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Fascicolo 1, Marzo 2024


«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali",

significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte,

"socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali».

Antonio Gramsci

 

Editoriale

È ormai dal 24 febbraio di quest’anno che l’Europa è scossa da un sanguinoso conflitto, tra gli enormi costi e sacrifici umani, che si accompagnano a qualsiasi guerra. L’invasione dell’Ucraina ha riproposto alle coscienze europee, troppo spesso dimentiche del passato, immagini di persone in fuga da bombe, persecuzioni, violenze e torture. Temi noti quali la solidarietà, la protezione e l’accoglienza si sono riproposti in modo imperioso e drammatico. La ripartizione degli oneri causati da tale fenomeno e l’attraversamento delle frontiere, per anni oggetto di dibattito politico (spesso strumentale) o di semplice analisi tra studiosi, hanno assunto una dimensione concreta, esigendo risposte rapide e appropriate.
L’opinione pubblica europea ha reagito con unanime sostegno, che si è riflesso nella risposta dell’Unione europea a favore di un orientamento (finalmente) condiviso e unitario.
I “numeri” di questa fuga dall’Ucraina sono impressionanti. Come è stato posto in luce dal coordinatore delle Nazioni Unite per la crisi ucraina, «in poco più di tre mesi, quasi quattordici milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire dalle loro case»: si tratta di «una dimensione e una velocità di spostamento mai viste nella storia». Tra gli sfollati, circa settemilionitrecentomila hanno abbandonato il Paese. Anche se oltre due milioni, nel frattempo, hanno preferito fare ritorno (in qualche caso è un rientro temporaneo, al solo scopo di visitare i familiari), ancora circa quattro milioni di profughi ucraini risultano registrati nell’Unione europea. A metà giugno i flussi di arrivo, per quanto un poco ridimensionati rispetto al periodo iniziale, sono ancora sostenuti: circa cinquantamila persone continuano quotidianamente a lasciare il Paese. Insomma, in qualche mese ha fatto ingresso nell’Unione europea più del doppio delle persone giunte complessivamente nel biennio 2015-2016 (in gran parte siriani in fuga dalla guerra), durante la c.d. crisi dei migranti. Per meglio comprendere il fenomeno attuale, basti ricordare che tali flussi furono considerati di proporzioni talmente insostenibili da mettere in discussione lo stesso processo di integrazione europea, al punto che molti Stati membri minacciarono di erigere muri lungo le frontiere per arrestarne gli arrivi.
Si presentano, oggi, elementi indiscutibili quali la gravità del conflitto, l’enorme perdita di vite umane (decine di migliaia tra soldati e civili), la distruzione di villaggi, di città: ma altrettanto indiscutibili sono, oggi, gli interrogativi sul tema della gestione della migrazione in Europa. La risposta, sorprendentemente rapida e coesa dell’Unione europea, che finalmente ha dato attuazione ad una direttiva mai utilizzata per vent’anni (e di cui era già stata prospettata l’abrogazione nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo del 2020), ha acceso il dibattito e ha portato ad interrogarsi sul futuro della politica europea di asilo e su un possibile cambio di paradigma, rispetto all’approccio restrittivo che sempre più ne ha caratterizzato l’evoluzione, soprattutto dal 2016.
Con l’intento di fronteggiare, in tempi rapidi, la situazione senza precedenti nel secondo dopoguerra in Europa, i ministri dell’interno di ventisei Stati membri (la Danimarca esclusa, poiché ex artt.1 e 2 del protocollo n. 22, allegato ai Trattati, non partecipa all'adozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma della parte terza, titolo V, Tfue), nel corso della riunione del Consiglio dell’Unione europea svoltasi a Bruxelles il 4 marzo, hanno dato attuazione alla direttiva sulla «protezione temporanea», approvando in un paio di giorni, all’unanimità, la decisione di esecuzione (UE) 2022/382. Assumendo come base giuridica l’art. 63, punto 2, lettere a) e b) TCE (oggi art. 78 Tfue), la direttiva 2001/55/CE, adottata il 20 luglio 2001, aveva istituito una procedura di carattere eccezionale che garantisce, proprio nei casi di afflusso massiccio, o di imminente afflusso massiccio, di sfollati provenienti da Paesi terzi, che non possono rientrare nel loro Paese d'origine, una tutela immediata e temporanea, da utilizzare (in particolare) qualora vi sia il rischio che il sistema d'asilo non possa far fronte a tale afflusso senza effetti pregiudizievoli per il suo corretto funzionamento.
