Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali
La riforma delle procedure in materia di protezione internazionale, l’istituzione delle sezioni specializzate dei Tribunali ordinari in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE, il ritorno dei CPT e la disciplina dei punti di crisi (HotSpot) e i rilievi di legittimità dell’ASGI
Il decreto-legge 17.2.2017, n. 13 (pubblicato in G.U. n. 40 del 17.2.2017) reca disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale, ed è stato convertito con modificazioni dalla legge 13.4.2017, n. 46 (pubblicata in G.U. 18.4.2017, n. 90).
-
L’evidente mancanza dei requisiti costituzionali e legislativi di straordinaria necessità e urgenza del decreto-legge
Dal punto di vista costituzionale il decreto- legge appare sprovvisto dei requisiti costituzionali e legislativi di necessità e di urgenza, poiché contiene sia norme di non immediata applicazione, sia norme eterogenee.
Infatti in violazione dell’art. 77 Cost. e dei limiti previsti dall’art. 15 legge n. 400/1988, il decreto
a) non contiene affatto norme di immediata applicazione, perché le norme più importanti si applicheranno a partire dal 180° giorno della sua entrata in vigore (si veda l’art. 21); se davvero sussistessero ragioni di urgenza di ridisegnare il processo per evitare accumuli di ruolo, non si capisce perché la disposizione transitoria prevede che il nuovo processo entra in vigore tra 180 giorni, sicché vi è un periodo transitorio di 180 giorni (ben oltre i 60 giorni per la conversione in legge del decreto-legge), trascorso il quale le nuove iscrizioni dovrebbero passare alle nuove sezioni (che dunque fino ad allora non funzionerebbero ancora, anche perché nello stesso termine il CSM dovrebbe adottare circolari);
b) non prevede norme omogenee all’oggetto, dal quale è oggettivamente estraneo l’art. 13 sull’assunzione di funzionari della professionalità giuridico pedagogica, di servizio sociale e mediatore culturale in favore dei servizi del Dipartimento di giustizia minorile del Ministero della giustizia.
Si tratta dunque di norme che non dovrebbero essere oggetto di un decreto-legge, bensì di un apposito disegno di legge di iniziativa governativa.
La decretazione d’urgenza non è giustificata sulla base dei presupposti di legge di straordinaria necessità e urgenza, in quanto l’aumento delle domande di riconoscimento della protezione internazionale avviene dal 2011 ed in maniera più rilevante dal 2014 e pertanto non può dirsi questione imprevista e straordinaria.
Mancano in ogni caso dati certi persino sui ricorsi presentati in appello e sui loro esiti.
Occorre poi ricordare che in base alle norme vigenti la durata massima di ognuno di questi procedimenti giudiziari dovrebbe essere di sei mesi (e la riforma attuata col decreto-legge riduce la durata legale del procedimento giudiziario a 4 mesi), mentre mediamente un processo in materia civile dura anche quasi tre anni.
In Italia ci sono circa 4 milioni di cause civili pendenti, sicché i circa 30mila ricorsi del 2016 in materia di richiedenti asilo non possono certo ritenersi la causa dell’emergenza nei Tribunali.
L’alta percentuale di accoglimento dei ricorsi riferita al Parlamento dal presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, dimostra che gli esiti sono in maggioranza non pretestuosi, ma fondati.
Anche gli elementi della comparazione introdotti nella relazione illustrativa del decreto-legge appaiono del tutto incongrui o pretestuosi, perché non sono mai paragonabili sistemi costituzionali, giudiziari ed amministrativi che sono di per sé assai diversi l’uno dall’altro.
Infatti circa la mancata previsione in molti sistemi giudiziari del doppio grado di giurisdizione occorre ricordare che non essendo previsto in quei sistemi giudiziari in generale il doppio grado di giurisdizione non è ovviamente previsto neppure in materia di protezione internazionale, il che spiega anche perché la direttiva dell’UE sulle procedure di esame delle domande di protezione internazionale non menzioni il doppio grado di giurisdizione, che non avrebbe potuto accomunare certamente i sistemi giudiziari di tutti gli Stati membri.
È pertanto evidente che manca ogni giustificazione alla soppressione del doppio grado di giurisdizione nell’ordinamento italiano.
Tutto ciò non dà alcuna giustificazione alla soppressione dell’appello, anche perché oggi i giudici di appello riformano molte decisioni e si finirebbe per avere più ricorsi in Cassazione, oggi presentati in numero abbastanza contenuto.
Occorre infatti ricordare che il giudice che adotta la decisione non fa un mero esame della legittimità della decisione impugnata, ma ha l’obbligo (previsto dalla direttiva UE sull’esame delle domande di asilo), di decidere sulla situazione del ricorrente sulla base dei dati disponibili al momento della sua decisione e la sua decisione si sostituisce a quella della Commissione.
Pertanto alcuni ricorsi accolti possono essere fondati non soltanto sull’erroneità della decisione presa dalla Commissione territoriale, quanto piuttosto da una situazione giuridica nuova derivante anche dall’evoluzione della situazione nel Paese di origine del richiedente asilo.
Se davvero si volesse abbattere la mole di contenzioso allora sarebbe stato necessario riformare le Commissioni territoriali, renderle più indipendenti e raddoppiarne il numero: la vera ragione dei ritardi nella procedura di esame delle domande è anzitutto la durata della fase amministrativa della procedura di esame della domanda (che invece non è toccata dal decreto-legge) e l’opinabilità di molte decisioni adottate a livello amministrativo.
È ragionevole ritenere sussistenti i presupposti per la dichiarazione di legittimità costituzionale del decreto-legge per l’«evidente mancanza» dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, anche dopo la conversione in legge. In proposito la sent. n. 29/1995 della Corte cost. nega efficacia “sanante” alla conversione in legge e ricostruisce il difetto della straordinaria necessità ed urgenza quale vizio formale, attinente al procedimento di conversione e come tale trasmissibile alla legge parlamentare.
Il giudice costituzionale ha correttamente ricostruito il proprio scrutinio sull’esigenza di verificare la motivazione che sorregge il decreto mediante il test di una serie di elementi della «non evidente mancanza» dei presupposti:
a) il preambolo del decreto-legge;
b) la relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione;
c) il contesto normativo in cui va ad inserirsi.
Proprio su tutti questi elementi ci si è fin qui soffermati.
Inoltre la sent. n. 220/2013 della Corte costituzionale ha per la prima volta dichiarato l’illegittimità costituzionale di un intero decreto-legge per l’insussistenza fin dall’origine dei requisiti costituzionali di straordinaria necessità e urgenza perché, come quello del 2017, apportava riforme ordinamentali, a causa della «palese inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale.».
Pertanto in ogni giudizio in cui si applichi una disposizione introdotta col d.l. n. 13/2017 e dalla sua legge di conversione appare non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale circa l’evidente mancanza dei requisiti per l’adozione del decreto-legge previsti dall’art. 77 Cost.
- L’istituzione delle sezioni specializzate dei Tribunali ordinari specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea
Il capo I del decreto-legge (Istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea) comprende gli articoli da 1 a 5.
L’art. 1 istituisce presso tutti i Tribunali distrettuali sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE.
L’art. 2 disciplina la composizione delle sezioni specializzate, composte da magistrati già in servizio, la formazione dei quali sarà predisposta dalla Scuola superiore della magistratura; una successiva delibera del CSM provvederà all’organizzazione di tali sezioni.
L’istituzione delle nuove sezioni non presuppone un aumento dell’organico; le sezioni dovranno dunque essere composte da magistrati già in servizio, scelti in quanto dotati di specifiche competenze. Per la formazione dei magistrati che intendono acquisire una particolare specializzazione in materia è prevista l’organizzazione, da parte della Scuola superiore della magistratura, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo e con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, di corsi di formazione.
Costituisce titolo preferenziale, ai fini dell’assegnazione alle sezioni specializzate: a) l’essere già stati addetti per almeno due anni alla trattazione dei procedimenti in materia di immigrazione (più precisamente: quelli per i quali sono competenti le sezioni specializzate, v. art. 3); b) l’avere partecipato ai corsi di formazione organizzati dalla Scuola superiore della magistratura; c) l’avere una particolare competenza in materia, per altra causa.
È valutata altresì positivamente la conoscenza della lingua inglese; il Senato ha previsto che debba essere valutata positivamente anche la conoscenza della lingua francese.
Al fine di assicurare una formazione continua dei magistrati addetti alle sezioni l’articolo prevede che: 1) nei 3 anni successivi all’assegnazione alla sezione specializzata, i giudici devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale; 2) negli anni successivi, gli stessi giudici hanno l’obbligo di partecipare, almeno una volta ogni biennio, a un corso di aggiornamento professionale.
Tali corsi di formazione dovranno prevedere specifiche sessioni dedicate alla valutazione delle prove, ivi incluse le tecniche di svolgimento del colloquio.
In base al comma 2, il Consiglio superiore della magistratura, con propria delibera, da adottare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge (cioè entro il 18 agosto 2017), provvede all’organizzazione delle sezioni specializzate, anche in deroga alle norme vigenti relative al numero dei giudici da assegnare alle sezioni e fermi restando i limiti del ruolo organico della magistratura ordinaria. Al fine di garantire l’uniformità degli orientamenti giurisprudenziali e organizzativi, si prevede che, con deliberazione del CSM, siano determinate le modalità con cui è assicurato annualmente lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi applicative tra i presidenti delle sezioni specializzate. Per tale finalità il decreto-legge prevede, al comma 3, a decorrere dal 2017, uno stanziamento che il Senato ha elevato a 12.565 euro.
L’art. 3, comma 1, individua la competenza per materia delle sezioni specializzate:
a) per le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno in favore di cittadini UE e loro familiari;
b) per le controversie in materia di allontanamento di cittadini UE e loro familiari;
c) per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, per i procedimenti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale;
d) per le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all’art. 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008;
e) per le controversie in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare;
f) l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale.
Le sezioni specializzate sono altresì competenti, in base ai commi 2 e 3 dell’art. 3:
a) per le controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia (si veda art. 7) nonché, come aggiunto dal Senato, in materia di accertamento dello stato di cittadinanza italiana;
b) per i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2.
Quanto alla composizione – monocratica o collegiale – delle sezioni specializzate, il decreto-legge prevede che
a) in generale e in deroga al principio che prevede che nelle cause devolute alle sezioni specializzate il Tribunale giudichi in composizione collegiale (art. 50 bis, co. 1, numero 3), c.p.c.), nelle controversie di competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione il tribunale giudica in composizione monocratica (co. 4);
b) che per le sole controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale e di impugnazione dei provvedimenti emessi dall’Unità Dublino (determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale) le sezioni specializzate devono giudicare in composizione collegiale (co. 4 bis, inserito dal Senato). In quest’ultimo caso, quando la sezione giudica in composizione collegiale spetta al Presidente della sezione designare un componente del Collegio per la trattazione della controversia e il Collegio decide in Camera di Consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione.
L’art. 4, come modificato al Senato, delinea la competenza per territorio delle sezioni specializzate.
Il comma 1 è stato modificato e prevede che competente a decidere sia la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.
Il comma 2 precisa che, per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 35 del d.lgs. n. 25/2008), l’autorità che ha adottato il provvedimento è la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale o la sezione che ha pronunciato il provvedimento impugnato ovvero quello del quale è stata dichiarata la revoca o la cessazione.
Ai sensi del comma 3, se i ricorrenti si trovano in una struttura di accoglienza governativa o in una struttura del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati o sono trattenuti in un centro di identificazione ed espulsione, la competenza è determinata in ragione del luogo in cui la struttura o il centro ha sede.
In relazione ai procedimenti per la convalida delle misure di espulsione (art. 14, co. 6, del d.lgs. 142/2015), la competenza territoriale è determinata avendo riguardo al luogo in cui ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento soggetto a convalida (co. 4).
Infine, con riguardo alle controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana, ai fini della competenza territoriale rileva il luogo in cui l’attore dimora (co. 5).
L’art. 5, con riguardo alle materie di competenza delle sezioni specializzate, attribuisce ai Presidenti delle sezioni le competenze riservate dalla legge al Presidente del Tribunale.
2.1. I profili di legittimità dell’istituzione delle sezioni specializzate
L’istituzione da parte del decreto-legge nell’ambito del Tribunale ordinario delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione appare disciplinata in modo gravemente contraddittoria.
Infatti l’intento di assicurare una giurisdizione unica e specializzata in capo alla magistratura ordinaria può ritenersi apprezzabile, trattandosi di materie in cui i provvedimenti sono spesso collegati l’uno all’altro ed è difficile la distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi) è contraddetto in modo irrazionale dalla mancata concentrazione nel nuovo giudice di altre competenze concernenti tali materie che invece oggi restano disperse tra altri giudici:
– il Giudice di pace (nelle materie previste dagli artt. 13 e 14 d.lgs. n. 286/1998 in materia di convalida e proroga dei trattenimenti degli stranieri espulsi e respinti nei Centri di permanenza e di ricorsi contro i provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal prefetto, di convalida degli allontanamenti, di convalida delle misure accessorie personali all’espulsione con partenza volontaria)
– il giudice amministrativo (nelle materie previste dall’art. 6 d.lgs. n. 286/1998 circa i provvedimenti in materia di ingresso e soggiorno, nelle materie previste dall’art. 13, co. 11, d.lgs. n. 286/1998 dei ricorsi contro le espulsioni ministeriali per motivi di ordine pubblico e sicurezza e dall’art. 20 d.lgs. n. 30/2007 sugli allontanamenti per tali motivi dei cittadini UE, sui ricorsi contro la cessazione o limitazione delle misure di accoglienza dei richiedenti asilo previste dal d.lgs. n. 142/2015)
– il giudice ordinario (in materia di ricorsi contro i respingimenti).
L’accentramento operato dal decreto-legge della competenza per territorio in soli 26 Tribunali riduce il diritto degli stranieri alla prossimità del giudice e ostacola l’attività dei difensori provenienti da sedi diverse.
Inoltre l’accentramento dei procedimenti in pochi Tribunali rischia di accentuare le attuali difficoltà degli Uffici giudiziari coinvolti, che vedranno ulteriormente aumentare il carico di lavoro, anche perché le piante organiche degli uffici dove si radica il nuovo giudice specializzato (e della stessa Cassazione che non potrà più giovarsi del filtro dell’appello) non vengono aumentate, mentre il sistema delle applicazioni straordinarie (art. 11 del decreto) riguarderà i soli incrementi straordinari dei procedimenti.
La previsione di sole 26 sezioni specializzate renderà in ogni caso più difficoltoso il diritto di difesa della parte, che si troverà lontana dal Foro di discussione della propria controversia, ostacolando sotto il profilo logistico la concreta possibilità di accesso alla giurisdizione.
D’altra parte, considerato che le sezioni specializzate non avrebbero neanche la possibilità di trattare alcune tra le questioni determinanti in materia (ad esempio, provvedimenti amministrativi di espulsione, revoche, rifiuti di rilasci o di rinnovi o di conversione dei permessi di soggiorno) l’ipotesi pare confliggere con il divieto costituzionale di istituzione di giudici speciali, ai quali, più che una materia verrebbe assegnata una categoria di persone qualificate solo in base alla nazionalità. Tale questione emerge chiaramente dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 (competenza per materia delle sezioni specializzate) del d.l. 13/2017.
Peraltro questo argomento non appare molto solido, perché la “materia” ben può attenere alle cause concernenti la condizione giuridica di un determinato gruppo di persone in cui l’esigenza di specializzazione è elevata, così come accade per i minorenni.
Uno degli aspetti dubbi riguarda la composizione delle sezioni specializzate: è ovvio che si tratti di magistrati di carriera.
Circa l’eventuale presenza di magistrati onorari nelle nuove sezioni occorre ricordare che la legge può prevedere la nomina di magistrati onorari soltanto «per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli» (art. 106, co. 2 Cost.).
Ciò significa che i magistrati onorari non potranno certo comporre Collegio del Tribunale, che è competente a giudicare in materia di protezione internazionale, come prevede il decreto-legge, nel testo convertito in legge.
Occorre poi chiedersi se i magistrati onorari possano mai fare parte della sezione specializzata in materia di immigrazione ecc., il che di per sé esige una precedente esperienza e la continua preparazione oltre che le caratteristiche previste dal nuovo decreto-legge.
Eventuali magistrati onorari possono fare parte delle sezioni specializzate soltanto se si tratta di persone idonee estranee alla magistratura, che però dovrebbero essere sempre previste per legge ai sensi dell’art. 102 Cost. e infatti la giurisprudenza costituzionale riconosce che lo scopo dell’integrazione con esperti esterni è proprio quello di acquisire l’apporto di conoscenze tecniche o di particolari esperienze di vita, quando ciò sia riconosciuto utile per una migliore applicazione della legge ai rapporti concreti (Corte cost. sent. n. 76/1961).
Tuttavia l’art. 102 Cost. esige che tutto ciò sia previsto per legge così come accade per le sezioni specializzate agrarie, per il Tribunale per i minorenni per le sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale e industriale, ma nulla è previsto per le sezioni specializzate in materia di immigrazione.
Il d.l. n. 13/2017 prevede che i magistrati ordinari facenti parte della sezione togati siano incaricati di giudicare in materia di protezione internazionale sulla base di esperienze e cognizioni specifiche, con titoli preferenziali come la conoscenza di inglese o francese, la frequentazione di corsi di formazione, ecc., e obblighi di aggiornamento della professionalità. Nulla invece prevede la legge sui requisiti di professionalità specifica dei magistrati onorari che si occupassero della protezione, né tanto meno sui loro doveri di aggiornamento.
La nuova legislazione fa continui riferimenti all’organico della magistratura ordinaria e posto che i magistrati onorari non potranno far parte dei Collegi in materia di protezione internazionale c’è da chiedersi se possano ad essi essere affidate nell’ambito di tali sezioni le delicatissime funzioni di convalida e proroga dei trattenimenti dei richiedenti asilo e dei cittadini UE e di accertamento degli status di apolide e di cittadino italiano.
L’art. 188 della circolare del CSM deve essere interpretata e applicata in modo conforme all’art. 106, co. 2 Cost., perché una circolare del CSM (che non ha certo il rango di fonte del diritto) non può certo prevalere sulla Costituzione, proprio in materia coperta da riserva di legge ai sensi dell’art. 102 Cost.
Inoltre la lettura della disposizione della circolare rende chiaro che il riferimento in tale articolo alla protezione internazionale deve essere inteso come riferimento sintetico ad una delle sezioni specializzate per legge, cioè quella in materia di protezione internazionale, immigrazione e soggiorno dei cittadini UE.
Poiché infatti tale sezione è competente sia per giudizi da svolgersi in composizione collegiale (quelli sulla protezione internazionale), sia per giudizi da svolgersi in composizione monocratica (su convalide e proroghe dei trattenimenti dei richiedenti asilo e dei cittadini UE, sugli allontanamenti dei cittadini UE, sull’accertamento dell’apolidia e della cittadinanza) si deve concludere che ai magistrati onorari potrà essere attribuita la competenza a decidere soltanto questi ultimi giudizi monocratici spettanti alla Sezione specializzata.
La riserva di legge contenuta nell’art. 106, co. 3 Cost. non pare comunque superabile, né superata dalle nuove norme legislative, né dalle decisioni del CSM e perciò nel nuovo quadro legislativo la composizione del Collegio in termini difformi da quanto costituzionalmente previsto non integra un error in procedendo ricorribile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
- Le modifiche delle procedure innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale
Il capo II del decreto-legge (Misure per la semplificazione e l’efficienza delle procedure innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei cittadini stranieri nonché per la semplificazione e l’efficienza dei procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell’immigrazione. misure di supporto ad interventi educativi nella materia dell’esecuzione penale esterna e di messa alla prova) comprende gli articoli da 6 a 14.
L’art. 6, co. 1, lettere da a) ad e), reca una serie di modifiche al procedimento di riconoscimento della protezione internazionale e soprattutto in materia di notificazioni degli atti e di colloquio personale del richiedente asilo.
3.1. La notificazione delle decisioni delle Commissioni
Per quanto riguarda la notificazione delle decisioni e degli atti relativi al procedimento di riconoscimento, il decreto-legge prevede l’utilizzo della posta elettronica certificata qualora l’interessato sia ospitato in un Centro, ovvero del mezzo postale ordinario, in caso di diverso domicilio. Inoltre, si prevede la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente e la successiva trascrizione con l’ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale, in luogo della tradizionale verbalizzazione.
La lettera a), modificata nel corso dell’esame del Senato, interviene in materia di notificazioni incidendo sul citato art. 11 del d.lgs. 25/2008.
In primo luogo si prevede che le notificazioni degli atti e dei provvedimenti concernenti il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono validamente effettuati presso il Centro o la struttura in cui l’interessato è accolto o trattenuto. Analoga previsione è recata dall’art. 5, co. 2, del d.lgs. n. 142/2015 secondo cui il domicilio del richiedente, accolto o trattenuto, ai fini delle notifiche relative al procedimento è quello del Centro in cui è trattenuto (CPT) o ospitato (sia esso Centro di prima accoglienza, CAS o struttura afferente allo SPRAR). Le notificazioni devono avvenire in forma di documento informatico sottoscritto con firma digitale o di copia informatica per immagine del documento cartaceo, attraverso posta elettronica certificata all’indirizzo del responsabile del Centro o della struttura. Questi la consegna al destinatario, facendone sottoscrivere ricevuta, e ne dà immediata notificazione alla Commissione territoriale (ancora mediante pec); egli rende analoga comunicazione in caso di rifiuto da parte dello straniero interessato. La notificazione si intende eseguita nel momento in cui il messaggio di pec è disponibile nella casella di pec della Commissione territoriale.
