Osservatorio italiano

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Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali

1. Determinazione delle quote di ingresso per lavoro per il 2022/2023. Profili di criticità nelle analisi ASGI

Il d.p.c.m. del 29.12.2022 (pubblicato in G.U. Serie generale n. 21 del 26.01.2023) disciplina la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2022.

Sono ammessi in Italia:

- per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini stranieri residenti all’estero entro una quota complessiva massima di 82.705 unità;

- per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini stranieri residenti all’estero entro una quota di 38.705 unità.

Sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi, dell’edilizia, turistico-alberghiero, della meccanica, delle telecomunicazioni dell’alimentare e della cantieristica navale, 30.105 cittadini dei Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria, così ripartiti:

a) n. 24.105 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Georgia, Ghana, Giappone, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina;

b) n. 6.000 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Paesi con i quali nel corso dell’anno 2023 entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria.

Sono ammessi in Italia 1.000 cittadini stranieri residenti all’estero, che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine. È inoltre consentito l’ingresso in Italia, nell’ambito della quota prevista per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, di 100 lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Venezuela.

È autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di:

a) n. 4.400 permessi di soggiorno per lavoro stagionale;

b) n. 2.000 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;

c) n. 200 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea.

È inoltre autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di:

a) n. 370 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;

b) n. 30 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea.

È consentito l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo, nell’ambito della quota prevista all’art. 2, di 500 cittadini stranieri residenti all’estero, appartenenti alle seguenti categorie:

a) imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana, che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro;

b) liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate oppure non regolamentate, né vigilate, oppure non regolamentate, ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni e che rilasciano un attestato di qualità dei servizi e di qualificazione professionale dei soci;

c) titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo;

d) artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850;

e) cittadini stranieri che intendono costituire imprese «start-up innovative», in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.

Sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini stranieri residenti all’estero entro una quota di 44.000 unità.

È riservata una quota di 1.500 unità per i lavoratori stranieri, cittadini dei Paesi che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.

È inoltre riservata per il settore agricolo, una quota di 22.000 unità ai lavoratori stranieri, cittadini dei Paesi indicati all’art. 3, comma 1, lettera a), le cui istanze di nulla osta all’ingresso in Italia per lavoro stagionale anche pluriennale, siano presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e Confcooperative). Tali organizzazioni assumono l’impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori fino all’effettiva sottoscrizione dei rispettivi contratti di lavoro, ivi compresi gli adempimenti di comunicazione previsti dalla normativa vigente.

Le domande possono essere presentate dalle ore 9,00 del 24.03.2023 fino a concorrenza delle rispettive quote o, comunque, entro il 31.12.2023.

Trascorsi 120 giorni dalla data di pubblicazione del decreto, qualora il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilevi quote significative non utilizzate tra quelle previste dal presente decreto, può effettuarne una diversa suddivisione sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro, fermo restando il limite massimo complessivo.

Rilievi critici dell’ASGI

Le c.d. “quote” stanziate per il 2023 per motivi di lavoro subordinato non stagionale appaiono molto esigue rispetto alla domanda del mercato del lavoro: appena 30.105 e sono riservate esclusivamente ai cittadini provenienti da Paesi che hanno stipulato o stanno per perfezionare accordi di cooperazione con l’Italia (ad es. non sarebbe possibile assumere uno statunitense o un brasiliano), ma soprattutto sono utilizzabili solo in determinati comparti (autotrasporto merci per conto terzi, edilizia, turistico-alberghiero, meccanica, telecomunicazioni, alimentare e cantieristica navale). Restano assenti il lavoro domestico (contrassegnato da un sommerso assolutamente prevalente), ampi settori della manifattura e anche l’agricoltura (consentito l’ingresso solo per lavoro stagionale).

Appare difficile utilizzare le modestissime quote (4.400) per la conversione del permesso di soggiorno – ovvero la stabilizzazione a tempo indeterminato – di un lavoratore agricolo stagionale. Del tutto risibili, future e incerte sono le quote di ingresso per i lavoratori formati all’estero.

Occorre poi considerare le tempistiche per gli adempimenti burocratici, che talvolta appaiono inutili, come per la stipula del famoso “contratto di soggiorno”, che impegna tempo e risorse dell’amministrazione.

L’assunzione dall’estero è poi consentita dalla legge solo se si dimostra che il lavoratore straniero non si trovi in Italia, dove però spesso manca la manodopera.

Tale gestione ostacolata appare pure complicata con specifiche disposizioni riguardanti il requisito della “previa indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale”.

È infatti imposta la dimostrazione, da parte del datore di lavoro interessato all’assunzione di lavoratori stranieri residenti all’estero – tranne che per lavoro stagionale – di aver previamente esperito la verifica, presso il Centro per l’impiego competente, dell’indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale.

Tale previa verifica dovrà essere effettuata prima della proposizione della domanda di nulla osta (anche prima che inizi a decorrere il termine per la presentazione delle domande di nulla osta).

Tale domanda potrebbe risultare ammissibile solo dopo che il datore avrà autocertificato, alternativamente:

a) l’assenza di riscontro, da parte del Centro per l’impiego, circa l’individuazione di uno o più lavoratori rispondenti alle caratteristiche richieste, decorsi quindici giorni lavorativi dalla richiesta di personale da parte del datore di lavoro;

b) la non idoneità del lavoratore accertata dal datore di lavoro prima della richiesta di nulla osta;

c) la mancata presentazione, senza giustificato motivo, a seguito di convocazione dei lavoratori inviati dal Centro per l’impiego al colloquio di selezione, decorsi almeno venti giorni lavorativi dalla data della richiesta di personale da parte del datore di lavoro al Centro per l’impiego.

Si tratta di una procedura già prevista dall’art. 22 d.lgs. n. 286/1998 fin dal 2013, che finora era però semplificata nella prassi per salvare le apparenze, come si trattasse di un modulo in più per il Centro per l’impiego destinato a rimanere senza risposta.

Ora si vuole invece enfatizzare con l’aggiunta di un sub procedimento preliminare per far vedere l’indisponibilità di altri lavoratori italiani o stranieri, proprio mentre tutti gli operatori del settore sanno benissimo che è destinata a complicare gli adempimenti ed allungare la tempistica.

Tutto ciò non influisce sulle scelte operate nel mercato del lavoro, poiché sono note l’indisponibilità di manodopera nazionale per i settori di più tradizionale impiego di persone straniere, la predominanza dell’assunzione nominativa “ad personam” e le scarse capacità di incrocio domanda/offerta da parte dei Centri per l’impiego.

Questi adempimenti si aggiungono alla previgente disciplina della procedura autorizzativa, che è stata riformata col d.l. n. 73/2022, a sua volta modificato dal d.l. n. 198/2022 (art. 9 comma 2), ma si tratta di una semplificazione solo apparente che presenta forti criticità.

Vi si prevede per i soli decreti per gli anni 2021 e 2022, un termine di 30 giorni per il rilascio del nulla osta da parte degli Sportelli unici (sia pure senza attendere oltre detto termine il parere della questura), ma non essendo previsto un silenzio-assenso, il rilascio continuerà ad essere condizionato dall’immutata scarsità organizzativa e di risorse degli uffici preposti.

D’altro canto, si demanda in via esclusiva ai consulenti ed alle associazioni datoriali di categoria, oltre alle condizioni contrattuali di lavoro, di asseverare in particolare la capacità finanziaria del datore di lavoro in relazione alle previste assunzioni, ma si esenta da tale asseverazione le istanze presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che avranno sottoscritto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito protocollo di intesa (da cui dovrebbe scaturire una incondizionata quanto astratta affidabilità delle pratiche).

È noto come tale valutazione – finora rimessa ad una superficiale valutazione discrezionale degli uffici – sia in realtà estremamente complessa e soprattutto aleatoria, in quanto condizionata da molteplici fattori, ma ora la devoluzione di tale asseverazione si traduce in uno scarico di responsabilità sui consulenti, che è ancora più gravoso se si considera che non sono stati adottati parametri o indicazioni di sorta cui attenersi al riguardo, sicché esclusi i professionisti compiacenti che talvolta assistono aziende poco trasparenti, i consulenti seri avranno comprensibili resistenze ad assumersi il rischio evidente della relativa responsabilità (anche penale, in relazione al potenziale carattere mendace delle stesse).

È poi degno di nota come si pretenda di contrastare la tratta ed il caporalato nel settore agricolo stagionale confidando – non si sa se ingenuamente o ipocritamente – nella partecipazione delle organizzazioni professionali dei datori di lavoro al procedimento di assunzione dei lavoratori, riservando alle istanze di nulla osta al lavoro presentate da tali organizzazioni una larga parte della quota stabilita per il lavoro stagionale (ben la metà del totale di 44.000). È una partecipazione che può favorire la sottoscrizione di quote associative, ma che è comunque complicata sotto il profilo pratico (si ricordano i problemi sorti con i “blocchi” conseguenti all’invio di domande aggregate per diverse imprese, oltre al conflitto di interessi nell’ordine cronologico di caricamento) e che appare soprattutto inutile, perché nulla di per sé impedisce che cooperative o SRL prive di terra si iscrivano a tali organizzazioni e ne ricevano i servizi, anche perché dopo la comunicazione di assunzione non sono certo obbligate a far gestire a tali enti le buste paga ed i contributi, fermo restando che non risulta che le organizzazioni di categoria abbiano tanto spesso denunciato un loro iscritto per grave sfruttamento.

Una più genuina volontà di contrasto allo sfruttamento (e alle evasioni fiscali e contributive) deriverebbe se fosse resa operativa la possibilità di incrocio dei nulla osta per lavoro agricolo stagionale con i dati INPS sulle giornate di lavoro che poi vengono ufficialmente dichiarate dalle stesse aziende, prescrivendo ispezioni mirate verso le aziende che ne dichiarano una quantità infima rispetto alle lavorazioni da svolgere ed alle risorse umane ingaggiate.

 

2. La nuova disciplina degli ingressi delle navi che svolgono attività di ricerca e soccorso di migranti. Profili di legittimità. L’analisi critica dell’ASGI

Il d.l. 2.01.2023, n. 1. convertito in legge, con modificazioni, nella l. 24.02.2023, n. 15 (pubblicata in G.U. n. 52 del 2.3.2023) prevede «Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori», ma in realtà contiene norme che consistono soltanto in modifiche ed integrazioni all’art. 1, co. 2, del d.l. 21.10.2020, n. 130, convertito con modificazioni nella l. 18.12. 2020, n. 173.

L’art. 1 del decreto sopprime il secondo ed il terzo periodo dell’art. 1, co. 2, d.l. n. 130/2020 ed inserisce, nell’ambito dello stesso art. 1, i nuovi commi da 2-bis a 2-septies.

Nella relazione di accompagnamento del decreto-legge si evidenzia che l’intervento «si propone di contemperare l’esigenza di assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare, nel rispetto delle norme di diritto internazionale e nazionale in materia, con quella di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica, in conformità alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay, del 1982».

Le nuove norme stabiliscono, come quelle previgenti, che il Ministro dell’interno non possa esercitare il potere limitativo all’ingresso, al transito e alla sosta nei confronti delle navi che abbiano effettuato una operazione di ricerca e salvataggio di persone in mare qualora le pertinenti attività siano «immediatamente comunicate al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, ratificato e reso esecutivo con l. 16.03.2006, n. 146».

Tuttavia, il nuovo comma 2-bis dell’art. 1 d.l. n. 130/2020 attua una specie di “interpretazione autentica” delle citate disposizioni convenzionali, autorizzando l’emanazione di direttive governative, con le quali impedire il citato transito o la sosta, allorquando l’operato delle navi soccorritrici non sia conforme ad alcune specifiche condizioni che devono avverarsi congiuntamente e in maniera concorrente con dette comunicazioni.

Le condizioni che escludono il potere di intervento limitativo del Governo, seguendo l’indicazione delle lettere del citato comma 2-bis, sono:

a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo;

b) sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità;

c) è stata richiesta, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco;

d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso;

e) sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere;

f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo, né hanno impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

Nel caso in cui anche solo una di tali condizioni non sia ritenuta soddisfatta potrà essere emanata la direttiva ministeriale limitativa di transito e/o sosta nelle acque territoriali italiane.

Le conseguenze che derivano dalla violazione anche di una sola delle indicate condizioni sono indicate nei commi 2-ter e ss. inseriti dal nuovo decreto-legge nell’art. 1 d.l. n.130/2020.

Innanzitutto, l’art. 1, comma 2-ter prevede che, in ogni caso, «Il transito e la sosta di navi nel mare territoriale sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità»; ma, in caso di violazione del divieto di transito e/o sosta adottato con il provvedimento interministeriale, il/la comandante della nave sarà ritenuto responsabile di illeciti amministrativi, unitamente al proprietario ed all’armatore della stessa, e incorrerà in specifiche sanzioni.

Profili di legittimità

1) Le nuove norme introdotte dal d.l. n. 1/2023 devono essere interpretate e applicate in modo conforme alle norme costituzionali, internazionali ed europee:

a) sia perché lo prevedono le stesse norme del d.l. (che prevedono un comma 2-bis che non è innovativo, ma riproduce il medesimo riferimento alle stesse norme costituzionali, internazionali ed europee che erano già indicate nella disposizione del d.l. n. 130/2020 che il d.l. n. 1/2023 abroga e che pertanto in caso di non conversione in legge del decreto-legge o di dichiarazione di illegittimità costituzionale del d.l. per evidente mancanza di requisiti costituzionali del d.l. tornerebbe in vigore);

b) sia perché le norme del nuovo d.l. non modificano il primo periodo del comma 2 dell’art. 1 d.l. 130/2020 che esige che l’eventuale decreto ministeriale di interdizione all’ingresso di navi per motivi di ordine e sicurezza pubblica debba comunque rispettare la Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay;

c) sia perché l’interpretazione conforme alle norme costituzionali, internazionali ed europee è indispensabile alla luce dell’adattamento automatico dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto previsto dall’art. 10, comma 1 Cost. e dell’art. 117, comma 1 Cost. (la potestà legislativa statale e regionale ha come limite la Costituzione e gli obblighi internazionali ed europei).

Ciò comporta almeno due conseguenze nella lett. d) del comma 2-bis del d.l.:

1) Il “porto di sbarco” deve essere comunque un “porto sicuro”, cioè quello menzionato dalle norme internazionali, il quale deve essere assegnato secondo i criteri indicati nelle raccomandazioni e linee guida dell’IMO e dell’UNHCR e non già in modo discrezionale;

2) raggiungere il porto di sbarco “senza ritardo” deve essere attività svolta in modo conforme all’obbligo inderogabile e previsto da norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che esige che ogni nave salvi qualsiasi persona in mare e dunque non può comportare alcun impedimento diretto o indiretto ad adempiere a tale obbligo e nessuna sanzione è irrogabile allorché il ritardo derivi dall’adempimento dell’obbligo internazionale inderogabile di soccorrere nuovi naufraghi che si trovino sulla rotta o comunque qualora la nave soccorritrice sia la più vicina alle nuove persone naufraghe o allorché i ritardi derivino da forza maggiore (come le condizioni meteomarine avverse) o da situazioni collegabili ai naufraghi trasportati (rivolte, problemi di salute che necessitano immediato trasporto e ricovero) o da guasti della nave o da sequestri da parte di altre navi.

Dunque, il d.l. non prevede un divieto di soccorsi plurimi che violerebbe le norme internazionali che impongono comunque di soccorrere subito qualsiasi persona si trovi in mare per qualsiasi motivo, perché altrimenti la sua vita è in concreto pericolo.

Peraltro, l’interpretazione e applicazione degli obblighi costituzionali, internazionali ed europei non può neppure essere ostacolata da norme nazionali (come quelle del d.l.) che ne subordinino l’adempimento a condizioni o modalità previste dalle disposizioni che siano a loro volta contrarie a norme costituzionali, internazionali ed europee.

Dunque, le norme nazionali italiane non possono imporre obblighi non previsti da norme internazionali a navi non italiane che si trovino nel mare internazionale (come quello di dare informazione ai salvati sulle procedure di protezione internazionale), che sono soggette alle leggi dello Stato di bandiera.

A tale proposito il d.l. va coordinato col resto dell’ordinamento giuridico. Infatti, invece che le navi di soccorso (come la sentenza Hirsi della CEDU ha accertato ricordando che il personale delle navi non ha preparazione e non ha interpreti adeguati) si deve trattare di persone qualificate: a) nel d.lgs. n. 25/2008 sono la polizia di frontiera e le Questure e le organizzazioni qualificate alle frontiere e nei Centri di accoglienza, b) l’art. 10-ter d.lgs. n. 286/1998 prevede già operazioni informative svolte nei punti di crisi (Hotspot) e nelle Questure, indicati come punti informativi pubblici che devono informare sull’accesso alle procedure di protezione internazionale

Inoltre, gli obblighi internazionali rilevanti devono derivare da norme del diritto internazionale generalmente riconosciute o da Trattati o Convenzioni internazionali di cui sia stata autorizzata la ratifica con legge ai sensi dell’art. 80 Cost. e non certo con accordi in forma semplificata, trattandosi di materie di natura politica o che comportano oneri alle finanze e modificazioni di legge, anche in forma di interpretazione/applicazione e di applicazione giudiziaria differenziata a seconda del Paese di provenienza.

In tal senso tutti gli accordi di riammissione finora conclusi in Italia sono stipulati in forma semplificata, ma dovrebbero essere rinegoziati e sottoposti a legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost.

Infine, le riserve di legge in materia di prestazioni personali e patrimoniali (art. 23 Cost.) e di organizzazione della pubblica amministrazione previste nell’art. 97 Cost. suscitano gravi dubbi di legittimità costituzionale di quelle nuove norme legislative che lasciano un’eccessiva discrezionalità amministrativa e non prevedono

a) una graduazione dell’entità delle sanzioni amministrative sulla base della gravità delle violazioni (sent. n. 112/2019 della Corte costituzionale ha ribadito la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti);

b) i criteri che l’autorità deve usare e ponderare per individuare il porto sicuro (che dovrebbero comunque fondarsi sulle raccomandazioni e le linee guida adottate dall’IMO, da UNHCR, dagli organismi del Consiglio d’Europa);

c) tempi e modi tassativi affinché le varie autorità competenti assegnino un porto sicuro di sbarco subito dopo che abbiano ricevuto la segnalazione delle operazioni di soccorso effettuato.

L’analisi critica dell’ASGI

La sequenza procedurale immaginata dal d.l. non appare chiara e sembra più il frutto di un approccio ideologico che non una scelta derivante da accurata analisi giuridica. Molte tra le condizioni poste quale corretto comportamento delle imbarcazioni (in particolare quelle di cui alle lett. a), ultima parte, b), d), in parte e) – con riferimento alle informazioni fornite agli organi di pubblica sicurezza dopo lo sbarco) sono verificabili concretamente solo ad attracco e sbarco avvenuti e dunque, è impossibile utilizzarle quale ragione giustificativa del divieto di transito o sosta nelle acque territoriali, ma appaiono utili, eventualmente, solo per la comminazione delle nuove sanzioni ora introdotte.

La violazione delle altre condizioni (quelle di cui alle lettere c) ed e) – con riferimento alle informazioni fornite alle autorità di coordinamento delle attività di ricerca e soccorso – ed f) potrebbe, almeno teoricamente, portare alla emanazione del divieto di sosta o transito nelle acque territoriali italiane, il che comporta la difficile scelta in capo al/alla capitano/a della nave tra adempiere al divieto non entrando nelle acque italiane ovvero violarlo, con la conseguenza che, nel primo caso, metterebbe a rischio la vita delle persone salvate e nel secondo caso si esporrebbe alle sanzioni previste dal decreto-legge.

Le condizioni poste al/alla comandante di un’imbarcazione che è obbligato dalla legislazione nazionale e convenzionale (oltre che dal diritto internazionale consuetudinario) a salvare la vita di chiunque si trovi in pericolo in qualsiasi parte del mare, confliggono sia con l’obiettivo delle Convenzioni internazionali in materia non solo di salvaguardia della vita propria ed altrui in mare, sia con molte altre Convenzioni internazionali in materia di tutela e rispetto dei diritti umani.

Va inoltre sottolineato che, al di là del contenuto specifico delle singole

condizioni previste, la norma tende ad imporre in termini generali e astratti, a navi battenti bandiera straniera che navigano in acque internazionali uno specifico comportamento sanzionando la violazione, in questo modo ponendosi in contrasto con il principio della giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera in acque internazionali.

L’obbligo di prestare soccorso a persone in pericolo in mare deriva dal diritto internazionale consuetudinario a cui l’ordinamento italiano si adatta automaticamente ai sensi dell’art. 10, comma 1 Cost. e dunque tale obbligo è una fonte superprimaria.

Lo stesso obbligo di natura consuetudinaria, tradizionalmente inteso come norma fondamentale del diritto del mare, è poi integrato, nell’ambito dello stesso ordinamento internazionale, dall’obbligo positivo di tutela della vita umana (diritto alla vita), anch’esso di natura consuetudinaria, oltre che oggetto di plurime statuizioni a livello internazionale.

L’Italia è vincolata all’obbligo di prestare soccorso dopo la ratifica di alcuni Trattati internazionali, i quali costituiscono parametro di legittimità della legislazione ordinaria ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

Si ricorda che le principali convenzioni internazionali e le norme e gli atti nazionali pertinenti in materia sono:

- la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e

atto finale, fatta a Montego Bay il 10.12.1982 (UNCLOS o CNUDM, in particolare l’art. 98, par. 1 e 2), nonché l’Accordo di applicazione della parte XI della Convenzione stessa, con allegati, fatto a New York il 29.07.1994, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 2.12.1994, n. 689;

- la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare, firmata a Londra il 1.11.1974 (SOLAS, 1974, in particolare il Capitolo V, regole 7 e 33), ratificata e resa esecutiva con legge 23.05.1980, n. 313;

- la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare e relativo allegato (Convenzione SAR firmata ad Amburgo il 27.04.1979, modificata con risoluzione MSC.70(69) adottata il 18.051998, resa esecutiva in Italia con legge 3.04.1989 n. 147). Convenzione integrata dagli emendamenti approvati dal Maritime Safety Committee (MSC), e dalle circolari emanate dal Facilitation Committee;

- il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25.10.1977, n. 881, in particolare l’art. 6, par. 1;

- gli artt. 69 e 70 del codice della navigazione (r.d. n. 327/1942), con riferimento all’obbligo dello Stato italiano e gli artt. 489 e 490 del codice della navigazione con riferimento all’obbligo del comandante della nave;

- il d.p.r. 28.09.1994 n. 662, regolamento di attuazione della legge n. 147/89 (di ratifica della Convenzione SAR di Amburgo);

- il decreto ministeriale 01.06.1978, Approvazione delle «Norme interministeriali per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso della vita umana in mare tra i vari organi dello Stato che dispongono di mezzi navali, aerei e di telecomunicazioni» e relativi allegati;

- il Piano nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare (Piano SAR nazionale), oggi contenuto nel decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti 4.02.2021, n. 45.