Tutti gli Stati membri hanno convenuto sull’opportunità di applicare la protezione temporanea ai cittadini ucraini in fuga dalla guerra; tuttavia i Paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e l’Austria si sono, invece, opposti ad un’ulteriore estensione. La decisione approvata costituisce, quindi, l’esito di un compromesso rispetto alla proposta della Commissione, che ne aveva previsto l’applicazione anche ai cittadini di Paesi terzi o apolidi legalmente residenti in Ucraina e che non fossero in grado di ritornare in condizioni sicure e durevoli nel Paese o regione d'origine (tale ultimo requisito, neppure applicabile ai soggiornanti di lunga durata in Ucraina). Nel testo finale, la protezione temporanea si applica, invece, solo ai cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e agli apolidi e cittadini non ucraini che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, se sfollati dall'Ucraina a partire da tale data, e ai loro familiari. La facoltà, rimessa agli Stati membri, di estenderla ad ulteriori categorie ha dato vita ad un sistema a geometria variabile. Insomma, se qualche Stato membro è stato più generoso (per esempio la Spagna, il Portogallo, la Slovenia e il Lussemburgo hanno esteso la protezione temporanea anche ai cittadini di Paesi terzi, residenti di breve durata in Ucraina, mentre la Germania e la Finlandia l’hanno applicata anche ai cittadini ucraini già residenti prima del 24 febbraio che non possono far ritorno nel loro Paese), la gran parte, tra cui l’Italia, si è attenuta alle prescrizioni minime. Un tema di rilievo, dato l’alto numero di lavoratori e studenti universitari stranieri nel Paese, per i quali sono stati peraltro denunciati trattamenti discriminatori e gravi difficoltà nel lasciare il Paese, così confermando il permanere di una duplicità di approccio nei confronti dei profughi europei e non europei.
È, invece, positivo che gli Stati membri abbiano convenuto (seppur con una dichiarazione allegata alla decisione 2022/382) di non applicare l’obbligo di riammissione (art. 11, dir. 2001/55/CE) del titolare di protezione temporanea, nel territorio dello Stato membro che l’ha rilasciata, qualora questi soggiorni o tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro Stato membro nel periodo previsto dalla decisione del Consiglio. Si può ritenere, questo, un modo di attuare de facto (nella decisione non è stato previsto alcun meccanismo di ricollocamento) una redistribuzione delle persone, anche in considerazione della circostanza che dal 2017 i cittadini ucraini sono esentati dall’obbligo del visto di breve durata, a condizione che dispongano di un passaporto biometrico, e hanno il diritto di circolare liberamente all'interno dell'Unione per un periodo di novanta giorni. È stata così lasciata a loro, e non agli Stati membri o ad astratti criteri di competenza, la scelta del Paese in cui stabilirsi. Un modo diverso ed unico, questo, per affrontare la ripartizione degli oneri, che in linea generale, come è ben noto, ha costituito uno degli ostacoli maggiori (e finora insuperabili) alla riforma del c.d. sistema Dublino. Nella pratica, tuttavia, la maggioranza dei cittadini ucraini in fuga si è concentrata nei Paesi limitrofi e soprattutto in Polonia (oltre un terzo degli ucraini nell’Unione europea), dove già si è verificata una significativa “diaspora”, favorita anche dalle somiglianze linguistiche (accomunate dall’appartenenza alla famiglia slava). Subito dopo la Polonia, il secondo Paese con il maggior numero di profughi ucraini è la Germania (quasi ottocentomila), confermando l’attrattività del Paese.