Se invece il richiedente non è accolto o trattenuto presso i Centri o le strutture di cui sopra, le notificazioni degli atti e dei provvedimenti del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono effettuate nell’ultimo domicilio indicato dal richiedente nella domanda di protezione internazionale, così come già previsto dall’art. 5, co. 1, del d.lgs. n. 142/2015. In tal caso, si precisa, che le notificazioni sono effettuate da parte della Commissione territoriale a mezzo del servizio postale, secondo la disciplina delle notificazioni e connesse comunicazioni, a mezzo posta, recata dalla legge 890/1982 (nuovo co. 3 bis dell’art. 11).
In caso di irreperibilità del richiedente o di impossibilità di effettuazione della notificazione per inidoneità del domicilio dichiarato o comunicato, l’atto è reso disponibile al richiedente presso la questura alla quale viene trasmesso dalla Commissione territoriale tramite pec. Dopo 20 giorni dalla trasmissione dell’atto alla questura, la notificazione si intende eseguita (co. 3 ter).
Qualora la notificazione sia stata eseguito con le modalità di cui sopra (ossia decorsi i 20 giorni dalla trasmissione alla questura) copia dell’atto notificato è reso disponibile al richiedente presso la Commissione territoriale (3 quater).
Sulle modalità di notificazione sopra ricordate, il richiedente è informato, o dal questore (al momento della dichiarazione del domicilio) o dal responsabile del Centro o della struttura di accoglienza o trattenimento (al momento dell’ingresso in tale luogo). Pertanto l’allontanamento ingiustificato o la sottrazione alla misura del trattenimento non “bloccano” le operazioni di notificazione, e lo straniero ne è informato preventivamente (co. 3 quinquies).
Riguardo a tali operazioni di notificazione, il responsabile del Centro o della struttura di accoglienza o trattenimento è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto di legge (co. 3 sexies).
È ragionevole ritenere che il responsabile del Centro o della struttura in cui il richiedente è accolto o trattenuto che deve curare la notificazione ai sensi dell’art. 11, co. 3 d.lgs. n. 25/2008, come modificato dal d.l. del 2017, debba essere una ben determinata persona fisica e non certo una persona giuridica, e cioè:
a) è persona fisica il responsabile del CPT in cui lo straniero è trattenuto, responsabile che è già di per sé individuato dal prefetto ai sensi dell’art. 22, co. 3 del regolamento di attuazione del T.U. (d.p.r. n. 394/1999);
b) era persona fisica il direttore del CARA in cui lo straniero è ospitato (art. 12, co. 3 e 4 d.p.r. n. 21/2015), ora Centro governativo di prima accoglienza ai sensi dell’art. 9, co. 3 d.lgs. n. 142/2015;
c) il “gestore” del Centro (CAS o SPRAR o altro) in cui lo straniero è ospitato, Centro 8 volte menzionato dal d.lgs. n. 142/2015 compie attività precise e circostanziate (comunicazioni con e per il richiedente asilo e consegne a lui di atti e comunicazioni con e da Comune, prefetto ecc.), la cui immediatezza e importanza per la condizione giuridica dello straniero fa alludere ad una persona fisica (del resto allorché le norme hanno voluto alludere ad una persona giuridica l’espressione usata è stata un’altra: nei decreti ministeriali sui requisiti delle strutture SPRAR e dei Centri per i MSNA si menzionano invece espressamente non i gestori, ma «gli enti gestori»).
In proposito è ragionevole ritenere che responsabile del CAS o della struttura afferente allo SPRAR è il legale rappresentante dell’ente gestore, a meno che sia stata designata persona diversa (in molti grandi Comuni il medesimo ente gestisce più Centri) nell’ambito della convenzione col Comune o con la prefettura.
Di tanti aspetti pratici importanti si dovrebbe occupare forse un nuovo regolamento di attuazione e le specifiche tecniche, a cui allude l’art. 21, co. 3 d.l. n. 13/2017, il quale rinvia l’applicazione delle nuove norme sulle notificazioni al 18 agosto 2017.
Infatti non è prevista la tenuta di un registro pubblico ove annotare data e ora delle notifiche e questo inciderà sulla tempestività del ricorso ma anche sull’eventuale mancata comparizione all’audizione davanti alla Commissione, con tutte le gravi conseguenze del caso, né è prevista una disciplina dei termini per l’effettuazione delle notifiche, il che indurrà una amplissima discrezionalità del responsabile della struttura, che potrà concordare la tempistica e tale discrezionalità si ripercuote anche sulla prova del rifiuto di ricevere le notifiche e le sue gravi conseguenze.
In ogni caso dalla lettura del testo normativo risultante dal testo del decreto-legge, come modificato dalla legge di conversione in legge, si può concludere che i termini di 30 giorni per il deposito dei ricorsi decorrono dalle date in una delle seguenti 4 ipotesi di notificazione:
A) notificazione di atti della CT presso un CPT o una struttura di accoglienza ad uno straniero ivi trattenuto o accolto che accetta di ricevere l’atto o di sottoscriverne la ricevuta: documento informatico sottoscritto con firma digitale o di copia informatica per immagine del documento cartaceo, mediante posta elettronica certificata all’indirizzo del responsabile del Centro o della struttura, il quale ne cura la consegna al destinatario, facendone sottoscrivere ricevuta. Dell’avvenuta notificazione il responsabile del Centro o della struttura dà immediata comunicazione alla CT mediante messaggio di posta elettronica certificata contenente la data e l’ora della notificazione medesima.
B) notificazione di atti della CT presso un CPT o una struttura di accoglienza ad uno straniero ivi trattenuto o accolto che rifiuta di ricevere l’atto o di sottoscriverne la ricevuta: il responsabile del Centro o della struttura ne dà immediata comunicazione alla CT mediante posta elettronica certificata e la notificazione si intende eseguita nel momento in cui tale messaggio di posta elettronica certificata diviene disponibile nella casella di posta elettronica certificata della CT.
C) notificazione di atti della CT ad uno straniero che non sia trattenuto in un CPT, né sia ospitato in una struttura di accoglienza: le notificazioni sono effettuate presso l’ultimo domicilio comunicato dal richiedente ai sensi del co. 2 e dell’art. 5, co. 1, del d.lgs. 18.8.2015, n. 142 e sono effettuate da parte della CT a mezzo del servizio postale secondo le disposizioni della legge 20.11.1982, n. 890, e successive modificazioni.
D) notificazione di atti della CT ad uno straniero nei casi in cui il responsabile del CPT o della struttura di accoglienza attesti alla CT l’irreperibilità dello straniero che vi era trattenuto o ospitato e nei casi in cui pervenga alla CT l’avviso di ricevimento da cui risulti l’impossibilità della notificazione a causa dell’inidoneità del domicilio comunicato: l’atto è reso disponibile al richiedente presso la questura del luogo in cui ha sede la CT e decorsi 20 giorni dalla trasmissione dell’atto alla questura da parte della Commissione territoriale, mediante messaggio di posta elettronica certificata, la notificazione si intende eseguita, ma copia dell’atto così notificato è resa disponibile al richiedente presso la CT.
3.2. Il colloquio personale e la videoregistrazione. Profili di legittimità
Le lettere b) e c) dispongono circa il colloquio personale del richiedente presso la Commissione nazionale o le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
In primo luogo, si prevede che la comunicazione della audizione del richiedente asilo da parte delle Commissioni, sia effettuata secondo le modalità sopra descritte relative alle notificazioni, in luogo della convocazione delle Commissioni tramite comunicazione effettuata dalla questura territorialmente competente (lett. b) che novella all’art. 12 del d.lgs. 25/2008).
Una analitica disciplina è prevista circa la verbalizzazione del colloquio personale (lett. c) che modifica l’art. 14 del d.lgs. 25/2008). La nuova disciplina fa perno sulla videoregistrazione con mezzi audiovisivi del colloquio personale innanzi alle Commissioni nonché sulla trascrizione in lingua italiana con l’ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale.
La videoregistrazione non viene effettuata o qualora non sia possibile per motivi tecnici o (come precisato nel corso dell’esame del Senato) qualora in sede di colloquio l’interessato chieda con istanza motivata di non avvalersi della videoregistrazione. In quest’ultimo caso decide la Commissione territoriale (cpv. 6 bis).
Nel caso in cui il colloquio non possa essere videoregistrato è in ogni caso redatto verbale sottoscritto dal richiedente e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 14 del d.lgs. n. 25/2008, come modificato dal decreto-legge. Del motivo per cui il colloquio non può essere videoregistrato è dato atto nel verbale. Il rifiuto di sottoscrivere il contenuto del verbale e le motivazioni di tale rifiuto sono registrati nel verbale stesso e non ostano a che l’autorità decidente adotti una decisione.
Qualora si sia proceduto con la videoregistrazione, in luogo del verbale del colloquio si procede alla trascrizione (a meno che, come si è detto, questa non sia stata possibile per motivi tecnici o per richiesta dell’interessato). Questa è rivista dal componente della Commissione che ha condotto il colloquio, in cooperazione con il richiedente e con l’interprete; il richiedente comunque ne riceve lettura in lingua a lui comprensibile e in ogni caso tramite interprete. Il verbale della trascrizione è sottoscritto dal presidente (o componente) della Commissione che ha condotto il colloquio (oltre che dall’interprete) (cpv. 2).
In calce al verbale è in ogni caso dato atto di tutte le osservazioni del richiedente (che le sottoscrive) e dell’interprete, anche relative alla sussistenza di eventuali errori di trascrizione o traduzione, che non siano state direttamente recepite a correzione del testo della trascrizione (cpv. 1).
Il verbale di trascrizione, insieme alla videoregistrazione, sono resi disponibili all’autorità giudiziaria (entro venti giorni dalla notificazione del ricorso: si veda l’art. 35 bis, co. 8, del d.lgs. n. 25/2008, introdotto dalla lettera g) dell’articolo in esame) in caso di ricorso contro la decisione della Commissione territoriale (la quale comunque prende misure per la riservatezza dei dati personali) (cpv. 5).
Sia della trascrizione sia della videoregistrazione è conservata (per almeno tre anni) copia informatica «del file» presso apposito archivio presso il Ministero dell’interno (cpv. 3).
Il richiedente riceve in ogni caso copia della trascrizione in lingua italiana (cpv. 4).
Le specifiche tecniche sono adottate d’intesa tra i Ministri della giustizia e dell’interno, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (cioè entro il 18 agosto 2017), sentito il Garante per la protezione dei dati personali, per i profili di sua competenza (cpv. 8).
La videoregistrazione del colloquio con la Commissione territoriale con l’ausilio di sistemi di riconoscimento vocale, prevista dall’art. 6, co. 1, lett. c) d.l. costituisce una delle principali novità del decreto-legge, ma appare eccessiva l’assolutezza della previsione anche quando motivi ostativi gravi potrebbero impedirlo e la mancanza di adeguate garanzie per chi potrebbe ritenersi anche più facilmente perseguitabile grazie alla possibile diffusione della videoregistrazione.
Inoltre è del tutto incostituzionale (per violazione dell’art. 113 Cost.) la previsione che la decisione della Commissione di rigettare la richiesta di non sottoporsi alla videoregistrazione sia non impugnabile.
Si potrebbe ipotizzare un’interpretazione costituzionalmente conforme di tale disposizione nel senso che il ricorso su tale diniego possa fare parte del più ampio ricorso sul successivo diniego della domanda di protezione internazionale.
Qualora tale interpretazione giudiziaria non si consolidasse appare ragionevole che allorché nel procedimento amministrativo la Commissione abbia rigettato la richiesta di astensione dalla videoregistrazione del colloquio personale e il giudice ritenga inammissibile il giudizio sulla contestazione di tale diniego appare non manifestamente infondata e rilevante sollevare di fronte alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale circa la violazione dell’art. 113 Cost.
3.3. Altre norme processuali e la soppressione del doppio grado di giurisdizione
La lettera d) reca una disposizione di raccordo all’interno dell’art. 32, co. 4, del d.lgs. n. 25/2008 (in ordine al rigetto, cessazione e manifesta infondatezza della domanda) per adeguarla alla nuova disciplina introdotta dal decreto-legge sul rito delle controversie (vedi lett. g), raccordo che deve tener conto dell’abrogazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 150/2011 (vedi art. 7).
La lettera e) novella l’art. 33 del d.lgs. 25/2008 che concerne il procedimento di revoca o di cessazione della protezione internazionale (le quali sono decise dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo). La novella fa rinvio alle modalità di notifica come disciplinate dalla lettera a) di cui sopra. Pertanto, anche le comunicazioni all’interessato da parte della Commissione nazionale per il diritto di asilo ricevono la medesima disciplina approntata per le notificazioni da parte delle Commissioni territoriali. La novella prevede, al contempo, la notificazione per mezzo delle forze di polizia, ove ricorrano motivi di ordine pubblico ovvero di sicurezza nazionale.
Le lettere f) e g) disciplinano il procedimento da seguire per l’impugnazione dei provvedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale, inserendo nel d.lgs. n. 25 del 2008 il nuovo art. 35 bis e conseguentemente modificando l’art. 35 del decreto legislativo con finalità di coordinamento. Rispetto alla disciplina vigente (art. 19 del d.lgs. n. 150 del 2011, abrogato dall’art. 7 del d.l., il decreto-legge prevede per tali controversie l’applicazione del rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale (oggi si applica il rito sommario di cognizione).
Analiticamente, la lettera f) modifica l’art. 35 del d.lgs. n. 25/2008, che delinea le procedure di impugnazione delle decisioni sulla revoca o cessazione dello status di rifugiato. Si prevede per tali controversie l’applicazione del rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale. Con finalità di coordinamento, ogni riferimento contenuto nell’art. 35 al rito disciplinato dal decreto legislativo del 2011 è sostituito con il richiamo al nuovo rito, disciplinato dall’art. 35 bis, introdotto dalla lettera g). Contestualmente, peraltro, l’art. 19 del d.lgs. n. 150 del 2011 viene abrogato dall’art. 7 del decreto-legge.
L’art. 6, co. 1, alla lett. g) riscrive la disciplina delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, inserendo nel decreto legislativo n. 25/2008 il nuovo art. 35 bis.
In particolare, il co. 1 dell’art. 35 bis prevede che le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti di revoca o cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, siano decise in linea generale con il rito camerale, di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.
Prevedendo l’applicazione a queste controversie del rito camerale, il decreto-legge deroga espressamente a quanto previsto dall’art. 742 bis c.p.c. in base al quale le disposizioni del codice si applicano a tutti i procedimenti in Camera di Consiglio «che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone».
Il ricorso, che può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana, è proposto, a pena di inammissibilità: entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento ovvero entro 60 giorni se il ricorrente risiede all’estero. In quest’ultimo caso, l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. Anche la procura speciale al difensore è rilasciata dinanzi all’autorità consolare. I termini sono dimezzati nel caso di procedure d’urgenza (art. 28 bis, co. 2, del d.lgs. n. 25/2008) e se nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento (co. 2).
Ai sensi del co. 3 dell’art. 35 bis, la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che se il ricorso è proposto:
a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un Centro di identificazione ed espulsione;
b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;
c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza in quanto il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;
d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti che hanno presentato la domanda dopo essere stati fermati per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera ovvero dopo essere stati fermati in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Anche in questi ultimi casi, l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa con decreto motivato, pronunciato – previa acquisizione, ove necessario, di sommarie informazioni – entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte, solo a condizione che ricorrano gravi e circostanziate ragioni. Il decreto con il quale si dispone sulla sospensione del provvedimento impugnato è notificato unitamente all’istanza di sospensione: entro 5 giorni dalla notificazione le parti possono depositare note difensive e nei successivi cinque giorni possono essere depositate note di replica. Nel caso di deposito di note difensive e di replica, il giudice, con nuovo decreto – non impugnabile – da emettersi entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 3 (vedi supra) quando l’istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo (co. 4).
Ai sensi del co. 5 dell’art. 35 bis, la proposizione del ricorso o dell’istanza cautelare non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento che dichiara, per la seconda volta, inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale, nel caso in cui il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione territoriale stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.
Il ricorso è notificato al Ministero dell’interno, presso la Commissione o la sezione che ha adottato l’atto impugnato, nonché, limitatamente ai casi di cessazione o revoca della protezione internazionale, alla Commissione nazionale per il diritto di asilo; il ricorso è altresì trasmesso al P.M., che, entro 20 giorni, stende le sue conclusioni, (ex art. 738 c.p.c.), rilevando l’eventuale sussistenza di cause ostative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (co. 6).
Ai sensi del co. 7, il Ministero dell’interno può stare nel giudizio in primo grado avvalendosi di propri dipendenti (o di un rappresentante designato dal presidente della Commissione che ha adottato l’atto impugnato) e presentare, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, una nota difensiva. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sulla difesa delle pubbliche amministrazioni (art. 417 bis, co. 2, c.p.c.).
Il co. 8 dell’art. 35 bis pone in capo alla Commissione da cui promana l’atto impugnato l’obbligo di rendere disponibili (entro 20 giorni dalla notificazione del ricorso) all’autorità giudiziaria la copia della domanda di protezione internazionale ricevuta, la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente, il verbale della trascrizione (v. supra lett. c).
La definizione delle specifiche tecniche è demandata ad un successivo decreto direttoriale adottato d’intesa tra i Ministeri della giustizia e dell’interno (co. 16).
Del pari la Commissione deve rendere disponibile l’intera altra documentazione comunque acquisita nel corso del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale (inclusa l’indicazione della documentazione utilizzata onde trarre lumi sulla situazione socio-politico-economica dei Paesi di provenienza dello straniero richiedente protezione).
I co. 9 e ss. delineano più nel dettaglio la procedura camerale. Il procedimento è trattato in Camera di Consiglio e per la decisione il giudice si avvale anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza, elaborate e aggiornate dalla Commissione nazionale.
Si tratta di un rito camerale a udienza eventuale, in quanto l’udienza per la comparizione delle parti non è obbligatoria ma è fissata esclusivamente quando il giudice (co. 10): a) visionata la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato; b) ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti; c) dispone consulenza tecnica ovvero, anche d’ufficio, l’assunzione di mezzi di prova. L’udienza può inoltre essere fissata quando la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente non è resa disponibile e quando l’impugnazione si fonda su elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado (co. 11). Il Senato ha integrato questa casistica richiedendo l’udienza anche quando, previa richiesta del ricorrente, il giudice ritenga la trattazione in udienza essenziale ai fini della decisione. Il contraddittorio è garantito per iscritto: ai sensi del comma 12, il ricorrente può depositare una nota difensiva entro i 20 giorni successivi alla scadenza del termine per la notificazione del ricorso.
Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso (l’art. 19 del d.lgs. 150/2011 fissava in sei mesi il termine per la conclusione del procedimento), il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto: a) rigettando il ricorso ovvero b) riconoscendo al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. Il decreto – in deroga a quanto previsto con riguardo ai procedimenti camerali in genere dall’art. 739 c.p.c. – non è reclamabile, ma esclusivamente ricorribile per Cassazione entro il termine di 30 giorni. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull’impugnazione entro 6 mesi dal deposito del ricorso. Anche in questo caso – come già per la procedura prevista all’art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008 – non è previsto un analogo termine per il caso di accoglimento.
Il Senato ha precisato che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato. In presenza di fondati motivi e su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può sospenderne gli effetti e quindi sospendere l’efficacia della decisione della Commissione qualora il decreto sia stato di rigetto (co. 13). Anche per questi procedimenti, inoltre, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non opera (co. 14) ed è richiesta una trattazione in via di urgenza (co. 15).
Per quanto concerne le spese legali, il co. 17 prevede che quando la decisione della Commissione territoriale impugnata ha rigettato la domanda di protezione internazionale perché inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, ove il ricorso sia integralmente respinto, nel liquidare il compenso del difensore deve motivare espressamente la sussistenza dei requisiti per l’ammissione al gratuito patrocinio.
Infine il co. 18, con una disposizione transitoria, prevede l’applicazione del processo telematico (deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti esclusivamente con modalità telematiche) anche ai procedimenti in esame, a partire dal provvedimento del Ministero della giustizia che attesta la piena funzionalità dei sistemi. È fatta salva la facoltà del ricorrente che risieda all’estero di effettuare il deposito con modalità non telematiche ed è consentito al giudice autorizzare il deposito non telematico in situazioni di urgenza.
3.3.1. Profili di legittimità costituzionale del nuovo rito per i ricorsi giurisdizionali in materia di protezione internazionale
La previsione da parte dell’art. 6 del decreto di un unico grado di merito caratterizzato da una cognizione di regola cartolare, nel quale l’udienza è solo un’eventualità e ha forma camerale, viola il principio del contraddittorio e della pubblicità del processo, garantiti dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU, come ribadito nella giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e da ultimo riaffermato dalla Cassazione con sentenza n. 395/2017 (richiamata nel comunicato del 14.2.2017 della sezione ANM della Cassazione).