In estrema sintesi, l’art. 98, par. 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare impone allo Stato l’obbligo di esigere dai comandanti delle navi che battono la propria bandiera d prestare soccorso e dirigersi il più velocemente possibile verso il luogo in cui ci sono persone bisognose di soccorso in mare. L’obbligo di soccorrere persone in pericolo in mare è peraltro già previsto nel mare e nelle acque interne per ogni nave dagli artt. 489 e 490 del codice della navigazione, che prevede pure specifiche ipotesi di reato in caso di mancato rispetto di tale obbligo (in particolare art. 1113 cod. nav. – omissione di soccorso in caso richiesto dell’autorità marittima – e art. 1158 cod. nav. – omissione di assistenza a navi o persone in pericolo).

La normativa internazionale richiamata ha dunque lo scopo di impegnare sia gli Stati, sia i privati nel raggiungimento del chiaro obiettivo di salvaguardare la vita in mare di chiunque, indipendentemente dal proprio status personale e giuridico. La Corte di cassazione, inoltre, ricorda che «l’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”)» (Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, dep. 20 febbraio 2020, n. 6626).

Al fine di rispettare le chiare e inequivoche prescrizioni consuetudinarie e convenzionali in virtù degli artt. 10 e 117 Cost., la normativa interna non può dunque porre condizioni ulteriori, e con esse contrastanti, ai/alle comandanti delle navi e che non siano previste quale conseguenza diretta dell’applicazione delle citate convenzioni, né condizioni che possano limitare o ritardare i salvataggi ovvero che siano tali da fare insorgere il dubbio, nel/la capitano/a di una imbarcazione, su quale sia la scelta più conveniente nel caso specifico.

L’obbligo di soccorso è, infatti, inderogabile e non limitato e prescinde dalla qualifica soggettiva della persona soccorsa.

Già sotto questo profilo confliggono con la ratio della citata normativa le disposizioni del nuovo decreto-legge che pongano il/la comandante di un’imbarcazione nella scelta tra completare un salvataggio attraverso lo sbarco “senza ritardo” nel place of safety indicato dalle competenti autorità oppure non completarlo e rischiare in tale modo la vita di esseri umani e al contempo le sanzioni previste dal decreto-legge.

L’astratta possibilità di limitare il transito o la sosta nelle acque territoriali di uno Stato di una imbarcazione battente bandiera di uno Stato estero è prevista e regolamentata dall’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, conclusa a Montego Bay il 10.12.1982 (UNCLOS o CNUDM, conosciuta come Convenzione di Montego Bay), il quale individua il legittimo esercizio della sovranità di uno Stato nel mare territoriale, che però è limitato dall’esistenza del diritto di passaggio inoffensivo di cui godono gli altri Stati.

Le nuove norme, come le previgenti e, prima ancora, il d.l. n. 53/2018, trovano la propria (benché, errata) ragione giuridica nell’art. 19 Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che descrive in dettaglio la possibilità che uno Stato costiero consideri “non inoffensivo” (dunque pregiudizievole ai propri interessi) il transito di una imbarcazione straniera nel proprio mare territoriale.

Tale passaggio (offensivo, dunque) è quello che arreca pregiudizio a «la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero» e, dunque, può essere legittimamente limitato nei confronti delle navi che non battano bandiera dello Stato costiero contraente e che pongano in essere, per quanto di interesse in questa sede, attività di «carico o scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero» (art. 19, par. 2, lett. g).

Peraltro, le persone oggetto di salvataggio in mare sono giuridicamente naufraghi, prima che migranti e non certamente persone che entrano nel territorio nazionale in contrasto con la normativa sull’immigrazione (che all’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 prevede divieti di respingimento e all’art. 10, comma 3 non applica il respingimento a qualsiasi straniero pure entrato sprovvisto dei documenti per l’ingresso possano applicarsi le norme sul diritto di asilo). Pertanto gli status giuridici e le qualità personali delle singole persone salvate non possono essere considerati rilevanti nella attività del/della comandante di una nave, anche perché il loro status giuridico (che potrebbe essere quello di richiedenti protezione internazionale o comunque destinatari di altro tipo di protezione) può legittimamente essere accertato solo dalle competenti autorità successivamente allo sbarco, non certo nella immediatezza del salvataggio e non certo da parte di chi governa un’imbarcazione, sia pure dedita al soccorso in mare. In ogni caso, il passaggio attraverso le acque territoriali di una nave che, nell’adempimento di un obbligo previsto dalla stessa Convenzione (art. 98), ha effettuato un soccorso in mare e che si dirige verso un porto per condurre i naufraghi al place of safety assegnato dalle autorità competenti, è sempre e per definizione inoffensivo, perché altrimenti non avrebbe alcun senso quanto prevede l’art. 18, par. 2, della Convenzione di Montego Bay.

A tale situazione non potrebbe infatti in alcun caso essere applicata la lettera g) dell’art. 19 par. 2.

Le nuove norme dunque paiono violare le norme internazionali perché portano ad individuare come passaggio pregiudizievole dei valori posti alla base dell’art. 19 della Convenzione di Montego Bay non già quello di coloro che evidentemente fanno traffico di esseri umani, ma quello di coloro che svolgono attività di trasporto di persone salvate in mare a mezzo di attività che si vorrebbero qualificare «in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero» solo perché operate da una organizzazione umanitaria privata e non italiana. Conseguentemente l’esercizio dell’art. 19, par. 2, lett. g) della citata Convenzione deve rispettare specifici accorgimenti per evitare abusi di questa possibilità: la sospensione deve essere temporanea, deve riguardare solo zone specifiche, deve essere essenziale per la protezione della sicurezza dello Stato e, soprattutto, non deve essere discriminatoria, de jure o de facto, sicché sospensioni del diritto di passaggio inoffensivo che si applichino in tutto il mare territoriale di uno Stato o solo a determinate navi, identificate come gruppo (navi di ONG che prestano soccorso) o singolarmente (come implicano le notifiche previste dall’art. 2 del decreto) costituiscono chiara violazione dell’art. 25, par. 3, nonché abuso di diritto vietato dall’art. 300 CNUDM.

Pertanto, le norme nazionali italiane non possono interpretare le Convenzioni internazionali così da dilatarne o limitarne il contenuto, anche perché, ai sensi dell’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, «una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione di un Trattato».

Ed è proprio al fine di evitare la responsabilità internazionale dello Stato derivante da una violazione del Trattato per opera della legge interna che l’art. 117, comma 1 Cost. prevede gli obblighi internazionali come limite alla potestà legislativa.

Dunque, la base giuridica astratta dell’intervento normativo non può ritrovarsi nelle disposizioni convenzionali inerenti al “passaggio inoffensivo” rispetto alle attività delle navi soccorritrici.

I presupposti in presenza dei quali la nuova normativa ritiene non legittimo l’uso del potere limitativo all’ingresso o alla sosta in acque territoriali italiane da parte del Governo italiano sono che le operazioni di soccorso siano immediatamente comunicate al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera e siano effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità.

In linea teorica, tale previsione non fa altro che ribadire quanto già previsto dalle Convenzioni internazionali e dalle norme di recepimento ed esecuzione nel nostro ordinamento; anche in relazione all’obbligo di comunicazione. Tuttavia, la normativa riconosce al/alla comandante della nave un margine di discrezionalità nella valutazione delle priorità, che privilegia l’efficacia e la rapidità del salvataggio.

È poi evidente che, pur in mancanza di tali comunicazioni, l’esercizio del potere limitativo da parte dello Stato italiano non può mai essere automatico, ma deve comunque rispondere a motivi tali da fare agevolmente presumere che quella omissione sia stata determinata da un intento criminogeno o quanto meno elusivo degli obblighi di buona fede e correttezza da parte del/della comandante di una nave.

In ogni caso, la prassi dimostra che le navi delle ONG comunicano sempre immediatamente con i Centri di coordinamento marittimo dei Paesi afferenti alle aree SAR e in genere sono questi che non rispondono o non lo fanno tempestivamente.

Secondo il d.l. n. 1/2023, come convertito in l. n.15/2023, le navi devono adeguarsi anche alle ulteriori condizioni stabilite dalla norma al comma 2 bis e che ora si analizzano singolarmente:

a) la nave che effettua in via sistematica attività̀ di ricerca e soccorso in mare opera in conformità̀ alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità̀ dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché́ delle condizioni di vita e di lavoro a bordo.

Poiché tutte le navi di cui si parla possiedono i certificati statutari pertinenti rilasciati dallo Stato di bandiera, il problema che eventualmente si pone è quello della conformità della loro attività a tali certificazioni.

La norma sembrerebbe codificare una prassi amministrativa in uso a partire dai primi mesi del 2020, inaugurata dai precedenti governi italiani, allorquando le navi dedite ad operazioni di salvataggio sono state sistematicamente sottoposte ad ispezione secondo le procedure previste dal Memorandum di Parigi relativo al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo (MOU di Parigi), firmato a Parigi il 26 gennaio 1982. Tali procedure sono state poi riportate nella direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo. L’esito di tali controlli è stato, quasi sempre, il fermo della imbarcazione a causa della ritenuta non conformità del suo equipaggiamento alle attività di ricerca e soccorso svolte, in riferimento sia alle dotazioni di sicurezza della nave previste dalla Convenzione SOLAS, sia alle disposizioni attinenti la prevenzione dell’inquinamento marittimo previsti dalla Convenzione MARPOL del 1973 (Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi e protocollo sull’intervento in alto mare in caso di inquinamento causato da sostanze diverse dagli idrocarburi, con annessi, adottati a Londra il 2 novembre 1973, ratificati e resi esecutivi con l.29.09.1980, n. 662 ).

La sistematicità della prassi in uso da parte delle autorità italiane ha sviluppato un contenzioso innanzi ai giudici nazionali ed europei che si è concluso con la sentenza dell’1.8.2022 della CGUE resa nelle cause riunite 14/21 e 15/21 che ha stabilito che in sede di interpretazione della direttiva 2009/16 occorre tener conto della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare di cui tutti gli Stati membri sono parti (par. 91) e della Convenzione sul diritto del mare, la quale «prevale […] sugli atti di diritto derivato dell’Unione, dopodiché questi ultimi devono essere interpretati, per quanto possibile, conformemente alle disposizioni della Convenzione di cui trattasi» (par. 93 -94).

La CGUE ha specificato che «lo Stato di approdo può tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera sono, in pratica, utilizzate per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare, nell’ambito di un controllo diretto a valutare, sulla base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, l’esistenza di un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente, alla luce delle condizioni di gestione di tali navi.

Invece, lo Stato di approdo non può imporre che sia provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione» (par. 139); infine ha chiarito che lo Stato di approdo di una nave «può imporre azioni correttive determinate in materia di sicurezza, di prevenzione dell’inquinamento, nonché di condizioni di vita e di lavoro a bordo, purché tali azioni correttive siano giustificate dall’esistenza di carenze che rappresentano un evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente e che comportano l’impossibilità di navigare in condizioni idonee a garantire la sicurezza in mare. Siffatte azioni correttive devono altresì essere adeguate, necessarie e proporzionate a tal fine» (par. 159).

Sulla base di tale chiara sentenza, resa proprio nei confronti dell’Italia, è evidente che le certificazioni di cui tutte le navi delle ONG sono in possesso, e che sono quelle rilasciate dallo Stato di bandiera, permettono loro la navigazione e l’attività di soccorso senza che lo Stato di approdo possa in alcun modo contestare la conformità di quest’ultima attività alle certificazioni stesse.

In secondo luogo, tale condizione è prevista dalla nuova disposizione legislativa italiana soltanto per la «nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso». Tale prescrizione fa trasparire la volontà di criminalizzazione di una attività invece legittima portata avanti da soggetti indipendenti. Si tratta di prescrizione illegittima a livello costituzionale e internazionale: discriminare tra le condizioni di navigazione delle navi che operano attività di soccorso occasionali e quelle che se ne occupano sistematicamente viola le norme in materia di giurisdizione dello Stato di bandiera previste da UNCLOS e SOLAS e viola anche la libertà di associazione garantita dall’art. 18 Cost. e dall’art. 11 CEDU, perché le attività delle ONG a sostegno dei rifugiati, delle vittime del traffico di esseri umani e di altri migranti sono estrinsecazione di tale libertà. A livello internazionale ogni Stato ha l’obbligo di rispettare la libertà di associazione e cioè deve assumere provvedimenti per facilitarne il godimento e non certo per limitarla.

b) Sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità.

Tra gli obiettivi delle nuove norme vi sono quelli di estendere le prassi volte all’esternalizzazione dei controlli migratori alle imbarcazioni delle ONG umanitarie e di provare a radicare la competenza a decidere sulla eventuale domanda di protezione internazionale delle persone soccorse in capo allo Stato di bandiera della nave che ha effettuato il salvataggio. Questi intenti paiono, tuttavia, destinati a naufragare.

Anzitutto l’obbligo di prestare soccorso in mare (che grava su soggetti pubblici e privati) deve essere adempiuto «senza tener conto della nazionalità e dello status» della persona in pericolo «né delle circostanze nelle quali è stata trovata» (punto 2.1.10 Convenzione SAR) e dunque il completamento del soccorso, con il raggiungimento del porto sicuro, non può mai essere condizionato dalla qualificazione giuridica della persona salvata.

Inoltre, non è per nulla chiaro che cosa la norma voglia far scaturire (se non le sanzioni) dalla mancata attività ovvero dall’effettuata attività informativa.

Fermo restando che l’attività di informare una persona di qualsiasi suo diritto è sempre possibile e, nel caso, favorevolmente accettata, le nuove norme fanno conseguire una sanzione amministrativa (oltre che il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali) dalla mancanza di informativa e dalla mancata acquisizione di una manifestazione di interesse a presentare domanda di asilo.

In generale va considerato che, fuori dalle acque territoriali italiane, il/la comandante della nave è soggetto/a esclusivamente alle norme del suo Stato di bandiera.

Difatti l’art. 92 della Convenzione UNCLOS prevede che le navi che battono la bandiera di uno Stato «nell’alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva» e, come chiarito dall’art. 94, par. 2 lettera b) della stessa Convenzione, ogni Stato «esercita la propria giurisdizione conformemente alla propria legislazione, su tutte le navi che battono la sua bandiera, e sui rispettivi comandanti, ufficiali ed equipaggi, in relazione alle questioni di ordine amministrativo, tecnico e sociale di pertinenza delle navi».

Dunque, un divieto di transito o sosta nelle acque territoriali italiane non potrà mai derivare dall’omissione di informazioni avvenuta fuori dalle acque territoriali italiane, perché la norma italiana non è applicabile in quel contesto.

Se si volesse ritenere che il/la comandante di una nave (qualunque nave, a quel punto, anche una commerciale) sia tenuto/a a svolgere quella attività di informazione e che, in mancanza, il suo transito o la sua sosta nelle acque territoriali non sia consentito, significherebbe che quella omissione comporta per ciò solo che il transito di quella imbarcazione possa essere considerato offensivo perché arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero ai sensi dell’art. 19 Convenzione di Montego Bay, ma ciò è palesemente insostenibile, perché l’art. 18 della medesima Convenzione stabilisce che è comunque consentita la fermata e l’ancoraggio se, tra le altre ipotesi, «sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà».

D’altra parte, all’interno delle acque territoriali italiane, le autorità competenti in materia di ricezione e formalizzazione della domanda di asilo non sono certamente i/le comandanti delle navi (neanche quelle italiane). Perciò in questo modo, l’Italia non può addossare ad altri Stati europei la competenza a decidere su quelle domande.

Infatti, neanche le imbarcazioni italiane, incluse quelle della Marina militare o della Guardia costiera, hanno un obbligo di informativa e di acquisizione di domande di asilo. Esse, infatti, possono essere acquisite solo da “autorità competenti” ai sensi della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale; per lo Stato italiano competenti a ricevere la domanda o la manifestazione di volontà per il riconoscimento della protezione internazionale sono ovviamente autorità italiane, cioè innanzitutto la polizia di frontiera e/o le questure (artt. 3, 6, 26 e 28-bis d.lgs. n. 25/2008, di attuazione della citata Direttiva).

La Direttiva 2013/32 prevede, all’art. 4.2, che possano essere nominate autorità, diverse da quelle già stabilite, per l’autorizzazione all’ingresso ma solo in relazione a domande che l’autorità nazionale competente per l’esame della domanda (la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale) assoggetti alle cd. procedure di frontiera (art. 43 Direttiva e art 28-bis d.lgs. n. 25/2008).

In tutti i casi, trattasi di autorità nazionali italiane, che agiscono sul territorio italiano o alla sua frontiera sotto il controllo delle autorità italiane e pertanto al/alla comandante di una nave battente bandiera di Stato estero non potrà mai essere imposta una funzione pubblica (la ricezione delle manifestazioni di volontà) diversa da quella a cui è assoggettato/a dalla normativa del proprio Stato di bandiera.

Dunque, il d.l. n. 1/2023 può fare insorgere un conflitto tra Stati dell’Unione europea, ma pare totalmente inapplicabile per i casi di soccorso in mare da parte di navi battenti bandiere di Stati diversi dall’Italia.

Lo scopo voluto dal legislatore italiano, dunque, potrebbe essere raggiunto soltanto attraverso la modifica del Regolamento 604/2013 del Parlamento e del Consiglio del 26.6.2013 (cd. Regolamento Dublino III) che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

c) È stata richiesta, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco; e

d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso.

Queste condizioni vanno lette congiuntamente avendo la medesima finalità. Le navi che hanno prestato soccorso a persone in pericolo in mare hanno il primario interesse di ottenere, quanto prima, l’assegnazione di un “place of safety” o porto sicuro, possibilmente più prossimo alla propria posizione. In tale senso va intesa la dizione utilizzata nel d.l. n. 1/2023 “porto di sbarco”, dunque nella accezione prevista dalle norme internazionali; e tale porto deve essere assegnato secondo i criteri indicati nelle raccomandazioni e linee guida dell’IMO e dell’UNHCR e non già in modo discrezionale.

L’unico limite a tale obbligo si rinviene, dunque, nel rischio di mettere a repentaglio “la nave, l’equipaggio o i passeggeri”, sicché qualora a un’imbarcazione fosse assegnato un porto sicuro di sbarco, ma ricevesse comunicazione di un nuovo caso di persone in pericolo in mare, essa dovrebbe comunque procedere per effettuare il salvataggio, salvo il pericolo per sé o le persone presenti sulla nave.

La Convenzione SOLAS del 1974, inoltre, obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…» [Capitolo V, Regolamento 33(1).

I medesimi obblighi incombono sul/sulla capitano/a anche allorquando si trovi già nelle acque territoriali italiane perché in quel caso, se non dirigesse la nave verso il luogo di avvenuto o prossimo naufragio, incorrerebbe nelle violazioni degli obblighi di cui agli artt. 489 e 490 cod. nav. e sarebbe condannabile in sede penale ai sensi dell’art. 1113 cod. nav. (omissione di soccorso in caso richiesto dell’autorità marittima) e dell’art. 1158 cod. nav. (omissione di assistenza a navi o persone in pericolo).

Dunque, in alcun modo il d.l. n. 1/2023 vieta alla nave che abbia prestato un soccorso di procedere ad un ulteriore salvataggio qualora il/la comandante sia informato/a di una situazione di pericolo (i cd. “soccorsi plurimi”). Una tale previsione si porrebbe infatti in evidente contrasto con l’obbligo di soccorso. Le precise norme convenzionali, così come quelle nazionali, escludono pertanto la possibilità di qualsiasi interpretazione delle previsioni contenute nel d.l. n. 1/2023 volta a vietare a una nave di soccorso di procedere a più di un salvataggio pretendendo che raggiunga immediatamente il porto assegnato (lett. c).

Parimenti, in alcun modo il testo vieta espressamente il trasbordo di persone da una nave ad un’altra. Anche in questo caso, infatti, spetterà caso per caso al/alla comandante della nave e al Centro di coordinamento investito della situazione valutare quale soluzione sia più idonea a garantire l’effettività e l’efficacia dei soccorsi; ciò ovviamente senza che sia mai posta in pericolo la sicurezza delle persone soccorse e la salvaguardia dei loro diritti.

Sarebbe quindi illegittima qualsiasi interpretazione della lett. f) volta ad imporre un indiscriminato divieto di trasbordo di persone salvate da una nave all’altra per consentire a una di esse di effettuare altri soccorsi segnalati o per ragioni di capienza e dunque di sicurezza della nave.

Se così interpretate, entrambe le previsioni confliggerebbero palesemente con le cogenti disposizioni convenzionali che obbligano il salvataggio in mare senza distinzioni.

Le modalità del salvataggio non possono essere imposte a priori e in modo generale, ma solo attraverso una valutazione caso per caso che può essere fatta solo dal/dalla comandante della nave, su cui primariamente grava l’obbligo di soccorso e a cui spetta l’ultima parola quanto a come eseguirlo in concreto, e dalle autorità competenti per ogni singolo coordinamento cui compete di volta in volta l’indicazione di modalità di svolgimento dei soccorsi che ne garantiscano la massima efficacia, alla luce della situazione globale e della disponibilità di altre navi.

e) sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere.

Questa disposizione, sia pur nella sua genericità, appare del tutto superflua, in quanto dette informazioni sono sempre fornite da tutte le navi che effettuano salvataggi in mare e pertanto non se ne comprende la ragione.

D’altra parte, è evidente che, richieste dalle competenti autorità in ipotesi in cui sono anche solo astrattamente configurabili fatti giuridicamente rilevanti anche dal punto di vista penale, le persone siano tenute a collaborare con le stesse quali soggetti informati dei fatti realmente occorsi.

Nel caso specifico, non essendo in discussione che le attività di ricerca e salvataggio avvengono e debbano avvenire nell’ambito di un principio di leale collaborazione del privato con le autorità preposte, la questione non pare avere alcuna rilevanza specifica o innovazione nel quadro giuridico esistente se non, ovviamente, per la possibilità che dalla violazione della generica indicazione fornita dal legislatore possano sorgere i presupposti per l’applicazione delle sanzioni amministrative dettate dalla norma.

f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

Anche questa “condizione”, teoricamente oggetto di sanzione, appare di difficile comprensione logica, se non ritenendo che possa sottendere un controllo ex post alla nave che ha operato il salvataggio per accertare se eventuali operazioni svolte (ad esempio: trasbordo da una nave all’altra delle persone salvate) impediscano di raggiungere “tempestivamente” il porto di sbarco assegnato.

