamento e di imminente crollo demografico: secondo l’ISTAT 350.000 nuovi ingressi l’anno manterrebbero l’equilibro demografico, sicché sarebbe ragionevole che siano tutti regolari e non costretti a ricorrere in parte ad ingressi irregolari e a richieste di asilo.
La migrazione è dunque un fenomeno normale nella storia e nella vita dell’umanità. Tuttavia è vero che spesso crea diffidenza la diversità con cui ci si confronta e che le persone in difficoltà possono considerare gli immigrati stranieri come potenziali concorrenti delle occasioni lavorative o delle misure socio-assistenziali. Perciò l’immigrazione straniera non è facile da accettare per chi parte e per chi accoglie, ma tutto ciò è fisiologico e inevitabile, il che dovrebbe fare concludere che l’immigrazione straniera deve essere effettivamente prevista, incanalata e regolata dai pubblici poteri in modo ordinario, sia aiutando e preparando i cittadini all’accoglienza dei nuovi arrivati e alla convivenza interetnica con i milioni di stranieri regolarmente soggiornanti, sia gestendo le nuove ulteriori migrazioni con strumenti normativi, finanziari e organizzativi ordinari e adeguati alle caratteristiche oggettive del fenomeno anche sulla base degli scenari demografici.
Invece le migrazioni irregolari non possono essere certo ostacolate in modo efficace e durevole da nessuno Stato da solo, senza che si facciano cessare i motivi di emigrazione dai paesi di origine (guerre, sottosviluppo e violazione dei diritti umani) e senza prevedere vie realistiche di ingresso regolare per lavoro, che sarebbero le misure più durature per prevenire l’immigrazione irregolare.
Su tali misure però il programma del nuovo Governo non prevede alcun cambiamento: come tanti Governi suoi predecessori, non ipotizza alcuna nuova forma efficace di nuovi ingressi regolari per lavoro, ma ripropone soprattutto misure repressive, che sono sostanzialmente inefficaci nel medio-lungo periodo per la regolazione dell’immigrazione straniera, come dimostrano l’evoluzione delle norme legislative sugli stranieri vigenti in Italia da quando (1974) è statisticamente iniziata l’immigrazione straniera in Italia e i limiti costituzionali, internazionali ed europei che comunque il legislatore non può violare.
Anche le ripetute vicende di rimpallo tra gli Stati nell’accoglienza di migranti in mare si sono risolte quasi sempre con la decisione italiana di accogliere che è rimessa in discussione spesso ad ogni cambio di Governo, ma che è quasi inevitabile in base agli obblighi internazionali dell’Italia, come ha confermato anche il comandante del Corpo delle capitaneria di porto-Guardia costiera, vista la posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, che nessun Governo può cambiare.
Così alla fine anche la cifra ufficiale dei 3127 migranti sbarcati in Italia col nuovo Governo dal 1 al 27 giugno 2018 non pare un cambiamento rispetto a quella dei 3963 sbarcati dal 1 al 31 maggio 2018, cioè col Governo precedente.
Perciò tutti questi nuovi intenti appaiono attuabili soltanto in piccola parte.
Dichiarazioni aggressive e azioni eclatanti da parte delle nuove autorità governative rischiano di alimentare tra i cittadini un sentimento diffuso di intolleranza disordinata e confusa, che può incentivare anche atti individuali xenofobi o razzisti, ma paiono mascherare la sostanziale incapacità del nuovo Governo di operare effettivi cambiamenti durevoli e lungimiranti della gestione del fenomeno migratorio, che non può certo ridursi ad un tentativo di disgiungere i soccorsi dei migranti in mare dagli obblighi di accoglienza.
Pertanto l’effettivo operato in materia di immigrazione del nuovo Governo alla fine potrebbe rivelarsi ben lontano da un effettivo cambiamento rispetto ai Governi precedenti, ma non troppo diverso dall'essenza profonda dell'operato di tante nuove classi dirigenti pubbliche e private alternatesi dall’unità italiana, di ogni ceto, di ogni colore politico e di ogni epoca, cioè non troppo diverso da quell’essenza ben descritta in alcune indimenticabili pagine del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: un cambiamento apparentemente profondo, ma sostanzialmente continuista col passato, salvo che per il ricambio dei ceti dirigenti e per alcune piccole innovazioni, magari ostentate ed esagerate per finalità propagandistiche e realizzate a scapito della vita di alcune persone, che invece uno Stato democratico-sociale fondato sul principio personalista deve comunque proteggere, qualsiasi sia la loro cittadinanza o religione o etnia.

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