La Corte costituzionale, infatti, ha già affermato chiaramente e plurime volte il seguente principio: «in particolare, come già in passato osservato, “la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la previsione del rito camerale per la composizione di conflitti di interesse mediante provvedimenti decisori non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l’esercizio di quest’ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti [...] purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione” (sentenza n. 103 del 1985, ordinanze n. 121 del 1994 e n. 141 del 1998); che, più nello specifico, può escludersi sia l’irragionevolezza della scelta legislativa sia la violazione del diritto di difesa sia, infine, la violazione della regola del giusto processo garantita dall’art. 111, co. 1, Cost., ove il modello processuale previsto dal legislatore, nell’esercizio del potere discrezionale di cui egli è titolare in materia (da ultimo sentenza n. 221 del 2008), sia tale da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, lo svolgimento di un’adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, la facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità – della decisione assunta, la attitudine del provvedimento conclusivo del giudizio ad acquisire stabilità, quanto meno “allo stato degli atti”» (così Corte cost., 29.5.2009, n. 170. In senso conforme Corte cost., ord. n. 19 del 2010).
Sul punto la relazione inviata dal Governo al Senato per la conversione del decreto-legge, richiamando precedenti sentenze della Corte costituzionale ma omettendo quelle dinanzi indicate (più recenti), afferma che il nuovo giudizio ivi delineato sia rispettoso dei principi costituzionali.
Così non è in quanto:
a) la comparizione della parte (il richiedente asilo) e la stessa udienza a ciò preposta nel decreto-legge è solo eventuale, potendo essere disposta dal Giudice «esclusivamente»: se, dopo avere visionato la videoregistrazione dell’audizione davanti alla Commissione, ritiene di avere bisogno di sentire il ricorrente e/o di chiedergli chiarimenti; se valuta di dovere disporre consulenza tecnica o assumere mezzi di prova; se non è resa disponibile la videoregistrazione dell’audizione davanti alla Commissione; se il ricorso si fonda su elementi non dedotti davanti alle Commissioni (cfr. co. 10 ed 11 del nuovo 35 bis d.lgs. 25/08 introdotto dall’art. 6 del d.l. 13/2017).
Il contraddittorio, dunque, è solo eventuale e, comunque, è di fatto reso solo cartolare.
Inoltre, il sistema così delineato dal d.l. 13/2017 e la discrezionalità lasciata al magistrato determinerà una irragionevole diversità di applicazione della norma, non essendovi criteri predeterminati che sul punto dovranno essere seguiti.
D’altronde, come già ricordato, l’utilizzo della videoregistrazione dell’audizione del richiedente asilo, potrebbe essere considerato uno strumento utile alla verifica e all’integrazione istruttoria soltanto se fossero garantite anche la comparizione delle parti all’udienza e la presenza di un mediatore linguistico-culturale che si affianchi al giudice (le audizioni, infatti, sono sempre mediate dalla traduzione che il mediatore fa alla Commissione, per cui occorrerebbe al giudice ed alle parti avere a loro volta affiancata tale figura professionale); la videoregistrazione, tuttavia, anche se disciplinata con le garanzie di cui sopra non potrebbe mai sostituirsi alle garanzie formali del processo civile ed alla disciplina generale in ordine alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.
L’ipotesi, peraltro, rischia di indurre un aumento della proposizione degli elementi nuovi non dedotti davanti alle Commissioni, che renderebbe obbligatoria la comparizione, al solo fine di consentire al ricorrente di esporre personalmente al giudice la propria vicenda personale.
Infatti l’audizione del richiedente asilo di fronte al giudice secondo il decreto-legge sarà invece dovuta se nel ricorso al Tribunale la parte invocherà «elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado»: così testualmente il co. 11° del nuovo art. 35 bis d.lgs. 25/08 introdotto dall’art. 6 del d.l., che in tal modo sembra quasi considerare il processo come una mera prosecuzione della fase amministrativa «di primo grado».
Meccanismo che, di per sé, vanificherebbe l’obiettivo del d.l. 13/2017 di ridurre i tempi processuali affidando il giudizio alla sola lettura delle carte.
Inoltre, il sistema delineato dal d.l. 13/2017 determinerà una diversità di applicazione della norma, da parte dei vari magistrati, che discrezionalmente e senza criteri predeterminati potranno ritenere necessaria o meno la comparizione personale del ricorrente.
b) Anche se il contraddittorio non coincide necessariamente con la comparizione personale della parte, nel caso della protezione internazionale è elemento essenziale ed imprescindibile perché le dichiarazioni del ricorrente/richiedente asilo rappresentano il presupposto soggettivo per l’esame della credibilità.
Il riconoscimento della protezione internazionale, infatti, si basa sulla credibilità intrinseca (le dichiarazioni del richiedente) e sulla loro coerenza con le pertinenti informazioni sul Paese di origine (cd. credibilità estrinseca) ed entrambe devono essere esaminate dall’autorità competente, sia amministrativa che giurisdizionale (art. 3 d.lgs. 251/2007), tant’è che l’art. 46 della direttiva 2013/32/UE stabilisce che il diritto ad un ricorso effettivo è tale se «preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.».
La credibilità delle dichiarazioni, del resto, non può essere affidata alla mera videoregistrazione dell’audizione davanti alle Commissioni, che avviene senza la obbligatoria presenza di un avvocato e pertanto non può assumere alcuna valenza paragiurisdizionale.
Il giudizio relativo al riconoscimento della protezione internazionale non può prescindere dalla personale comparizione della parte, perché essa rappresenta il presupposto per il riconoscimento del diritto o, in altri termini, la metà della prova che deve essere offerta in giudizio.
Ecco, perché, il contraddittorio nella materia in esame deve coincidere con la comparizione personale.
L’audizione disposta su richiesta motivata dall’interessato inserita nel ricorso su cui decide il giudice se lo ritiene essenziale ai fini della decisione (ipotesi introdotta dal Senato nella legge di conversione del decreto-legge) non rimedia all’esigenza che il giudice sia terzo ed imparziale e alla mancanza di contraddittorio prescritti dall’art. 111 Cost., perché su tale richiesta decide il giudice stesso.
c) la non reclamabilità del decreto del Tribunale che decide sul ricorso, ovvero l’eliminazione del doppio grado di merito è unica quanto alla tutela accordata nel processo italiano ai diritti soggettivi coperti da garanzie costituzionali.
Si è in precedenza ricordato che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il modello processuale della volontaria giurisdizione a condizione, tra le altre, della «facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità» (170/2009).
L’eliminazione del doppio grado di giudizio è in palese contrasto con i principi costituzionali.
Senza considerare che la protezione internazionale diventa l’unica materia, pur afferente a diritti costituzionali rientranti tra i principi fondamentali della Repubblica (art. 10, co. 3 Cost.) e regolati anche da norme dell’UE e da norme internazionali, in cui è soppresso l’appello, così determinando un diritto speciale per i soli richiedenti asilo, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.
L’eliminazione dell’appello appare irrazionale nell’ordinamento italiano in cui la garanzia del doppio grado di merito è prevista anche per controversie civili di ben minor valore rispetto all’accertamento se sussista o meno in capo allo straniero un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani e degradanti o eventi bellici in caso di rientro nel proprio Paese, e l’inevitabile trasferimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione delle criticità e delle disfunzioni che si dichiara di voler eliminare.
L’eliminazione dell’appello inoltre sopprimerà per la sola materia della protezione internazionale un essenziale momento di uniformazione degli orientamenti giurisprudenziali e finirà per gravare pesantemente sui carichi della Cassazione (tenuta a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso), che finora si era occupata in misura ridotta della materia proprio a causa dell’efficacia del filtro dell’appello.
In ogni caso l’eliminazione del doppio grado di merito produrrà inevitabilmente un notevole aumento dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione, pur con tutti i limiti intrinseci a tale giudizio, che esclude una rivisitazione dei fatti.
L’illegittimità costituzionale delle scelte operate nel decreto-legge deriva insomma dall’avere previsto contestualmente:
1) il rito camerale per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale;
2) il rito camerale ove l’esistenza dell’udienza di discussione è solo eventuale ed eventuale è anche la partecipazione della parte al processo e la sua audizione;
3) la soluzione di cui alle precedenti lettere nell’ambito di un processo che vede, quale principale fonte di prova, le dichiarazioni della parte, le quali devono essere valutate ex nunc dal giudice per espressa previsione normativa europea (art. 46 della direttiva 2013/32/UE);
4) la eliminazione del doppio grado di giudizio di merito;
5) quanto sopra nell’ambito del sistema processuale attuale che prevede, nello stesso processo per Cassazione derivante dalla recente approvazione della l. 197/2016, lo sviluppo di un modello camerale in assenza di dialogo con gli avvocati ed in assenza di udienza.
Da ciò, invero, deriva la lesione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, della riserva di legge in materia di stranieri, del diritto alla difesa (che in materia di protezione internazionale deve essere effettiva secondo la direttiva UE sulle procedure di esame delle domande) e del contraddittorio nel processo (artt. 3, 10, 24, 111 e 117 Cost.).
3.4. Gli altri procedimenti di competenza delle sezioni specializzate
L’art. 6, co. 1, alla lettera 0-a), del decreto-legge, introdotta dalla legge di conversione in legge, delinea il procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale che, nel nostro ordinamento, è la c.d. Unità Dublino del Ministero dell’interno.
In particolare, la nuova disposizione modifica l’art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008, inserendovi dieci nuovi commi, attraverso i quali prevede che:
– contro le decisioni di trasferimento adottate dall’Unità Dublino è ammesso ricorso al Tribunale distrettuale (nel quale è istituita la sezione specializzata), che decide applicando il rito camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c. (co. 3 bis);
– non si applica a questo procedimento la sospensione feriale dei termini (co. 3 novies) e la controversia deve essere trattata in ogni grado (ovvero dinanzi al Tribunale e dinanzi alla Corte di cassazione) in via d’urgenza (co. 3 decies);
– il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dalla notificazione della decisione di trasferimento (co. 3 ter);
– con il ricorso può essere proposta istanza di sospensione degli effetti della decisione di trasferimento. In questo caso, in attesa della decisione del Tribunale, il trasferimento è sospeso automaticamente e il termine per il trasferimento decorre dalla comunicazione del provvedimento di rigetto della istanza di sospensione ovvero, in caso di accoglimento, dalla comunicazione del decreto di rigetto del ricorso (co. 3 octies);
– sull’istanza di sospensione degli effetti si pronuncia il Tribunale entro 5 giorni. La sospensione può essere concessa quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni. L’Unità Dublino non deve essere convocata. Il decreto motivato con il quale il Tribunale concede o nega la sospensione è notificato alle parti entro 5 giorni. Le parti hanno a disposizione altri 10 giorni per presentare note difensive e note di replica, all’esito delle quali il giudice potrà, sempre nel ristretto termine di 5 giorni, rivedere il decreto emanato, che non sarà più impugnabile (co. 3 quater);
– il ricorso è notificato all’Unità Dublino che, entro 15 giorni, può presentare una propria nota difensiva, dovendo nel contempo depositare i documenti da cui risultino gli elementi di prova e le circostanze indiziarie posti a fondamento della decisione di trasferimento. L’autorità può stare in giudizio avvalendosi di propri dipendenti (co. 3 quinquies). Entro 10 giorni dalla scadenza del termine per le note difensive, il ricorrente può a sua volta depositare note difensive (co. 3 sexies);
– il procedimento è trattato in Camera di Consiglio. L’udienza per la comparizione delle parti è del tutto eventuale, dovendo essere fissata soltanto quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione. La sezione specializzata ha 60 giorni di tempo, dalla presentazione del ricorso, per assumere la decisione finale con un decreto non reclamabile;
– contro il decreto è solo possibile proporre ricorso per Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione. Il co. 3 septies specifica che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, pena l’inammissibilità del ricorso. Se il Tribunale ha rigettato il ricorso, e dunque ha confermato la decisione di trasferimento, la Cassazione deve decidere sull’impugnazione entro 2 mesi. Analogo termine non è previsto nel caso di accoglimento del ricorso (co. 3 septies);
– il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti relativi a questo procedimento avrà luogo esclusivamente con modalità telematiche a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento con il quale il Ministero della giustizia attesta la funzionalità dei sistemi informatici. Il giudice potrà autorizzare il deposito con modalità non telematiche in casi di indifferibile urgenza (co. 3 undecies).
L’art. 7, a seguito dell’istituzione delle nuove sezioni specializzate, modifica il decreto legislativo n. 150/2011 che ha ridotto e semplificato i procedimenti civili di cognizione, prevedendo la competenza del Tribunale sede della sezione specializzata.
In particolare la lett. a) interviene sull’art. 16, co. 2, del decreto legislativo, che riconduce al rito sommario di cognizione le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari (co. 1), attribuendo la competenza al Tribunale del luogo ove dimora il ricorrente (co. 2). Il decreto-legge modifica il co. 2 dell’art. 16, attribuendo la competenza al Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora.
La lett. b) modifica l’art. 17, co. 2, del d.lgs. n. 150/2011, il quale prevede che le controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari siano decise con rito sommario di cognizione dal Tribunale in composizione monocratica. Il decreto-legge interviene sulla disposizione, attribuendo la competenza su tali controversie al Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.
La lett. c) dispone l’abrogazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 150/2011, relativo alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (si rinvia per la nuova disciplina all’art. 6, co. 1, lett. g), del decreto-legge).
La lett. d) introduce nel decreto legislativo n. 150/2011, il nuovo art. 19 bis, relativo alle controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia. La competenza su tali controversie è attribuita al Tribunale sede della sezione specializzata del luogo in cui il ricorrente ha la dimora. Ai procedimenti relativi a tali controversie si applica il rito sommario di cognizione. A seguito della modifica apportata dal Senato all’art. 3 del disegno di legge, l’ambito di applicazione del nuovo art. 19 bis è stato esteso anche alle controversie in materia di accertamento dello stato di cittadinanza italiana.
Infine, la lett. e), modificando l’art. 20, co. 2, del d.lgs. 150/2011, attribuisce la competenza sui procedimenti di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare al Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, del luogo in cui ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.
3.5. Le modiche ai giudizi di convalida del trattenimento del richiedente asilo. Profili di legittimità costituzionale
L’art. 8 modifica in più punti il decreto legislativo n. 142/2015, recante norme in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e di procedura ai fini del suo riconoscimento o revoca (di attuazione delle due direttive dell’Unione europea n. 33 e n. 32 del 2013); in particolare, si individuano i casi nei quali il richiedente protezione internazionale deve essere trattenuto nei Centri di identificazione ed espulsione (ridenominati dall’art. 19 «Centri di permanenza per i rimpatri»).
La lettera a bis), introdotta al Senato, introduce nel citato decreto legislativo l’art. 5 bis, disponendo che il richiedente protezione internazionale ospitato nei Centri di permanenza sia iscritto nell’anagrafe della popolazione residente; più esattamente si prevede l’iscrizione obbligatoria nell’anagrafe della popolazione residente, del richiedente protezione internazionale ospitato nei Centri di accoglienza che non vi risulti già iscritto individualmente. È previsto l’obbligo del responsabile della convivenza di comunicare entro venti giorni al competente ufficio dell’anagrafe la variazione della convivenza. La disposizione si applica a coloro che sono ospitati nei Centri di prima accoglienza, di accoglienza temporanea e nei Centri del sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR, ma non anche ai richiedenti asilo trattenuti nei CPT (ex CIE).
Si prevede poi il mantenimento per il richiedente protezione internazionale che sia oggetto di un provvedimento di respingimento (e non soltanto di un provvedimento di espulsione) del trattenimento qualora si ravvisi che la domanda sia stata presentata allo scopo di ritardare o impedire il respingimento (o l’espulsione) (lett. b), n. 1).
La lettera b), n. 2 interviene sull’art. 6 del decreto legislativo n. 142/2015 con finalità di coordinamento, sostituendo alla competenza del Tribunale in composizione monocratica la nuova sezione specializzata (ovvero il riferimento al Tribunale sede della sezione specializzata).
Si prevede poi la partecipazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio (ex CIE), ove possibile, a distanza mediante collegamento audiovisivo (lett. b), n. 3).
In particolare si introduce la previsione che la partecipazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei Centri per il rimpatrio (ex CIE) avvenga (ove possibile) a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il Centro dove è trattenuto, comunque assicurando la contestuale, effettiva e reciproca visibilità e udibilità delle persone presenti, e sempre consentendo la presenza di un difensore o suo sostituto nel luogo ove si trovi il richiedente. Un operatore della polizia di Stato appartenente al ruolo dei sovrintendenti, al ruolo degli ispettori o alla qualifica più elevata del ruolo degli assistenti è presente nel luogo dove si trova il richiedente, ne attesta l’identità, dà atto dell’osservanza delle disposizioni che assicurano contestuale visibilità e possibilità di udire delle persone coinvolte nel colloqui, redige verbale delle operazioni svolte. Le specifiche tecniche relative al modalità di realizzazione del collegamento audiovisivo sono stabilite (con decreto direttoriale) d’intesa tra i Ministri della giustizia e dell’interno, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (18 agosto 2017).
La lettera b bis), introdotta nel corso dell’esame al Senato, prevede che non possono essere trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (ex CIE) i richiedenti asilo le cui condizioni di vulnerabilità (e non solo di salute) siano incompatibili con il trattenimento.
Si disciplinano ipotesi di possibile impiego di richiedenti protezione internazionale in attività gratuite e volontarie di utilità sociale in favore delle collettività locali (lett. d). La disposizione, nel far rinvio alla normativa vigente in materia di lavori socialmente utili, individua nel prefetto, d’intesa con i Comuni e con le Regioni e le Province autonome, il soggetto promotore di tal tipo di attività, anche con la stipula di protocolli di intesa con i Comuni, con le Regioni e le Province autonome e con le organizzazioni del terzo settore. L’impiego dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali si svolge «nel quadro delle disposizioni normative vigenti».
Inoltre, l’articolo in esame reca anche alcune disposizioni di coordinamento con la nuova disciplina processuale delle controversie in materia di protezione internazionale (v. supra art. 6, co. 1, lett. g) nonché con la nuova configurazione dell’organo giurisdizionale competente (v. supra artt. 1-4) (lett. a), b) n. 2 e n. 4, c);
La possibilità di tenere l’udienza per la convalida urgente di misure di trattenimento incidenti sulla libertà personale mediante collegamento audiovisivo a distanza, prevista dagli artt. 8 e 10 del d.l., impedirà al giudice di esaminare il richiedente nel luogo dove si trova e di verificarne le condizioni (spesso deficitarie) di accoglienza. E costringerà il difensore alla difficile scelta tra il presenziare alla convalida accanto al suo assistito o accanto al giudice: in ciascuna delle due ipotesi la pienezza della sua funzione risulterà compressa, secondo un modello finora proprio dei soli processi di criminalità organizzata.
Appare evidente la compressione dell’effettivo esercizio del diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost.
Perciò appare ragionevole appare non manifestamente infondata e rilevante nel giudizio che il difensore sollevi di fronte alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale circa la violazione dell’art. 24 Cost.
-
Le modifiche del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e del nulla-osta per ricongiungimento familiare
L’art. 9 reca disposizioni in materia di permesso di soggiorno di lungo periodo UE per titolari di protezione internazionale e di domanda di ricongiungimento familiare, attraverso alcune modifiche al Testo unico delle leggi sull’immigrazione, emanato con d.lgs. n. 286/1998.
La lettera a), reca disposizioni riguardanti il regime di annotazione dello status di protezione internazionale sui permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (n. 1) e il regime di allontanamento dei lungo soggiornanti, e dei loro familiari, quando costoro abbiano ottenuto la protezione internazionale in uno Stato membro diverso dall’Italia (n. 2).
La disposizione di cui al n. 2) della lettera a) è, invece, volta a superare la contestazione della Commissione europea relativa al mancato recepimento dell’art. 1, n. 7), lett. a), della direttiva 2011/51/UE, limitatamente ai paragrafi 3 bis e 3 ter, introdotti nell’art. 12 della direttiva 2003/109/CE.
A tal fine, introduce all’art. 9 del Testo unico il co. 11 bis, che disciplina l’allontanamento dello straniero il cui permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo riporta l’annotazione relativa alla titolarità di protezione internazionale, e dei suoi familiari, verso lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, previa conferma da parte di tale Stato della attualità della protezione. Secondo quanto prescritto dal comma 3 quater del citato art. 12 (introdotto anch’esso dalla direttiva 2011/51/UE), l’allontanamento può invece essere effettuato altrove, fuori del territorio dell’Unione europea (sentito lo Stato membro che ha accordato la protezione internazionale), qualora sussistano motivi per ritenere che l’espulso rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato, o rappresenti un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica essendo stato condannato con sentenza definitiva per un reato per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni (cfr. art. 20 del decreto legislativo n. 251 del 2007).
Rimane comunque fermo il divieto di espulsione o respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione (cd. principio di non refoulement, ribadito dall’art. 19, co. 1 del Testo unico dell’immigrazione).
La lettera b) novella l’art. 29 del Testo unico dell’immigrazione in materia di ricongiungimento familiare. Il n. 1 della lettera b) prescrive l’invio con modalità informatica della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti richiesti (circa alloggio, reddito minimo, assicurazione sanitaria o altro titolo idoneo). Così come si prescrive che con modalità informatica il destinatario – ossia lo Sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente – rilasci la ricevuta. Rimane immutata la restante parte dell’art. 29 del Testo unico, secondo cui l’ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, e verificata l’esistenza dei requisiti su alloggio, reddito e copertura sanitaria, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute. Il n. 2 della lettera b) riduce il termine per il rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare: fissato in 90 giorni (anziché 180) dalla richiesta. Il termine è dunque ridotto della metà, in conseguenza (si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione) della semplificazione introdotta con la previsione della modalità informatica nella trasmissione della domanda e documentazione per il ricongiungimento familiare.