Quanto al pericolo a bordo, come già evidenziato, è valutazione di stretta competenza del/della comandante della nave, di cui ha la piena responsabilità. Per quanto riguarda, invece, operazioni che potrebbero essere censurate perché ritenute in violazione dell’obbligo di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco, non potranno mai essere sanzionate se confliggenti con l’obbligo inderogabile di salvare chiunque si trovi in pericolo nel mare, senza limitazione né di luogo né di tempo.

Il decreto-legge prevede una sostituzione del sistema sanzionatorio di carattere penale, previsto dal d.l. n. 130/2020, con il sistema sanzionatorio amministrativo. Tale sistema, come osserva la scheda ASGI, appare per l’Amministrazione di maggiore agilità applicativa e per le ONG di più difficile contrasto.

La depenalizzazione operata dalle nuove norme previste dal decreto-legge (prima della riforma, la violazione del divieto di transito e sosta era punita con la reclusione sino a 2 anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro) mira non tanto ad ammorbidire il trattamento sanzionatorio, quanto piuttosto a rendere più duro il sistema sanzionatorio, perché il potere di irrogare le sanzioni è sottratto alla magistratura penale (che in ogni occasione dove il problema si sia posto ha sempre affermato la legittimità dell’operato delle navi umanitarie) ed affidato ad autorità amministrative che sono sottoposte all’indirizzo politico-amministrativo del Governo.

Tale scelta mira a sottrarre l’operato delle amministrazioni statali al vaglio della giurisdizione penale che si è più volte espressa delimitando il loro ambito di azione ed evidenziando i limiti derivanti dall’adesione a Convenzioni internazionali e principi costituzionali.

La depenalizzazione rappresenta, quindi, una forma di “fuga dalla giurisdizione” e dal controllo di legalità che la magistratura svolge sugli atti del Governo, il che in uno Stato di diritto è uno degli aspetti più gravi e preoccupanti dell’intero d.l. n. 1/2023.

Non può dubitarsi, in ogni caso, della natura afflittiva/punitiva (non certo riparativa) delle sanzioni amministrative introdotte dal legislatore italiano e, dunque, dell’applicazione delle garanzie discendenti anche dall’art. 25, co. 2, Cost., in termini di determinatezza della condotta sanzionata.

Molti degli obblighi imposti dalle nuove norme – soprattutto in considerazione delle chiare norme convenzionali e domestiche, nonché delle prassi sopra indicate, che collidono con la ratio della nuova normativa – appaiono troppo generici e perciò potrebbero consentire alla PA atti arbitrari e paiono perciò violare i principi di determinatezza del comportamento (art. 25 Cost.) e di legalità che devono connotare ogni sanzione amministrativa (art. 1, l. n. 689/1981), soprattutto per le condotte prescritte alle lettere b), d), e) ed f) del nuovo comma 2-bis dell’art. 1, d.l. n. 130/2020.

Di difficile interpretazione, ad esempio, appaiono i concetti di iniziative avviate “tempestivamente” al fine di informare i naufraghi sui loro diritti in materia di protezione internazionale (lett. b), con riguardo alla condizione psicologica e fisica delle persone salvate, oltre che alle altre condizioni oggettive o soggettive che possono riguardare tanto le persone salvate quanto i membri dell’equipaggio; ovvero l’avere raggiunto “senza ritardo” il porto di sbarco assegnato (lett. d); o, ancora, l’avere fornito le informazioni richieste relative alla “ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso” (lett. e); o, infine, il non avere “concorso” a creare situazioni di pericolo a bordo ne' impedito di raggiungere “tempestivamente” il porto di sbarco (lett. f).

Tutte queste ipotesi sono tali da rendere il precetto normativo oggettivamente incerto e perciò lesivo del principio di legalità che deve invece sempre connotarlo, e, conseguentemente, l’eventuale sanzione dovrebbe ritenersi illegittima. Non è, infatti, in sede di irrogazione della sanzione che può specificarsi il precetto normativo, dovendo esso essere chiaro e conoscibile ab initio dalle persone che sono tenute ad applicarlo affinché possano coscientemente autodeterminare i propri comportamenti e possa ritenersi rispettato il principio di legalità.

Nello specifico, la nuova disciplina prevede due ordini di comportamenti sanzionabili: il primo – di cui al comma 2-quater – riguarda la violazione della direttiva interministeriale eventualmente emessa ai sensi del comma 2 (la limitazione o il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali); il secondo è invece descritto nel comma 2-sexies, attraverso l’individuazione di diverse fattispecie, descritte di seguito, che sono sanzionate in modo meno grave, ma di fatto più pericoloso.

Quest’ultima norma prevede infatti uno specifico regime sanzionatorio applicabile quando:

- il/la comandante o l’armatore non forniscono le informazioni richieste dall’autorità SAR competente o dalla “struttura nazionale” per lo svolgimento delle attività di polizia di frontiera e contrasto all’immigrazione irregolare;

- il/la comandante non aderisce alle indicazioni delle due autorità di cui sopra;

- mancano le condizioni di cui al co. 2-bis (analizzato prima nelle sue varie declinazioni) sulla base di un accertamento successivo all’assegnazione del porto di sbarco.

Alle due condotte corrispondono regimi sanzionatori differenti.

La violazione della direttiva interministeriale comporta infatti il pagamento di una sanzione pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, accompagnata dal fermo amministrativo della nave per due mesi e in caso di reiterazione della violazione il decreto prevede la confisca della nave, previo sequestro cautelare della stessa (v. co. 2-quinquies).

Nel secondo caso, invece, la sanzione pecuniaria va da 2.000 a 10.000 euro ed è accompagnata dal fermo della nave per un tempo inferiore, pari a 20 giorni; in caso di reiterazione della violazione il fermo è invece più lungo, pari a 2 mesi, e in caso di ulteriore reiterazione si trasforma a sua volta in confisca, previo sequestro cautelare.

L’ultimo comma dell’art. 1 (il co. 2-septies) precisa che in entrambe le ipotesi l’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni è il Prefetto del luogo in cui la violazione è accertata e che si applica, in quanto compatibile, la legge n. 689/1981 che disciplina le sanzioni amministrative. Si applicano perciò le procedure anche giurisdizionali e i tempi da quelle norme previsti o richiamati (tra cui l’art. 6, d.lgs. n. 150/2011), ferma restando la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le impugnazioni delle sanzioni e di quella amministrativa per l’impugnazione del solo provvedimento interministeriale che limiti il transito o la sosta delle navi nelle acque territoriali italiane.

Preoccupa la previsione, accanto alle sanzioni di tipo pecuniario, dell’applicazione delle sanzioni accessorie del fermo e della confisca, la cui adozione illegittima ostacolerebbe l’operato delle navi soccorritrici, poiché i rimedi giuridici contro tali sanzioni avrebbero tempi incompatibili con l’urgenza delle frequenti situazioni di pericolo che si verificano nel Mediterraneo, il che renderebbe inattive le navi soccorritrici per settimane, impedendone la possibilità di salvare vite umane in pericolo e incrementando perciò i naufragi.

 

3. Proroga della protezione temporanea per gli sfollati dall’Ucraina

Il decreto-legge 02.03.2023, n. 16 (pubblicato in G.U. Serie Generale n. 52 del 2.3.2023), convertito con modificazioni dalla l. 21.04.2023, n. 46 (pubblicata in G.U. 28.04.2023, n. 99) proroga le misure connesse alle attività di assistenza e accoglienza delle persone provenienti dall’Ucraina richiedenti protezione temporanea e la durata dei relativi permessi di soggiorno, interviene sulle misure di assistenza per i minori non accompagnati provenienti dall’Ucraina e potenzia temporaneamente gli organici della Commissione nazionale per il diritto d’asilo. Nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta la proroga fino al 31 dicembre 2023 anche dello stato di emergenza dichiarato per supportare le attività di assistenza e soccorso della popolazione ucraina all’estero ed è stata estesa l’efficacia delle disposizioni che consentono l’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di operatore socio-sanitario da parte dei professionisti cittadini ucraini.

L’art. 1 del d.l. n. 16/2023 autorizza, fino al 31 dicembre 2023, la prosecuzione di alcune specifiche attività in favore delle persone richiedenti o già beneficiarie della protezione temporanea. In particolare:

1) dispone la prosecuzione, nel limite massimo di 7.000 unità, delle attività di accoglienza diffusa, attivate attraverso i Comuni ed enti e associazioni del terzo settore, già disposte in attuazione del decreto-legge n. 21/2022 nel numero massimo di 22.000 unità. Al contempo si prevede la possibilità di attivare tali forme di accoglienza non solo secondo i criteri previsti già dal citato decreto-legge n. 21, ma anche mediante convenzioni, con validità territoriale, sottoscritte dai commissari delegati per il coordinamento territoriale delle attività di soccorso ai sensi dell’ordinanza n. 872 del 4 marzo 2022 (nominati nella persona dei Presidenti di Regione) con gli enti del terzo settore (o gli altri soggetti già previsti dalla legge) e anche con soggetti privati (finora non previsti). Tali convenzioni sono ammesse nel rispetto dei requisiti di servizi e nei limiti di importo stabiliti nelle convenzioni nazionali fino a questo momento sottoscritte dal Dipartimento della protezione civile e, in ogni caso, previo nulla osta del medesimo Dipartimento;

2) proroga, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’elargizione del contributo di sostentamento concesso ai sensi del decreto-legge n. 21/2022 (art. 31, comma 1, lettera b)), nel limite massimo di 80.000 unità, per coloro che hanno già provveduto ad autonoma sistemazione;

3) assegna, anche per l’anno 2023, nel limite di 40 milioni di euro, il contributo una tantum finalizzato al rafforzamento, in via temporanea, dei servizi sociali e destinato ai comuni che ospitano un significativo numero di persone richiedenti la protezione temporanea, già previsto per l’anno 2022, con pari finanziamento dall’art. 44, comma 4, del decreto-legge n. 50 del 2022;

4) incrementa di circa 137,8 milioni di euro per l’anno 2023 delle risorse iscritte nel bilancio dello Stato (stato di previsione del Ministero dell’interno) per il finanziamento dei Centri governativi di accoglienza ordinari e straordinari, di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (c.d. decreto accoglienza), destinati ad assicurare l’accoglienza in tali centri dei profughi ucraini fino al 31 dicembre 2023;

5) incrementa di circa 52,3 milioni per il 2023 il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo per garantire la prosecuzione dell’accoglienza dei profughi provenienti dall’Ucraina anche nelle strutture territoriali della rete SAI (Sistema di accoglienza e integrazione);

6) dispone la prosecuzione della garanzia di accesso all’assistenza sanitaria sul territorio nazionale per i richiedenti e titolari della protezione temporanea a condizioni di parità con i cittadini italiani, misura già prevista dai precedenti decreti che avevano disposto a tal fine un contributo alle regioni per complessivi 120.000 posti.

Una norma aggiuntiva introdotta con la legge di conversione (art. 1-bis) proroga dal 24 maggio al 31 dicembre 2023 lo stato di emergenza per intervento all’estero in conseguenza degli accadimenti in atto in Ucraina, allineandone in tal modo la durata a quella dello stato di emergenza per l’assistenza alla popolazione sul territorio nazionale. La proroga si rende necessaria per la prosecuzione delle attività di soccorso e assistenza alla popolazione sul territorio ucraino, nell’ambito del Meccanismo unionale di protezione civile.

L’art. 2 proroga di diritto al 31 dicembre 2023 la durata di tutti i permessi di soggiorno in scadenza il 4 marzo 2023 rilasciati ai profughi provenienti dall’Ucraina in conseguenza al riconoscimento agli stessi da parte dell’Unione europea della protezione temporanea. Tali permessi di soggiorno perderanno efficacia e saranno revocati anche prima della scadenza del 31 dicembre 2023 se l’Unione europea adotterà un provvedimento di cessazione della protezione temporanea.

Con un’ulteriore disposizione introdotta dalla legge di conversione, sono altresì prorogate al 31 dicembre 2023 le deroghe previste dalla normativa vigente sul riconoscimento delle qualifiche professionali del personale medico e sanitario ucraino (art. 2-bis).

Circa le misure di assistenza per i minori non accompagnati provenienti dall’Ucraina, che sono state già prorogate per tutto il 2023 dall’art. 2, comma 7, lett. a) e b), d.l. n. 198/2022), il d.l. n. 16/2022 interviene per stabilire che la somma pari ad un massimo di 100 euro pro capite al giorno in favore dei comuni che accolgono minori stranieri non accompagnati provenienti dall’Ucraina è riconosciuta non più a titolo di rimborso per i costi sostenuti, bensì a titolo di mero contributo. In proposito è fissata al 30 settembre 2024 la data per la presentazione delle relative istanze da parte dei Comuni interessati.

Il successivo art. 4 consente alla Commissione nazionale per il diritto di asilo di avvalersi, nel 2023 ed entro il limite di spesa di 150 mila euro, di non oltre dieci prestatori di lavoro con contratto a tempo determinato, in considerazione dell'eccezionale volume di richieste di protezione internazionale connesse al conflitto bellico in atto in Ucraina. In particolare, la disposizione prevede che detto personale sia reclutato tramite una o più agenzie di somministrazione di lavoro e che sia in possesso di professionalità di cui la Commissione stessa risulta non sufficientemente dotata.

4. Riforma della disciplina degli ingressi per lavoro, di alcuni titoli di soggiorno, del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale, nuovi trattenimenti e nuove misure penali ed amministrative di contrasto dell’immigrazione irregolare. Profili di legittimità. Le analisi dell’ASGI

Una profonda e vasta riforma di molte norme fondamentali del sistema italiano del diritto degli stranieri (adottata in conformità ai programmi elettorali della coalizione di centro-destra che esprime la maggioranza di Governo della XVIII legislatura) è introdotta dal decreto-legge 10.03.2023, n. 20, convertito con modificazioni dalla legge 05.05.2023, n. 50 (pubblicata in G.U. 05.05.2023, n. 104).

L’illustrazione e l’analisi del testo delle tante nuove norme e dei connessi profili di legittimità nella presente sede sono svolte in modo sommario.

 

1) Riforma degli ingressi per lavoro

L’art. 1 prevede che il periodo dal 2023 al 2026 la programmazione delle quote di ingresso per lavoro subordinato, autonomo e stagionale è effettuata su base triennale e non più annuale, salvo eventuali necessità di aggiornamenti (in tal caso il rinnovo della domanda non deve essere accompagnato dalla documentazione richiesta, se la stessa è già stata regolarmente presentata in sede di prima istanza), con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa consultazione degli enti iscritti al registro nazionale delle associazioni operanti in favore dell’immigrazione e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, della Conferenza unificata e delle commissioni parlamentari che si esprimono entro 30 giorni dal ricevimento.

Dalla programmazione sono espressamente esclusi alcuni tipi di ingressi per lavoro: quello dei cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio, quelli che abbiano svolto corsi di istruzione e formazione professionale nei Paesi di origine (ai sensi del nuovo art. 23 d.lgs. n. 286/1998 riformato dallo stesso decreto), nonché le conversioni dei permessi di soggiorno per studio in permessi per lavoro.

Nella programmazione delle quote possono essere riservate quote ai cittadini di Stati che si impegnano in campagne mediatiche contro l’immigrazione irregolare e ai rifugiati riconosciuti dall’UNHCR o dai Paesi di primo transito.

La facoltà di prevedere quote preferenziali ai cittadini di Stati che si impegnano a promuovere campagne mediatiche per la sensibilizzazione e l’informazione dei rischi connessi all’attraversamento irregolare delle frontiere appare di dubbia utilità, sia perché spesso le persone che decidono di partire sono già a conoscenza di tali pericoli, sia perché configura un sistema di selezione dei Paesi di provenienza di aspiranti lavoratori/lavoratrici non necessariamente coerente con la composizione dell’immigrazione attuale. Si rischia di introdurre un criterio discriminatorio, poiché non si chiariscono le modalità di riscontro circa l’efficacia di tale attività e, di conseguenza, circa l’efficacia dell’applicazione di questo criterio preferenziale.

Più in generale si deve osservare che il contenuto dell’art. 1 ha una durata triennale e dunque pare sperimentale, poiché il legislatore (con tecnica normativa molto discutibile) non ha voluto fare una modifica a regime modificando le norme che regolano il d.p.c.m. di determinazione delle quote di ingresso per lavoro, previsto nel testo unico delle leggi sull’immigrazione (artt. 3, 21 e 22 d.lgs. n. 286/1998) e non ci si chiede neppure perché non sia adottato dal Governo il Documento triennale programmatico delle politiche migratorie che è già previsto dagli artt. 3 e 21 d.lgs. n. 286/1998 e che prevede anche l’indicazione dei criteri per determinare le quote e un analogo iter provvedimentale.

L’intento semplificatorio delle nuove norme appare però incompleto, perché non prevede anche l’abrogazione della preventiva verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani o stranieri già presenti in Italia prevista quale condizione per il rilascio dei nulla-osta al lavoro richiesti da datori di lavoro per l’assunzione dei persone chiamate a svolgere le prestazioni indicate nel decreto sulle quote: poiché infatti la programmazione è fondata sull’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori è irrazionale che la successiva effettiva assunzione dall’estero proprio per lo svolgimento del medesimo lavoro sia condizionata da un’ulteriore verifica da parte del centro per l’impiego di indisponibilità di altri lavoratori già in Italia, la quale contraddice l’analisi ministeriale del fabbisogno lavorativo prevista in generale prima dell’adozione del decreto sulle quote.

Dunque, o si abroga la programmazione delle quote sulla base dell’analisi del fabbisogno lavorativo o si abroga la preventiva verifica dell’indisponibilità per il rilascio dei nulla-osta al lavoro concernenti rapporti di lavoro per i settori, le qualifiche e le mansioni inseriti nel decreto sulle quote (tale limitazione fu introdotta nel 2014 nell’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 286/1998). Qualora invece si ritenesse necessaria la preventiva verifica di indisponibilità rispetto ad un’analisi triennale del fabbisogno lavorativo allora occorrerebbe concludere che occorre tornare ad un decreto annuale e non triennale, il che peraltro non elimina la contraddizione con la verifica preventiva di indisponibilità.

L’art. 2 semplifica e accelera il rilascio dei nulla-osta al lavoro.

Le norme introducono nel Testo unico delle leggi sull’immigrazione le semplificazioni che erano state introdotte in via temporanea col d.l. n. 20/2022.

Occorre peraltro prestare particolare attenzione alle procedure di asseverazione dei requisiti richiesti, in capo a consulenti del lavoro e alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ed è sempre auspicabile un controllo più incisivo dell’Amministrazione per prevenire e sanzionare eventuali irregolarità.

Tuttavia al fine di accelerare davvero il rilascio dei nulla-osta al lavoro da parte dello Sportello unico per l’immigrazione di ogni Prefettura occorrerebbe aumentare e stabilizzare la dotazione di personale addetto a quegli uffici, che invece appare gravemente sottostimata o affidata da anni a personale avventizio e precario, ben poco specializzato, il che produce da anni notevoli arretrati nei procedimenti amministrativi e costituisce uno dei principali ostacoli all’effettiva velocizzazione della procedura.

Peraltro, alcune modifiche appaiono significative.

In particolare, le novelle di cui alla lettera a) del comma 1 concernono in particolare i profili temporali della suddetta procedura nonché i casi di accertamento di elementi ostativi successivo al nulla osta ed introducono il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (e del successivo rilascio del permesso di soggiorno), il nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale.

La novella di cui al numero 5) della stessa lettera a) introduce il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, il suddetto nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale, fermo restando che, al fine dell’ingresso nel territorio nazionale, dopo il rilascio del nulla osta, gli uffici consolari italiani del Paese di residenza o di origine dello straniero devono rilasciare il visto d’ingresso

La novella di cui alla successiva lettera b) esplicita che le novelle poste dalla lettera a) si applicano anche per le procedure di ingresso relative al lavoro stagionale.

L’art. 3 prevede alcuni tipi di ingressi e soggiorni di lavoratori extraUE fuori della programmazione delle quote di ingresso, modificando l’art. 23 d.lgs. n. 286/1998 e cioè prevede una nuova disciplina degli ingressi per lavoro di quegli stranieri che abbiano frequentato determinati corsi di formazione professionale e linguistica svolti all’estero e promossi da enti convenzionati col Ministero del lavoro per i settori più carenti di manodopera da esso indicati.

Preliminarmente occorre ricordare che da molto tempo dovrebbero essere adottate le nuove norme attuino due obblighi di regolare altri ingressi fuori quota:

1) deve essere recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo entro il 18 novembre 2023 la Direttiva (UE) 2021/1883 sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e che abroga la direttiva 2009/50/CE del Consiglio: si tratta della nuova direttiva sulla Carta blu UE per i lavoratori altamente specializzati che è stata molto usata dalla Germania e meno da altri Stati e perciò è stata semplificata e alleggerita di molte condizioni ed oneri: è un canale importante di ingresso regolare per lavoro che deve essere subito valorizzato, riformando l’art. 27-quater d.lgs. n. 286/1998 (la delega legislativa è già prevista dalla legge n. 127/2022).

2) Dal 2021 si attende l’emanazione del decreto del Ministro dell’interno che deve disciplinare gli aspetti di dettaglio degli ingressi e soggiorni per lavoro dei “nomadi digitali”, cioè quella «attività lavorativa altamente qualificata attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto, in via autonoma o per un’impresa anche non residente» in Italia (art. 27, comma 1-sexies d.lgs. n. 286/1998).

L’art. 3 del decreto-legge disciplina invece soltanto alcuni tipi di ingressi e soggiorni fuori quota, cioè quelli di stranieri che abbiano frequentato determinati corsi di formazione professionale e linguistica svolti all’estero e promossi da enti convenzionati col Ministero del lavoro per i settori più carenti di manodopera da esso indicati.

Occorre dubitare dell’efficacia delle nuove norme, perché una disciplina non troppo diversa, ma attuata poche volte e con numeri del tutto irrilevanti, era stata prevista proprio dalla norma riformata dal decreto-legge, cioè dall’art. 23 d.lgs. n. 286/1998, nel testo che era stato riformato dalla legge n. 189/2002 che abrogò gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro previa garanzia.