È evidente che ai cittadini ucraini sia stato offerto un trattamento particolarmente favorevole, dal momento dell’attraversamento delle frontiere (con la raccomandazione rivolta dalla Commissione agli Stati membri ad attenuare il rigore dei controlli alle frontiere esterne), al riconoscimento della protezione (sostanzialmente automatica in presenza dei requisiti ed in assenza di cause ostative e non sottoposta all’incertezza, anche di anni, quanto all’esito), alla possibilità di scelta del Paese di residenza, alle condizioni di accoglienza. Né le dimensioni e la rapidità dei flussi, né i costi associati (sono stati stimati oltre quaranta miliardi di euro nel 2022), né l’aumento della popolazione immigrata sembrano aver costituito un deterrente. Tante sono le cause ipotizzate per questo diverso trattamento (sociologiche e culturali, strategiche e politiche): resta comunque la differenza di trattamento riservata ai cittadini di altri Paesi, pur in presenza di famiglie con bambini, e quindi di elementi che giustificherebbero un trattamento più favorevole. Circostanze, queste, che dovrebbero far riflettere, se si considera che, come ha dichiarato l’UNHCR in occasione della giornata del rifugiato 2022, a maggio il numero di persone costrette a fuggire dalle loro case ha raggiunto la soglia dei cento milioni (raddoppiate in soli dieci anni), evidenziando che cause principali sono l'insicurezza alimentare a livello mondiale, la crisi climatica, la guerra in Ucraina, ma anche altre emergenze dall'Africa all'Afghanistan. L’applicazione di questa forma di protezione è stata, sostanzialmente, una scelta politica, alla cui base vi sono valutazioni di sicurezza e politica estera, e non solo umanitarie.
Questo è del resto evidente nella decisione della Danimarca che, pur essendo libera in virtù della ricordata clausola di opt-out, ha approvato una legge ad hoc (con effetto dal 17 marzo) che rispecchia la direttiva tranne che per alcuni profili (gli apolidi provenienti dall'Ucraina non sono inclusi, e il permesso è concesso inizialmente per due anni, con possibilità di estensione per un ulteriore anno). La conferma di tale orientamento politico emerge anche dalla decisione, a seguito del recente referendum del 1° giugno (approvato a larga maggioranza e annunciato a marzo, subito dopo l’invasione dell’Ucraina), di aderire alla politica di sicurezza e difesa comune dell’UE, da cui era rimasta fuori per oltre trent’anni (art. 5, protocollo n. 22, allegato ai Trattati).
L’aumento costante e sostenuto delle migrazioni forzate dovrebbe comunque imporre un ripensamento complessivo delle politiche europee di immigrazione, favorendo, in primo luogo, l’ampliamento dei canali di accesso legali. Alcune proposte, anche in chiave comparata, sono contenute in contributi pubblicati in questo numero della rivista, che affronta anche le criticità dei controlli di frontiera alla luce del quadro giuridico, nazionale, europeo ed internazionale.
Quanto al primo aspetto, il contributo di C. Siccardi opera un’ampia ricognizione delle misure di ingresso protetto in Europa (i reinsediamenti e i visti umanitari, i corridoi umanitari; le iniziative introdotte da alcuni Stati membri, in particolare da Francia, Spagna e Germania). L’analisi pone l’attenzione sugli aspetti positivi e sulle criticità di tali misure, soprattutto alla luce delle emergenze umanitarie più recenti in Afghanistan e Ucraina. Il contributo di L. Galli si concentra su alcune ipotesi di privatesponsorship. In particolare, è operato un raffronto tra il modello italiano dei corridoi umanitari, ancora in fase embrionale, e l’attuale PSR (Private Sponsorship of Refugees) Program canadese, frutto invece di un’esperienza ultra-quarantennale. L’introduzione di modalità di ingresso protette per motivi umanitari, specie ove sia sostenuto da enti o soggetti che ne favoriscano l’accoglienza, costituisce un aspetto cruciale per assicurare una protezione effettiva, nell’auspicio che l’apertura dimostrata nei confronti di una popolazione certamente bisognosa non costituisca un unicum, in una (immaginaria) scala dei presupposti di fuga.