- Le modifiche degli allontanamenti dei cittadini UE
L’art. 10 del decreto-legge modifica l’art. 20 ter del decreto legislativo n. 30/2007, recante attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, per prevedere la competenza della sezione specializzata e per disciplinare la partecipazione a distanza dell’interessato all’udienza di convalida, mediante collegamento audiovisivo.
Il decreto-legge attribuisce la competenza in materia di convalida dei provvedimenti di allontanamento al Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea (lett. a).
La lettera b) aggiunge all’art. 20 ter ulteriori disposizioni relative all’udienza di convalida. In particolare, si prevede che, quando l’interessato è trattenuto in un Centro di identificazione ed espulsione, la sua partecipazione all’udienza per la convalida avviene, ove possibile, a distanza, mediante un collegamento audiovisivo tra l’aula d’udienza e il Centro. Tale collegamento si svolge con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. La definizione delle specifiche tecniche, alle quali devono conformarsi i collegamenti audiovisivi, è demandata ad un successivo decreto direttoriale da adottarsi d’intesa tra i Ministeri della giustizia e dell’interno entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione. È sempre consentito al difensore, o a un suo sostituto, di essere presente nel luogo ove si trova il richiedente.
Nel luogo ove si trova il richiedente deve essere altresì presente un operatore della polizia di Stato (appartenente ai ruoli dei sovrintendenti, degli ispettori e alla qualifica più elevata del ruolo degli assistenti), il quale deve:
1) attestare l’identità del soggetto trattenuto, dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti;
2) dare atto dell’osservanza delle disposizioni relative ai collegamenti audiovisivi nonché, se ha luogo l’audizione del richiedente, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, il richiedente e il suo difensore;
3) redigere verbale delle operazioni svolte.
Si applicano a questi procedimenti i medesimi rilievi di legittimità svolti circa la nuova disciplina delle convalide dei trattenimenti dei richiedenti asilo.
- L’attuazione delle sezioni specializzate
L’art. 11 del decreto-legge attribuisce al CSM il compito di predisporre un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali di magistrati per le nuove sezioni specializzate, in deroga alle disposizioni in materia di applicazione dei magistrati, di cui agli articoli 110 e ss. Dell’Ordinamento giudiziario (regio decreto n. 12/1941).
A tale fine, il CSM procede all’individuazione degli uffici giudiziari sede della sezione specializzata, interessati dal maggiore incremento dei procedimenti e del numero dei magistrati da applicare, fino a un massimo di 20 unità, e stabilisce secondo criteri di urgenza le modalità per la procedura di interpello e la sua definizione (co. 1).
In deroga a quanto previsto dal co. 5 dell’art. 110 dell’Ordinamento giudiziario, in questi casi l’applicazione ha durata di 18 mesi, rinnovabile per un periodo non superiore a ulteriori 6 mesi (co. 2).
Il magistrato applicato ha diritto, ai fini di futuri trasferimenti, a un punteggio di anzianità aggiuntivo pari a 0,10 per ogni otto settimane di effettivo esercizio di funzioni, oltre alla misura del 50 per cento dell’indennità spettante in caso di trasferimento d’ufficio (co. 3).
- Il potenziamento del personale delle Commissioni territoriali per la protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo
L’art. 12 del decreto-legge autorizza il Ministero dell’interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
La necessità di aumentare le risorse umane degli uffici delle Commissioni richiamate deriva dagli impegni connessi all’eccezionale incremento del numero delle richieste di protezione internazionale e con la finalità – specificata nel corso dell’esame al Senato – di far fronte alle esigenze di servizio per accelerare la fase dei colloqui.
La disposizione autorizza l’assunzione, mediante procedure concorsuali, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente ed anche in deroga alle procedure di mobilità previste dagli artt. 30 e 34 bis del d.lgs. 165/2001. Si tratta di personale «altamente qualificato per l’esercizio di funzioni di carattere specialistico», da ascrivere all’Area III dell’amministrazione civile dell’interno.
Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre introdotto un comma 1 bis che assegna al Ministero dell’interno il termine del 31 dicembre 2018 per predisporre il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero, ai sensi dell’art. 2, co. 7, del d.l. 31.8.2013, n. 101 (conv. l. 125/2013). La riorganizzazione è posta in relazione, in particolare, alla necessità di potenziare le strutture finalizzate al contrasto dell’immigrazione illegale e alla predisposizione degli interventi per l’accoglienza legati ai flussi migratori e all’incremento delle richieste di protezione internazionale. Nel medesimo termine del 31 dicembre 2018, il Ministero dell’interno deve predisporre la previsione delle cessazioni di personale in servizio finalizzata alla verifica dei tempi di riassorbimento delle posizioni soprannumerarie (così come previsto dall’art. 2, co. 11, lett. b) del richiamato d.l. 95/2012), e procedere al riassorbimento entro l’anno successivo.
- Altre disposizioni per il potenziamento delle strutture amministrative e giudiziarie
L’art. 13 del decreto-legge autorizza il Ministero della giustizia ad avviare procedure concorsuali nel biennio 2017-2018, anche mediante scorrimento delle graduatorie in corso di validità, in deroga ai limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente.
In particolare l’art. 13, co. 1, autorizza il Ministero della giustizia ad avviare procedure concorsuali nel biennio 2017-2018, anche mediante scorrimento delle graduatorie in corso di validità. La norma autorizza l’assunzione di un massimo di 60 unità nell’ambito dell’attuale dotazione organica del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, da inquadrare nell’Area III dei profili di funzionario delle seguenti professionalità: – giuridico pedagogica, – di servizio sociale; – mediatore culturale. La finalità della norma è quella di supportare gli interventi educativi, i programmi di inserimento lavorativo, per il miglioramento trattamento dei soggetti richiedenti asilo e protezione internazionale. Inoltre si intende dare piena attuazione alle nuove funzioni e compiti assegnati al summenzionato Dipartimento.
L’art. 14 prevede l’incremento di 10 unità per le sedi in Africa del contingente di personale locale impiegato presso le sedi diplomatiche e consolari, di cui all’art. 152 del d.p.r. n. 18/1967, per le accresciute esigenze connesse al potenziamento della rete nel continente africano, derivanti anche dall’emergenza migratoria.
Il comma 1 dispone dunque l’incremento di 20 unità (nel corso dell’esame al Senato è stato aumentato da 10 a 20 unità tale incremento) per le sedi in Africa del contingente di personale a contratto impiegato presso le sedi diplomatiche e consolari, di cui all’art. 152 del d.p.r. 18/1967.
Il nuovo comma 1 bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che, al fine di rafforzare la sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani all’estero, è autorizzata la spesa di euro 2,5 milioni per l’anno 2017 e di euro 5 milioni a decorrere dall’anno 2018 per l’invio nel continente africano di personale dell’Arma dei Carabinieri ai sensi dell’art. 158 del d.lgs. 15.3.2010, n. 66.
- Le disposizioni sulla disciplina del procedimento amministrativo del rifiuto di ingresso
Il capo III del decreto-legge (Misure per l’accelerazione delle procedure di identificazione e per la definizione della posizione giuridica dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di migranti) comprende gli articoli da 15 a 19.
L’art. 15 novella il Testo unico delle leggi sull’immigrazione, emanato con d.lgs. n. 286/1998, individuando il direttore della Direzione centrale della polizia di prevenzione del Ministero dell’interno quale autorità competente a decidere l’inserimento di specifiche informazioni nel Sistema di informazione Schengen, al fine del rifiuto di ingresso.
In particolare, il nuovo comma individua nel direttore della Direzione centrale della polizia di prevenzione del Ministero dell’interno l’autorità competente nel nostro ordinamento ad adottare la decisione di inserimento nel Sistema Schengen della segnalazione di un cittadino di un Paese terzo ai fini del rifiuto di ingresso, nei casi di cui all’art. 24, paragrafo 2, lett. b), del regolamento (CE) n. 1987/2006, ossia quei casi in cui nei confronti del cittadino di un Paese terzo esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro.
Il nuovo comma 6 bis prescrive inoltre che la decisione del direttore della Direzione centrale della polizia di prevenzione del Ministero dell’interno venga adottata su parere del Comitato di analisi strategica antiterrorismo di cui all’art. 12, co. 3, della l. 124/2007, che disciplina il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.
Il co. 2 dell’art. 15 modifica il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) per attribuire alla competenza inderogabile del Tar Lazio, sede di Roma, le controversie relative alle decisioni adottate ai sensi del sopra citato art. 24, paragrafo 2, lett. b), del regolamento (CE) n. 1987/2006. A tal fine viene inserita la lettera q quinquies) nell’art. 135 del Codice.
10. Il rito abbreviato sulle controversie concernenti le espulsioni per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato
L’art. 16 del decreto-legge prevede l’applicazione del rito abbreviato nelle controversie relative a provvedimenti di espulsione per motivi di ordine pubblico e di prevenzione del terrorismo.
Il rito abbreviato è introdotto attraverso una modifica dell’art. 119 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010).
11. La disciplina dei punti di crisi (hot spot) e l’istituzione di un nuovo trattenimento per il rifiuto reiterato di rilascio dei rilievi fotodattiloscopici
L’art. 17 del decreto-legge introduce disposizioni in materia di identificazione degli stranieri soccorsi in operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in occasione dell’attraversamento della frontiera, attraverso il rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico nei «punti di crisi».
A tal fine, è introdotto un nuovo art. 10 ter al Testo unico delle disposizioni in materia di immigrazione (d.lgs. 286/1998). Le nuove disposizioni risultano conseguenti al quadro normativo europeo in materia di identificazione dei migranti, che si fonda principalmente sul regolamento (UE) n. 603 del 2013 (c.d. regolamento Eurodac).
Il nuovo art. 10 ter del TU immigrazione stabilisce, al comma 1, che lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto in appositi «punti di crisi» per le esigenze di soccorso e di prima accoglienza.
I punti di crisi possono essere allestiti nell’ambito:
a) nelle strutture di cui al decreto-legge n. 451 del 1995, ossia i CDA (Centri di accoglienza) istituiti nel 1995 dalla cosiddetta «Legge Puglia» in nome di una logica emergenziale.
b) nelle strutture di prima accoglienza, come disciplinate dal decreto legislativo n. 142/2015, secondo la quale quei Centri adempiono infatti alle esigenze, oltre che di prima accoglienza, di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero.
Presso i punti di crisi lo straniero è sottoposto alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del citato regolamento Eurodac. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.
Il comma 2 del nuovo art. 10 ter TU immigrazione estende l’obbligo di effettuare le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico anche nei confronti dello straniero che sia rintracciato comunque in posizione di irregolarità nel territorio nazionale (quale che sia, dunque, il momento del suo irregolare ingresso).
Quale misura di deterrenza rispetto al reiterato rifiuto dello straniero di sottoporsi al rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, il comma 3 prevede che tale rifiuto costituisce rischio di fuga, ai fini del trattenimento nei Centri di cui all’art. 14 TU immigrazione.
L’art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (TU immigrazione), prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento» alla frontiera, il questore «dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario» presso il Centro di identificazione ed espulsione.
L’espresso riferimento all’art. 14 TU immigrazione fa dunque intendere che al reiterato rifiuto di sottoporsi al rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico consegue il trattenimento nei Centri. In proposito, si ricorda che il «rischio di fuga» assume altresì rilievo ai fini di altre disposizioni (in cui è richiamato quale presupposto):
– con il decreto legislativo n. 142/2015, in attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, è stato previsto in alcune circostanze il trattenimento fino a dodici mesi per il richiedente asilo che «costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica» e per il quale «sussiste rischio di fuga» (art. 6);
– il rischio di fuga è altresì fattispecie oggetto dell’art. 13, co. 4 bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (TU immigrazione), come elemento che giustifica l’espulsione eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Il trattenimento è disposto dal questore, caso per caso ed ha efficacia fino ad un massimo di trenta giorni dalla adozione del provvedimento, salvo ne cessino prima le esigenze. La disposizione specifica che si applicano tutte le garanzie previste dal Testo unico all’art. 14, co. 2, 3 e 4.
Qualora il trattenimento sia disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, competente per la convalida è il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, istituita ai sensi del decreto in esame. Negli altri casi, la competenza alla convalida spetta al Giudice di pace (ai sensi del citato art. 14 del TU immigrazione.
11.1. Aspetti generali di legittimità della nuova disciplina degli hot spot
Nell’introdurre l’art. 10 ter al d.lgs. 286/98 il Governo fa riferimento al d.l. 30.10.1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla l. 29.12.1995, n. 563 (cd. legge Puglia).
Esso, tuttavia, non contiene alcuna disciplina giuridica dei Centri di primo soccorso ed assistenza né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale.
Il d.l. 13/2017 ha inteso legittimare i «punti di crisi» (cd. hotspot) con un mero richiamo al d.l. 451/95 (conv. con l. 563/95, cd. legge Puglia) ed ai Centri governativi di prima accoglienza, di cui all’art. 9 d.lgs. 142/2015 (cd. Hub), omettendo di qualificarne la natura e soprattutto senza definire il tempo in cui il cittadino straniero da identificare possa essere limitato nella sua libertà personale.
L’art. 13 della Costituzione indica precise e tassative condizioni al potere di limitazione della libertà personale, che nel d.l. 17/2017 sono totalmente assenti.
Né vale a sanare detta illegittimità il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all’identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l’integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per l’ordine di trattenimento in un Centro di rimpatrio, ma non eliminerebbe l’incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell’autorità di P.S.
Va ricordato, in proposito, che anche recentemente l’Italia è stata condannata dalla Grande Camera della CEDU nel caso
Khlaifia v. Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione art. 5 CEDU) nel Centro di accoglienza di Lampedusa (un
hotspot, appunto) e sulle navi divenute Centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione art. 13 CEDU).
In tal senso insoddisfacente è la scelta di non fornire alcuna disciplina dei Centri definiti «punti di crisi» (gli hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi (la cd. legge Puglia del 1995) che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, in violazione della riserva di legge in materia di stranieri (art. 10, co. 2 Cost.) e della riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (art. 13 Cost.).
In moltissime occasioni le istituzioni europee e il Consiglio d’Europa hanno invitato l’Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paese europei.
La normativa del decreto-legge non appare coerente con tali sollecitazioni, muovendosi piuttosto nel senso della ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di Centri che sono a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà.
Per tali motivi:
1) le attività di soccorso di migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare devono comunque comprendere una completa informazione, in lingua comprensibile a chiunque, della facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, e dei suoi diritti, come prevede l’art. 8 della direttiva 2013/32/UE e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò vale in generale per qualsiasi straniero potenzialmente interessato a richiedere protezione internazionale. L’informazione deve essere accurata, fatta attraverso un mediatore culturale, in lingua comprensibile e soltanto dopo che il richiedente ha ricevuto un primo aiuto e sia stato posto in condizioni di poter in modo sereno ricevere le informazioni medesime. L’attività informativa è compito dello Stato. Può essere fornita da soggetti terzi di provata competenza nel settore della protezione internazionale in convenzione con lo Stato, senza che tuttavia a questi soggetti possano essere contestualmente affidate attività di monitoraggio/garanzia nello stesso centro o in altri Centri di eguale natura.
2) In mancanza di tale informazione ogni eventuale provvedimento di respingimento o di espulsione deve intendersi nullo (Cass., sez. VI, ord. 25.3.2015, n. 5926).
3) Le operazioni di identificazione sono effettuate da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza nelle ipotesi, nei modi, nei limiti e nei termini previsti dalla legge per la generalità dei cittadini e dal regolamento n. 603/2013 che istituisce EURODAC.
4) Poiché l’art. 8 par. 2 della direttiva 2013/32/UE prevede che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne occorre prevedere espressamente tale accesso e garantire un accesso effettivo alle strutture di accoglienza o di trattenimento ad enti indipendenti che possano monitorare l’effettivo rispetto del diritto all’informazione. Tali organizzazioni dovranno poter avere accesso a tutti i luoghi in cui sono presenti o transitano gli stranieri. L’accesso ai Centri e alle singole parti di questi non può essere sottoposto a previa autorizzazione. Tali organizzazioni in occasione dei loro accessi possono altresì fornire informazioni direttamente ai richiedenti asilo. Tali organizzazioni non possono svolgere in convenzione con la PA, sul territorio italiano, le attività di cui al comma 2 ter dell’art. 8 ovvero altre attività in convenzione con la PA nei Centri di primo soccorso di cui all’art. 8 comma 2 o di prima accoglienza di cui all’art. 9 o nei Centri di identificazione ed espulsione di cui all’art. 14 d.lgs. n. 286/1998.
5) Per evitare il riprodursi delle criticità nei Centri di accoglienza previsti dal d.l. 30.10.1995, n. 51 convertito in l. 29.12.1995, n. 573, che si riferiva ad una emergenzialità circoscritta in termini geografici e temporali, risulta necessario fissare dei termini massimi di accoglienza (24 ore), dei minimi standard di accoglienza e una modalità legittima di istituzione dei Centri medesimi.
12. Il contrasto dell’immigrazione irregolare e i Centri di permanenza temporanea per il rimpatrio
Da ultimo, il comma 4 dell’art. 17 del decreto-legge prescrive che l’interessato deve essere informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui sopra.
L’art. 18 novella il Testo unico sull’immigrazione, introducendo il Sistema informativo automatizzato (SIA), per contrastare l’immigrazione illegale.
In particolare si stabilisce che il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno è tenuto ad assicurare la gestione e il monitoraggio, attraverso strumenti informatici, dei procedimenti amministrativi in materia di ingresso e soggiorno irregolare, anche attraverso l’attivazione di un Sistema informativo automatizzato – SIA, che dovrà essere interconnesso con i Centri e i sistemi ivi indicati assicurando altresì lo scambio di informazioni tempestivo con il sistema di gestione accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dello stesso Ministero dell’interno. A tal fine, è inserito un nuovo comma 9 septies all’art. 12 del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) e sono stanziate risorse per l’attivazione del sistema. L’articolo attribuisce infine alla competenza della Procura distrettuale le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti.
Il comma 3 attribuisce alla competenza della procura distrettuale le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti. A tal fine la disposizione modifica l’art. 51 c.p.p., co. 3 bis, per ricomprendere nel catalogo di delitti per i quali è competente la Procura distrettuale anche le forme aggravate di cui al comma 3 e al comma 3 ter dell’art. 12 del Testo unico sull’immigrazione.
L’art. 19 novella il citato Testo unico, prevedendo che il termine massimo di permanenza nei «Centri di permanenza per il rimpatrio», attualmente di 30 giorni, possa essere prorogato di 15 giorni e dispone un potenziamento dei centri ai fini di una loro distribuzione omogenea sul territorio.
In primo luogo, i Centri di identificazione ed espulsione sono configurati (co. 1 e 3) come Centri di permanenza per i rimpatri, qualificati come strutture a capienza limitata, dislocate in tutto il territorio nazionale, sentiti i presidenti di Regione, con una rete volta a raggiungere una capienza totale di 1.600 posti. A tali Centri si applicano le disposizioni sulle visite di cui all’art. 67 della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario. Al contempo, il provvedimento consente la proroga, previa convalida del giudice di pace, di ulteriori 15 giorni del periodo massimo di trattenimento nei centri nei casi di «particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio», con riferimento allo straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per 90 giorni e ulteriormente trattenuto nel Centro per 30 giorni (co. 2). Inoltre, nel caso in cui sia stata disposta l’espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione ma non sia possibile disporre il rimpatrio per cause di forza maggiore, si prevede che l’autorità giudiziaria disponga comunque il ripristino dello stato di detenzione per il tempo «strettamente necessario» all’esecuzione del provvedimento di espulsione. È, al contempo, autorizzato lo stanziamento di risorse per la realizzazione e la gestione dei Centri nonché per l’effettuazione delle espulsioni, dei respingimento e degli allontanamenti degli stranieri irregolari (co. 4). Disposizioni sono infine dettate relativamente al personale della Croce rossa a seguito della trasformazione in ente strumentale (co. 5).
In primo luogo dunque (co. 1) la denominazione «Centri di identificazione ed espulsione» è sostituita – dal provvedimento in esame – con quella di Centri di permanenza per i rimpatri. Al riguardo, si ricorda preliminarmente che il decreto legislativo n. 286 del 1998, Testo unico dell’immigrazione, prevede, all’art. 14 che, quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento (a causa di situazioni transitorie che ostacolino la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento), il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il Centro di identificazione ed espulsione più vicino. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre all’arresto in flagranza ed al fermo, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.
Al contempo, il decreto-legge prevede un ampliamento ed una «distribuzione sull’intero territorio nazionale» della rete dei Centri di cui all’art. 14, co. 1, TU immigrazione, ora definiti (dal co. 1) Centri di permanenza per i rimpatri (co. 3).
Le relative iniziative sono assunte dal Ministro dell’interno d’intesa con il Ministro dell’economia e finanze. Quanto alla dislocazione di tali Centri – di nuova istituzione – essa è disposta sentito il presidente della Regione o della Provincia autonoma interessata, puntando ad una ubicazione esterna ai Centri urbani ed in strutture di proprietà pubblica idonee, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione.