L’intento del decreto-legge di disciplinare meglio i flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri appare in ogni caso sostanzialmente inefficace, perché regola soltanto l’incontro a distanza tra datori di lavoro e lavoratori stranieri richiesti da datori di lavoro in Italia e non disciplina, neppure a titolo sperimentale o limitato, un meccanismo di incontro diretto tra datori di lavoro e lavoratori, come invece è richiesto da anni da studiosi degli ingressi per lavoro (come si propone da ultimo nel Libro bianco sul governo delle migrazioni economiche pubblicato a gennaio 2023 dalla Fondazione ISMU dopo un amplissima consultazione del pareri di esperti in materia economica, giuridica e sociale e di rappresentanti di tutte le parti sociali).

La nuova norma italiana non consente invece l’incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro, neppure agli stranieri che abbiano ottenuto titoli di studio universitario in Italia, i quali di per sé sono già autorizzati al soggiorno per inserimento al mercato del lavoro dall’art. 39-bis.1 d.lgs. n. 286/1998, introdotto per effetto della nuova direttiva UE sugli ingressi per studio. Costoro oggi possono continuare a cercarsi direttamente un lavoro in Italia soltanto nell’ipotesi in cui si siano laureati o diplomati in Italia subito dopo il soggiorno per studio, ma non anche allorché vi vogliano tornare in seguito dopo essere eventualmente usciti dall’Italia per tornare nel Paese di origine. È ragionevole ipotizzare di colmare questa lacuna.

La nuova norma pare arretrata anche rispetto a recenti legislazioni come quelle adottate in Germania nel 2020 e nel 2023 che facilitano gli ingressi per inserimenti nel mercato del lavoro allo straniero che abbiano una qualificazione lavorativa e linguistica adeguata anche senza un preventivo incontro della domanda e dell’offerta di lavoro: pure la Germania nel 2020 aveva approvato una disciplina legislativa simile a quella introdotta dal decreto-legge, ma dopo tre anni rendendosi conto della sua inefficacia e complicazione ha deciso di modificarla con una nuova legge approvata il 23 giugno 2023 che consentirà dalla fine del 2023 allo straniero extraUE che abbia idonea formazione professionale e linguistica di entrare nel territorio tedesco per cercarsi direttamente un lavoro e utilizzerà anche un sistema a punti – basato su qualifiche e conoscenze linguistiche – attraverso il quale i migranti potranno ottenere il permesso di cercare lavoro in Germania. Si ridurranno anche i requisiti per ottenere la “carta blu Ue”, alla quale potrà fare domanda chiunque trovi un lavoro retribuito in Germania con almeno 43.800 euro l’anno. Chi lo acquista avrà anche maggiori agevolazioni per cambiare datore di lavoro e settore, per ottenere il permesso di soggiorno per la propria famiglia – non solo figli e coniuge, ma anche per i genitori – e per richiedere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Inoltre, chi ha almeno due anni di esperienza lavorativa potrà lavorare in Germania anche se non ha ancora completato l’iter di riconoscimento della sua laurea, se il datore di lavoro si impegni a non ostacolare l’ulteriore qualificazione, se necessario. Inoltre, verrà istituito un sistema a punti simile al modello canadese che consentirà a coloro che soddisfano determinati requisiti di ottenere un permesso temporaneo per la ricerca di lavoro purché dispongano delle risorse finanziarie per mantenersi durante tale periodo.

L’art. 5 disciplina l’ingresso dei lavoratori del settore agricolo e il contrasto alle agromafie.

In modo condivisibile si velocizza l’assunzione di lavoratori stranieri in agricoltura e rafforza il personale dell’Ispettorato centrale per la tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari. Si prevede anche l’assegnazione con priorità di quote disposte con ulteriori decreti flussi per i datori che hanno presentato correttamente domanda nell’ambito del decreto flussi 2023 per lavoro agricolo e questa agevolazione si va anche ad aggiungere alle semplificazioni introdotte dall’art. 1, co. 4, relative a ogni tipologia di quota che verrà prevista dal documento di programmazione triennale e ai relativi decreti flussi.

Peraltro, la necessità di assicurare adeguate tutele al comparto agricolo e l’ingresso costante della manodopera ritenuta necessaria, deve fare riflettere. Infatti, i dati relativi al decreto per l’anno 2022 dimostrano che sono state presentate 98.000 domande per lavoro stagionale nel settore agricolo e turistico-alberghiero, rispetto alle 42.000 quote allocate. Con l’attuale disciplina e considerando i numeri appena citati, le quote per lavoro agricolo indicate da un eventuale nuovo decreto potrebbero già essere destinabili, in tutto o in parte, ai datori che non sono risultati assegnatari nella procedura relativa al decreto per il 2023.

 

2) La durata triennale dei permessi di soggiorno rinnovati per lavoro subordinato o autonomo o per motivi familiari

L’art. 4 prolunga a tre anni la durata dei permessi di soggiorno rinnovati per lavoro subordinato, lavoro autonomo e motivi familiari.

La norma è condivisibile e conferma l’irrazionalità della scelta della legge n. 189/2002 che ridusse da quattro a due anni la durata quadriennale che era prevista nel 1998 nel Testo unico delle leggi sull’immigrazione.

 

3) La riforma in senso restrittivo dei permessi di soggiorno da rilasciarsi alla maggiore età ai minori stranieri non accompagnati

L’art. 4-bis prevede tre modifiche in senso restrittivo del regime dei permessi di soggiorno da rilasciarsi al compimento della maggiore età ai minori stranieri non accompagnati.

Con la prima, si dispone che il permesso di soggiorno ottenibile dal minore non accompagnato al compimento della maggiore età può essere rilasciato per il periodo massimo di un anno. In tal senso, si differenzia la durata dei permessi di soggiorno per i minori non accompagnati di cui all’art 32, comma 1-bis, d.lgs. n. 286/1998 rispetto ai minori conviventi con genitori stranieri ovvero affidati a genitori stranieri di cui all’art. 31, comma 1, per i quali la durata del permesso di soggiorno è quella prevista in via generale dalle disposizioni vigenti per ciascuna tipologia di permesso.

Con la seconda modifica si specifica che la conversione del permesso per minore età in altro permesso di soggiorno è possibile previo accertamento dell’effettiva sussistenza dei presupposti e requisiti previsti dalla normativa vigente.

Con la terza modifica, si dispone l’abrogazione degli ultimi due periodi del comma 1-bis dell’art. 32, d.lgs. n. 286/1998 che prevedevano che il mancato rilascio del parere da parte del Ministero del lavoro non potesse legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno e che applicavano al procedimento di conversione dell’istituto del silenzio assenso (mediante la soppressione del rinvio all’art. 20, commi 1, 2 e 3 della legge n. 241/1990).

Si tratta di modifiche gravemente peggiorative e di incerta ratio, se non quella di dissuadere l’uso strumentale di questa migrazione, che però produce in concreto l’effetto di rendere ancora più incerta e precaria l’attesa del permesso di soggiorno da parte di persone fragili e divenute maggiorenni.

 

4) La riforma della protezione speciale in senso restrittivo e il regime transitorio

L’art. 7, al comma 1, dal punto di vista letterale sembra abrogare il divieto di espulsione (e il connesso permesso di soggiorno per protezione speciale) nell’ipotesi in cui il rimpatrio dello straniero metta a rischio il suo a diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.

In realtà anche dopo questa abrogazione il permesso di soggiorno per protezione speciale è sempre rilasciabile allo straniero che si trova in una di altre tre situazioni in cui, per effetto di norme costituzionale o internazionali, l’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 prevede il divieto di espulsione o di respingimento:

1) rischio di non essere protetto da persecuzione nello Stato di origine o di invio;

2) rischio di subire nello Stato di origine o di invio torture o trattamenti inumani o degradanti;

3) divieto di rifiuto di rilascio o di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno in presenza di obblighi costituzionali o internazionali.

Poiché tra gli obblighi costituzionali vi sono il diritto di asilo e il divieto di estradizione per reati politici e tra gli obblighi internazionali c’è pure il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) come applicato dalla giurisprudenza della Corte EDU, oltre a tanti altri obblighi internazionali, il contenuto della previsione contenuta nell’art. 7 del decreto-legge appare oscuro, perché potrebbe non cambiare nulla, ma nella realtà occorrerà forse documentare tutto in modo diverso e sempre in modo più oneroso e soprattutto mancando i parametri legali per valutare il rischio di lesione al diritto al rispetto della vita privata e familiare la discrezionalità amministrativa circa gli elementi da valutare potrebbe aumentare, il che renderebbe molto incerti gli esiti delle domande, soprattutto quelle presentate direttamente al Questore, che resta sempre possibile.

Peraltro, il permesso che si vorrebbe abrogare è previsto anche in molti altri ordinamenti giuridici europei, tra i quali si segnala l’ordinamento francese (si vedano gli artt. L-423-23 e L 435-1 code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile).

Il diritto al rispetto della vita privata e familiare è garantito dall’art. 8 CEDU e dunque non può essere abrogato da norma legislativa nazionale e perciò resta tra gli obblighi internazionali che devono essere rispettati e che legittimano il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.

La norma nazionale abrogata dava dei parametri nazionali di interpretazione dell’art. 8 CEDU, mancando i quali si applicherà tutto l’art. 8 CEDU che ha parametri più numerosi nella interpretazione vincolata che ne dà la Corte EDU, i quali appaiono più restrittivi per coloro che erano irregolarmente soggiornanti rispetto a quelli previsti nella norma abrogata, nei quali l’effettiva integrazione sociale è tenuta in considerazione soltanto per chi era già regolarmente soggiornante, per gli stranieri nati nello Stato e per i minori.

Questa incertezza interpretativa derivante dalle modifiche rischia di inficiare il diritto di asilo costituzionalmente garantito e attuato nelle tre forme (status di rifugiato, status di protezione sussidiaria, permesso di soggiorno per protezione sociale) e viola la riserva di legge in materia di condizione dello straniero e di diritto di asilo previste nei commi 2 e 3 dell’art. 10 Cost. perché toglie i criteri legali che orientavano la valutazione del rischio di lesioni al diritto alla vita privata e familiare.

Tutto ciò comporta pure il rischio che una maggiore discrezionalità amministrativa nella valutazione della lesione al diritto al rispetto del diritto alla vita privata e familiare provochi un successivo enorme contenzioso giudiziario, spostando perciò sulla magistratura il peso degli oneri di interpretazione.

Inoltre, nella legge di conversione in legge è stata abrogata anche la possibilità di presentare la domanda di permesso di soggiorno per protezione speciale direttamente al Questore. Ciò significa che il permesso per protezione speciale è ora rilasciabile soltanto su richiesta della Commissione territoriale per la protezione internazionale, allorché non ritenga però sussistente né lo status di rifugiato, né lo status di protezione sussidiaria.

L’art. 7 ai commi 2, 2-bis e 3 prevede un regime transitorio per la protezione speciale richiesta o ottenuta con le regole previgenti all’avvenuta abrogazione.

Il primo luogo in base al comma 2 per tutte le domande presentate fino all’11 marzo 2023, fondate su uno dei motivi tra tutti quelli indicati nell’art. 19, commi 1 e 1.1 d. lgs. n. 286/1998, nel testo in vigore prima del d.l. n. 20/2023, si applica la disciplina previgente, cioè quella introdotta dal d.l. n. 130/2020 e dunque anche i criteri del terzo e quarto periodo del comma 1.1.

Analisi e osservazioni ASGI nelle sue prime schede pratiche

Per le istanze presentate prima dell’11 marzo devono intendersi non solo quelle già formalizzate e il cui iter valutativo è già in corso, ma anche quelle per le quali è stato chiesto l’appuntamento alla Questura, il che attrae la domanda alla disciplina precedente la riforma del d.l. n. 20/2023.In mancanza di un appuntamento scritto proveniente dalla Questura, tale circostanza ben si potrebbe provare tramite istanze inviate via p.e.c. o raccomandata, dichiarazioni di persone che hanno assistito alla richiesta, ecc.

In proposito occorre ricordare che la giurisprudenza ha già chiarito che la protezione speciale fa parte del complessivo e unitario sistema asilo, di derivazione costituzionale e del diritto unionale, e che perciò la condizione del/della richiedente questa specifica tutela è analoga a quella del/della richiedente asilo, tanto che deve essere rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo nelle more del riconoscimento (Trib. Bologna R.G. 10573/2022, n. 758/2023, Trib. Bologna, 13.2.2023, R.G. 12960/2022, Trib. Firenze R.G. 13380/2022, Tar Veneto, sez. III, 28.11.2022, n. 1812). A ciò si aggiunga che la Corte di cassazione, riprendendo i principi nazionali ed europei, ha chiarito in via definitiva che lo straniero deve considerarsi richiedente protezione internazionale dal momento della manifestazione di volontà e non dalla formalizzazione dell’istanza presso le autorità competenti (Cass. ord. n. 21910/2020).

Infine, per disciplina previgente, applicabile a qualsiasi domanda di protezione speciale presentata fino all’11 marzo 2023, si deve intendere sia quella relativa ai requisiti, sia la tipologia di permesso di soggiorno, ovverosia di durata biennale e convertibile in lavoro. Il testo dell’art. 19, co. 1.2 d.lgs. n. 286/1998 antecedente la riforma del d.l. n. 20/2023 prevedeva, infatti, il permesso per protezione speciale, il cui contenuto è ancora oggi descritto nell’art. 32, co. 3 d.lgs. n. 25/2008, cioè di durata biennale, rinnovabile o convertibile in motivi di lavoro.

La disciplina previgente alla riforma 2023 è applicabile anche ai giudizi in corso, poiché le istanze presentate prima del 10 marzo 2023 afferiscono sia alla fase amministrativa, sia a quella giurisdizionale.

In sede di conversione in legge n. 50/2023 è stato introdotto anche il comma 2-bis, secondo cui la disciplina anteriore alla riforma del d.l. n. 20/2023 si applica anche ai procedimenti di competenza della Commissione nazionale per il diritto di asilo (cioè per le revoche della protezione internazionale) pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legge.

Inoltre, in sede di conversione in legge del d.l. n. 20/2023 è stata abrogata la facoltà prevista dall’art. 6, co. 1-bis d.lgs. n. 286/1998 di conversione in lavoro del permesso per protezione speciale (oltre che di quelli per cure mediche e calamità).

Con riguardo alla possibilità di rinnovare il permesso per protezione speciale, si evidenzia che il comma 3 dell’art. 7 d.l. n. 20/2023 modifica la disciplina per i permessi di soggiorno già rilasciati, ma solo per quelli ai sensi dell’art. 19, co. 1.1 terzo e quarto periodo abrogati dal decreto-legge, i quali alla scadenza possono essere rinnovati una sola volta e con durata annuale, ferma restando la possibilità di conversione in permesso di lavoro.

Tale previsione pone questioni interpretative e applicative in quanto, in primo luogo, non è sempre chiaro se il riconoscimento della protezione speciale sia avvenuto per violazione del rispetto alla vita privata e familiare secondo i criteri oggi abrogati, tenuto conto che non sempre la Commissione territoriale o l’Autorità giudiziaria l’hanno esplicitato. Oppure, nel palesare i motivi, hanno individuato tanto i presupposti legati alla vita privata e familiare del/della richiedente che possibili violazioni dei diritti fondamentali, riferibili, dunque, ad altri presupposti della protezione speciale indicati nella formulazione dell’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 tuttora vigente.

Non si comprende, quindi, come possa il Questore, in caso di mancanza di motivazioni esplicite o in ipotesi di contestuale individuazione di altri diritti, adottare una decisione circa la possibilità di non rinnovare il permesso per protezione speciale.

In ogni caso, poiché il diritto al rispetto della vita privata e familiare è compreso tra gli obblighi costituzionali o internazionali di cui all’art. 5, co. 6 d.lgs. n. 286/1998, che continua a far parte dell’art. 19, co. 1.1. del medesimo decreto legislativo, è dubbia l’applicabilità della limitazione del comma 3 alla durata annuale e alla rinnovabilità, una sola volta, dei permessi già rilasciati anche qualora sia stato esplicitato il riferimento alla vita privata e familiare in sede di riconoscimento della protezione speciale.

Peraltro, anche ammettendo che questa particolare tipologia di permessi di soggiorno rilasciati sulla base di criteri applicativi del diritto al rispetto alla vita privata e familiare, oggi abrogati, siano rinnovabili una volta e comunque convertibili in lavoro, le nuove norme comportano la rinnovabilità e la convertibilità dei permessi di soggiorno per protezione speciale rilasciati sulla base degli altri presupposti di cui ai commi 1 e 1.1 dell’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 perché altrimenti sarebbero illegittime per l’irragionevole discriminazione della condizione giuridica tra persone titolari di un medesimo diritto fondamentale.

Inoltre, l’ultima parte del co. 3 dell’art. 7 d.l. n. 20/2023 pare risolvere in generale uno dei problemi interpretativi che maggiormente hanno impegnato gli operatori del diritto in merito alla possibilità di convertire il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di protezione speciale in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, qualora il riconoscimento sia avvenuto attraverso la domanda diretta al questore. Tale questione posta dall’interpretazione ministeriale oggi può ritenersi definitivamente superata con l’inciso dell’art. 7, co. 3 «Resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno in motivi di lavoro se ne ricorrono i requisiti di legge». Del resto, i presupposti per la protezione speciale erano unici per le due procedure e non vi era ragione per differenziarne il trattamento.

Pertanto, la convertibilità è oggi unitaria per tutte le tipologie di permesso per protezione speciale e, si ritiene, sarebbe irragionevole e discriminatorio interpretare detto inciso in riferimento ai soli permessi rilasciati in applicazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare attraverso i criteri oggi abrogati. Sarebbe, altresì, discriminatorio in riferimento al diverso trattamento che si determinerebbe per i permessi che verranno rilasciati a seguito delle domande inoltrate fino al 10 marzo 2023, per le quali il comma 2 dell’art. 7 d.l. n. 20/2023 stabilisce l’applicabilità della disciplina previgente alla riforma.

 

5) La riforma dei permessi di soggiorno per cure mediche e per calamità

La legge di conversione in legge del decreto-legge modifica in senso restrittivo importanti aspetti dei permessi di soggiorno per cure mediche e dei permessi di soggiorno per calamità.

Per il rilascio del permesso per cure mediche di cui all’art. 19 comma 2 lett. d-bis) d.lgs. n. 286/1998 il presupposto non sono più le «gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie», ma le «condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel Paese di origine» e si prevede che il permesso per cure mediche non è più convertibile in permesso per lavoro.

Per il rilascio del permesso di soggiorno per calamità di cui all’art. 20-bis d.lgs. n. 286/1998 si esige che la condizione in cui versa il Paese non deve essere più “grave”, bensì “contingente ed eccezionale” e si prevede un limite alla rinnovabilità del permesso per periodo ulteriore di sei mesi. Il permesso per calamità non è più convertibile in permesso per lavoro.

Per i procedimenti già incardinati dinanzi alla Commissione nazionale alla data di entrata in vigore del decreto si applica la disciplina previgente.

Si tratta di modifiche che appaiono peggiorative e di incerta ratio, se non quella di dissuadere un eventuale uso strumentale di questa migrazione, che però producono in concreto il solo effetto di rendere ancora più complicato, incerto e precario il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per persone che si trovano in situazioni oggettivamente molto fragili.

Peraltro, come ricorda la scheda ASGI, il nuovo art. 7, co. 1, modificato dalla legge n. 50/2023, anche in questi casi, abbracciando una interpretazione letterale della norma, sembra potersi affermare che operi il regime transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del d.l. n. 20/2023, secondo il quale: «Per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l’invito alla presentazione dell’istanza da parte della Questura competente, continua ad applicarsi la disciplina previgente».

Pertanto, a tutte le istanze relative ai permessi di soggiorno per calamità naturali e cure mediche ex art. 19, comma 2, lettera d-bis, d.lgs. n. 286/1998 presentate fino al 10 marzo 2023 continueranno ad applicarsi i presupposti sostanziali più favorevoli della disciplina previgente.

Come ricorda la scheda ASGI, la lettura più garantista della norma dovrebbe portare a ritenere che il comma 2 dell’art. 7 del d.l. n. 20/2023, come modificato dalla l. 50/2023, per “disciplina previgente” intenda anche quella di conversione, quale parte integrante della disciplina dei titoli di soggiorno modificati e che, di conseguenza, possano essere convertiti in permesso di soggiorno per lavoro tutti i titoli di soggiorno per calamità naturali e cure mediche ex art. 19, comma 2, lettera d-bis richiesti prima del 5 maggio 2023.

Ciò risulta più coerente e rispettoso anche del principio di legittimo affidamento dello straniero, il quale ha presentato la propria istanza di permesso di soggiorno nella convinzione di poterlo in seguito convertire e, qualora si facesse prevalere per il regime di convertibilità il principio tempus regit actum, si troverebbe all’improvviso e inaspettatamente a non poterlo più fare.

Inoltre, una interpretazione più restrittiva comporterebbe una potenziale disparità di trattamento causata dalle diverse tempistiche delle Questure: stranieri che hanno richiesto il permesso di soggiorno nel medesimo momento, si vedrebbero accogliere o negare la conversione del proprio titolo di soggiorno a seconda della maggiore o minore efficienza dell’Amministrazione.

 

6) L’ampliamento dei permessi per casi speciali alla fuga da matrimoni forzati

Si inserisce il delitto di costrizione o induzione al matrimonio di cui all’art. 558-bis del c.p. tra i delitti che legittimano, alle condizioni di cui all’art. 18-bis d.lgs. n. 286/1998, il rilascio di un permesso di soggiorno per casi speciali alle vittime di violenza domestica.

 

7) La riforma del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo

Molte delle nuove norme introdotte dal decreto-legge e dalla legge di conversione riformano in modo vasto e restrittivo il sistema di accoglienza degli stranieri, soprattutto per i richiedenti asilo.

L’art. 5-bis prevede norme sulla gestione dei punti di crisi (hot-spot) previsti dall’art. 10-ter d.lgs. n. 286/1998 e per i Centri governativi di accoglienza per i richiedenti asilo previsti dall’art. 9 d.lgs. n. 142/2015.

1) Si estendono fino 31 dicembre 2025 le deroghe all’applicazione della normativa vigente, già previste per i CPR dall’art. 10, alla realizzazione di nuovi hotspot e Centri governativi; la realizzazione potrà essere effettuata, fino al 31 dicembre 2025, anche in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

2) Si prevede che fino al 2025 l’hotspot di Lampedusa possa essere gestito dalla Croce Rossa Italiana con facoltà di deroga alla normativa vigente, fermo restando che per tale struttura, sono assicurate le prestazioni previste dallo schema di capitolato di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 142/2015.