L’approccio restrittivo che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi anni, e che ha trovato una sua concretizzazione soprattutto in relazione ai controlli delle frontiere, si è manifestato in molte proposte legislative recenti (si pensi, in particolare, alle proposte contenute nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo del 2020 e alle proposte di riforma di Schengen e di contrasto alla c.d. strumentalizzazione dei migranti del 2021) e in pronunce di giudici nazionali ed europei. Significativi in proposito sono i commenti di I. Papanicolopulu e F. L. Gatta. Nel primo caso si esamina la decisione del dicembre 2021, con cui il GIP di Agrigento ha deciso in via definitiva le vicende giudiziarie sorte in seguito all’ingresso della nave Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa nel giugno 2019, disponendo l’archiviazione dell’ultimo procedimento pendente a carico del comandante della nave Carola Rackete. Il commento si concentra sugli aspetti della decisione che riguardano l’interpretazione e l’applicazione di norme del diritto del mare, esaminando, in particolare, l’obbligo di salvare vite umane in mare come scriminante per una condotta, altrimenti penalmente illecita, nonché i limiti che incontra lo Stato costiero nel disporre una restrizione del diritto di passaggio inoffensivo nel proprio mare territoriale. Il secondo commento attiene alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso M.H. e altri c. Croazia, che ha constatato le gravi violazioni del diritto europeo ed internazionale, lungo la c.d. rotta balcanica. Muovendo dall’analisi del quadro normativo e della prassi applicativa, il contributo di G. Del Turco indaga, inoltre, sul concreto atteggiarsi del due process amministrativo nei procedimenti volti al rilascio delle autorizzazioni per l’ingresso nell’area Schengen (il visto d’ingresso e la nuova autorizzazione elettronica ETIAS per i viaggiatori esenti dal visto).
Altri temi affrontati in questo numero riguardano i profili di carattere sociale: la giurisprudenza costituzionale sulle prestazioni sociali a favore degli stranieri residenti (E. Longo), i presupposti per ottenere il reddito di cittadinanza (P. Brambilla), le innovazioni intervenute nel 2022 nella disciplina delle prestazioni sociali, con riferimento ai criteri di accesso dei cittadini di Paesi terzi, esaminando in particolare il nuovo testo dell’art. 41 TU immigrazione e l’istituto dell’assegno unico universale per figli a carico (A. Guariso). Altri contributi si soffermano su questioni di carattere umanitario: la tratta degli esseri umani, approfondendo il principio di non punibilità delle vittime (D. Mancini), la valutazione dell’intensità degli scontri ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria (A. Guerrieri).
Cittadinanza e condizione dello straniero sono oggetto d’esame per alcuni profili interessanti, quali l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione (C. Cudia) e il processo penale allo straniero a margine della c.d. riforma Cartabia (L. Rosa). Altro profilo, di carattere processuale, riguarda l’autentica di firma e certificazione della data per i ricorsi in Cassazione in materia di protezione internazionale, oggetto di esame da parte della Corte costituzionale (sentenza 13/2022, commento di G. Famiglietti).
Questo numero della rivista è ricco di contributi che abbracciano l’ampio spettro di indagine e studio che essa si propone fin dalla sua nascita: immigrazione, asilo, cittadinanza nel quadro della tutela dei diritti fondamentali a livello interno, internazionale ed europeo. Un motivo in più per leggere la rivista e riflettere.

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Rubrica di Questione Giustizia & Diritto, Immigrazione e Cittadinanza

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