A tali Centri si applicano le disposizioni sulle visite di cui all’art. 67 della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario (in base a quanto specificato con una modifica approvata nel corso dell’esame al Senato). I Centri sono di conseguenza visitabili senza autorizzazione da: a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Corte costituzionale; b) i Ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura; c) il presidente della Corte d’appello, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello, il presidente del Tribunale e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l’esercizio delle sue funzioni; d) i consiglieri regionali e il Commissario di Governo per la Regione, nell’ambito della loro circoscrizione; e) l’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero; f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale; g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati; h) gli ispettori generali dell'amministrazione penitenziaria; i) l’ispettore dei cappellani; l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia; l bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati; l ter) i membri del Parlamento europeo. L’autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano queste persone per ragioni del loro ufficio e per il personale dedito a colloqui a fini investigativi. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Possono accedere con l’autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti.
Nel testo si evidenzia come la finalità sia quella di realizzare strutture di capienza limitata, in grado di assicurare condizioni di trattenimento assicurino «l’assoluto rispetto della dignità della persona» (oggetto di verifica altresì da parte del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale – istituito dall’art. 7 del decreto-legge n. 146 del 2013 – il quale può accedere ad ogni locale senza restrizione alcuna).
Nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione (S. 2705) si rileva che l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per i rimpatri dovrebbe incrementare la capienza attuale (che è di fatto di circa 360 posti) fino a 1.600 posti. Si tratta dunque di un incremento di 1.240 posti.
Le spese complessive stimate per tali lavori sono pari a 13 milioni di euro, secondo quanto previsto dallo stesso comma 3. A tali spese per lavori si aggiungono, in base alla medesima disposizione, quelle di gestione dei Centri, che sono stimate in 3,84 milioni di euro per il 2017 (nel quale si prevede un primo incremento di 500 posti), in 12,4 milioni di euro per il 2018 (nel quale si prevede un secondo «scaglione» incrementale di 600 posti), in 18,22 milioni di euro dal 2019 (anno nel quale si prevede un terzo ed ultimo incremento di 140 posti, fino all’obiettivo di un incremento complessivo di 1.240 posti, raggiungendosi così il totale perseguito di 1.600 posti).
A sua volta, il comma 4 autorizza la spesa di 19,12 milioni per il 2017, onde garantire le espulsioni, i respingimenti e gli allontanamenti degli stranieri irregolari. Tali risorse (a valere sul Fondo asilo, migrazione ed integrazioni, programma FAMI, cofinanziato dall’UE nell’ambito del periodo di programmazione 2014/2020) sono in particolare destinate – specifica la relazione tecnica – a far fronte agli oneri conseguenti alla predisposizione dei voli di rimpatrio (sono ipotizzati diciassette voli charter) e correlative spese del personale, per un lasso temporale che copre dieci mesi del 2017 (posto che i primi due mesi dell’anno erano trascorsi al momento della entrata in vigore del decreto-legge).
Il comma 2, lettera a) incide sui tempi massimi del trattenimento nei Centri. A tal fine modifica l’art. 14, co. 5, del Testo unico che prevede una dettagliata scansione temporale.
Nel caso in cui lo straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per un periodo pari a quello massimo di 90 giorni, il medesimo art. 14, co. 5, del TU immigrazione dispone – al quinto periodo – che vi è la possibilità di trattenimento presso il Centro per un periodo massimo di 30 giorni. È su questo termine che interviene la modifica apportata dal decreto legge in esame (art. 19, co. 2, lett. a) disponendo che tale termine è prorogabile di ulteriori 15 giorni, previa convalida da parte del Giudice di pace, nei casi di «particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio».
Il comma 2, lettera b) concerne l’espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione, disciplinata dall’art. 16 del Testo unico dell’immigrazione. Tale articolo prevede (al co. 1) che il giudice possa sostituire la pena detentiva con la misura dell’espulsione, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell’applicare la pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (applicazione della pena su richiesta delle parti) nei confronti dello straniero irregolare oggetto di espulsione, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena, ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale nello Stato, qualora non ricorrano cause ostative che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Le medesime disposizioni si applicano in caso di sentenza di condanna per violazione dei commi 5 ter e 5 quater dell’art. 14 del Testo unico immigrazione (violazione dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato). Del pari, il citato art. 16 del medesimo Testo unico immigrazione prevede (al co. 5) che sia disposta l’espulsione nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, irregolare, che (trovandosi in una delle condizioni per l’espulsione amministrativa da parte del prefetto ex art, 13, co. 2, TU immigrazione) deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni (salvo che la condanna sia per promozione, organizzazione, finanziamento o effettuazione del trasporto di immigrazione clandestina, ovvero per uno o più delitti ivi). In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l’espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono.
Ebbene, il comma 2, lettera b) dell’art. 19 del decreto-legge prevede che, ove sia stata disposta l’espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione (ai sensi degli illustrati commi 1 e 5 dell’art. 16 del Testo unico) e tuttavia il rimpatrio non sia possibile per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria disponga comunque il ripristino dello stato di detenzione. Questo, per il tempo «strettamente necessario» all’esecuzione del provvedimento di espulsione.
Il comma 5, con la finalità di assicurare lo svolgimento delle attività umanitarie presso i Centri per i rimpatri dei cittadini stranieri e garantire la gestione di tali Centri e di quelli per l’accoglienza degli immigrati e dei richiedenti asilo, specifica che al personale civile e militare della CRI e, quindi, dell’ente, assunto da altre amministrazioni, si applica l’art. 5, co. 5, terzo periodo (anziché secondo periodo) del decreto legislativo n. 178 del 2012. Tale disposizione stabilisce che al predetto personale continua ad essere corrisposta la differenza tra il trattamento economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio avente natura fissa e continuativa, e il trattamento del corrispondente personale civile della CRI come assegno ad personam riassorbibile in caso di adeguamenti retributivi e di riconoscimento degli istituti del trattamento economico determinati dalla contrattazione collettiva correlati ad obiettivi.
13. Le disposizioni finali
L’art. 19 bis del decreto legge, introdotto dalla legge di conversione in legge, prevede che le disposizioni del decreto-legge non si applichino ai minori stranieri non accompagnati (MNA), in ordine ai quali il Parlamento aveva appena approvato definitivamente un’apposita legge.
Il capo IV del decreto-legge (Disposizioni finanziarie transitorie e finali) comprende gli articoli da 20 a 23.
L’art. 20 prevede che entro il 30 giugno di ciascuno dei tre anni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione il Governo presenti alle Commissioni parlamentari una relazione sullo stato di attuazione del decreto-legge.
L’art. 21 disciplina l’applicazione delle disposizioni del decreto-legge ai procedimenti amministrativi o giudiziari in corso, fissando al 17 agosto 2017 l’entrata in vigore della riforma per quanto concerne il giudice competente e i nuovi procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale e immigrazione. Fino ad allora continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti.
L’art. 21 bis, introdotto al Senato, proroga al 15 dicembre 2017 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti fiscali, contributivi e assicurativi obbligatori per i datori di lavoro privati e per i lavoratori autonomi operanti nel territorio dell’isola di Lampedusa e demanda ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate il compito di definire le modalità e i termini per effettuare gli adempimenti tributari diversi dai versamenti.
L’art. 22 contiene le disposizioni finanziarie e l’art. 23 quelle relative all’entrata in vigore.
L’art. 21 disciplina l’applicazione delle disposizioni del decreto-legge ai procedimenti amministrativi o giudiziari in corso, fissando al 17 agosto 2017 l’entrata in vigore della riforma per quanto concerne il giudice competente e i nuovi procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale e immigrazione. Fino ad allora continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti.
In particolare, in base al comma 1, si applicheranno alle controversie sorte a partire dal 17 agosto 2017 (vale a dire 180 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto-legge, datata 18 febbraio 2017) le disposizioni relative a:
– la competenza per materia e territoriale delle sezioni specializzate (cfr. rispettivamente art. 3 e art. 4 del decreto-legge);
– il procedimento per decidere della controversia in caso di ricorso avverso la decisione dell’Unità Dublino (art. 6, comma 1, lett. 0a), avverso il diniego della protezione internazionale (cfr. art. 6, co. 1, lett. d), f) e g); ed art. 8, co. 1, lett. a), b) n. 2 e n. 4), c);
– i procedimenti civili di cognizione (cfr. art. 7, co. 1, lett. a), b), d) ed e);
– la partecipazione a distanza mediante videoregistrazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento (art. 8, co. 1, lett. b), n. 3) o di allontanamento (art. 10). Alle controversie sorte prima del 17 agosto 2017 si continuano ad applicare le disposizioni previgenti al decreto-legge.
Il comma 2 dispone che solo ai procedimenti innescati da domande presentate dopo il 17 agosto 2017 si applichino le disposizioni relative al colloquio personale del richiedente presso la Commissione decidente sulla protezione internazionale (art. 6, co. 1, lett. c). Per le domande di protezione internazionale presentate prima dello spirare del termine dei 180 giorni dall’entrata in vigore della riforma, continuano ad applicarsi le disposizioni antecedenti.
Il comma 3 prevede che il regime (quale scandito dall’art. 6, co. 1, lett. a), b) ed e) delle notificazioni relative al procedimento della protezione internazionale si applichi solo dopo il novantesimo giorno dall’entrata in vigore del decreto-legge. Questo, ai fini dell’adeguamento delle specifiche tecniche. Su questa previsione è intervenuto il Senato che ha portato anche questo termine a 180 giorni. Conseguentemente, le disposizioni sulle notificazioni e sull’adeguamento delle specifiche tecniche nel procedimento relativo al riconoscimento della protezione internazionale si applicheranno a partire dal 17 agosto 2017.
Il comma 4, a seguito di una correzione apportata dal Senato, prevede l’efficacia a partire dal 17 agosto 2017 anche delle disposizioni relative all’invio con modalità informatiche della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare
La legge sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati
La legge 7 aprile 2017, n. 47 (pubblicata in G.U. n. 93 del 21.4.2017 ed entrata in vigore dal 6.5.2017) prevede disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
Le disposizioni ivi previste si applicano ai minorenni non aventi cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che sono altrimenti sottoposti alla giurisdizione italiana privi di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili in base alle legge vigenti nell’ordinamento italiano (art. 2).
Si prevede un divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati, respingimento che non può essere disposto in alcun caso (nuovo comma 1 bis dell’art. 19 del TU delle leggi sull’immigrazione emanato con d.lgs. n. 286/1998).
Il divieto di espulsione dei minori stranieri in base alla normativa vigente può essere derogato esclusivamente per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, ma, in ogni caso, il provvedimento di espulsione può essere adottato a condizione che non comporti «un rischio di danni gravi per il minore». Si stabilisce che la decisione del Tribunale per i minorenni, che ha la competenza in materia, deve essere assunta tempestivamente e comunque nel termine di 30 giorni.
La legge modifica disposizioni del decreto legislativo n. 142/2015 sull’accoglienza dei richiedenti asilo (art. 4), con le quali:
– è ridotto da 60 a 30 giorni il termine massimo di ospitalità dei minori nelle strutture di prima accoglienza;
– è stabilito un termine massimo di 10 giorni per le operazioni di identificazione, mentre attualmente non è previsto alcun termine;
– è introdotto in via generale il principio di specificità delle strutture di accoglienza riservate ai minori;
Inoltre la legge disciplina una procedura unica di identificazione del minore, da cui a sua volta dipende la possibilità di applicare le misure di protezione in favore dei minori non accompagnati. Tale procedura prevede: un colloquio del minore con personale qualificato, sotto la direzione dei sevizi dell’Ente locale; la richiesta di un documento anagrafico in caso di dubbio sull’età ed, eventualmente, di esami socio-sanitari, con il consenso del minore e con modalità il meno invasive possibile; la presunzione della minore età nel caso in permangono dubbi sull’età anche in seguito all’accertamento (art. 5).
Si istituisce anche il Sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel quale confluiscono le cartelle sociali dei minori non accompagnati, compilate dal personale qualificato che svolge il colloquio con il minore nella fase di prima accoglienza. La cartella include tutti gli elementi utili alla determinazione della soluzione di lungo periodo per il minore, nel suo superiore interesse (art. 9).
In relazione alla rete di accoglienza, la legge estende pienamente l’accesso ai servizi del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR a tutti i minori non accompagnati a prescindere dai posti disponibili, come previsto dalla legge di stabilità 2015 (
art. 1, co. 183, l. n. 190/2014). La capienza del Sistema deve pertanto essere commisurata alle effettive presenze dei minori sul territorio nazionale ed è comunque stabilita nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (art. 12).
Gli articoli 6 e 8 modificano la disciplina del c.d. rimpatrio assistito, che consiste nel rimpatrio del minore finalizzato a garantire il diritto all’unità familiare dello stesso. Il provvedimento può essere adottato solo se, in seguito a un’indagine specifica (c.d. indagini familiari) si ritiene che il rimpatrio sia opportuno nell’interesse del minore.
La legge rende più celere l’attivazione delle indagini familiari e introduce un criterio di preferenza dell’affidamento ai familiari rispetto al collocamento in comunità di accoglienza. Inoltre la competenza ad adottare i provvedimenti di rimpatrio assistito è trasferita dal Ministero del lavoro al Tribunale per i minorenni, che già oggi decide in merito ai provvedimenti di espulsione. Quest’ultima disposizione è rispettosa della riserva di giurisdizione che era violata dal 1998: trattandosi di provvedimenti restrittivi della libertà personale essi possono essere adottati soltanto dall’autorità giudiziaria come prevede l’art. 13 Cost.
Per favorire e promuovere gli istituti di assistenza e protezione dei minori in stato di abbandono (tutela e affidamento), che già oggi si applicano anche ai minori stranieri non accompagnati, la legge assegna agli Enti locali il compito di sensibilizzare e formare affidatari per accogliere minori non accompagnati, in modo da favorire l’affidamento familiare in luogo del ricovero in una struttura di accoglienza; nonché prevede l’istituzione, presso ogni Tribunale per i minorenni, di elenchi di tutori volontari disponibili ad assumere la tutela di un minore straniero non accompagnato (artt. 7 e 11).
È estesa la piena garanzia dell’assistenza sanitaria ai minori non accompagnati prevedendo la loro iscrizione al Servizio sanitario nazionale, che la norme vigenti considera obbligatoria solo per i minori in possesso di un permesso di soggiorno, anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno, dopo il ritrovamento a seguito della segnalazione (attualmente è comunque garantita a tutti i minori la tutela della salute).
Si incentiva l’adozione di specifiche misure da parte delle istituzioni scolastiche e delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni idonee a favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico e formativo da parte dei minori, anche mediante convenzioni volte a promuovere specifici programmi di apprendistato (art. 14);
Sono implementate le garanzie processuali e procedimentali a tutela del minore straniero, mediante la garanzia di assistenza affettiva e psicologica dei minori stranieri non accompagnati in ogni stato e grado del procedimento (art. 15) e il riconoscimento del diritto del minore di essere informato dell’opportunità di nominare un legale di fiducia, anche attraverso il tutore nominato o i legali rappresentanti delle comunità di accoglienza, e di avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato in ogni stato e grado del procedimento (art. 16).
Infine, alcune disposizioni introducono misure speciali di protezione per specifiche categorie di minori non accompagnati, in considerazione del particolare stato di vulnerabilità in cui si trovano, come i minori non accompagnati vittime di tratta (art. 17).
Linee Guida sui pareri per la conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento dei 18 anni
La Direzione Generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha adottato con decreto direttoriale del 24 febbraio 2017 le nuove Linee Guida dedicate al rilascio dei pareri per la conversione del permesso di soggiorno dei minori stranieri non accompagnati al raggiungimento della maggiore età (art. 32, co 1 bis del d.lgs. 25.7.1998, n. 286).
Le nuove Linee Guida sono state approvate a seguito degli esiti della Conferenza di servizi (alla quale hanno preso parte il Ministero degli affari esteri e della Cooperazione internazionale, il Ministero dell’interno, il Ministero della giustizia, ANCI e la Conferenza permanente Stato-Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano) e della consultazione di enti competenti in materia di tutela e protezione dei diritti dell’infanzia.
|
Le Linee Guida mirano a uniformare sul territorio nazionale l’attuazione dell’art. 32, co. 1 bis del d.lgs. 286/1998, in particolare per quanto concerne il rilascio del parere positivo da parte della Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione per la conversione del permesso di soggiorno dei minori non accompagnati al compimento del 18esimo anno di età.
Al contempo, le Linee Guida offrono indicazioni più chiare ed esplicative ai soggetti coinvolti nel procedimento relativo al rilascio del parere. In particolare, sono forniti chiarimenti e indicazioni sui termini e sulle modalità di richiesta e di rilascio del parere, nonché sui casi in cui il parere non deve essere chiesto.
Le nuove Linee Guida sostituiscono integralmente il
punto 6 e la relativa
scheda G di segnalazione delle precedenti «
Linee Guida sui minori stranieri non accompagnati: le competenze della Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione», approvate con il decreto direttoriale del 19 dicembre 2013.
L’art. 32, co. 1 bis del d.lgs. 286/1998, così come modificato dal d.l. 89/2011 convertito con la l. 129/2011, prevede che al compimento della maggiore età da parte dello straniero entrato in Italia come minore straniero non accompagnato, possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per studio, accesso al lavoro, ovvero per lavoro subordinato o autonomo.
Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno di cui all’art. 32, co. 1 bis del d.lgs. 286/1998, è preferibile che il parere della Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, laddove pervenuto, sia allegato all’istanza di conversione del permesso di soggiorno da parte dell’interessato, se maggiorenne, o dai soggetti che hanno la responsabilità dei minori ai sensi della normativa vigente. Ad ogni modo il parere si configura come un atto endo-procedimentale, obbligatorio ancorché non vincolante, ai fini dell’adozione da parte della questura territorialmente competente del provvedimento relativo al rilascio del permesso di soggiorno al compimento del 18esimo anno d’età.
I casi per i quali la richiesta di parere alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione non deve essere inviata sono i seguenti:
– per minori stranieri non accompagnati che risultino presenti in Italia da almeno tre anni, ammessi ad un progetto di integrazione sociale e civile per un periodo non inferiore a due anni;
– per minori stranieri affidati a parenti entro il 4° grado, anche se in possesso del permesso di soggiorno per minore età;
– per minori stranieri non accompagnati per i quali il Tribunale per i minorenni abbia ordinato il proseguimento amministrativo delle misure di protezione e di assistenza oltre il compimento del 18esimo anno di età;
– per minori stranieri non accompagnati che al compimento del 18esimo anno di età siano in possesso di un permesso di soggiorno per asilo, per protezione sussidiaria o per motivi umanitari.
Il testo provvisorio delle Linee Guida è stato inviato all’Autorità garante nazionale per l’infanzia, al Coordinamento per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (PIDIDA) presso l’UNICEF Italia, al Gruppo di lavoro sulla Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC), all’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, all’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (AIMMF) e all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI).
A seguito dell’invio sono stati ricevuti 7 contributi, contenenti 24 proposte di modifica/integrazione.
a) con riferimento al paragrafo relativo ai soggetti legittimati e alle modalità di presentazione della richiesta del parere, è stata accolto il suggerimento di specificare che sia preferibile allegare il parere della Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, laddove pervenuto, all’istanza di conversione del permesso di soggiorno da parte dell’interessato, se maggiorenne, o da parte dei soggetti che hanno la responsabilità dei minori ai sensi della normativa vigente;
b) con riferimento alla natura giuridica del parere, si è accolto il suggerimento di specificare che il parere costituisce una fase endoprocedimentale e che, ai fini dell’adozione del provvedimento relativo al rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, l’amministrazione procedente è la questura territorialmente competente. Ciò al fine di acquisire l’orientamento della giurisprudenza prevalente;
c) con riferimento alle quattro fattispecie nelle quali si esclude l’invio della richiesta di parere alla Direzione generale, si è accolto il suggerimento di evidenziare che resta ferma la possibilità di valutare singolarmente ogni situazione, nel rispetto del principio del superiore interesse del minore;
d) sempre con riferimento al paragrafo appena richiamato, è stata accolta la proposta di eliminare dai casi di esclusione la categoria dei minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale. Infatti, i minori non accompagnati che, durante la minore età, avessero presentato domanda di protezione internazionale, in caso di esito negativo della domanda, secondo un principio di parità con gli altri minori stranieri soli di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 286/1998, potranno richiedere il parere alla Direzione generale;
e) con riferimento alla procedura di istruttoria del percorso di integrazione sociale e civile del minore non accompagnato, si è convenuto di illustrare una situazione ideale che associ l’avvio del percorso a una permanenza in Italia di almeno 6 mesi. Un semestre di permanenza sul territorio, infatti, consente alla Direzione generale di decidere nel merito con un’istruttoria più appropriata, ferma restando la possibilità di valutare ogni percorso di integrazione caso per caso e sempre nel superiore interesse del minore;
f) è stato accolto il suggerimento di indicare, quale percorso preferibile, la formulazione della richiesta di parere da parte degli Enti locali, stabilendo contestualmente che, in caso di richiesta formulata da parte di altri soggetti che hanno in carico il minore o dal diretto interessato, se maggiorenne, essa dovrà necessariamente essere inviata per conoscenza ai Servizi sociali territorialmente competenti;
g) con riferimento ai tempi di invio della richiesta di parere, è stata accolta la proposta di prevedere preferibilmente un termine ex ante il compimento della maggiore età (90 giorni prima) di carattere indicativo, nonché un termine ex post (entro e non oltre i 60 giorni successivi alla scadenza del permesso di soggiorno per minore età), ciò al fine di garantire che la domanda di parere possa essere corredata da tutte le esperienze di integrazione svolte dai minori fino al diciottesimo anno d’età. Viene fatto comunque salvo il caso di giustificati motivi che, opportunamente rappresentati alla Direzione Generale, consentono di presentare la richiesta di parere al di fuori dei termini sopra richiamati;
h) con riferimento alla Scheda G, è stato accolto il suggerimento di uniformare la riga riguardante i «tempi di invio» con quanto descritto al punto precedente, nonché di specificare nella riga relativa all’ «esito della richiesta» che la Direzione generale è tenuta a rendere il parere nei termini e con le modalità previsti nell’art. 16 della l. 241/1990, ovvero 20 giorni.