3) Al Ministero dell’interno è data facoltà di trasferire gli stranieri ospitati presso i punti di crisi in “strutture analoghe” sul territorio nazionale, per l’espletamento delle medesime attività (soccorso, prima assistenza e identificazione); tali strutture saranno individuate con decreto del Ministro dell’interno e della giustizia; la norma appare costituzionalmente illegittima perché in violazione delle riserve di legge previste dagli artt. 10 e 13 Cost. non si precisano con norme legislative le modalità coercitive di trasferimento, né i modi dell’eventuale trattenimento nei punti di crisi.

4) Si prevede che in caso di temporanea indisponibilità di posti nei Centri governativi di prima accoglienza o nei Centri di accoglienza straordinaria, il Prefetto può disporre che l’accoglienza avvenga, per il tempo strettamente necessario, in strutture di accoglienza provvisoria individuate ai sensi del comma 2 (cioè da parte delle Prefetture-uffici territoriali del Governo, previo parere dell’ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici e, nei casi di estrema urgenza, attraverso procedure di affidamento diretto) e, dunque, con le stesse modalità attualmente previste per l’istituzione dei CAS. In tali strutture devono essere assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni contenute nello schema di capitolato di gara di cui all’art. 12, già richiamato.

5) Si destinano circa 8,8 milioni di euro per l’affidamento dei contratti di trasporto marittimo dei migranti da trasferire (presumibilmente dall’isola di Lampedusa ad altri porti).

L’art. 5-ter dispone importanti modifiche al sistema di accoglienza.

Si prevede che le strutture di accoglienze afferenti il Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) non possano accogliere più i richiedenti asilo (che saranno accolti soltanto nell’ambito dei punti di crisi o dei Centri governativi di accoglienza – che non a caso non sono più qualificati come di “prima” accoglienza – o dei Centri di accoglienza straordinaria), salvo quelli che rientrino nelle seguenti categorie:

  1. a) richiedenti protezione internazionale che hanno fatto ingresso nel territorio italiano a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero in seguito ad evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale che prevedono l’individuazione dei beneficiari nei paesi di origine o di transito in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Si tratta di una novità importante che mira a colmare la lacuna di una disciplina a livello legislativo degli ingressi regolari al fine di chiedere asilo, ma che pare tuttora inadeguata a dare effettiva e completa attuazione alla riserva di legge in materia di diritto di asilo prevista dall’art. 10, comma 3 Cost., sia perché le nuove norme non precisano meglio presupposti, requisiti e garanzie delle varie tipologie di programmi, né le modalità di copertura delle relative spese, né i criteri e i modi di individuazione e di selezione degli stranieri beneficiari, sia perché restano privi di una disciplina legislativa gli ingressi individuali di persone bisognose di protezione internazionale, alle quali sarebbero rilasciabili visti a validità territoriale limitata per motivi umanitari.
  2. b) I richiedenti protezione internazionale che appartengono alle c.d. categorie vulnerabili indicate nell’art. 17 d.lgs. n. 142/2015; si tratta di categorie potenzialmente molto numerose (minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, vittime di mutilazioni genitali). È evidente che diventano dunque essenziali i primi periodi successivi alla manifestazione della volontà di presentare domanda di protezione internazionale. Infatti, l’individuazione degli appartenenti a queste categorie in alcuni casi può apparire facile e immediata e in molti altri casi richiede approfondimenti sociali o documentali o accertamenti medici o psicologici.
  3. b) Richiedenti protezione internazionale presenti nelle strutture afferenti al SAI al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (5 maggio 2023), i quali continuare ad usufruire dei servizi integrati nell’ambito dei progetti in cui sono stati inseriti fino alla definizione della relativa domanda di protezione internazionale.
  4. c) Afghani che entrano in Italia in attuazione delle evacuazioni umanitarie eseguite dalle autorità italiane.
  5. d) Sfollati dall’Ucraina, ai quali continuano ad applicarsi le norme speciali vigenti per la protezione temporanea e per i provvedimenti emergenziali disposti a causa del conflitto in atto.

Occorre osservare che questa distinzione legislativa tra richiedenti protezione internazionale, sulla base della loro mera nazionalità o condizione personale o sociale suscita gravi dubbi di legittimità costituzionale, sotto tutti i profili, sia rispetto al principio costituzionale di eguaglianza, sia rispetto al divieto di distinguere i rifugiati per nazionalità contenuto nella Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, sia rispetto ai fini della completa e attuazione della direttiva UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo, per i quali non è legittimo assicurare stabilmente condizioni di accoglienza aventi uno standard più ridotto rispetto a quello previsto in precedenza.

In secondo luogo, si prevede che la mancata presentazione del richiedente presso la struttura individuata entro sette giorni dalla comunicazione da parte del Servizio centrale del SAI e, salvo casi di forza maggiore o di ritardo motivato, è causa di decadenza dalle misure di accoglienza, esclusi i casi di forza maggiore o al ricorrere di obiettive e motivate ragioni di ritardo, valutate dal Prefetto della Provincia di provenienza del beneficiario.

L’art. 5-quater prevede nuove norme in materia di riduzione o revoca delle condizioni di accoglienza, in particolare introducendo nell’art. 23 d.lgs. n. 25/2008 i casi, non previsti in precedenza, di riduzione delle condizioni di accoglienza (che erano menzionate dalla direttiva UE sull’accoglienza).

In particolare, si stabilisce (cfr. lettera c) che riformula il comma 2 del citato art. 23) che nei casi di violazione grave o ripetuta da parte del richiedente delle regole della struttura in cui è accolto, ivi compresi il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero di comportamenti gravemente violenti – ipotesi che finora rientrava tra le ipotesi di revoca (art. 23, comma 1, lett. e)), soppressa dalla lettera b) dell’articolo in esame) – il Prefetto competente, oltre a poter disporre il trasferimento in altra struttura, può adottare i seguenti provvedimenti di riduzione delle misure di accoglienza:

a) esclusione temporanea dalla partecipazione ad attività organizzate dal gestore del Centro;

b) esclusione temporanea dall’accesso a uno o più dei servizi erogati nei Centri di accoglienza ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 142/2015, fatto salvo che non si possono escludere i servizi di accoglienza materiale;

c) sospensione, per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a sei mesi, o revoca dei benefici economici accessori previsti nel capitolato di gara d’appalto di cui all’art. 12 d.lgs. n. 142/2015.

Rispetto all’ipotesi di revoca prevista dal vigente art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015 (soppressa), la nuova fattispecie che giustificherebbe un provvedimento di riduzione delle condizioni di accoglienza vi riconduce il caso di comportamenti gravemente violenti «anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza».

In proposito la Corte di giustizia, nella attività di interpretazione dell’art. 20 della Direttiva, ha chiarito che le «gravi violazioni delle regole dei Centri di accoglienza» e i «comportamenti gravemente violenti» costituiscono due ipotesi distinte, ciascuna delle quali è sufficiente a giustificare l’irrogazione di una sanzione. In mancanza, nel testo di detta disposizione, di una limitazione espressa in senso contrario e tenuto conto della necessità di interpretare le disposizioni del diritto dell’Unione in modo da preservare il loro effetto utile, si deve ritenere che la nozione di «comportamenti gravemente violenti» comprenda qualsiasi comportamento di tale natura, indipendentemente dal luogo in cui si è manifestato. secondo la Corte.

La novella (comma 1, lettera d)) introduce inoltre nel corpo dell’art. 23 d.lgs. n. 142/2015 un nuovo comma 2-bis, ai sensi del quale le misure di revoca o di riduzione devono essere adottate in modo individuale, nel rispetto del principio di proporzionalità, tenuto conto della situazione del richiedente, con riferimento ad eventuali condizioni di vulnerabilità di cui all’art. 17 del decreto accoglienza.

Anche il comma 4 dell’art. 23 è modificato dalla lettera e) in modo da prevedere che, nei casi di violazione delle regole del Centro, il gestore richiami formalmente il richiedente e, allorché ritenga che sussistano i presupposti per l’applicazione delle misure previste, trasmetta tempestivamente alla Prefettura una relazione sui fatti.

La lettera f) reca disposizioni di coordinamento al comma 5 del citato art. 23, estendendo ai provvedimenti di riduzione dell’accoglienza la disciplina sull’efficacia e sui ricorsi avvero i provvedimenti di revoca.

L’art. 6 prevede una misura straordinaria e temporanea per la gestione dell’impresa aggiudicataria di un appalto di fornitura di beni e servizi relativi al funzionamento di un Centro governativo destinato all’accoglienza dei richiedenti asilo o di un Centro di permanenza per il rimpatrio in cui sono trattenuti gli stranieri espulsi o respinti che devono essere accompagnati alla frontiera. In tali casi si prevede la nomina di un funzionario prefettizio dotato di adeguata qualificazione e il contestuale avvio delle procedure di affidamento di un nuovo contratto.

L’ipotesi riguarda il caso di grave inadempimento degli obblighi previsti dallo schema di capitolato di gara adottato con decreto del Ministro dell’interno per ciascuna tipologia di Centro e l’immediata cessazione dell’esecuzione del contratto possa compromettere la continuità dei servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali.

La disposizione disciplina le modalità di prosecuzione del contratto di appalto allorché l’ente gestore, per gravi inadempimenti contrattuali, fosse ritenuto inidoneo a portarne avanti la realizzazione.

L’importanza di garantire la prosecuzione delle attività di accoglienza in favore di persone vulnerabili, richiedenti asilo e rifugiati, che rischierebbero di veder tolte le misure di integrazione e l’accesso ai diritti fondamentali per cause a loro non imputabili, non toglie i dubbi che suscitano le nuove disposizioni.

In primo luogo, si può dubitare che esistano funzionari prefettizi dotati della preparazione necessaria per la gestione di un Centro di accoglienza o un Centro di permanenza temporanea seppur in via provvisoria.

In secondo luogo la norma reca profili di illegittimità per violazione delle direttive UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo e sul rimpatrio degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare, allorché il grave inadempimento degli obblighi previsti dallo schema di capitolato d’appalto danneggi o faccia cessare o ridurre la quantità e la qualità delle prestazioni che in base a tali direttive devono essere assicurate ad ogni straniero accolto in un Centro per accoglienza di richiedenti asilo o trattenuto in un Centro di permanenza per il rimpatrio. Insomma, la mera attribuzione legislativa ad una gestione straordinaria prefettizia diretta di una determinata struttura non può di per sé mantenere un luogo e dei servizi inadeguati al solo scopo di non far chiudere una struttura, senza provvedere contestualmente ad adottare tutte quelle misure concrete per ripristinare pure gli standard di qualità e quantità delle prestazioni che devono essere garantiti ad ogni straniero in tutti i Centri.

L’art. 6-bis prevede l’attivazione di una postazione medicalizzata del 118 presso l’isola di Lampedusa, correlata al fenomeno dei flussi migratori e alle particolari condizioni geografiche del territorio, e deve avvenire nell’ambito del sistema di soccorso della Regione siciliana, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Entro tale termine l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà (INMP), sentito il Ministero della salute, deve stipulare un protocollo d’intesa con il Ministero dell’interno, la Regione siciliana, il Comune di Lampedusa e la Capitaneria di porto Guardia costiera, finalizzato a garantire a tale postazione medicalizzata l’apporto di adeguate professionalità, la strumentazione tecnica necessaria, nonché i protocolli di presa in carico e assistenza della popolazione migrante.

L’art. 6-ter prevede gravi modifiche alla disciplina sulle modalità di accoglienza: si espunge l’assistenza psicologica, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, dalle prestazioni che devono essere assicurate nelle strutture di prima accoglienza.

La disposizione ha forse finalità di risparmio economico nella gestione del sistema di accoglienza, forse fondandosi sull’illusorio presupposto implicito che tutti i servizi ordinari operanti sul territorio italiano siano in grado di offrire tali servizi specialistici agli stranieri ospitati nei centri. La disposizione può avere effetti deleteri sulla condizione umana, sanitaria e legale dei richiedenti asilo, spesso bisognosi di assistenza psicologica immediata proprio per le gravi situazioni individuali e collettive che ne hanno segnato la vita e l’itinerario migratorio, e di orientamento legale nello svolgimento della procedura, che non può certo essere soddisfatto soltanto con i generici materiali informativi preparati dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e distribuiti dalle Questure.

Si tratta inoltre di una scelta di dubbia legittimità, sotto il profilo della direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale, nella quale si prescrive che appropriate misure di assistenza psichica devono essere fornite a tutti i richiedenti asilo, con particolare riguardo per minori, vittime di tratta e di tortura e di violenza (si vedano gli artt. 19, 21, 23 e 25), e che debbano essere indirizzati verso organizzazioni ed enti che possano fornire l’orientamento legale (si veda l’art. 5).

 

8) Riforma della composizione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale

L’art. 7, comma 1, lett. a) del decreto-legge svincola l’individuazione dei funzionari amministrativi delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale dal contingente di personale specializzato in diritti umani e geopolitica, reclutato ai sensi del d.l. n. 13/2017 consentendo di attingerli altresì «dall’area dei funzionari o delle elevate professionalità» dell’Amministrazione civile dell’interno, che sia appositamente formato in materia di protezione internazionale, a cura di quella medesima amministrazione, successivamente all’ingresso in ruolo.

La scelta appare assai pericolosa ai fini di assicurare effettività al diritto di asilo e all’attuazione della Direttiva UE sull’esame delle domande di protezione internazionale, perché il reclutamento di costoro non già per concorso (principio generale previsto dall’art. 97 Cost.), bensì tra persone, seppur di elevata professionalità, che però sono già dipendenti dall’Amministrazione civile dell’interno e non hanno le necessarie conoscenze giuridiche e geopolitiche per svolgere i colloqui e partecipare alle decisioni delle Commissioni, il che finisce per ostacolare l’indipendenza di giudizio e di valutazione che deve caratterizzare la decisione di ogni Commissione nell’esame delle domande (art. 4, comma 3-bis d.lgs. n. 25/2008). A ciò non può certo sopperire la formazione successiva del personale individuato curata dalla Commissione nazionale, formazione e aggiornamento che sono già obbligatori ai sensi dell’art. 15 d.lgs. n. 25/2015.

 

9) Nuove procedure accelerate di esame delle domande di protezione internazionale presentate in frontiera, nuova disciplina dei casi di inammissibilità e di sospensione degli effetti in caso di ricorso giurisdizionale

Altre cruciali norme riformano le procedure per l’esame delle domande di protezione internazionale, soprattutto se presentate in frontiera e prevedono anche nuove norme sulla sospensione in caso di presentazione di ricorsi giurisdizionali e dele connesse ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo.

Art. 7-bis, comma 1, alla lettera b) reca previsioni relative alle procedure accelerate di esame della domanda di protezione internazionale, svolto dalle Commissioni territoriali.

Si prevede quale distinta fattispecie di procedura accelerata, l’ipotesi della domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da straniero proveniente da un Paese di origine designato come sicuro e si prevede per la domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o zona di transito da uno straniero proveniente da Paese di origine sicuro oppure fermato per avere eluso i relativi controlli (o tentato di eludere), che la procedura accelerata di esame della domanda possa essere svolta direttamente in loco (frontiera o zona di transito) e che per quelle domande la Commissione territoriale decida nel termine di sette giorni dalla ricezione della domanda.

Si tratta di un aspetto cruciale di tutta la riforma, perché è collegato al nuovo decreto ministeriale che ha dichiarato Paesi sicuri l’80% degli Stati di origine dei richiedenti asilo e alle nuove ipotesi di trattenimento in appositi Centri nei confronti dei richiedenti asilo, le cui domande siano da esaminarsi con la procedura di frontiera.

È dunque assai probabile che in futuro la maggioranza dei richiedenti protezione internazionale sarà trattenuta durante l’esame delle loro domande che sarà svolto soprattutto con queste procedure accelerate, il che comporta per il richiedente l’inversione dell’onere della prova (con prevedibile massiccio esito negativo) e il dimezzamento dei termini per l’eventuale ricorso giurisdizionale. L’effetto complessivo delle nuove norme mira a dissuadere la presentazione di domande pretestuose e a velocizzare al massimo il loro esame. Tuttavia i flussi migratori sono determinati non soltanto da fattori attrattivi, ma anche da fattori espulsivi, i quali continuano a persistere, sicché è prevedibile che non diminuirà il numero di domande di protezione internazionale, mentre diminuirà l’effettivo approfondimento della situazione di ogni richiedente nell’esame di ognuna di queste domande che è improbabile riuscire a svolgere in soli sette giorni, senza che peraltro tutti gli stranieri la cui domanda sia rigettata anche a livello giurisdizionale possano essere effettivamente rimpatriati nei loro Stati di origine, i quali spesso solo in apparenza possono dirsi davvero sicuri.

È evidente la criticità di queste nuove norme, tanto che nella nota tecnica del maggio 2023, l’UNHCR sottolinea la necessità di istituire procedure di frontiera «rispettose delle necessarie garanzie procedurali» ed evidenzia come «possano essere esaminate in tempi più ristretti e in frontiera quelle domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate (ovvero chiaramente non riconducibili ai criteri per il riconoscimento della protezione internazionale o proposte con il solo fine di trarre in inganno le autorità).».

L’UNHCR, peraltro pur convenendo sulla necessità di tutelare la qualità e l’efficienza del sistema di asilo anche tramite il rafforzamento delle procedure di frontiera, «raccomanda di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate. In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso.

Dal punto di vista della sua attuazione pratica, la procedura di frontiera richiede:

- strutture con una capacità adeguata per due funzioni: accogliere tutti i richiedenti che giungono in frontiera, per la durata delle operazioni di screening e triaging; ospitare fino a quattro settimane coloro che risulteranno incanalati nella procedura di frontiera;

- locali idonei a garantire riservatezza e uno spazio sicuro per le operazioni di screening, le attività di registrazione delle domande e per l’eventuale svolgimento dei colloqui per la protezione internazionale;

- prestazione di servizi necessari alla garanzia dei diritti fondamentali delle persone, quali l’accesso all’assistenza legale e alle necessarie prestazioni sanitarie e psicologiche.

Per rispettare i termini previsti per il completamento della procedura di asilo (7 giorni per la fase di competenza della Commissione Territoriale e 5 giorni affinché il giudice si pronunci sulla richiesta di sospensiva, in caso di ricorso) saranno necessarie notevoli risorse umane e strumentali».

La lettera c) prevede un complessivo riordino, in modo conforme alla Direttiva UE, della disciplina dei casi di inammissibilità della domanda di protezione internazionale, prevista nell’art. 29 d.lgs. n. 25/2008.

Anzitutto si prevede che la reiterazione avvenga non soltanto se si adducono “nuovi elementi” in merito alle condizioni personali o alla situazione del Paese di origine, ma anche “nuove prove”, che gli elementi e le prove devono rendere “significativamente più probabile” l’accoglimento della domanda e che il richiedente ha l’onere di allegazione specifica della non imputabilità a sua “colpa” del ritardo nella presentazione di tali nuovi elementi o prove, rispetto alla precedente domanda (o ricorso avverso il suo esito negativo).

La lettera d) interviene sulla eccezione al principio della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione negativa della Commissione territoriale, conseguente alla proposizione del ricorso giurisdizionale da parte del richiedente domanda di protezione internazionale.

Si include tra le eccezioni al principio della sospensione dell’efficacia esecutiva, sia l’ipotesi della domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, sia il caso di rigetto (e non solo l’inammissibilità) della domanda che riguarda un’altra domanda reiterata, a seguito di una decisione definitiva che respinga o dichiari inammissibile una prima domanda reiterata. Forse ci rivolge ad una “seconda” domanda reiterata.

La lettera e) introduce nel d. lgs. n. 25/2008 un nuovo art. 35-ter, che disciplina la sospensione della decisione sulla protezione internazionale, nella procedura di frontiera, quando il richiedente sia trattenuto.

In tal caso di trattenimento alla frontiera, è configurata una specifica disciplina relativa alla controversia sulla decisione della Commissione territoriale.

Si prevede un termine per il ricorso avverso la decisione, di quattordici giorni (dalla notifica del provvedimento).

È dunque un termine più breve rispetto a quello “ordinario” di trenta giorni (o sessanta giorni se il richiedente si trovi in un Paese terzo al momento della presentazione del ricorso) ai sensi dell’art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008, onde calibrarlo sulla specifica situazione del trattenimento alla frontiera.

La sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione avviene secondo le modalità – e le eccezioni ad essa – disegnate dal già richiamato art. 35-bis, comma 3 d.lgs. n. 25/2008.

Si specifica che l’istanza di sospensione deve essere proposta con il ricorso introduttivo, a pena di inammissibilità.

Il ricorso è immediatamente notificato (a cura della cancelleria) al Ministero dell’interno, presso la Commissione territoriale (o sua sezione) che abbia adottato l’atto impugnato, nonché al pubblico ministero, che nei successivi due giorni possono depositare note difensive.

Nello stesso termine, la Commissione è tenuta a rendere disponibili il verbale di audizione o, dove possibile, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, copia della domanda di protezione internazionale e di tutta la documentazione acquisita nel corso della procedura di esame.

Alla scadenza del termine, il giudice (in composizione monocratica) provvede allo stato degli atti entro cinque giorni con decreto motivato non impugnabile.

Dal momento della proposizione dell'istanza e fino all’adozione della decisione sul ricorso, il ricorrente non può essere espulso o allontanato dal luogo nel quale è trattenuto.

L’accoglimento dell’istanza di sospensione determina l’ammissione dello straniero nel territorio nazionale ed il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta asilo.

La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato perde efficacia allorché il ricorso sia rigettato (anche se con decreto non definitivo).

 

10) Tre nuove ipotesi di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale

Le tre nuove ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo, introdotte con l’art. 7-bis, comma 2, del decreto-legge, astrattamente consentite sia dalla Direttiva UE sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, sia dal Regolamento UE sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale, suscitano notevoli dubbi di legittimità costituzionale, sia con riguardo alla tassatività dei presupposti (richiesti nell’art. 13 Cost. dalla riserva di legge assoluta in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale), sia con riguardo alla necessità (prevista nelle norme UE) che la norma nazionale precisi meglio i presupposti del trattenimento consentiti dalle norme UE, sia con riguardo alla non eccezionalità dell’attribuzione al solo Questore della facoltà di disporre il trattenimento, anziché alla sola autorità giudiziaria, requisiti imposti dalla riserva di giurisdizione in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale prevista dall’art. 13 Cost.

Inoltre, il complesso dei presupposti delle nuove ipotesi di trattenimento e la loro configurazione di ipotesi generiche e facoltative paiono riguardare gran parte dei casi concreti in cui si presentano richiedenti asilo in Italia e danno un’enorme discrezionalità alle autorità di pubblica sicurezza. Così però si elude il principio generale previsto dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 142/2015, che prevede che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda, il quale attua l’art. 26 della Direttiva 2013/32/UE che vieta il trattenimento di una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente asilo.