I nuovi livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’assistenza sanitaria e gli stranieri
È stato pubblicato sulla G.U. n. 65 del 18.3.2017 il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12.1.2017 con i nuovi Livelli essenziali di assistenza – LEA. Il nuovo decreto sostituisce integralmente – a distanza di 16 anni – il d.p.c.m. 29.11.2001, con cui erano stati definiti per la prima volta le attività, i servizi e le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse raccolte attraverso la fiscalità generale.
La novità più importante riguarda i minori stranieri.
Infatti, si prevede che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno sono iscritti al Servizio sanitario nazionale ed usufruiscono dell’assistenza sanitaria in condizioni di parità con i cittadini italiani (art. 63, co. 4).
Gli articoli 62 e 63 si riferiscono ai cittadini non appartenenti all’Unione europea richiamando esplicitamente le norme sull’assistenza sanitaria previste dal Testo unico sull’immigrazione e dal suo regolamento di attuazione e l’Accordo del 20 dicembre 2012, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 28.8.1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: «Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome».
L’apertura del Servizio civile universale anche agli stranieri
Dal 18 aprile 2017 è in vigore il Decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 relativo all’Istituzione e disciplina del servizio civile universale (pubblicato in G.U. del 3.4.2017).
Già l’art. 8, co. 1, lett. b) della legge 6.6.2016, n. 106 estendeva il servizio agli stranieri regolarmente soggiornanti, di età compresa tra 18 e 28 anni
Ora l’art. 14 del decreto legislativo prevede che sono ammessi a svolgere il servizio civile universale, su base volontaria, senza distinzioni di sesso, i cittadini italiani, i cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea e gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo e non superato il ventottesimo anno di età.
Si precisa però che l’ammissione al servizio civile universale non costituisce in alcun caso, per il cittadino straniero, presupposto per il prolungamento della durata del permesso di soggiorno.
Le quote di ingresso di stranieri per lavoro per l’anno 2017
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 febbraio 2017 (pubblicato in G.U. n. 60 del 13.2.2017) stabilisce la programmazione dei flussi d’ingresso di lavoratori non comunitari in Italia per l’anno 2017, per motivi di lavoro subordinato stagionale, autonomo e non stagionale (conversioni permessi di soggiorno posseduti ad altro titolo in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e autonomo), per la quota massima di 30.850 unità.
Entro tale quota complessiva
a) sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota di 13.850 unità.
b) sono ammessi in Italia 500 cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero, che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286.
c) è consentito l’ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, di 100 lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile.
È autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di:
a) 5.750 permessi di soggiorno per lavoro stagionale;
b) 4.000 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
c) 500 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea.
È altresì autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di:
a) 500 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
b) 100 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea.
È consentito l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo, di 2.400 cittadini non comunitari residenti all’estero, appartenenti alle seguenti categorie:
a) imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana, che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro e provenienti da fonti lecite, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro;
b) liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;
c) titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo espressamente previsti dal decreto interministeriale 11.5.2011, n. 850;
d) artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11.5.2011, n. 850;
e) cittadini stranieri che intendono costituire imprese «start-up innovative» ai sensi della legge 17.12.2012, n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.
Sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini non comunitari residenti all’estero entro una quota di 17.000 unità.
I lavoratori subordinati stagionali non comunitari ammessi sono cittadini di: Albania, Algeria, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina.
2.000 posti delle quote per lavoro stagionale sono riservate ai lavoratori non comunitari, cittadini dei Paesi indicati sopra, che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
Modalità di presentazione delle domande
A partire dalle ore 9.00 del 14 marzo 2017 è disponibile la precompilazione dei moduli di domanda tramite l’applicativo raggiungibile all’indirizzo
https://nullaostalavoro.dlci.interno.it, per le categorie dei lavoratori non comunitari per lavoro non stagionale ed autonomo (art. 2 del decreto), che saranno trasmesse esclusivamente con le consuete modalità telematiche dalle ore 9:00 del 20 marzo 2017. Le domande potranno essere presentate fino al 31 dicembre 2017.
A partire dalle ore 9.00 del 21 marzo 2017, invece, sarà possibile la precompilazione, sempre tramite lo stesso applicativo informatico, dei moduli di domanda per i lavoratori non comunitari stagionali (art.4 del decreto), che saranno trasmessi esclusivamente in modalità telematica dalle ore 09:00 del 28 marzo 2017. Le domande potranno essere presentate fino al 31 dicembre 2017.
Le procedure riguardanti le modalità di registrazione degli utenti, di compilazione dei moduli e di invio delle domande sono identiche a quelle da tempo in uso e le caratteristiche tecniche sono reperibili sul manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link «Help Desk», disponibile per tutti gli utenti registrati sull’home page dell’applicativo; per le associazioni e i patronati accreditati rimarrà disponibile il numero verde già in uso.
I moduli informativi dei diritti dei lavoratori stranieri sfruttati illegalmente e in situazione di soggiorno irregolare
Sulla G.U. n. 93 del 21.4.2017 è pubblicato il
decreto 10.2.2017 del Ministero dell’interno che reca la determinazione delle modalità e dei termini per garantire ai cittadini stranieri interessati le informazioni di cui all’art. 6, par. 2, della
direttiva 2009/52/CE, che introduce norme minime relative a sanzioni ed a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, recepita con il d.lgs.
16.7.2012, n. 109.
Si prevede che i cittadini di Paesi terzi, presenti sul territorio in situazione di soggiorno irregolare e assunti illegalmente, siano informati in modo dettagliato circa i loro diritti prima dell’esecuzione di qualsiasi decisione di rimpatrio.
Il decreto prevede che lo straniero riceva informazioni sulle modalità per presentare denuncia nei confronti del datore di lavoro per esigere ogni retribuzione arretrata e il versamento dei contributi previdenziali dovuti, comprese eventuali penalità di mora o sanzioni amministrative.
Le Linee guida per l’assistenza, la riabilitazione e il trattamento dei disturbi psichici di asilanti vittime di torture, violenze o stupri
Con
decreto del Ministro della salute 3.4.2017 (pubblicato in G.U., n. 95 del 24.4.2017) sono state predisposte (in attuazione dell’
art. 1, co. 1, lett. s) d.lgs. 21.2.2014, n. 18, che modifica l’
art. 27, co. 1 bis, del d.lgs. 19.11.2007, n. 251) le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello
status di rifugiato e dello
status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.
Le linee guida sono state predisposte da un apposito Tavolo tecnico, istituito il 12 settembre 2014 con decreto dirigenziale del direttore generale della prevenzione, integrato con d.d. 12.5.2015, al fine di attuare l’art. 27 co. 1 bis d.. n. 251/2007, modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 18/2014
Hanno partecipato alla sua formulazione le seguenti organizzazioni: Alto Commissariato Nazioni Unite per i rifugiati, Associazione medici contro la tortura, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Coordinamento interdisciplinare socio sanitario CIAC-AUSL Parma, Caritas italiana, Centro Astalli, Centro di salute per migranti forzati ASL Roma 1, Conferenza Stato-Regioni con rappresentanti della Basilicata, della Campania, dell’Emilia-Romagna, del Lazio, delle Marche, della Sicilia, della Toscana e dell’Umbria, Consiglio italiano per i rifugiati, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti, Ministero dell’interno, Ministero della salute, Società italiana di medicina delle migrazioni, Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale.
Il principale obiettivo del decreto è quello di tutelare i richiedenti asilo, in particolari condizioni di vulnerabilità, durante tutte le fasi del percorso di riconoscimento della protezione internazionale, creando le condizioni affinché le vittime di eventi traumatici possano essere adeguatamente tutelate.
Le Linee guida contengono indicazioni generali sugli interventi di assistenza da effettuare (dall’individuazione precoce del trauma alla prevenzione delle problematiche psicopatologiche) in maniera differenziata nei diversi luoghi e contesti in cui la domanda di protezione internazionale viene presentata e qualunque sia la condizione giuridica dello straniero che la presenta (persona appena giunta nel nostro Paese con ingresso regolare, persona già soggiornante in Italia, persona già presente ma non regolarmente soggiornante, persona precedentemente espulsa e non trattenuta, persona espulsa e trattenuta ai fini dell’esecuzione dell’allontanamento, ecc.).
Infatti si specifica che la dizione letterale «titolari» di protezione potrebbe far ritenere che ci si riferisca soltanto a coloro che hanno completato con esito positivo l’iter amministrativo o giurisdizionale di riconoscimento della protezione, ma si ricorda che il riconoscimento della protezione internazionale è un procedimento di natura dichiarativa accertativa avendo ad oggetto il riconoscimento di una condizione di fatto preesistente alla valutazione.
Si prendono perciò in considerazione le persone malnutrite, chi ha subito pressioni psicologiche, chi non ha possibilità di essere curato, persone umiliate e con disturbi psicofisici, chi ha subito la detenzione e i respingimenti, nonché omosessuali che nel loro Paese di origine abbiano subito minacce o aggressioni.
Punti di attenzione sono la certificazione, essenziale nell’iter della richiesta di protezione internazionale, e la mediazione culturale, indispensabile per la costruzione della relazione. Un focus specifico è dedicato alle donne e ai bambini che rappresentano due sottogruppi particolarmente vulnerabili.
Infine le Linee guida affrontano il tema della tutela della salute degli operatori coinvolti nell’accoglienza e presa in carico delle vittime, oltre alla loro necessaria e adeguata formazione.
Le Linee guida contengono altresì in allegato gli schemi per i vari interventi sanitari da compiere.
Le Linee guida, come descritto al momento dell’Intesa Stato Regioni e PA che ha preceduto il decreto ministeriale, hanno come obiettivo quello di tutelare chi richiede protezione internazionale in condizioni di particolare vulnerabilità in qualunque fase del suo percorso di riconoscimento della protezione e ovunque sia ospitato, creando le condizioni perché le vittime di eventi traumatici possano effettivamente accedere alle procedure previste dalla norma e la loro condizione possa essere adeguatamente tutelata.
Le ragioni delle Linee guida sono spiegate nella loro premessa e sottolineano che i richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria sono una popolazione a elevato rischio di sviluppare sindromi psicopatologiche a causa della frequente incidenza di esperienze stressanti o propriamente traumatiche. Sono persone costrette ad abbandonare il proprio Paese generalmente per sottrarsi a persecuzioni o al rischio concreto di subirne. Possono anche fuggire da contesti di violenza generalizzata determinati da guerre o conflitti civili nel proprio Paese di origine. Inoltre, durante il percorso migratorio, sono spesso esposti a pericoli e traumi aggiuntivi determinati dalla pericolosità di questi viaggi che si possono concretizzare in situazioni di sfruttamento, violenze e aggressioni di varia natura compresa quella sessuale, la malnutrizione, l’impossibilità di essere curati, l’umiliazione psicofisica, la detenzione e i respingimenti. Gli eventi traumatici che li colpiscono determinano gravi conseguenze sulla loro salute fisica e psichica con ripercussioni sul benessere individuale e sociale dei familiari e della collettività.
Secondo le Linee guida, per fornire una risposta adeguata è pertanto urgente riorientare il sistema sanitario italiano verso l’attenzione ai bisogni emergenti, la prossimità ai gruppi a rischio di marginalità, l’equità dell’offerta per assicurare un’assistenza sanitaria in linea con le loro necessità e nel rispetto dei principi costituzionali.
È necessario, quindi, avviare la programmazione di strumenti operativi adeguati ad assistere questa nuova e utenza multiculturale, eterogenea, segnata in modo consistente dai traumi subiti.
Certamente un’accoglienza adeguata alla complessità dei bisogni e alla tutela dei diritti di cui queste persone sono portatrici richiede una riorganizzazione dei servizi sanitari, con definizione di procedure, di competenze e attività formativa del personale, resa difficile anche dalle limitate risorse disponibili (il decreto non poteva ovviamente prevedere nuove e maggiori risorse economiche dedicate).
Lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura di beni e servizi per la gestione dei Centri governativi di prima accoglienza per richiedenti asilo, dei Centri di accoglienza straordinaria e dei Centri di permanenza temporanea. Le osservazioni critiche dell’ANAC e dell’ASGI
Il
decreto del Ministro dell’interno 7 marzo 2017 ha approvato schema di capitolato di gara di appalto per la fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al funzionamento dei centri di primo soccorso ed accoglienza di cui al d.l. 30.10.1995, n. 451, convertito dalla l. 29.12.1995, n. 563, dei Centri di prima accoglienza e delle strutture temporanee di accoglienza di cui agli artt. 9 e 11 del d.lgs. 18.8.2015, n. 142 , nonché dei Centri di cui all’art. 14 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286 e successive modifiche e integrazioni.
Il testo pare abbia recepito tutte le indicazioni fornite dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) sulle procedure e i protocolli di affidamento delle gare di appalto sulla gestione dei Centri di accoglienza – ed è ritenuto dal Ministero dell’interno uno strumento innovativo per supportare l’operato dei prefetti ed assicurare l’uniformità delle procedure e la tutela dell’imparzialità e della trasparenza, in aderenza ai principi dell’economicità e della concorrenza.
Le principali innovazioni rispetto alla situazione attuale riguardano:
– il superamento della figura del gestore unico e la suddivisione dell’appalto in quattro lotti prestazionali: servizi alla persona, comprensivi di mediazione culturale, assistenza sanitaria, sociale e psicologica, somministrazione di pasti e generi alimentari, servizio di pulizia ed igiene ambientale e fornitura di beni;
– la tracciabilità dei servizi con l’aggiudicazione dell’appalto all’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, premiando la componente qualitativa e scoraggiando gli eccessivi ribassi;
– la previsione di una clausola sociale finalizzata a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, creando una positiva correlazione con l’accoglienza dei migranti;
– il rafforzamento delle attività di ispezione e monitoraggio del Ministero dell’interno sugli standard qualitativi dei servizi resi.
Tuttavia il capitolato prevede che la «suddivisione in lotti» (servizi, pasti, pulizia e igiene, fornitura di beni) non valga per strutture «con una capienza sino a 300 unità». La ragione ministeriale è duplice: pesano il «valore dell’appalto» e la «necessità di garantire che l’appalto risulti economicamente conveniente per l’Amministrazione». Inoltre anche nei frequenti «casi di estrema urgenza» il modello dei lotti suddivisi non varrà per quelle strutture temporanee messe in piedi in caso di esaurimento posti nei CAS o negli SPRAR.
Appare così aggirato il parere preliminare sul decreto che era stato formulato dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Proprio nella sua audizione svolta il 18 maggio 2017 alla Camera dei deputati di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, il presidente dell’ANAC, dott. Raffaele Cantone ha svolto alcune considerazioni in merito al decreto ministeriale che si possono sintetizzare come segue.
Nel decreto ci sono numerosi articoli che riguardano la fase del monitoraggio e la fase della vigilanza e del controllo e questo decreto ministeriale, che sostituisce per taluni versi anche nel precedente «bando tipo» e che rappresenta vere e proprie Linee guida operative per la gestione del decreto, va nella giusta direzione, ma si pone il tema a volte dell’adeguatezza delle prefetture nello svolgimento degli appalti, perché non tutte le prefetture hanno le medesime capacità di interfacciarsi con la materia degli appalti, soprattutto quelli anche molto specifici, come gli appalti di servizi, che sono servizi fra loro molto complessi.
In margine alla medesima audizione la stessa ANAC ha fornito un’analisi del decreto stesso, che è opportuno qui riprodurre.
- L’analisi dell’ANAC del decreto e del capitolato
Il Capitolato di gara di appalto ha preso le mosse da un’esigenza di revisione profonda delle modalità procedurali di affidamento delle gare fino ad oggi gestite per l’approvvigionamento dei centri di accoglienza, resa evidente anche dalla disamina degli interventi dell’ANAC che hanno preceduto tale decisione. Le ragioni dell’intervento sono da ricercare nell’arrivo di un consistente flusso migratorio non programmato, nella disarticolazione del sistema di accoglienza in centri di differenti dimensioni e nella nuova disciplina dei contratti pubblici.
L’obiettivo del nuovo schema di capitolato di gara d’appalto è quello di:
– garantire livelli uniformi di accoglienza su tutto il territorio nazionale tenendo conto della peculiarità di ciascuna tipologia di Centro;
– favorire una maggiore articolazione e flessibilità della fornitura dei servizi relativi al funzionamento e alla gestione dei Centri di identificazione ed espulsione e dei Centri di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale, da rapportare anche alla tipologia del Centro, alla presenza di persone con esigenze particolari;
– garantire uniformità nelle procedure di affidamento;
– garantire la tutela della regole della imparzialità e della trasparenza.
Le principali innovazioni del decreto – che nel proseguo della relazione sarà analizzato nel dettaglio – possono essere sintetizzate come segue:
– per i Centri con una capienza superiore a 300 posti: superamento del gestore unico e suddivisione dell’appalto in 4 lotti prestazionali;
– per i Centri di minore dimensione – per i quali è consentito l’affidamento dell’appalto unico – la stazione appaltante può discrezionalmente valutare se suddividere l’appalto per lotti dimensionali, individuati sulla base del numero massimo di migranti per struttura. Ciò anche al fine di favorire la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese. In caso di indisponibilità di immobili di proprietà dell’Amministrazione o di immobili di proprietà del demanio, l’ente gestore può mettere a disposizione anche i locali per l’accoglienza secondo le specifiche indicazioni contenute nel bando di gara;
– In sede di prima applicazione – nell’ipotesi in cui non siano stati aggiudicati i quattro lotti – è prevista una proroga tecnica limitata ai servizi oggetto del lotto non ancora aggiudicato, per il tempo strettamente necessario all’aggiudicazione;
– il principale criterio di aggiudicazione dell’appalto è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata secondo il miglior rapporto qualità/prezzo mediante l’utilizzo del metodo di calcolo della c.d. formula bilineare secondo le indicazioni stabilite nelle Linee guida ANAC n. 2/2016. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata secondo il miglior rapporto qualità/prezzo mediante l’utilizzo del metodo di calcolo della c.d. formula bilineare consente – in un settore caratterizzato da servizi ad alta intensità di manodopera – di premiare la componente qualitativa dell’offerta tecnica scoraggiando la concorrenza sul prezzo e, quindi, gli eccessivi ribassi;
– la nuova disciplina – nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di iniziativa imprenditoriale e concorrenza – prevede la c.d. clausola sociale. Si tratta di una norma finalizzata a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, creando una positiva correlazione con l’attività dell’accoglienza dei migranti.
In via generale ANAC osserva che il Capitolato contiene, per lo più, le specifiche tecniche delle gare che vengono gestite dalle prefetture ed al contempo reca alcune clausole volte a definire il disegno d’asta e, quindi, a regolare la procedura di gara.
Il contratto tipo è stato predisposto anche con la collaborazione dell’ANAC che afferma che con il Ministero dell’interno si è creata una buona sinergia e ciò ha reso possibile una forma di collaborazione proficua che ha portato all’elaborazione di un documento condiviso in grado di rispondere in maniera più puntuale alle esigenze di una più razionale gestione dei Centri di accoglienza. Sulle specifiche clausole che riguardano la gestione delle gare d’appalto e la regolazione del sinallagma contrattuale, l’ANAC si è espressa in forza del disposto di cui all’art. 213, co. 2 del Codice dei contratti pubblici.
La documentazione oggetto della presenta analisi si compone del Capitolato d’appalto e di numerosi allegati contenenti: 1) le specifiche tecniche integrative del Capitolato – uno per ognuno dei quattro lotti in cui è suddivisa la gara (servizi; pasti; servizi di pulizia e igiene ambientale e beni); 2) la struttura dell’offerta tecnica ed economica e dello schema di organizzazione dei servizi.
Schema di Capitolato di appalto
Art. 1. «Oggetto dell’appalto». La norma specifica al comma 1 che l’appalto ha per oggetto la fornitura di beni e servizi che devono essere assicurati per la gestione e il funzionamento dei Centri di primo soccorso ed accoglienza, dei Centri di prima accoglienza e delle strutture temporanee nonché dei Centri di identificazione ed espulsione.
Al comma 2 è specificato che l’organizzazione dei servizi indicati al comma 1 deve essere funzionale ad assicurare l’apprestamento delle misure necessarie al pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona anche in considerazione della sua provenienza, della sua fede religiosa, dello stato di salute fisica e psichica, della differenza di genere nonché a garantire misure idonee a prevenire forme di violenza, ed assicurare ove possibile l’unità dei nuclei familiari.
Il comma 3 specifica i servizi oggetto dello schema di capitolato individuando quattro lotti prestazionali. Il comma in questione è stato rielaborato anche a seguito delle osservazioni formulate dall’ANAC. L’ANAC, in fase di predisposizione del provvedimento, ha precisato – con riferimento al profilo della suddivisione in lotti ed in ossequio al principio di una suddivisione di tipo prestazionale (quanto più possibile omogenea e coerente) nonché sulla base di una distinzione per categorie e specializzazioni delle prestazioni da erogare – che, mentre i lotti 2 (fornitura di pasti) e 3 (servizi di pulizia) individuavano prestazioni omogenee, il lotto 1 (gestione amministrativa, assistenza, di vario tipo, alla persona e forniture di effetti letterecci) risultava composto da prestazioni, in alcuni casi, difficilmente sussumibili sotto la medesima categoria, pur attingendo a nozioni di categorie di carattere ampio e generale. La fornitura di effetti letterecci, vestiario, prodotti per igiene, generi di conforto e materiale scolastico e didattico, si appalesava, in termini prestazionali, e probabilmente anche economici, in un oggetto autonomo di appalto che l’ANAC ha suggerito di enucleare come lotto a sé stante, rispetto alla gestione amministrativa e all’assistenza alla persona, di tipo sociale e anche sanitario. Il Ministero, come sopra detto, ha accolto le osservazioni dell’ANAC; infatti, la disposizione di cui al comma 3 fa riferimento a 4 lotti prestazionali.
Il comma 4 prevede, inoltre, che per le strutture con capienza sino a 300 unità, è consentito procedere all’affidamento senza la suddivisione in lotti ovvero per lotti dimensionali individuata per numero massimo di migranti per struttura. La versione originale del comma 4 dell’art. 1, prevedeva che era consentito l’affidamento dell’appalto senza la suddivisione dell’appalto in lotti per i centri con capienza fino a 300 stranieri; l’ANAC – preso atto delle motivazioni economiche della scelta operata – ha suggerito, di prevedere la possibilità per le singole prefetture di una suddivisione dell’appalto per lotti dimensionali, individuati sulla base del numero massimo di migranti per struttura, accorpando nel singolo lotto le diverse prestazioni, in modo da contemperare l’esigenza della tutela delle micro piccole e medie imprese ma nel contempo garantire l’economicità della prestazione oggetto di gara. Ne è derivata un’articolazione dei servizi in più lotti da un lato e la possibilità di prevedere lotti dimensionali anche laddove l’articolazione in lotti prestazionali era stata esclusa. Il suggerimento espresso dall’ANAC è apparso funzionale ad assicurare una suddivisione degli appalti in lotti che risponda perfettamente alla ratio della norma, vale a dire garantire l’accesso alla gara delle micro, piccole e medie imprese, evitando aggregazioni spurie che non solo hanno l’effetto di costituire un’ingiustificata barriera all’accesso alla gara (in quanto si richiedono requisiti tarati sugli stessi) ma possono portare anche a selezioni avverse, vale a dire di operatori non perfettamente in grado di svolgere con uguale livello di specializzazione i diversi servizi.
Con riferimento alla problematica della suddivisione in lotti, l’ANAC si era già espressa nell’atto di segnalazione al Ministero dell’interno del 27.5.2015 e successivamente nel parere AG/77/15 reso nei confronti della prefettura di Treviso nonché nella delibera n. 32 del 20.1.2016. In particolare, nel richiamato parere l’ANAC ha chiarito che «l’indicazione dell’unicità della gestione non può compromettere la necessaria apertura alla concorrenza» soprattutto per gli appalti di una certa complessità ed entità economica né può impedire di procedere ad una aggiudicazione per lotti separati «ove le attività messe a gara, specie se non prettamente rientranti nell’assistenza e nell’accoglienza alla persona, si caratterizzano per una loro autonomia funzionale e per un valore economico tale da ritenere rispondente sia ai principi di economicità e di efficacia sia al principio di concorrenza, la ricerca del più ampio confronto concorrenziale sul singolo servizio o fornitura in affidamento».
Art. 2. «Fornitura di servizi – Disposizioni per il lotto 1». La norma individua i servizi oggetto dello schema di capitolato specificando quali sono quelli da ricomprendere nel «Servizio di gestione amministrativa», nel «Servizio di assistenza generica alla persona», nel «Servizio di assistenza sanitaria» e nel «Servizio di distribuzione di beni».
Art. 3. «Disposizioni per i beni immobili». La norma specifica che in caso di allestimento di un Centro in un immobile di proprietà o nella disponibilità dell’amministrazione dell’interno o comunque di proprietà del demanio, lo stesso è concesso in comodato d’uso per la durata del contratto, senza oneri a carico dell’ente gestore il quale è tenuto a garantire il mantenimento dei beni nello stato in cui sono stati consegnati.
Art. 8. «Risorse strumentali e personale». La norma è stata riformulata a seguito delle osservazioni svolte dall’ANAC. Essa originariamente prevedeva che l’«ente gestore si impegni ad assorbire per quanto possibile nel proprio organico il personale operante nei Centri, come previsto dall’art. 50 del d.lgs. 18.4.2016, n. 50». Quest’ultima prevedeva, altresì, che «Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera [id est, quelli in cui l’incidenza del costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto], i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti possono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto».
Con riferimento alla clausola sociale – alla luce del dato normativo richiamato e degli orientamenti giurisprudenziali e dell’ANAC in materia
– è stato suggerito agli Uffici del Ministero di formulare un articolo
ad hoc, prevedendo che i bandi e i disciplinari di gara contengano apposita clausola per promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, in particolare della libera concorrenza nonché della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., ferma restando l’applicazione dei CCNNLL di settore di cui all’art. 51 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81 e l’indicazione, in specifici allegati degli atti di gara, degli «elenchi del personale attualmente impiegato»: nr. addetti (con indicazione dei lavoratori svantaggiati,
ex l. 381/91), qualifica, livelli anzianità, sede di lavoro, monte ore, ecc.
Tale suggerimento è stato formulato nell’ottica secondo cui una chiara formulazione dell’articolo dedicato alla clausola sociale finalizzata alla salvaguardia della stabilità occupazionale, con precisa enunciazione dei principi da rispettare, ha il pregio di rendere massimamente edotte le stazioni appaltanti sulla necessità di formulare la clausola in modo chiaro (dando alla stessa evidenza nei diversi atti di gara), rispettoso dei principi richiamati, senza falsare la concorrenza e l’accesso alla gara, e in modo da poter svolgere anche un indiretto effetto positivo riguardo all’integrazione dei migranti sul territorio, tenuto conto della inevitabile correlazione che si viene, in tal modo, a creare tra l’attività dell’accoglienza dei migranti e la stabilità dei livelli occupazionali nel relativo settore di intervento.
In accoglimento del suggerimento formulato dall’ANAC è stato inserito un articolo 9 rubricato «Clausola sociale».
Art. 10. «Aggiudicazione del contratto». La norma è composta da due commi. Il comma 1 si applica ai lotti 1, 2 e 3 e dispone che l’appalto è aggiudicato a favore del soggetto che presenta l’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’art. 95, co. 3, del Codice dei contratti pubblici. La disposizione precisa che trovano applicazione i criteri contenuti negli allegati allo schema di capitolato di appalto, che fanno parte integrante dello stesso, di cui dirà meglio nel proseguo. Il comma 2, detta disposizioni valide per il lotto 4 e specifica che l’appalto – essendo relativo a forniture con caratteristiche standardizzate e con condizioni definite dal mercato – è aggiudicato a favore del soggetto che presenta il minore prezzi ai sensi dell’art. 95, co. 4, lett. c) del citato Codice dei contratti.
Con riferimento alla originaria scelta del Ministero di prevedere il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’ANAC ha osservato che, trattandosi di servizi sociali e, nel contempo, ad alta intensità di manodopera gli stessi ricadono sotto il disposto dell’art. 95, comma 3, lett. a) del Codice, a tenore del quale «Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1».
In relazione alla formulazione del criterio di aggiudicazione, in coerenza con quanto già rappresentato con le Linee guida n. 2/2016 sull’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, l’ANAC ha chiesto alcune modifiche in ordine alla componente quantitativa dell’offerta, per quanto riguardava la formula di attribuzione del punteggio.
Si è passati dalla formula della proporzionalità inversa, che non incentiva la concorrenza sul prezzo (e questo non sarebbe di fatto un problema, trattandosi di servizi alta intensità di manodopera, in ordine ai quali è bene non stressare troppo i ribassi) ma soprattutto non garantisce una differenza di punteggio equa ed adeguata tra il concorrente che effettua il ribasso massimo e quello che non garantisce alcun ribasso (cui vengono attributi in ogni caso molti punti), all’utilizzo del metodo di calcolo della c.d. formula bilineare secondo le indicazioni stabilite nelle Linee guida ANAC n. 2/2016 che consente di non stressare troppo la concorrenza sul prezzo ma nel contempo assicura una più equa e proporzionata distribuzione dei punteggi sulle varie offerte.
In ordine, invece alla componente qualitativa dell’offerta, si sono fornite specifiche indicazioni per recuperare una maggiore coerenza tra le griglie contenenti gli elementi di valutazione e i relativi punteggi e le schede di presentazione delle offerte, da un lato, e, dall’altro, l’esplicitazione dei criteri motivazionale dei suddetti punteggi. Ciò nell’ottica di garantire la massima trasparenza alle operazioni di gara nonché rendere ricostruibile (e quindi verificabile e sindacabile ex post) l’iter valutativo della Commissione giudicatrice, il tutto a presidio della trasparenza e della legalità dell’affidamento degli appalti in questione.
Art. 11. «Durata dell’appalto». La durata dell’appalto è di tre anni non rinnovabile e decorre dalla data di approvazione del contratto da parte degli organi competenti. Per le strutture temporanee di cui all’art. 11 del d.lgs. 18.8.2015, n. 14, la durata del contratti è di due anni, sempre non rinnovabili e con decorrenza dalla data di approvazione del contratto da parte degli organi competenti.
Art. 12. «Determinazione dell’importo dell’appalto». La norma stabilisce – con riferimento a ciascun lotto – le modalità di determinazione dell’importo dell’appalto; in particolare, con riferimento al lotto 1, la norma specifica che si tiene in considerazione il numero di posti presunto; con riferimento al lotto 2, che si tiene conto del numero dei pasti presunto e, infine, con riferimento al lotto 3, che si tiene conto della superficie della struttura e delle modalità di esecuzione del servizio.
Art. 13. «Liquidazione del corrispettivo». La norma detta al comma 1 disposizioni comuni ai quattro lotti ed al comma 2 individua specifiche previsioni per ciascun lotto. Rileva sottolineare che il comma 1 stabilisce che il pagamento delle somme spettanti all’aggiudicatario sono liquidate in sei rate bimestrali posticipate, secondo i criteri di rendicontazione stabiliti nella convenzione. Il pagamento è effettuato previo rilascio del certificato di regolare esecuzione da parte del direttore dell’esecuzione del contratto e previa verifica della regolarità contributiva e fiscale dell’aggiudicatario e del subappaltatore. Tutte le fatture devono riportare il codice CIG. Tutti i pagamenti devono essere effettuati con modalità tracciabili ai sensi della legge 136/2010 mediante accredito su un conto corrente dedicato. Se l’appalto è realizzato da più soggetti raggruppati temporaneamente, l’amministrazione procede al pagamento delle fatture emesse dalla mandataria/capogruppo che devono indicare in modo dettagliato le attività e la misura delle stesse realizzate dai singoli componenti del raggruppamento. Il comma 2 detta disposizioni specifiche per ciascun lotto con particolare riferimento alle modalità di calcolo del corrispettivo.
Art. 14. «Sospensione degli effetti del contratto». La norma si conforma all’art. 107 del Codice dei contratti pubblici. Essa prevede che l’Amministrazione ha facoltà di sospendere, per il tempo strettamente necessario, gli effetti del contratto, previa comunicazione agli aggiudicatari per ragioni di necessità o di pubblico interesse o anche nel caso di riduzione delle presenze in misura superiore al 50% della capienza massima teorica, per almeno 60 giorni. La norma prevede, altresì, che la sospensione comporta la corresponsione di un indennizzo pari al 30% del valore dei beni deperibili acquistati prima della comunicazione della sospensione, comprovati da documenti fiscali. È, inoltre, stabilito che cessate le cause di sospensione, l’aggiudicatario provvede alla ripresa dell’esecuzione del contratto e in caso di inadempimento l’amministrazione può chiederne la risoluzione.
Art. 15. «Eventuali modifiche degli effetti dell’appalto e obbligo del quinto». Con riferimento a tale norma, l’ANAC ha espresso delle osservazioni che sono state accolte dal Ministero. Originariamente, infatti, il Capitolato prevedeva che «Qualora in corso di esecuzione, per imprevedibili esigenze, si rende necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, l’Amministrazione può imporre all’aggiudicatario l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso, l’aggiudicatario non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Tale disposizione non trova applicazione per le eventuali proposte migliorative formulate in sede di offerta». L’articolo richiamava la possibilità ammessa dall’art. 106, co. 12 del Codice dei contratti, a tenore del quale «La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto».
Sul punto è stato suggerito al Ministero di contemplare anche la soluzione indicata dall’art. 106, co. 1 lett. a) del Codice, a tenore del quale la stazione appaltante può apportare modifiche contrattuali, a prescindere dal loro valore monetario, se esse siano state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto.
La soluzione prospettata – nel rispetto del principio di tassatività delle ipotesi che consentono modifiche contrattuali – appare più garantista e trasparente, consente di computare l’ammontare massimo della variazione nell’importo complessivo dell’appalto (rendendo in tal modo edotto il mercato e consentendo una consapevole autodeterminazione delle imprese all’offerta), e garantisce che siano specificamente previste le condizioni (altamente aleatorie) di incremento imprevedibile del flusso dei migranti, cui si dovrà in ogni caso far fronte tempestivamente, in presenza delle quali procedere alla variazione del contratto.
La norma come riformulata prevede che l’Amministrazione può ricorrere alla modifica contrattuale, oltre che fino alla concorrenza del quinto dell’importo del contratto, anche, conformemente a quanto previsto nei bandi di gara in caso di incremento non previsto dei flussi di migranti, con un aumento economico nei limiti del 50% dell’importo (ai sensi dell’art. 106 del Codice dei contratti).
Art. 18. «Penali». La norma si compone di un unico comma che dispone in merito alla mancata o inesatta esecuzione di uno o più servizi oggetto del contratto, rilevati in sede di attività di controllo o di monitoraggio. La disposizione stabilisce, in particolare, che al verificarsi di quanto sopra, l’Amministrazione applica una penale variabile – a seconda della gravità – tra il 5 per mille ed il 5 per cento dell’importo contrattuale mensile, IVA ed oneri della sicurezza esclusi, per ogni inadempimento riscontrato. La norma stabilisce, altresì, le modalità di contestazione e la possibilità per l’aggiudicatario di presentare eventuali controdeduzioni nonché le forme per l’effettuazione del recupero delle somme da parte della prefettura.
Art. 19. «Subappalto». La norma stabilisce che è ammesso il subappalto ai sensi dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici. La stessa dispone, altresì, che l’aggiudicatario risolve tempestivamente il contratto se durante l’esecuzione vengono accertati dalla prefettura degli inadempimenti tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni. L’aggiudicatario non ha diritto ad alcun indennizzo da parte della prefettura, né è consentito il differimento dei termini di esecuzione del contratto. Molto importante la precisazione secondo cui l’esecuzione delle attività subappaltate non possono formare oggetto di ulteriore subappalto. Se il subappaltatore perde i requisiti, la prefettura revoca, in autotutela l’autorizzazione al subappalto. Non vi è responsabilità alcuna del Ministero dell’interno e della prefettura in merito ai rapporti intercorrenti fra aggiudicatario e ditte o società terze.
Art. 20. «Risoluzione del contratto». In caso di inadempimento, l’amministrazione procede alla risoluzione del contratto ai sensi degli articoli 1453 e ss. c.c. La norma individua le ipotesi di risoluzione espressa ai sensi del 1456 del codice civile e stabilisce altresì che l’Amministrazione procede alla risoluzione del contratto in qualsiasi momento ai sensi e per gli effetti dell’articolo 108 del Codice dei contratti e se viene meno ogni altro requisito morale di cui all’art. 80 del medesimo codice. In caso di risoluzione del contratto, la prefettura si riserva la facoltà di procedere con l’aggiudicazione al secondo concorrente in graduatoria al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento del servizio oggetto dell’appalto, ai sensi dell’art. 110 del Codice.
Art. 21. «Esecuzione in danno». La norma consente alla prefettura di procedere direttamente all’esecuzione del contratto nei casi in cui l’aggiudicatario non dia corso alla esecuzione delle prestazioni. A tal fine, la prefettura può utilizzare la propria organizzazione o quella di terzi e gli eventuali maggiori oneri sostenuti sono a carico dell’ente gestore.
Art. 22. «Recesso dal contratto». La prefettura si riserva il diritto di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 109 del Codice dei contratti. La norma prevede, inoltre, l’Amministrazione nel caso di sopravvenute modifiche normative che interessano la stessa, che hanno incidenza sull’esecuzione del contratto, o nel caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse o anche nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento della stipula, può recedere dal contratto – per giusta causa – in tutto o in parte, con un preavviso di almeno 30 giorni solari, da comunicarsi all’aggiudicatario via PEC. Ovviamente, in tali casi, l’aggiudicatario ha diritto al pagamento di quanto eseguito.
Art. 23. «Monitoraggio e controllo». La norma – composta da un unico comma – precisa che le attività di controllo e monitoraggio sulla gestione dei centri e sulla regolare esecuzione del contratto spetta alla prefettura sulla base delle Linee guida del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Il monitoraggio e il controllo è finalizzato a verificare il rispetto delle modalità di erogazione dei servizi oltre alla congruità qualitativa e quantitativa alle specifiche tecniche dei beni e servizi forniti. La norma specifica che oltre alle attività di controllo esercitate ai fini del pagamento, la prefettura svolge controlli nei Centri senza preavviso con cadenza periodica ravvicinata mediante l’invio di soggetti appositamente incaricati, oltre che mediante l’ascolto degli stranieri ospitati nei Centri. Per l’espletamento delle attività di controllo possono essere autorizzati dalla prefettura e/o dal predetto Dipartimento anche soggetti terzi.
Al riguardo l’ANAC, con la delibera n. 32 del 20.1.2016, tenuto conto della particolare natura e complessità delle prestazioni da erogare nell’ambito dei servizi di accoglienza, ha richiamato l’attenzione sull’importanza e sulla necessità del monitoraggio dell’esecuzione del contratto, in relazione agli esiti e agli scostamenti tra quanto preventivato e quanto fornito. L’ANAC rilevava con la predetta delibera l’opportunità che il servizio di accoglienza si concludesse con un momento di sintesi e di verifica che, anche con il supporto di appositi strumenti (es. questionari di rilevazione), mirasse a ricevere un primo riscontro dall’utente in merito al gradimento e alla soddisfazione nei confronti del servizio erogato, verificando l’efficacia, l’efficienza e la qualità delle prestazioni fornite e il raggiungimento degli obiettivi di accoglienza, assistenza, recupero e integrazione.
Art. 24. «Controllo di gestione». La norma detta specifiche disposizioni con riferimento al lotto 1 stabilendo che il controllo sulla gestione avviene con le modalità di cui all’art. 23 e chiarendo che esso riguarda anche la regolarità del servizio di gestione amministrativa, con specifico riferimento alla registrazione degli stranieri tramite l’installazione di un sistema di rilevamento automatico delle presenze o tramite la tenuta del registro delle presenze ove ammesso, alla tracciabilità dei beni forniti e dei servizi erogati, quali per esempio la distribuzione dei pocket money; la regolarità delle prestazioni oggetto dell’appalto, con particolare riferimento alle unità di personale impiegate nei diversi turni e alle qualifiche professionali possedute; all’efficacia del servizio di assistenza generica alla persona; all’adeguatezza delle prestazioni sanitarie.
La registrazione degli stranieri e la previsione di sistemi di rilevamento automatico delle presenze appare di fondamentale importanza, oltre che per motivi di sicurezza pubblica, anche perché solo la regolare identificazione degli stranieri insieme al controllo degli ingressi e delle uscite consente di determinare l’esatta quantificazione del numero degli ospiti in base al quale viene corrisposto il compenso giornaliero.
A tal proposito si osserva che l’ANAC nella delibera n. 803 del 20.7.2016 avente ad oggetto la «Gestione del Centro di accoglienza richiedenti asilo (CARA) di Castelnuovo di Porto», dopo aver accertato l’esistenza di una serie di criticità proprio nel processo di verifica degli ospiti, auspicava «l’introduzione del sistema di rilevazione automatico delle presenze, […] in grado di superare, per il futuro, le criticità rilevate, anche se il nuovo sistema non esime il gestore dall’effettuare i dovuti controlli sull’identità dei soggetti che entrano ed escono dal CARA (es. potrebbero verificarsi degli scambi di badge).».
Art. 25. «Monitoraggio e report periodici». La norma stabilisce che l’aggiudicatario trasmette ogni due mesi un report sui beni e/o servizi erogati, indicando le eventuali criticità. Detta ulteriori disposizioni con riferimento al lotto 1 specificando quali informazioni devono essere indicate nel report bimestrale. A tal riguardo valgono le osservazioni formulate con riferimento all’art. 23.
Art. 26. «Obblighi in tema di tracciabilità dei flussi finanziari».
L’aggiudicatario è tenuto a rispettare le disposizioni relative agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari. Lo stesso è obbligato a inserire nei contratti con i subappaltatori o con i subcontraenti, a pena di nullità assoluta, una clausola con la quale ciascuno di essi si assume gli obblighi di tracciabilità dei flussi. Il mancato utilizzo nella transazione finanziaria del bonifico bancario o postale, o di altri strumenti idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni di pagamento costituisce causa di risoluzione del contratto.
Art. 27. «Divieto di cessione del contratto e cessione del credito». La norma specifica che trova applicazione l’art. 106, co. 1, lett. 2, n. 2 ovvero che «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: all'aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice»; è vietata la cessione del contratto, a pena di nullità della cessione stessa. La norma prevede che per la cessione dei crediti trova applicazione l’art. 106, co. 13, precisando l’obbligo di notifica delle cessioni alla prefettura. Al momento della cessione, l’aggiudicatario comunica il CIG che dovrà essere riportato sugli strumenti di pagamento utilizzati.