La prima nuova ipotesi di trattenimento è inserita nell’art. 6 d.lgs. n. 142/2015 ed è la facoltà del Questore di disporre il trattenimento dei richiedenti nei Centri di permanenza e rimpatrio (CPR), nei limiti dei posti disponibili e anche qualora ciò sia necessario per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento.

Inoltre, si ampliano le circostanze per la valutazione del rischio di fuga, che comporta il trattenimento, prevedendo che esso sussista anche nei casi di mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità e/o avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità.

Si prevede anche la necessità di fare operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e di verifica delle banche dati per la determinazione o la verifica dell’identità o della cittadinanza del richiedente protezione internazionale, che sia stato sottoposto a trattenimento proprio perché non è stato possibile procedere alla sua identificazione.

In tale ipotesi si prevede la facoltà di trattenere il richiedente al momento della presentazione della domanda fino alla decisione sulla eventuale istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto della medesima domanda, ai sensi dell’art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008.

La seconda ipotesi di trattenimento è inserita nel nuovo art. 6-bis d.lgs. n. 142/2015 ed è la facoltà del Questore di disporre il trattenimento del richiedente asilo – al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato – nel caso di presentazione della domanda alla frontiera dopo avere eluso i relativi controlli o se proviene da un Paese di origine sicuro.

Il richiedente asilo alla frontiera può essere trattenuto qualora non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. L’individuazione dell'importo e delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria è demandata ad un decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore della disposizione (cioè, entro il 5 agosto 2023).

Il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera e in ogni caso non può essere superiore ad un periodo di quattro settimane, non prorogabile (comma 3 del nuovo art. 6-bis).

Il comma 4 specifica che il trattenimento deve avvenire in appositi locali presso i punti di crisi (c.d. hotspot), i Centri di soccorso e di prima assistenza istituiti per accogliere gli stranieri irregolari rintracciati nei pressi della frontiera o a seguito di operazione di salvataggio in mare (sono le strutture di cui all’art. 10-ter, comma 1, d.lgs. n. 286/1998). In caso di arrivi consistenti e ravvicinati il trattenimento può avvenire nei centri di permanenza per i rimpatri per il tempo strettamente necessario all'accertamento del diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

Si prevede, infine, l’applicazione, per quanto è compatibile, della procedura di adozione del provvedimento di trattenimento del questore prevista in via generale per i richiedenti asilo dall’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 25/2008, inclusa la convalida da parte della sezione specializzata del tribunale per la protezione internazionale.

In proposito nella nota di maggio 2023 di commento delle nuove norme UNHCR osserva che appare «ingiustificato, collegare i presupposti per un trattenimento di quattro settimane, volto a completare l’esame della domanda di protezione, nell’ambito della procedura di frontiera, a criteri quali la mancanza di documenti o di mezzi finanziari, combinati con la provenienza da un Paese di origine designato come sicuro, senza alcuna valutazione preliminare sulla fondatezza o meno della domanda».

Occorrerebbe dunque escludere dal trattenimento e dalla procedura di frontiera cittadini di Paesi di origine sicuri che fin dall’inizio appartengano alle categorie vulnerabili o portino elementi per dimostrare che nella loro situazione personale in quello Stato sussiste il timore fondato di subire persecuzioni o danni gravi.

La terza ipotesi di trattenimento è inserita nel nuovo art. 6-ter d.lgs. n. 142/2015 ed è la facoltà del Questore di disporre il trattenimento nei CPR, qualora non possano applicarsi le misure alternative al trattenimento previste in via generale dall’art. 14, comma 1-bis d.lgs. n. 286/1998, nei casi in cui sussista un notevole pericolo di fuga del richiedente asilo in attesa del suo trasferimento nello Stato competente ad esaminare la domanda secondo la c.d. procedura Dublino.

Il comma 2 del nuovo art. 6-ter specifica che il notevole rischio di fuga sussiste quando il richiedente si sia sottratto a un primo tentativo di trasferimento, ovvero in presenza di almeno due delle seguenti circostanze:

a) mancanza di un documento di viaggio;

b) mancanza di un indirizzo affidabile;

c) inadempimento dell’obbligo di presentarsi alle autorità competenti;

d) mancanza di risorse finanziarie;

e) ricorso sistematico a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità anche al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione.

Infine, il comma 3 del nuovo art. 6-ter chiarisce che il trattenimento è effettuato per il tempo strettamente necessario per l’esecuzione del trasferimento e comunque non può superare un periodo complessivo di sei settimane che il giudice, su richiesta del questore e in presenza di gravi difficoltà relative all’esecuzione del trasferimento, può prorogare il trattenimento per ulteriori 30 giorni, fino a un termine massimo di ulteriori sei settimane. Anche prima di tale termine, il Questore esegue il trasferimento dandone comunicazione senza ritardo al giudice.

Si applica in quanto compatibile la procedura di convalida del trattenimento di cui all’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 142/2015.

In proposito nella sua nota di commento del maggio 2023 UNHCR osserva che mentre taluni elementi indicati nelle nuove norme potrebbero effettivamente rappresentare circostanze atte a configurare un rischio di fuga (p.es., l’essersi sottratto ad un precedente trasferimento), «altri sono connaturati alla condizione stessa del rifugiato in fuga dal Paese di origine (es. mancanza di un documento di viaggio o di risorse finanziarie) e non forniscono alcuna indicazione in merito alla intenzione della persona di sottrarsi al trasferimento».

 

11) Nuova disciplina delle decisioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo

Art. 7-ter reca disposizioni in materia di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale.

In primo luogo si prevede che la Commissione territoriale per la protezione internazionale, nel caso in cui ritenga che non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e non ricorrano neanche le condizioni per la trasmissione degli atti al Questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale o per cure mediche acquisisce dal questore elementi informativi circa la non sussistenza di una delle cause che impediscono il respingimento alla frontiera e l’espulsione di cui all’art. 19, comma 1-bis (minori non accompagnati) e comma 2 (minorenni, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi, stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana, donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio e loro mariti conviventi, stranieri che versano in gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie che non possono essere curate nel loro Paese di origine).

In secondo luogo, si prevede che la decisione di inammissibilità o di rigetto della domanda di protezione internazionale senza che sia rilasciato altro titolo di soggiorno comporta l’obbligo di lasciare il territorio nazionale al termine del periodo per la sua impugnazione con ricorso giurisdizionale e salvo sospensione degli effetti della decisione impugnata è accompagnata. Essa è accompagnata dall’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e del divieto di reingresso ai sensi dell’art. 13, comma 4 o 5 d.lgs. n. 286/1998 (espulsione con accompagnamento alla frontiera o con concessione del termine per la partenza volontaria. Il provvedimento delle Commissioni territoriali che attesta l’obbligo di rimpatrio è equiparato dal punto di vista degli effetti al provvedimento amministrativo di espulsione.

Il “provvedimento unificato” (perché tiene insieme diniego e decisione di rimpatrio) è impugnabile con ricorso “unitario” alla sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale territorialmente competente ai sensi dell’art. 35 co. 1, d.lgs. 25/2008 e l’obbligo di rimpatrio è subordinato alla decisione (anche eventualmente cautelare) del Tribunale.

Su questa nuova disposizione numerose osservazioni critiche sono delineate nella scheda ASGI.

In primo luogo, circa l’individuazione del periodo di divieto di rientro ogni Commissione territoriale finisce per essere dipendente dalle prassi in uso nelle Questure.

Inoltre, l’obbligo imposto alle Commissioni territoriali di chiedere al Questore l’insussistenza di cause impeditive all’espulsione che costituisce “presupposto indispensabile” per la successiva adozione del provvedimento unificato, fa sembrare che le Commissioni non abbiano le competenze necessarie ad evidenziare le cause di inespellibilità di cui all’art. 19, d.lgs. n. 286/1998.

Tutti i provvedimenti unificati sono impugnabili innanzi alle sezioni specializzate dei Tribunali. Perciò oggetto di impugnazione è sia il diniego della domanda di protezione che la decisione di rimpatrio – che si pone come atto consequenziale, ma pur sempre autonomo, quantomeno per la determinazione delle forme attuative –, e anche la determinazione della durata del divieto di reingresso. Resta da stabilire se possa essere oggetto di impugnazione anche l’opzione relativa alla mancata concessione del termine per la partenza volontaria nell’ambito del provvedimento unificato. Infatti, il novellato art. 32, co. 4-bis, d.lgs. 25/2008 prescrive che l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio produce gli effetti dell’art. 13, d.lgs. n. 286/1998 e «il questore procede ai sensi dell’art. 13, co. 4 e 5»: ma chi decide se si procede ai sensi del comma 4 (accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica), ovvero del comma 5 (termine per la partenza volontaria)? La Commissione che emette il provvedimento unificato o il Questore che deve eseguirlo? Siccome ai sensi del comma 5 la richiesta della concessione del termine va inoltrata al Prefetto ed è questo a riconoscerlo o negarlo «con lo stesso provvedimento di espulsione», poiché ora è la Commissione che si sostituisce al Prefetto con l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio essa determina anche le modalità attuative, e, conseguentemente, l’eventuale mancato riconoscimento del termine per la partenza volontaria sarà oggetto dell’impugnazione delle decisione unificata alla sezione specializzata del Tribunale.

Questa conclusione, coerente con l’impianto normativo, potrebbe apparire in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l’omessa concessione del termine per la partenza volontaria non impinge con la legittimità del decreto espulsivo, ma soltanto con la sua modalità esecutiva, sicché non può essere oggetto di doglianza in sede di ricorso avverso il decreto di espulsione, ma solo in sede di convalida dell’allontanamento o del trattenimento. Convalida che la legge non chiarisce se debba ricadere nella competenza del Giudice di pace (visto che ormai si è fuori dell’ambito della protezione internazionale, perché il ricorso avverso il diniego della domanda di protezione è stato respinto: si tratta di situazioni in cui il ricorso per la protezione internazionale con incidentale richiesta di annullamento dell’espulsione è stato respinto, altrimenti non si procederebbe all’esecuzione dell’espulsione) o del Tribunale.

La lettera c) prevede che anche prima dell’adozione delle decisioni di revoca o di cessazione dello status di protezione internazionale la commissione nazionale per il diritto di asilo deve accertarsi circa la non sussistenza di una dei divieti di respingimento e di espulsione e deve accompagnare la decisione con l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio.

La lettera d) circoscrive il diritto di ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria avverso la decisione della commissione territoriale esclusivamente nei confronti delle decisioni di rigetto di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 25/2008 e non anche a quelle di inammissibilità pronunciate ai sensi dell’art. 29. Tale profilo di oggettiva illegittimità rispetto all’obbligo di prevedere ricorsi giurisdizionali anche contro le decisioni di inammissibilità previsto nell’art. 46 della Direttiva 2013/33/CE è stato poi sanato con l’art. 12 del decreto-legge 10.05.2023, n. 51.

Si precisa anche che è ammesso ricorso al giudice ordinario avverso i provvedimenti della Commissione nazionale di cui all’art. 33 d.lgs. n. 25/2008 (revoca e cessazione dello status di protezione internazionale).

Si estende anche la possibilità del ricorso anche qualora sia stata riconosciuta la protezione speciale e nel caso di rigetto della domanda con contestuale trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche (art. 32, comma 3.1, d.lgs. n. 25/2008).

La lettera e) consente al difensore di accedere, prima del deposito del ricorso, alla videoregistrazione del colloquio personale sostenuto dal richiedente presso la commissione territoriale competente ai fini della valutazione della domanda (a tal fine si modifica l’art. 35-bis, comma 8 del d.lgs. n. 25/2008).

 

12) Le udienze teletrasmesse dei procedimenti di convalida e proroga degli accompagnamenti e dei trattenimenti e dei giudizi sui ricorsi contro i provvedimenti amministrativi di espulsione

L’art. 7-quater prevede che, ove è possibile, il richiedente asilo partecipi a distanza mediante collegamento audiovisivo sia all’udienza per la convalida dell’esecuzione del provvedimento del questore di espulsione con accompagnamento alla frontiera, sia all’udienza di convalida del provvedimento del Questore che dispone il trattenimento dello straniero nel CPR, qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione.

La lettera a) interviene nella procedura di convalida dell’esecuzione del provvedimento amministrativo di espulsione da eseguirsi dal Questore di espulsione con accompagnamento alla frontiera, disciplinato dall’art. 13, comma 5-bis del d.lgs. n. 286/1998. Si prevede che il destinatario del provvedimento partecipi all’udienza per la convalida, ove possibile, a distanza mediante collegamento audiovisivo, tra l’aula d’udienza e il Centro di permanenza per i rimpatri nel quale lo straniero è trattenuto. Si tratta di una modalità di partecipazione già prevista per l’udienza di convalida del provvedimento di trattenimento del richiedente asilo ai sensi dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n.142/2015 che prevede anche il collegamento audiovisivo si svolga in conformità alle specifiche tecniche stabilite con decreto direttoriale d’intesa tra i Ministeri della giustizia e dell’interno e con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Il decreto direttoriale è stato adottato nel marzo 2022.

Le nuove norme prevedono che le medesime specifiche tecniche del decreto direttoriale si applicano anche all’udienza per la convalida dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera.

La lettera b) introduce una disposizione identica a quella vista sopra riguardo alla partecipazione dell’interessato all’udienza di convalida del provvedimento del questore che dispone il trattenimento dello straniero nel CPR, qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione (art. 14, comma 4, d.lgs. n. 286/1998).

Nella scheda pratica elaborata dall’ASGI, si osserva che dalle nuove norme si ricava che, se lo straniero non è sottoposto alla misura del trattenimento amministrativo in un CPR, ma in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza, non è consentita la partecipazione all’udienza da remoto.

Si osserva altresì che queste nuove norme mantengono due criticità di fondo (che incidono sull’effettività del diritto alla difesa e al contraddittorio garantiti negli artt. 24 e 111 Cost.):

- il mancato contatto diretto tra giudice e straniero trattenuto accentua in costui le difficoltà di comprensione determinate dalla barriera linguistica (pur in presenza di un interprete), l’impossibilità di percezione del “non detto”, e la difficoltà di produrre eventuale documentazione utile alla sua difesa contestualmente alla celebrazione dell’udienza; in sostanza una forte limitazione della pienezza del contraddittorio;

- una frustrazione dell’effettività del diritto di difesa, dovendo l’avvocato scegliere se partecipare all’udienza in aula accanto al giudice (in modo da verificare la corretta verbalizzazione delle dichiarazioni e delle istanze) o accanto al proprio assistito, interloquendo personalmente con lui.

 

13) La procedura decisoria semplificata dei ricorsi giurisdizionali depositati entro il 31 dicembre 2021

L’art. 7-quinquies prevede una procedura decisoria semplificata dei ricorsi depositati entro il 31 dicembre 2021 ai sensi dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 25/2008 relativo alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale.

Il comma 1 prevede che nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione (5 maggio 2023), nei quali il ricorso ai sensi dell’art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008 (che disciplina le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, si veda la scheda relativa all’art. 7-bis, comma 1) è stato depositato entro il 31 dicembre 2021, il difensore, munito di procura speciale (comma 2) può depositare istanza di esame: a) in via principale della domanda di protezione speciale; b) in via subordinata della domanda di protezione internazionale.

Si prevedono, poi, i requisiti dell’istanza di decisione semplificata prevedendo che tale istanza debba motivare e documentare la sussistenza (alla data di entrata in vigore della legge di conversione) dei presupposti di accoglibilità della domanda di riconoscimento della protezione speciale. La mancata produzione di documenti a corredo dell’istanza ne determina l’inammissibilità (comma 4).

L’inammissibilità è dichiarata dal giudice designato con ordinanza non impugnabile. L’istanza è inoltre immediatamente comunicata a cura della Cancelleria alla Commissione territoriale, che ha adottato l’atto impugnato, e al pubblico ministero, i quali, entro 15 giorni dalla comunicazione, hanno la facoltà di depositare sintetiche controdeduzioni (comma 3).

La domanda di protezione speciale deve essere esaminata dal giudice in composizione monocratica. Quando ne ricorrono i presupposti il giudice accoglie l’istanza allo stato degli atti con decreto non reclamabile e dichiara l’estinzione delle domande proposte in via subordinata provvedendo sulle spese (comma 5).

Quando la parte ricorrente è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice deve procedere alla liquidazione in conformità all’art. 82 d.p.r. 30.05.2002, n. 115 (comma 7).

Il comma 6 regola l'eventuale rimessione al collegio per la decisione.

Il comma 8 disciplina in regime di impugnabilità del provvedimento adottato dal giudice in composizione monocratica. Contro il decreto adottato ai sensi del comma 5 può essere proposto ricorso in Cassazione e si applica l’art. 35-bis, comma 13, quinto e sesto periodo.

Il comma 9 infine contiene la clausola di trattazione prioritaria di queste istanze con riserva di compatibilità del lavoro già organizzato dalla sezione specializzata.

 

14) Nuove norme penali contro il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare

L’art. 8 del decreto-legge reca disposizioni penali che inaspriscono le pene per i delitti concernenti il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e prevedono il nuovo reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.

Il comma 1, lett. a) interviene sulle cornici edittali delle fattispecie delittuose previste dai commi 1 e 3 dell’art. 12 d.lgs. n. 286/1998 innalzando di un anno i rispettivi limiti minimi e massimi di pena detentiva.

Il comma 1, lettera b) introduce un nuovo art. 12-bis, d.lgs. n. 286/1998 che prevede la nuova fattispecie di reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.

Si tratta di un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque ponga in essere – in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 – una delle condotte descritte dal comma 1 del nuovo articolo, ossia: promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiere altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.

Si specifica ai fini dell’integrazione della condotta del reato il trasporto di stranieri può essere effettuato in qualunque modo.

Per integrare la fattispecie occorre inoltre che il trasporto o l’ingresso siano attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante.

L’elemento aggiuntivo che caratterizza la nuova fattispecie rispetto a tali condotte è la causazione non voluta di un evento in danno delle persone trasportate, o comunque oggetto dell’attività di immigrazione clandestina, prevedendosi le seguenti sanzioni:

- reclusione da 20 a 30 anni, se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone, oppure la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone (comma 1, art. 12-bis);

- reclusione da 15 a 24 anni, se dal fatto deriva – sempre quale conseguenza non voluta – la morte di una singola persona (comma 2, art. 12-bis);

- reclusione da 10 a 20 anni, quando si verifichino lesioni gravi o gravissime a carico di una o di più persone (comma 2, art. 12-bis).

Il comma 3 dell’art. 12-bis disciplina le aggravanti per la nuova fattispecie di reato, prevedendo in particolare:

- l’aumento della pena fino ad un terzo quando ricorra una delle ipotesi previste dall’art. 12, comma 3, lettere a) d) ed e) e dunque: se il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro; se gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti;

- l’aumento della pena da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi predette, nonché nei casi previsti dall’art. 12, comma 3-ter e dunque fatti commessi: allo scopo di reclutare persone da destinare alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale o lavorativo, ovvero minorenni da impiegare in attività illecite; al fine di trarne un ingiusto profitto anche indiretto.

Il comma 4 dell’art. 12-bis stabilisce che, per il nuovo delitto aggravato dalle circostanze di cui al comma 3, le attenuanti – salvo quelle della minore età (ex art. 98 c.p.) e della minima partecipazione e della infermità o deficienza psichica (ex art. 114 c.p.) – si computano solo dopo la determinazione della pena per il reato aggravato.

Il comma 5 dell’art. 12-bis richiama l’applicazione di specifiche ulteriori disposizioni dell’art. 12, relative ai reati concernenti l’immigrazione clandestina ed in particolare di quelle relative: alla diminuzione di pena nei confronti dell’imputato che collabori con l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria (comma 3-quinquies); all’arresto in flagranza (comma 4); alla custodia cautelare in carcere (comma 4-bis) e alla confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato (comma 4-ter).

Il comma 6 del nuovo art. 12-bis introduce infine una norma sulla giurisdizione volta specificare che – fermo quanto disposto dall’art. 6 c.p. in tema di territorialità – ai fini della sussistenza della giurisdizione italiana, non assume rilievo la circostanza che l’evento della nuova fattispecie delittuosa (morte o lesioni) si sia verificato al di fuori del territorio dello Stato italiano ove si tratti di condotte finalizzate a procurare l’ingresso illegale nel territorio italiano.

I commi 2, 3 e 4 dell’art. 8, recano talune disposizioni di coordinamento volte a rendere applicabili anche al nuovo reato di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 286/1998, oltre che a quello di cui all’art. 12, talune norme della legge sull’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale.

In particolare, il comma 2 interviene sull’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, dell’ordinamento penitenziario (l. 354/1975), al fine di ricomprendere il reato di cui al nuovo art. 12-bis del Testo unico sull’immigrazione fra quelli cosiddetti “ostativi”, vale a dire fra quelli che non consentono la concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario medesimo.

Il comma 3 interviene sull’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. al fine di attribuire la competenza ad esercitare le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado relativi al nuovo reato di cui all’art. 12-bis alla procura distrettuale.

Il comma 3, infine, interviene sull’art. 407, comma 2, lett. a), numero 7-bis c.p.p. al fine di ricomprendere il nuovo reato di cui all’art. 12-bis fra quelli per cui è previsto il termine di durata massima delle indagini preliminari di due anni (anziché diciotto mesi, come previsto in via generale per i delitti dal comma 1 del medesimo art. 407).

Come conclude la scheda pratica dell’ASGI, l’intervento legislativo, in ambito penale, pare più che altro dettato dalla volontà di quietare il clamore pubblico suscitato dal noto e recente naufragio di Cutro, limitandosi ad innalzare di un anno le pene previste per il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e a reprimere con nuovo delitto (che, senza aumentare l’area del penalmente rilevante, di fatto inasprisce meramente i minimi edittali delle pene irrogabili), proprio fatti analoghi a quelli di cronaca, con evidente tratto simbolico della riforma.

In ogni caso, le nuove disposizioni penali suscitano dubbi sia circa la loro efficacia, sia circa la loro conformità ai principi costituzionali, con particolare riguardo all’esigenza che le norme penali prevedano fattispecie incriminatrici tassative e pene proporzionali alla gravità del fatto. Pure la necessità di introdurre la nuova fattispecie incriminatrice deve essere dimostrata poiché la morte conseguenze di altro delitto è già punita nel codice penale.