Art. 28. «Obbligo di riservatezza». L’aggiudicatario ha l’obbligo di mantenere il riserbo sui dati e le informazioni in suo possesso anche dopo la cessazione dei rapporti in essere con la prefettura. L’aggiudicatario è responsabile anche nei confronti dei propri dipendenti, dei subappaltatori nonché di eventuali consulenti.
Art. 29. «Disposizioni in sede di prima applicazione». La norma stabilisce che in caso di mancata aggiudicazione di un lotto, l’Amministrazione procede – verificata la sussistenza di tutti i presupposti – ad una proroga tecnica limitata ai servizi oggetto del lotto non ancora aggiudicato, per il tempo strettamente necessario all’aggiudicazione, se la proroga risulta necessaria alla funzionale integrazione con le forniture ed i servizi oggetto dei lotti già aggiudicati. In definitiva la norma prevede la proroga tecnica dei soli servizi oggetto del lotto non aggiudicato, per il tempo strettamente necessario al completamento della procedura di gara.
Come sopra illustrato, le Specifiche tecniche integrative dello schema di capitolato di appalto relative alla forniture dei servizi di cui ai diversi lotti, sono parte integrante dello stesso capitolato. In particolare:
– L’Allegato 1, individua le «Specifiche tecniche integrative dello schema di capitolato di appalto relative alla fornitura di servizi di cui al Lotto 1» effettuando puntuali distinguo fra i servizi da prestare rispettivamente nei «Centri di primo soccorso e accoglienza», nei «Centri di prima accoglienza», nelle «Strutture temporanee di accoglienza» e nei «Centri di cui all’articolo 14 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 s.m.i.». L’allegato 1 bis specifica – sempre con riferimento al Lotto 1 – i «Criteri di valutazione e ponderazione delle offerte per la selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa»; e, infine, l’allegato 1 ter contiene la «Tabella dotazione personale/scheda dotazione minima di personale» distinta a seconda della dimensione del Centro.
– L’allegato 2 individua le «Specifiche tecniche integrative dello schema di capitolato di appalto relative alla fornitura di pasti, di cui al lotto 2». Detto documento specifica le attività che devono essere svolte dall’aggiudicatario del lotto 2 con riferimento alla preparazione e distribuzione dei pasti specificando che la definizione del menù deve tenere conto di una adeguata variabilità della composizione dei piatti e dee rispettare le abitudini alimentari degli stranieri, con particolare riferimento alle diverse scelte religiose. L’allegato 2 bis specifica – con riferimento al lotto 2 – «Criteri di valutazione e ponderazione delle offerte per la selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa – Lotto 2 Servizio di fornitura pasti»;
– L’allegato 3 individua le «Specifiche tecniche integrative dello schema i capitolato di appalto relative al servizio di pulizia ed igiene ambientale, di cui al lotto 3». Detto documento è strutturato in quattro paragrafi che trattano nello specifico la «Pulizia dei locali», la «Disinfestazione, derattizzazione e deblatizzazione delle superfici», la «Raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali» nonché la «Manutenzione delle aree verdi». L’allegato 3 bis specifica – con riferimento al lotto 3 - «Criteri di valutazione e ponderazione delle offerte per la selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa – lotto 3 Servizio di pulizia e igiene ambientale»;
- L’allegato 4 individua le «Specifiche tecniche integrative dello schema di capitolato di appalto relative alla fornitura di beni, di cui al lotto 4». Detto documento specifica che l’aggiudicatario al momento dell’ingresso nel centro dello straniero deve fornire una scheda/ricarica telefonica di 15 euro e per una sola volta; un pocket money pari a 2,50 euro al giorno e fino a 7,50 euro per nucleo familiare; ed un kit da consegnare allo straniero composto da indumenti, beni per l’igiene della persona, coperte, etc.
Con riferimento agli allegati di cui sopra si osserva che negli allegati 1 bis, 2 bis e 3 bis è stata prevista una configurazione dell’offerta tecnica e della sua valutazione con l’enucleazione dei singoli elementi valutabili e dei correlati punteggi, nonché dei criteri motivazionali a riferimento delle Commissioni. In particolare, si osserva che la struttura dell’offerta di cui agli allegati 2 bis e 3 bis sono identiche. Mentre la struttura dell’offerta di cui all’allegato 1 bis è diversa in quanto presenta un maggiore livello di dettaglio con riferimento alle modalità di formulazione dell’offerta tecnica e dell’offerta economica.
Considerazioni critiche sul decreto svolte in ambito dell’ASGI
Se il capitolato riguardasse solamente le strutture di primo soccorso e identificazione, destinate a un transito veloce dei migranti, il testo potrebbe apparire positivo, ma esso si riferisce anche ai Centri straordinari (CAS) che oggi rappresentano la maggioranza del sistema dell’accoglienza in Italia e che dovrebbero essere progressivamente chiusi o, se idonei, essere assorbiti nello SPRAR. Al contrario pare evidente come nel capitolato essi sono concepiti come strutture definitive.
I Centri immaginati in questo capitolato sono pensati come luoghi grandi, nei quali le persone sono ammassate, esattamente il contrario dell’accoglienza decentrata. Vengono riproposte le stesse tabelle dei CARA, soppressi con il d.lgs. n. 142/2015, in netto contrasto con la ratio di quella riforma legislativa.
Poiché l’indicazione ministeriale e dell’ANCI è quella di andare verso un progressivo assorbimento dei CAS nello SPRAR appare inspiegabile il motivo per il quale questo capitolato si cristallizzi l’impossibilità di qualsiasi assorbimento.
Per esempio si menziona un servizio H24: ma nei CAS allestiti in forma di appartamenti l’operatore notturno è improbabile e impossibile e non si sa che cosa debba fare. Si menziona altresì la fornitura pasti, ma nei modelli che funzionano i gestori assicurano contanti al richiedente asilo con il quale ciascuno si fa la propria spesa. Tutto sembra stato pensato per Centri collettivi di grandi o anche enormi dimensioni, il che pare riproporre quella impostazione già aspramente criticata fin dal 2008 dalla Commissione ministeriale di inchiesta guidata da De Mistura: un servizio sanitario parallelo, fatto di ambulatori interni mentre per i richiedenti asilo titolari di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo il d.lgs. n. 142/2015 e il d.lgs. n. 286/1998 prevedono l’iscrizione al SSN con il proprio medico di base.
Il capitolato ripropone la stessa logica dei CARA, strutture quasi in cui spesso si sono verificate prassi di degrado e di malaffare che il d.lgs. n. 142/2015 voleva superare.
Altrettanto critica appare la previsione che l’offerta tecnica fatta dal potenziale gestore pesi per il 60% del punteggio di valutazione. Si tratta infatti di un livello troppo basso, perché favorisce le speculazioni, che proprio il parere dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) avrebbe voluto prevenire. È vero che si prevede un meccanismo che premia le proposte migliorative, ma si tratta di un servizio alla persona che dovrebbe essere orientato quasi interamente alla qualità dell’offerta e invece la componente economica pesa per il 40%. Perciò chi gioca al ribasso vince, mentre si sarebbe dovuta prevedere un’offerta tecnica dell’80% per scoraggiare chi vede in questo settore facili speculazioni.
Rassegna delle circolari delle amministrazioni statali
Cittadinanza italiana
Precisazioni sul riacquisto della cittadinanza italiana
La
circolare 27.4.2017, n. 3638 del Ministero dell’interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Direzione centrale dei diritti civili e della cittadinanza fornisce precisazioni circa il riacquisto della cittadinanza italiana ai sensi dell’
art. 13 della legge n. 91/1992, che prevede che la dichiarazione di voler riacquistare la cittadinanza possa essere resa anche all’estero, ma avrà efficacia – a norma dell’
art. 15 della stessa legge – allorché si siano realizzate le due condizioni poste dalla disposizione: dichiarazione di riacquisto e trasferimento della residenza in Italia.
Il mancato trasferimento in Italia entro il temine di un anno rende inefficace la dichiarazione resa in precedenza dall’interessato.
A seguito della dichiarazione resa dinanzi alla Autorità diplomatico-consolare, la stessa deve provvedere a operare l’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge secondo quanto precisato nelle circolari ministeriali K60.1 del 6.5.1994 e K73 del
30.5.2002.
Infatti, a norma dei commi
3 e
5 dell’art. 16 d.p.r. n. 572/1993, le dichiarazioni rese dagli interessati dinnanzi all’Autorità diplomatico-consolare volte all’acquisto, alla perdita o al riacquisto della cittadinanza italiana devono essere iscritte nell’apposito registro di cittadinanza dell’Autorità medesima e dovranno, poi, essere trasmesse unitamente all’esito dell’accertamento ed alla ricevuta del versamento del contributo di cui alla
legge n. 94/2009 , al Comune italiano che sia stato individuato come competente secondo le norme contenute nell’Ordinamento dello stato civile, perché provveda alla relativa trascrizione.
Si richiama così l’attenzione degli ufficiali di stato civile, nell’ambito delle rispettive competenze, anche al fine di consentire al Ministero dell’interno l’esercizio del potere inibitorio previsto dal comma 3 dello stesso art. 13 entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite per il riacquisto della originaria cittadinanza, allorquando le Autorità di pubblica sicurezza evidenziassero l’eventuale sussistenza di gravi e comprovati motivi di inibizione del riacquisto.
Cittadini di Paesi terzi
Asilo
L’iscrizione al servizio sanitario nazionale dei richiedenti asilo
In particolare il Ministero ritorna sulla procedura di iscrizione che necessita del previo rilascio del codice fiscale numerico provvisorio.
Come già disposto (in modo opinabile) nel 2016 con circolare dell’Agenzia delle entrate, il rilascio del codice fiscale deve avvenire al momento della verbalizzazione della domanda di protezione internazionale.
La circolare dispone di provvedere alla modifica dell’ASL competente nel caso di trasferimento del rifugiato oppure alla cancellazione dell’iscrizione al momento della perdita dei requisiti.
Lavoro e previdenza sociale
Ripartizione regionale e locale delle quote di ingresso per lavoro del 2017
Essa effettua una prima ripartizione territoriale di 4.604 quote per la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e autonomo, di 500 quote per l’ingresso di lavoratori stranieri che hanno partecipato ai programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine e di 11.626 quote per le richieste di nulla osta al lavoro stagionale (di cui 841 per richieste di nulla osta al lavoro stagionale pluriennale). Le restanti quote saranno attribuite in un secondo momento in base alle richieste.
L’attuazione delle nuove norme sull’ingresso e il soggiorno per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali e sull’ingresso e il soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari
Alcune circolari ministeriali illustrative e applicative hanno disposto interpretazioni e prescrizioni applicative della nuova disciplina dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali ai sensi del
d.lgs. n. 203/2016 e della nuova disciplina degli ingressi e dei soggiorni dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti
intra-societari ai sensi del
d.lgs. n. 253/2016 sono stati oggetto di alcune circolari ministeriali illustrative e applicative.
Dall’11 gennaio 2017 è in vigore il d.lgs. 29.12.2016, n. 253 che dà attuazione alla direttiva 2014/66/UE, che ha l’obiettivo di agevolare i trasferimenti intra-societari per i lavoratori non comunitari di società transnazionali con sedi al di fuori dell’UE, introducendo definizioni comuni e condizioni di ammissione trasparenti e semplificate.
A seguite dell’attuazione della direttiva UE sono state riportate delle modifiche all’art. 27 quinquies del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d.lgs. 25.7.1998, n. 286, e successive modificazioni).
Tra le principale modifiche, l’ingresso e il soggiorno in Italia per svolgere prestazioni di lavoro subordinato nell’ambito di trasferimenti intra-societari per periodi superiori a tre mesi è consentito (al di fuori delle quote annuali stabilite dal Governo) agli stranieri che:
– soggiornano fuori del territorio dell'Unione europea al momento della domanda di ingresso
– sono stati già ammessi nel territorio di un altro Stato membro
– chiedono di essere ammessi nel territorio nazionale in qualità di: dirigenti; lavoratori specializzati; lavoratori in formazione.
Il trasferimento intra-societario è il distacco temporaneo di uno straniero da un’impresa stabilita in un Paese terzo (cui lo straniero è legato da un rapporto di lavoro che dura da almeno tre mesi) a un’entità ospitante stabilita in Italia, appartenente alla stessa impresa o a un’impresa appartenente allo stesso gruppo di imprese ai sensi dell’art. 2359 c.c. Il trasferimento intra-societario comprende i casi di mobilità dei lavoratori stranieri tra entità ospitanti stabilite in diversi Stati membri.
Le disposizioni non si applicano agli stranieri che: chiedono di soggiornare in qualità di ricercatori; beneficiano dei diritti alla libera circolazione o lavorano presso un’impresa stabilita in Paesi terzi nel quadro di accordi conclusi tra il Paese di appartenenza e l’Unione europea e i suoi Stati membri; soggiornano in Italia, in qualità di lavoratori distaccati, ai sensi della direttiva 96/71/CE, e della direttiva 2014/67/UE; svolgono attività di lavoro autonomo; svolgono lavoro somministrato; sono ammessi come studenti a tempo pieno o effettuano un tirocinio di breve durata e sotto supervisione nell’ambito del percorso di studi. La durata massima del trasferimento intra-societario è di tre anni per i dirigenti e i lavoratori specializzati e di un anno per i lavoratori in formazione. Tra la fine della durata massima del trasferimento intra-societario e la presentazione di un’altra domanda di ingresso nel territorio nazionale per trasferimento intra-societario per lo stesso straniero devono intercorrere almeno tre mesi.
Nel caso in cui l’entità ospitante abbia sottoscritto con il Ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un protocollo di intesa, con cui garantisce la sussistenza delle condizioni previste dal co. 5 dell’art. 1 del decreto, il nulla osta è sostituito da una comunicazione presentata, con modalità telematiche, dall’entità ospitante allo Sportello unico per l’immigrazione.
Per quanto riguarda, invece, l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale di dirigenti, lavoratori specializzati o lavoratori in formazione di Paesi terzi titolari di un permesso ICT rilasciato da altro Stato membro (art. 27 sexies), per periodi inferiori a novanta giorni si applicano le disposizioni, che prevedono la «dichiarazione di presenza». Per le richieste di mobilità di lunga durata (superiore ai 90 giorni), si prevede invece il rilascio di un nuovo permesso di soggiorno (permesso «mobile ICT»), di durata pari a quella del periodo di mobilità richiesta, attraverso una procedura analoga a quella prevista per il rilascio del permesso «ICT», compresa la possibilità, per l’entità ospitante, di stipulare protocolli di intesa con il ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro.
Con riferimento al
d.lgs. n. 253/2016, chiarimenti interpretativi e applicativi sulle nuove disposizioni introdotte dall’art. 27
quinquies d.lgs. n. 286/1998 recante la disciplina dell’ingresso e soggiorno nell’ambito di trasferimenti
intra-societari da Paesi extra UE e dall’art. 27
sexies per gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per trasferimento
intra-societario ICT rilasciato da altro Stato membro,
a) La
circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro del 9.1.2017 n. 1, fornisce agli organi di vigilanza indicazioni operative in materia di distacco transnazionale di lavoratori. La circolare specifica l’ambito applicativo della nuova disciplina prevista dal d.lgs. n. 136/2016 di recepimento della direttiva 2014/67/UE. L’INL si sofferma sull’autenticità del distacco e sugli elementi oggetto di verifica da parte del personale ispettivo, nonché sul regime sanzionatorio da adottare qualora vengano riscontrate situazioni illecite. Particolari chiarimenti sono, infine, disponibili per il settore del
cabotaggio stradale.
b) La
circolare congiunta del 9.2.2017 dei Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali contiene informazioni riguardanti: il campo di applicazione (categorie di lavoratori cui la norma si rivolge e casi in cui la norma non si applica); le caratteristiche del trasferimento
intra-societario; le condizioni di lavoro; i profili sanzionatori; la procedura di richiesta nominativa di nulla osta; la mobilità di breve durata (90 giorni) e di lunga durata (oltre 90 giorni). Alla circolare è allegato l’elenco dei documenti che l’entità ospitante stabilita in Italia deve presentare allo Sportello unico immigrazione per il rilascio del nulla osta al trasferimento
intra-societario.
Essa prescrive che al momento del rilascio del parere di competenza nell’ambito dello Sportello unico per l’immigrazione (SUI) dovranno attenersi, come già chiarito con circolare n. 37 del 2016, alle risultanze delle banche dati SGIL ad oggi in uso.
Si precisa, in proposito, che in ragione della discrezionalità attribuita dalla norma (può essere rifiutato/può essere revocato) ed in considerazione dell’assenza di parametri di carattere temporale nonché dell’ampio spettro di violazioni riferibili alle sopraindicate lettere c) ed e), le verifiche andranno effettuate per tutte le tipologie di violazioni risultanti nelle banche dati SGIL e con riferimento all’arco temporale ivi tracciato.
Inoltre, atteso che la norma non richiede, ai fini del rifiuto del nulla osta, la «definitività» delle violazioni accertate, ai sensi delle richiamate lett. a) e c), art. 24 co. 12, e lett. e) ed f), art. 27 quinquies, co. 15, Testo unico delle leggi sull’immigrazione, occorrerà verificare se nei confronti del datore di lavoro richiedente il nulla osta siano stati adottati verbali di accertamento ovvero provvedimenti di diffida accertativa validata.
In proposito, tuttavia, si ritiene che gli uffici non possano tenere conto di verbali di accertamento in relazione ai quali il trasgressore abbia provveduto, alla data di rilascio del parere, alla regolarizzazione delle inosservanze sanabili e al pagamento in misura agevolata delle sanzioni entro i termini previsti dalla normativa vigente (art. 13 e 15 d.lgs. n. 124/2004 e art. 15 del d.lgs. n. 758/1994).
Ciò in ragione della particolare rilevanza che il Legislatore ha inteso attribuire – ad esempio ai fini dell’art. 6 d.l. 91/2014, come modificato dalla l. n. 199/2016 – ai comportamenti volti a eliminare gli effetti della condotta illecita.
Devono altresì ritenersi non rilevanti i verbali di accertamento per i quali, alla data di rilascio del parere, sia intervenuta ordinanza di archiviazione atteso il venir meno della contestazione mossa.
Diversamente, ai fini della verifica dell’adempimento degli obblighi previdenziali, laddove non risultino violazioni nelle banche dati in uso, si farà affidamento sulle risultanze del DURC on line che potrà essere acquisito direttamente dal SUI prima del rilascio del nulla osta.
Per quanto concerne la revoca del nulla osta, atto di stretta competenza dello Sportello unico per l’immigrazione, essi devono comunicare l’esito di accertamenti effettuati nei confronti del datore di lavoro richiedente, programmati anche sulla base di segnalazioni provenienti dallo stesso SUI oppure da richieste di intervento dei lavoratori interessati che avranno rilevanza nei limiti sopra indicati.
Nelle Regioni autonome in cui l’Ispettorato non partecipa alle attività del SUI (come accade in Friuli Venezia Giulia) sarà possibile, ai fini del rilascio del nulla osta, attivare a livello locale appositi protocolli tra Regione e Ispettorato per definire le modalità di riscontro delle violazioni di cui alle lettere sopra declinate da effettuare nei termini sopra chiariti, ferma restando la competenza della Regione all’acquisizione del DURC.
Circa i profili sanzionatori, si ricorda che «il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze, per lavori di carattere stagionale, uno o più stranieri privi del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito ai sensi dell’art. 22, co. 12 (reclusione da sei mesi a tre anni e multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato), 12 bis e 12 ter, e si applicano le disposizioni di cui ai co. 12 quater e 12 quinquies dell’art. 22» (art. 24, co. 15).
Si fa presente, inoltre, che l’art. 27 quinquies, co. 26, prevede nelle ipotesi di trasferimenti intra-societari da Paesi extra UE l’applicazione della sanzione penale di cui all’art. 22, co. 12, del Testo unico delle leggi sull’immigrazione (reclusione da sei mesi a tre anni e multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato) e delle aggravanti di cui al comma 12 bis del medesimo art. 22 per le ipotesi di impiego di lavoratori in assenza di permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 17 o per le ipotesi in cui il permesso, benché rilasciato, sia successivamente scaduto, revocato o annullato e non ne sia stato richiesto nei termini il rinnovo. Nelle medesime ipotesi, si prevede altresì l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 12 ter, 12 quater e 12 quinquies dell’art. 22.
Le stesse sanzioni si applicano, ai sensi dell’art. 27 sexies, co. 16, nelle ipotesi di impiego di uno o più lavoratori stranieri il cui permesso di soggiorno per trasferimento intra-societario rilasciato da altro Stato membro sia successivamente scaduto, revocato o annullato e non sia stato richiesto entro novanta giorni dall'ingresso in Italia il nulla osta di cui al comma 4 del medesimo articolo.
Soggiorno
Rilascio del permesso di soggiorno per minore età anche in mancanza di passaporto o documento equipollente
La circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia degli stranieri del 24 marzo 2017, n. 400 ha chiarito che le questure possono rilasciare il permesso di soggiorno per minore età, anche in mancanza del passaporto o di altro documento equipollente qualora essi non siano nella immediata disponibilità, in analogia con gli espliciti casi di deroga individuati dal legislatore e nel rispetto del principio del superiore interesse del minore.