 

15) Modifiche dei ricorsi giurisdizionali in materia di protezione internazionale

L’art. 9, comma 1, del decreto-legge modifica l’art. 35-bis, comma 2, primo periodo, del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, sulla disciplina delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, modificando la norma finora vigente in tema di presentazione del ricorso laddove il richiedente «risieda all’estero» per circoscriverla alla diversa ipotesi in cui il richiedente «si trovi in un Paese terzo al momento della proposizione del ricorso». Resta confermato che in tal caso, come riformulato, il ricorso debba essere presentato, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento (in luogo del termine ordinario di trenta giorni).

La relazione illustrativa del decreto-legge spiega che la modifica intende ricondurre la previsione ad un dato fattuale e non “anagrafico” che è molto spesso di difficile verifica.

 

16) La soppressione della convalida giurisdizionale degli accompagnamenti alla frontiera degli stranieri espulsi con provvedimenti giudiziari

L’art. 9, comma 2 del decreto-legge modifica l’art. 13, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998, elimina l’obbligo di sottoporre a convalida l’esecuzione del decreto di espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza ovvero a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, ai sensi degli artt. 15 e 16 d.lgs. n. 286/1998 e le altre ipotesi di cui alla lettera f) dell’art, 13, co. 4, d.lgs. n. 286/1998.

La relazione illustrativa precisa che la disposizione intende semplificare e velocizzare l’attuale procedura senza incidere sulle garanzie di tutela giurisdizionale in quanto la convalida viene eliminata per l’esecuzione dei decreti di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria, in forza degli artt. 15 e 16 d. lgs. n. 286/1998.

Questa ratio appare però fondata soltanto per i casi in cui non vi sia soluzione di continuità tra la decisione giudiziaria e l’esecuzione dell’accompagnamento alla frontiera.

Invece negli altri casi l’eliminazione della convalida giurisdizionale rischia di produrre effetti molto gravi perché consente all’autorità di pubblica sicurezza di eseguire con accompagnamento alla frontiera provvedimenti di espulsione anche allorchè lo straniero si trovi in una delle situazioni indicate nell’art. 19 d. lgs. n. 286/1998, che vietano le espulsioni anche sulla base di varie norme internazionali e costituzionali.

In proposito la scheda ASGI osserva che nei casi in cui intercorra un lasso di tempo significativo tra il momento della decretazione dell’espulsione e la sua esecuzione, potrebbero insorgere talune cause di inespellibilità, prima inesistenti o ignote, che l’interessato non avrebbe alcuna possibilità di far valere innanzi ad un giudice essendo oggi eliminata la fase giurisdizionale della convalida. Infatti, solo in sede di convalida dell’accompagnamento alla frontiera tali cause potrebbero essere fatte valere e, se ritenute sussistenti, determinerebbero il diniego dell’accompagnamento coattivo, trattandosi di manifesta illegittimità del provvedimento espulsivo o, in ogni caso, il provvedimento di convalida potrebbe essere impugnato in Cassazione.

In particolare può accadere che lo straniero condannato e per il quale sia stata disposta anche la misura di sicurezza alla fine dell’esecuzione della pena non sia più detenuto in carcere al momento in cui si procede all’esecuzione di tale tipologia di espulsione, magari perché ammesso a misure alternative alla detenzione o perché resosi irreperibile e che nel frattempo, siano emerse circostanze riconducibili a taluna ipotesi di inespellibilità che non possono essere conosciute dal giudice di sorveglianza.

Invece, se la misura di sicurezza, pur confermata tempestivamente dal giudice di sorveglianza, non è eseguita - come sovente accade - al termine dell’esecuzione della pena per indisponibilità del vettore, la persona condannata viene trattenuta in un CPR per cui si rende necessaria la convalida del trattenimento.

Poiché sia il trattenimento, sia l’accompagnamento coattivo alla frontiera sono entrambe misure limitative della libertà personale, appare irragionevole e una chiara violazione della riserva di giurisdizione in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale previsti dall’art. 13 Cost. che in queste ipotesi nessun giudice sia chiamato a pronunciarsi sull’allontanamento il giudice un caso si proceda a convalida e nell’altro no.

Analogamente deve dirsi circa le espulsioni disposte dal giudice di pace a titolo di sanzione sostitutiva dell’ammenda nei procedimenti penali per ingresso e soggiorno illegale (art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998), o di sanzione sostitutiva della multa nei procedimenti penali per inosservanza, anche reiterata, dell’ordine di allontanamento disposto dal questore (art. 14, co. 5-ter e 5-quater d.lgs. n. 286/1998).

Si tratta sempre di procedimenti penali in cui la persona straniera non può essere sottoposta a misure coercitive e non è condotta in udienza; inoltre, questi procedimenti si celebrano a distanza di mesi o di anni dal momento dell’accertamento del fatto, sicché è ben possibile che – nelle more – possano insorgere cause di inespellibilità che non sono conoscibili dal giudice di pace perché non risultanti dal fascicolo del PM, istruito nell’immediatezza della comunicazione della notizia di reato. Siccome in tali procedimenti l’imputato è spesso assente, il rischio è che l’espulsione a titolo di misura sostitutiva della pena pecuniaria sia disposta in violazione di possibili cause di inespellibilità sopravvenute o comunque ignote, situazione che si eviterebbe se si celebrasse l’udienza di convalida dell’accompagnamento coattivo alla frontiera in cui l’espellendo potrebbe far valere eventuali cause impeditive.

 

17) La soppressione del termine di 15 giorni ai fini dell’esecuzione coattiva dell’obbligo di lasciare il territorio italiano a seguito di provvedimento amministrativo di espulsione

L’art. 9, comma 3 del decreto-legge abroga l’art. 12, comma 2, del regolamento di attuazione del testo unico delle leggi sull’immigrazione (emanato con d.p.r. n. 394/1999), ai sensi del quale, nel caso in cui le autorità rifiutino la domanda di permesso di soggiorno, il questore, in occasione della notificazione del rifiuto, concede allo straniero un termine non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato.

La relazione illustrativa motiva la soppressione del meccanismo di intimazione a lasciare il territorio nazionale con il contrasto con le norme europee e, segnatamente, con l’art. 6, paragrafo 1, della Direttiva 2008/115/CE, in materia di rimpatri, in quanto, come indicato da ultimo nella raccomandazione 1 e 2 della decisione di esecuzione del Consiglio del 17 giugno 2022, «l’Italia è tenuta ad assicurare che sia emessa senza inutili ritardi una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo la cui domanda di soggiorno regolare o di protezione internazionale sia stata rigettata» nonché a «garantire che le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento impongano un chiaro obbligo di rimpatrio in un Paese terzo».

La relazione illustrativa afferma che l’invito previsto dalla disposizione ora abrogata allunghi «irragionevolmente i tempi dell’avvio del procedimento di rimpatrio che potrà prevedere, comunque, ai sensi dell’art. 13 d. lgs. n. 286/1998, la partenza volontaria o coattiva».

La modifica appare però illegittima.

È vero che l'art. 6 par. 1 della Direttiva 115/CE/2008 sui rimpatri prevede che gli Stati adottano una decisione di rimpatrio quando cessa la regolarità di soggiorno, ma la norma regolamentare abrogata era conforme all'art. 7 par. 1 della stessa Direttiva che prevede che di norma gli Stati danno un periodo compreso tra i 7 e i 30 giorni per la partenza volontaria.

Comunque si vogliano interpretare le disposizioni della direttiva rimpatri (peraltro anche in tal caso piuttosto ambigue e flessibili con la menzione del “di norma”) occorre ricordare che revoca, annullamento e mancato rinnovo del permesso di soggiorno legittimano l’adozione immediata del provvedimento amministrativo di espulsione da parte del prefetto ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b) d.lgs. n. 286/1998, la quale però deve essere effettuata “caso per caso” e deve comunque rispettare l’art. 1 del Protocollo n. 7 alla CEDU che prescrive che il provvedimento espulsivo adottato nei confronti dello straniero regolarmente soggiornante può essere adottato ed eseguito soltanto dopo che lo straniero abbia potuto presentare ad una autorità le ragioni che vi si oppongono.

Occorre perciò applicare la nuova norma in modo conforme all’art. 1 Prot. 7 della CEDU: nel caso di rifiuto di rinnovo o di revoca o di annullamento del permesso di soggiorno il provvedimento amministrativo di espulsione può essere disposto o eseguito soltanto dopo l’effettiva consegna all’interessato del provvedimento di rifiuto di rinnovo o di revoca o di annullamento disposti per motivi diversi dall’ordine pubblico e dalla sicurezza dello Stato, allorché lo straniero non abbia presentato istanza di accesso ad  un programma di rimpatrio volontario e assistito o l’istanza sia stata respinta o non abbia i requisiti per soggiornare nel territorio dello Stato ad altro titolo e non siano stati presentati ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di rifiuto di rinnovo o di revoca o di annullamento e contestuale istanza di sospensione dell’esecuzione o il giudice abbia rigettato l’istanza cautelare o il ricorso.

 

18) Reati commessi durante la permanenza in un Centro di accoglienza per richiedenti asilo

L’art. 9-bis modifica l’art. 14, comma 7-bis, d.lgs. n. 286/1998, il quale già prevede l’applicazione dell’arresto in flagranza differita per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose nei Centri di permanenza per i rimpatri di cui all’art. 14 o nei punti di crisi (hotspot) di cui all’art. 10-ter d. lgs. n. 286/1998 e li estende ai Centri governativi di accoglienza e ai Centri di accoglienza straordinaria previsti per i richiedenti asilo negli artt. 9 e 11 d.lgs. n. 142/2015 e alle strutture afferenti al sistema di accoglienza e integrazione (SAI) di cui all’art. 1-sexies d.l. n. 416/1989, convertito dalla legge n. 39/1990.

 

19) Revoca della protezione internazionale in caso di rientro nel Paese di origine

L’art. 9-ter modifica le condizioni in base alle quali il rientro nel Paese di origine è condizione di cessazione dello status di rifugiato (ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 251/2007) ovvero del godimento della protezione sussidiaria (ai sensi dell’art. 15 d.lgs. n. 251/2007). Per entrambe le ipotesi si specifica che è rilevante anche il rientro di breve durata e che, nel caso in cui il rientro nel Paese di origine sia giustificato da gravi e comprovati motivi, questo avvenga comunque per il periodo strettamente necessario.

 

20) Semplificazioni per la realizzazione di nuovi Centri di permanenza per i rimpatri (CPR)

L’art. 10 introduce la facoltà, per la realizzazione dei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR), di derogare, fino al 2025, alle disposizioni di legge ad eccezione di quelle penali, antimafia e dell’Unione europea.

A tal fine si modifica l’art. 19 del decreto-legge n. 13/2017, inserendo un nuovo comma 3-bis che semplifica le procedure per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri attraverso la possibilità di derogare ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

Nella relazione illustrativa, la disposizione in esame è motivata dall’esigenza di celerità connesse all’eccezionale afflusso di migranti che caratterizza l’attuale congiuntura e si chiarisce che la deroga riguarda le disposizioni del codice dei contratti pubblici.

Infine, si prevede che per le procedure relative all’ampliamento della rete nazionale dei CPR l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) assicuri, qualora richiesto, l’attività di vigilanza collaborativa.

 

21) L’aumento della durata massima del trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio

L’art. 10-bis, aumenta da 30 a 45 giorni il termine massimo della proroga del trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) applicabile allo straniero cittadino di un Paese con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri.

Occorre tuttavia ribadire che ognuno di questi accordi deve essere sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost. perché indirettamente attraverso queste disposizioni produce modificazioni di leggi. Ad oggi invece tutti gli accordi sono stati conclusi in forma semplificata e di alcuni pure i testi non sono accessibili, in violazione dell’obbligo di pubblicazione nella gazzetta ufficiale, previsto dall’art. 3 della legge 11.12.1984, n. 839.

Peraltro, come osserva la scheda ASGI, se si considera che questi accordi dovrebbero accelerare le procedure di allontanamento, invece di ritardarle, davvero sfugge la ragione di un ulteriore aumento del termine di trattenimento, per i cittadini di quei Paesi.

 

5. L’elenco aggiornato dei Paesi di origine sicuri ai fini della protezione internazionale e le schede ministeriali concernenti tali Paesi

Il decreto Ministro affari esteri e cooperazione internazionale 17.03.2023 (pubblicato in G.U. Serie Generale n. 72 del 25.03.2023) aggiorna la lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale, ai sensi dell’art. 2-bis d.lgs. n. 25/2008.

La lista aggiornata comprende Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia, Tunisia.

L’art. 4 del decreto prevede che ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, l’inclusione della Costa d’Avorio, del Gambia, della Georgia e della Nigeria nell’elenco (Stati che non comparivano nell’elenco approvato col previgente decreto ministeriale n. 1202/606 del 04.10.2019 sostituito dal nuovo decreto) non ha effetto sulle domande presentate da cittadini di detti Paesi prima dell’adozione del presente decreto.

Appare importante la precisazione dell’art. 1, comma 2 del decreto: nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente è valutata alla luce delle informazioni contenute nelle schede sul Paese di origine indicate nell’istruttoria svolta dai competenti uffici del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Come avvenne nel 2019, anche nel 2023 le valutazioni che hanno condotto il Ministero alla designazione (e alla conferma) dei Paesi di origine in esso inseriti non sono state allegate al testo del decreto pubblicato e perciò non sono state rese pubbliche e per nessuno dei Paesi elencati come “sicuri” sono state previste eccezioni per una o più parti del territorio o per categorie di persone, come invece consente l’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 2-bis d.lgs. n. 25/2008.

Al fine di prendere visione dei tali documenti endoprocedimentali, ASGI, come fece in occasione dell’emanazione del decreto del 2019, ha formulato nei confronti dei Ministeri degli affari esteri, dell’interno e della giustizia, istanza di accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5, co. 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

A seguito di essa, il Ministero degli affari esteri (Direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie) ha risposto inviando due documenti.

Il primo documento è l’appunto operativo n. 181962 che propose l’esclusione dalla lista dell’Ucraina e l’inserimento nella lista di ulteriori quattro Paesi, che appaiono in possesso delle caratteristiche necessarie per essere definiti “sicuri”: Georgia, Costa d’Avorio, Nigeria e Gambia e che figurano tra i principali Paesi d’origine dei richiedenti asilo: al 21 ottobre 2022 hanno difatti presentato domanda 4.323 nigeriani (quinta nazionalità tra i Paesi di origine), e 2.585 georgiani (settima), 1.029 ivoriani (tredicesima) e 857 gambiani (diciannovesima). Inoltre, il tasso di diniego delle richieste di protezione internazionale avanzate dai cittadini di tali quattro nazionalità risulta mediamente del 58% (circostanza di per sé ininfluente ai fini della determinazione dello Stato sicuro); nell’appunto si osserva anche che i Paesi inclusi nel nuovo elenco comportano che essi riguardano circa l’80% degli stranieri che presentano in Italia domanda di protezione internazionale, il che forse spiega la vera motivazione che ha indotto ad adottare il decreto, con intenti dissuasivi o repressivi di possibili abusi che rischiano però di travolgere i tanti casi fondati.

Il secondo documento è l’insieme delle Schede redatte dagli Uffici territoriali del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, concernenti le analisi delle situazioni dei Paesi sicuri inclusi nel decreto.

Da tali schede sono ricavabili contraddizioni tra gli esiti dell’istruttoria e il testo del decreto, senza che alcuna motivazione spieghi il vistoso discostamento del decreto dalle proposte emerse a seguito dell’istruttoria, il che fornisce elementi utili per far annullare o disapplicare il decreto per difetto di motivazione e/o per eccesso di potere.

Preliminarmente appare di dubbia legittimità che il decreto interministeriale emanato nel marzo 2023 si fondi su analisi geopolitiche non aggiornate, ma effettuate dai competenti uffici ministeriali nell’ottobre 2022.

Più in generale si osserva che per alcuni Stati (Albania, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) l’istruttoria ministeriale conduce ad una dichiarazione di piena inclusione nell’elenco dei Paesi di origine sicura (seppur con evidenti frettolosità od omissioni per la situazione dei diritti umani e dei conflitti interetnici di alcuni Stati, come Bosnia e Kosovo).

Invece per altri Stati il decreto avrebbe dovuto prevedere l’esclusione di alcune categorie di cittadini (talvolta molto vaste come per Costa d’Avorio, Gambia, Nigeria e Georgia), poiché le stesse schede elaborate dal Ministero forniscono i seguenti pareri difformi da una mera dichiarazione di Paese sicuro per i seguenti Stati:

- per l’Algeria si propone l’esclusione dei cittadini appartenenti alla comunità LGBTI o alla minoranza religiosa Ahmadi. Appare invece inspiegabile la non menzione delle minoranze cristiane, cattolica e protestanti, alle quali le autorità hanno imposto restrizioni circa l’uso dei luoghi di culto e impedimenti all’operatività degli enti caritativi;

- per la Costa d’Avorio si afferma viva la necessità di monitorare costantemente il progresso del processo di riconciliazione politica già avviata, con l’obiettivo di una transazione democratica definitiva, e facendo salve diverse valutazioni qualora tale processo dovesse interrompersi e reintegrare condizioni di violenza politica nel Paese e si indicano i seguenti gruppi sociali che possono essere a rischio: 1) Detenuti; 2) Persone con disabilità fisiche o mentali; 3) Albini; 4) Sieropositivi; 5) Comunità LGBT; 6) Vittime di discriminazione sulla base dell’appartenenza di genere, incluse vittime e potenziali vittime di MGF; 7) Vittime di tratta: 8) Giornalisti;

- per il Gambia si afferma che le seguenti categorie di persone rappresentano gruppi etno-sociali, che potrebbero potenzialmente essere a rischio: 1) Vittime o potenziali vittime di MGF; 2) Vittime o potenziali vittime di tratta e vittime di discriminazione sulla base all’appartenenza di genere; 3) Membri della Comunità LGBTI; 4) Persone disabili; 5) Persone sieropositive; 6) Persone affette da albinismo; 7) Detenuti;

- per la Georgia si afferma che l’unica eccezione sistematica riguarda i territori interessati dal conflitto (Abkhazia e Ossezia del Sud), nei quali la protezione dei diritti umani e l’esercizio delle libertà fondamentali subiscono forti restrizioni e che perciò tali territori non possono pertanto essere ricompresi nella categoria di origine sicura. Vi sono, inoltre, alcuni specifici gruppi sociali che sono esposti in tutto il territorio georgiano a circoscritti, sporadici e non sistematici episodi di rischio, riconducibili a fenomeni di intolleranza e discriminazione (comunità LGBT, rom, vittime di violenza di genere, altre minoranze), con rimedi giurisdizionali previsti dalla legge che tuttavia registrano inefficienze in virtù delle menzionate carenze nell’amministrazione della giustizia;

- per il Ghana si indica che le seguenti categorie di persone rappresentano comunque gruppi etno-sociali potenzialmente a rischio: 1) Vittime o potenziali vittime di MGF; 2) Vittime o potenziali vittime di tratta o discriminazione; 3) Comunità LGBTI; 4) Minori; 5) Giornalisti investigativi;

- per il Marocco si indica l’esclusione soltanto degli appartenenti alla comunità LGBTI, ma inspiegabilmente non si citano né gli appartenenti alla popolazione sahraoui che aderiscano al POLISARIO, né gli appartenenti alle minoranze religiose sciita, bahai e cristiane, gruppi per i quali sono previste di diritto o di fatto numerose restrizioni alle libertà (limitazioni peraltro citate nella scheda di analisi);

- per la Nigeria si indicano situazioni di particolare criticità e rischi di involuzione della situazione, circostanza che rende necessario un monitoraggio costante. Si indica altresì che nella regione del Nord-Est, precisamente nello Stato di Borno e in alcuni distretti (LGA) con esso confinanti di Adamawa e Yobe, dove è attivo il gruppo fondamentalista Boko Haram, la situazione di sicurezza e le condizioni umanitarie risultano gravemente compromesse. Si indica, inoltre, che a causa delle tensioni tra l’esercito nigeriano e l’Islamic Movement in Nigeria (IMN), si segnalano possibili atti di persecuzione verso i membri di tale movimento politico-religioso dell’IMN e verso gli esponenti dell’IPOB e del suo braccio militare ESN. Si indica infine che ulteriori gruppi sociali che possono essere a rischio sono: 1) Detenuti; 2) Persone con disabilità fisiche o mentali; 3) Albini; 4) Sieropositivi; 5) Comunità LGBT; 6) Vittime di discriminazione sulla base dell’appartenenza di genere, incluse vittime e potenziali vittime di MGF; 7) Vittime di tratta; 8) IDPs; 9) Giornalisti;

- per il Senegal si indica che le seguenti categorie di persone rappresentano gruppi etno-sociali che potenzialmente possono essere a rischio: 1) Vittime o potenziali vittime di MGF; 2) Vittime o potenziali vittime di tratta o discriminazione; 3) Comunità LGBTI; 4) Albini;

- per la Tunisia si indica l’esclusione soltanto degli appartenenti alla comunità LGBTI, ma inspiegabilmente si escludono e si minimizzano le gravi violazioni ai diritti fondamentali derivanti dall’instaurazione dello stato di eccezione e dalla nuova costituzione tunisina di tipo iperpresidenzialista.

Da tutto ciò appare evidente che in presenza di una situazione interna di molti di questi Stati tutt’altro che “sicura” lo scopo pratico perseguito dal decreto è quello indicato nell’“appunto operativo” del Ministero, cioè quello di coprire con la qualifica di Stati di origine sicuri i Paesi da cui proviene l’80% degli stranieri che presentano in Italia domanda di protezione internazionale.

Le nuove designazioni producono infatti gli effetti giuridici di una generalizzata inversione dell’onere della prova e di riduzione dei tempi e dei modi delle procedure di esame delle loro domande e delle modalità di accoglienza dei nuovi richiedenti protezione internazionale provenienti dai nuovi Paesi inseriti nell’elenco.

Le nuove designazioni producono anche immediati effetti alla luce delle nuove norme in materia di asilo e di accoglienza dei richiedenti asilo introdotte col d.l. n. 20/2023 che prevedono per i richiedenti asilo non vulnerabili provenienti da Paesi di origine sicuri la possibilità dell’esame delle loro domande con procedure accelerate e in frontiera, anche corredate da apposite forme di trattenimento del richiedente, finalizzate ad ottenerne il più rapido ed effettivo rimpatrio a seguito dei provvedimenti di allontanamento, conseguenti al prevedibile rigetto della gran parte delle domande presentate da costoro.

 

6. Proclamazione dello stato di emergenza nazionale in conseguenza dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo e nomina del Commissario straordinario del Governo

La delibera del Consiglio dei ministri 11.04.2023 (pubblicata in G.U. Serie Generale n. 106 del 08.05.2023) reca la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo.

La delibera è motivata per «l’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo», il che avrebbe determinato un «un eccezionale accrescimento delle esigenze volte ad assicurare il soccorso e l’assistenza alla popolazione interessata», e «una situazione di grande difficoltà derivante dalla saturazione del sistema di accoglienza».

Per questi motivi si delibera sull’intero territorio nazionale, per sei mesi dalla data di deliberazione, lo stato di emergenza.

Gli interventi più urgenti saranno attuati tramite ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, nei limiti delle risorse di 5 milioni di euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali, per l’attivazione e l’avvio delle prime misure maggiormente urgenti, nelle more della valutazione dell’effettivo impatto dell’evento e della quantificazione del relativo fabbisogno finanziario complessivo.

Con ordinanza 16.04.2023 del Capo della Protezione Civile (pubblicata in G.U. n. 92 del 19.04.2023) il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Prefetto Valerio Valenti, è nominato il Commissario delegato per la gestione dell’accoglienza dei migranti nell’ambito dello stato di emergenza.

L’ordinanza contiene le prime disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza sul territorio delle Regioni che, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, hanno dato l’intesa al testo: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano.

Il Commissario delegato si avvarrà del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dei Prefetti (soggetti attuatori) dei capoluoghi delle Regioni interessate e di Agrigento, Catania, Messina, Siracusa, Trapani, Reggio Calabria e Crotone, oltre che di una struttura di supporto per:

- coordinare «le attività volte all’ampliamento della capacità del sistema di accoglienza», che comprende Hotspot, Centri d prima accoglienza, Centri di accoglienza straordinaria e Sistema di accoglienza e integrazione;

- coordinare, mentre si individuano posti disponibili nel sistema di accoglienza, l’accoglienza dei migranti in altre «strutture provvisorie, nelle quali sono assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale»;

- realizzare un «servizio continuativo di trasporto marittimo e aereo» dagli hotspot ai Centri e alle altre strutture di accoglienza.

 

Rassegna delle circolari e delle direttive delle Amministrazioni statali

 Stranieri in generale, Assistenza sociale

 

1. I requisiti degli stranieri che accedono all’assegno sociale

Il Messaggio INPS n. 1268 del 03.04.2023 fa alcune precisazioni importanti circa la spettanza anche agli stranieri dell’assegno sociale.

In particolare, si riepilogano i requisiti anagrafici del richiedente, già oggetto di precedenti messaggi e circolari dell’INPS:

a) età anagrafica (attualmente 67 anni);

b) cittadinanza italiana, della Repubblica di San Marino, comunitaria, di uno Stato appartenente allo Spazio Economico Europeo o Svizzera. Sono equiparati ai cittadini italiani i titolari dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria o di permesso di soggiorno di lungo periodo (cfr. la circolare n. 105 del 2 dicembre 2008 e il messaggio n. 3239 del 4 agosto 2017);

c) soggiorno legale continuativo nel territorio nazionale per 10 anni antecedenti alla domanda (cfr. le circolari n. 105/2008 e n. 131/2022, nonché il messaggio n. 3239/2017);

d) residenza in Italia, che deve sussistere al momento della domanda ai fini della concessione della provvidenza economica e deve permanere successivamente ai fini del mantenimento della prestazione (cfr. la circolare n. 105/2008, nonché i messaggi n. 12886 del 4 giugno 2008 e n. 3239/2017).

Si precisa che il requisito del soggiorno continuativo per almeno 10 anni, di cui alla menzionata lettera c), costituisce un requisito anagrafico autonomo rispetto a quello di cui alla lettera b), rispetto al quale si pone come ulteriore e non alternativo.

Sul punto la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 22261/2015, n. 24981/2016, n. 16990/2019 e n. 16867/2020, ha evidenziato la differenza sostanziale tra il titolo di legittimazione a essere cittadino o equiparato, che è dato da una concessione amministrativa, regolata da norme di pubblica sicurezza, e il requisito anagrafico del soggiorno continuativo che è, di contro, dato fattuale regolato dal codice civile.

Perciò il messaggio INPS a parziale rettifica del paragrafo 2.2 della circolare n. 131/2022, prescrive che:

1) il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (requisito di cui alla lettera b)), di per sé non può costituire elemento probatorio del soggiorno legale continuativo in Italia per 5 anni (ai fini della soddisfazione del requisito di cui alla lettera c)).

2) qualora sussista continuità delle date di rilascio di due permessi di soggiorno di lungo periodo, il requisito del soggiorno legale e continuativo di 10 anni non deve ritenersi ex se soddisfatto, essendo comunque necessaria l’ulteriore verifica, da parte della Struttura territoriale INPS competente, dell’effettivo soggiorno continuativo decennale nel territorio dello Stato italiano.

 

Cittadini di Paesi terzi, Ingresso e soggiorno

 

1. La programma dei flussi di ingresso per lavoro

Con circolare congiunta del 30.01.2023 dei Ministeri dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali e dell’agricoltura e della sicurezza alimentare si attua il d.p.c.m. 28.12.2022 di programmazione delle quote di ingresso per lavoro per il 2023.

Oltre ad illustrare i contenuti del decreto (già illustrati al punto 1) la circolare indica prescrizioni aggiuntive.

Le quote per lavoro subordinato, stagionale e non stagionale (comprese le conversioni), previste dal d.p.c.m., saranno ripartite con apposita e successiva circolare tra gli Ispettorati territoriali del lavoro dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – tramite il sistema informatizzato SILEN – sulla base delle effettive domande che perverranno agli Sportelli unici per l’immigrazione e del fabbisogno segnalato a livello territoriale.

La gestione delle procedure:

a. Istanze per lavoro subordinato non stagionale nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi (modello B2020)

Si precisa che, per il settore dell’autotrasporto merci per conto terzi, l’istanza di nulla osta per lavoro subordinato è ammessa soltanto in favore di lavoratori conducenti muniti di patenti professionali equivalenti alle patenti di categoria CE, cittadini dei Paesi compresi nell’elenco di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), che rilasciano patenti di guida equipollenti alla categoria CE e convertibili in Italia sulla base di vigenti accordi di reciprocità (attualmente esistenti con: Albania, Algeria, Marocco, Moldova, Repubblica di Macedonia del Nord, Tunisia, Ucraina). Per un aggiornamento sugli accordi vigenti con alcuni Paesi Terzi si veda il seguente link del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti:

http://www.mit.gov.it/come-fare-per/patenti-mezzi-e-abilitazioni/patenti-mezzi- stradali/conversione-patente-estera.

Si fa presente che per l’effettiva adibizione all’attività di conducente all’interno del territorio nazionale, analogamente a quanto avviene in altri Stati membri dell’Unione europea, le imprese di trasporto dovranno dimostrare che si siano perfezionati gli adempimenti formativi prescritti per il rilascio della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), ai fini dell’abilitazione (ai sensi dell’art. 5, comma 1, del Regolamento 1072/2009 «norme comuni per l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada»), e che sono anche richiesti per il rilascio dell’attestato di conducente da parte degli Ispettorati territoriali del lavoro.

In presenza dei requisiti in materia di qualificazione e formazione continua (prevista con d.lgs. n. 50/2020, in attuazione della Direttiva 2018/645, e DM MIMS 30.07.2021) necessari per il rilascio dell’attestato di conducente ai trasportatori, viene apposto dall’ITL sull’attestato del conducente il “codice unionale 95” (ai sensi dell’art. 22, comma 6, d.lgs. n. 286/2005).

Tali lavoratori, titolari di una patente di guida non comunitaria di categoria CE, ed in possesso della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), potranno condurre veicoli immatricolati sul territorio italiano, a nome di impresa che effettua trasporti in conto terzi, fino ad un anno dall’acquisizione della residenza in Italia. Trascorso un anno, è necessario convertire la patente.

La durata del contratto di lavoro sarà, in tali casi, a tempo determinato della durata massima di un anno.

Se, invece, il lavoratore è già in possesso della patente comunitaria e della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), in corso di validità, la durata del contratto di lavoro potrà essere anche a tempo indeterminato.

L’impresa che effettua trasporti, ai fini della presentazione della relativa istanza di nulla osta, deve essere:

- iscritta all’Albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi (di cui alla legge n.298/1974) della provincia di appartenenza;

- iscritta al Registro Elettronico Nazionale (R.E.N.) (di cui al Regolamento CE n. 1071/2009);

- in possesso di licenza comunitaria, in corso di validità, in caso di trasporti internazionali.

b. Istanze per articolo 23 del TU immigrazione (modello B-PS)

I lavoratori che hanno frequentato e completato percorsi di formazione all'estero ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n. 286/1998, ivi inclusi quelli organizzati dai soggetti beneficiari dell’Avviso FAMI 2/2019 adottato dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in qualità di Autorità delegata del Fondo asilo, migrazione e integrazione che hanno conseguito la certificazione di livello A1 di lingua italiana, sono inseriti nell’apposita lista pubblicata sul sistema informatico S.I.L.E.N. del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Gli Ispettorati territoriali del lavoro, con riferimento alle relative istanze di assunzione (Mod. BPS) pervenute da parte dei soggetti beneficiari, agli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI), a valere sulle quote di cui all’art. 4, comma 1 del decreto, provvederanno a riscontrare sulla lista pubblicata nell’home page del sistema S.I.L.E.N. (nella parte relativa alla documentazione), la presenza dei nominativi dei lavoratori stranieri distinti per Paese di appartenenza. Solo nell’ipotesi di riscontro positivo procederanno a richiedere – per il tramite dell’Ispettorato nazionale del lavoro – alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le relative quote, fornendo gli elementi anagrafici identificativi dei lavoratori richiesti. Le stesse saranno assegnate direttamente sul sistema S.I.L.E.N.

Gli uffici destinatari della circolare dovranno comunicare alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’avvenuto rilascio del nulla osta al lavoro o l’eventuale diniego dello stesso, con relativa motivazione.

c. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro subordinato

Si conferma che, nel caso di conversione in lavoro subordinato, il lavoratore dovrà presentare, al momento della convocazione presso lo Sportello unico, la proposta di contratto di soggiorno sottoscritta dal datore di lavoro – valida come impegno all’assunzione da parte dello stesso datore di lavoro – utilizzando il modello disponibile sul sito web del Ministero dell’interno, all’indirizzo www.interno.gov.it e su sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali all’indirizzo www.lavoro.gov.it. Successivamente il sistema provvederà alla generazione della Comunicazione obbligatoria di assunzione ed al suo invio telematico al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Per tutte le ipotesi di richieste di conversione del titolo di soggiorno in un titolo che comporta l’inserimento nel mercato del lavoro nazionale di un lavoratore straniero non comunitario rimane inalterata la competenza dell’Ispettorato territoriale del lavoro relativamente alle verifiche di cui all’art. 30-bis del d.p.r. 394/1999, con emanazione del parere di competenza.

Per i casi di conversione di un permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato (Modello VB), come già disposto dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, si ricorda che è possibile convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ferma la disponibilità di quote, solo dopo almeno tre mesi di regolare rapporto di lavoro stagionale (comma 10 art. 24 d.lgs. n. 286/1998) ed in presenza dei requisiti per l’assunzione con un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato. A tal fine, gli Ispettorati territoriali del lavoro dovranno verificare la presenza dei requisiti per la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, l’avvenuta assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale, la durata dello stesso rapporto di lavoro stagionale, nonché i relativi pagamenti contributivi agli Enti competenti effettuati a favore del lavoratore nel periodo considerato. Con riferimento al settore agricolo, le cui prestazioni lavorative dei lavoratori stagionali sono effettuate “a giornate” e non a mesi, ai fini della conversione dovrà risultare una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate), coperti da regolare contribuzione previdenziale.

d. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro autonomo

Ai fini della conversione del permesso di soggiorno da studio, tirocinio e/o formazione professionale e permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato dell’UE a lavoro autonomo, si dovrà tener conto delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 81/2015 e ss.mm. alla disciplina dei contratti di lavoro, con particolare riguardo agli artt. 2 e 52. In tali ipotesi, lo Sportello unico acquisirà il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro.

e. Ingresso per startup innovative

Per quanto concerne l’ingresso per le startup innovative si allegano (all. 2) le linee guida predisposte dal Ministero delle imprese e del Made in ltaly, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministero dell’interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché i relativi modelli di candidatura (all. 3).

Lo straniero che intende chiedere la conversione del permesso di soggiorno ai fini della costituzione di una startup innovativa dovrà richiedere al Comitato tecnico Italia startup visa il nulla osta, secondo le modalità indicate nelle richiamate linee guida, ed esibire allo Sportello unico per l’immigrazione la certificazione di nulla osta rilasciata dal predetto Comitato.

Il Comitato, nel caso di conversione, non dovrà richiedere alla Questura il nulla osta provvisorio in quanto gli accertamenti di competenza verranno effettuati all’atto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Questa certificazione sostituisce la certificazione della Camera di commercio di cui all’art. 39, comma 3, d.lgs. 286/1998. Rimane invariata l’esibizione dell’ulteriore documentazione prevista.

Per ogni ulteriore chiarimento sulla procedura relativa alle startup innovative potrà essere consultato il sito del Ministero delle imprese e del Made in ltaly.

Circa gli ingressi per lavoro stagionale si riepilogano le norme del d.p.c.m. e poi si fanno importanti precisazioni.

Le Associazioni datoriali non si limiteranno all’inoltro delle istanze, ma potranno procedere, per conto del datore di lavoro, alla trasmissione dell’eventuale documentazione richiesta dallo Sportello unico ad integrazione di quanto dichiarato e, con apposita delega del datore di lavoro e documento di legittimazione alla rappresentanza dell’Associazione, alla successiva stipula del contratto di soggiorno con attivazione della comunicazione obbligatoria di assunzione. Copia di detta comunicazione verrà data al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico postale per la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.

Da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarà successivamente effettuato un monitoraggio del comportamento delle associazioni datoriali, sulla base dei dati relativi ai rapporti di lavoro effettivamente attivati (attraverso controlli con il sistema delle comunicazioni obbligatorie).

La quota complessiva di 44.000 unità (di cui 1.500 riservate per richieste di nulla osta stagionale pluriennale) sarà ripartita a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali agli Ispettorati territoriali del lavoro con apposita circolare, sulla base del fabbisogno scaturito dalle consultazioni effettuate a livello locale anche con le Regioni, parti sociali e organizzazioni sindacali e tenuto conto delle istanze di nulla osta stagionale pervenute agli Sportelli unici per l’immigrazione.

Modalità di presentazione delle istanze e modulistica

A partire dalle ore 9.00 del 30.01.2023 e fino al 22.032023, sarà disponibile l’applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda all’indirizzo https://portaleservizi.dlci.interno.it. Il sistema sarà disponibile con orario 08:00 - 20:00 tutti i giorni della settimana, sabato e domenica compresi.

Le istanze dovranno essere trasmesse, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, per tutte le tipologie di lavoro subordinato, stagionale e non, previste agli articoli 3, 4 e 6 del d.p.c.m., dalle ore 9,00 del 27 marzo 2023, sessantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del citato decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Per le categorie dei lavoratori di cui all’art.3, comma 1, lett. b) – cittadini di Paesi con i quali, nel corso dell’anno entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria – le istanze potranno essere trasmesse a partire dalle ore 9,00 del quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dell’accordo di cooperazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Tutte le domande potranno essere presentate fino a concorrenza delle quote previste dal d.p.c.m. 29.12.2022, o comunque, fino al 31.12.2023. Si rammenta che la procedura concernente le modalità di accesso al sistema dello Sportello unico richiede il possesso di un’identità SPIO, come illustrato con Circolare del Ministero dell’interno n. 3738 del 4.12.2018.

Pertanto, prerequisito necessario per l'inoltro telematico delle domande sul sito https://portaleservizi.dlci.interno.it è il possesso della citata identità SPIO da parte di ogni utente.

Eseguito l’accesso sopra descritto, le modalità di compilazione dei moduli e di invio delle domande sono identiche a quelle da tempo in uso e le caratteristiche tecniche sono reperibili sul manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.

Al riguardo, si precisa che la dimensione massima consentita di ciascun documento da allegare, è di 2Mb; si precisa inoltre che non sarà disponibile la funzionalità di “clonazione” delle istanze presentate negli anni precedenti.

Al fine di consentire la rapida istruttoria delle domande presentate, è stata prevista – nei modelli di richiesta – l’allegazione, attraverso una funzione di upload, della documentazione probatoria necessaria, che pertanto potrà essere esaminata dagli Sportelli unici per l’immigrazione senza necessità di convocare i richiedenti per la presentazione di tale documentazione che sarà esibita, in originale, all’atto della firma del contratto di soggiorno.

Con riferimento a tutti i modelli di istanza del decreto in argomento, si fa presente che, qualora al momento della compilazione dell’istanza stessa non fossero disponibili tutti i documenti originali, dovranno essere caricate altrettante dichiarazioni di impegno a consegnare gli originali stessi dei documenti mancanti; in tal caso, l’acquisizione di tale documentazione in originale sarà richiesta in fase di istruttoria da parte dello Sportello unico per l’immigrazione.

Riguardo alla gestione delle quote, è utile precisare che sul sistema SPl2.0 verrà implementato un meccanismo di prenotazione automatica delle istanze in quota sul S.I.L.E.N. con riguardo a tutte le pratiche relative agli ingressi di lavoratori non comunitari per lavoro subordinato stagionale e non (con eccezione delle quote previste per conversione di permessi di soggiorno in lavoro) che, in base alla graduatoria (ordinata secondo la cronologia di invio delle domande registrata nel Click day), rientrano nell’ambito del numero di quote previste a livello provinciale per singolo modello.

L’impegno definitivo della quota si avrà:

- all’acquisizione (entro 30 giorni) del parere positivo espresso sull’istanza;

- ovvero quando, in assenza di pareri, saranno decorsi i 30 giorni previsti dalla legge (a fronte di tale decorso, il sistema invierà automaticamente il nulla osta al datore di lavoro).

Si rammenta infatti che, come già disposto in occasione del decreto flussi 2021 a seguito dell'emanazione del d.l. n. 73/2022 (convertito in l. 4.08.2022 n. 122), trascorsi trenta giorni dalla presentazione delle domande senza che siano emerse le ragioni ostative di cui agli artt. 22 e 24 del d.lgs. 286/1998, il nulla osta, rilasciato automaticamente, verrà inviato – in via telematica –, come di consueto, anche alle Rappresentanze diplomatiche italiane dei Paesi di origine che, nel tempo di venti giorni dalla relativa domanda (art. 42 - comma 3 d.l. n. 73/2022), rilasceranno il visto di ingresso.

Si rammenta, altresì, che gli Ispettorati territoriali del lavoro, pur mantenendo visibilità, tramite il Sistema informatico SPI 2.0, su tutte le istanze di nulla osta pervenute, non sono più tenuti ad esprimere il proprio parere sulle fattispecie di lavoro subordinato, stagionale e non, fatti salvi eventuali controlli a campione in collaborazione con l’Agenzia delle entrate, mentre rimane inalterata tale necessità per tutte le ipotesi di conversione del titolo di soggiorno in lavoro subordinato, come sopra indicato: in tali casi il parere dell'ITL rimane imprescindibile.

Le verifiche relative agli ingressi per lavoro subordinato, anche stagionale, già rimesse agli Ispettorati del lavoro sono demandate, in via esclusiva ai professionisti di cui all’art. 1 della l. n. 12/1979 e cioè a coloro che siano iscritti nell’Albo dei consulenti del lavoro, in quelli degli avvocati o dei dottori commercialisti ed esperti contabili, fermo restando, per tali ultime due categorie di professionisti, l’assolvimento dell’obbligo di comunicazione agli Ispettorati del lavoro ai sensi dello stesso art. 1 della l. n. 12/1979  ed alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ai quali il datore di lavoro aderisce o conferisce mandato. In caso di esito positivo di dette verifiche gli stessi rilasceranno apposita asseverazione (sulla base delle linee guida emanate dall’Ispettorato nazionale del lavoro con circolare n. 3/2022), che sarà allegata all’istanza di nulla osta al lavoro ai sensi dell’art. 44, comma 2 d.l. n. 73/2022, convertito in l. 4.08.2022, n. 122.

L’asseverazione non è richiesta nel caso in cui le domande siano inviate, in nome e per conto dei propri associati, dalle Organizzazioni di categoria firmatarie dei Protocolli d’intesa col Ministero del lavoro e delle politiche sociali come stabilito dall’art. 44 comma 5 del citato decreto-legge (cfr. https://www.lavoro.gov.it/notizie/Pagine/Flussi-firmato-il-Protocollo-con-le-organizzazioni- datoriali-per-la-semplificazione-delle-procedure.aspx). Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, disponibile nei medesimi orari di disponibilità dell’applicativo stesso, che potrà fornire supporto tecnico e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link “Scrivi all’Help Desk”, disponibile sia in home page del portale ALI che in calce ad ogni pagina dei moduli di domanda.

I modelli da utilizzare per l’invio della domanda sono i seguenti:

- C-Stag - Richiesta di nulla osta/comunicazione al lavoro subordinato stagionale.

- B - Richiesta di nulla osta al lavoro subordinato per i lavoratori di origine italiana.

- BPS - Richiesta di nulla osta al lavoro subordinato per cittadini stranieri che hanno completato programmi di istruzione e formazione nei Paesi di origine nell’ambito di progetti finanziati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel quadro di Avvisi pubblici.

- Z - Domanda di verifica della sussistenza di una quota per lavoro autonomo e di certificazione attestante il possesso dei requisiti per lavoro autonomo.

- LS - Richiesta nulla osta al lavoro subordinato per stranieri in possesso di un permesso di soggiorno UE.

- VA - Domanda di verifica della sussistenza di una quota per la conversione del permesso di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

- VB - Domanda di verifica della sussistenza di una quota per la conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

- LS1 - Richiesta di nulla osta al lavoro domestico per stranieri in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

- LS2 - Domanda di verifica della sussistenza di una quota per lavoro autonomo e di certificazione attestante il possesso dei requisiti per lavoro autonomo per stranieri in possesso di un permesso di soggiorno UE.

- B2020 - Nulla osta/Comunicazione al lavoro subordinato per settori di autotrasporto, edilizia, turistico/alberghiero, meccanica, telecomunicazioni, alimentare e cantieristica navale.

Si richiama l’attenzione su un’importante novità introdotta dal decreto flussi 2022 (art. 9 - comma 2) che riguarda la necessità che il datore di lavoro richiedente un lavoratore straniero residente all’estero prima dell’invio della richiesta di nulla osta al lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione - per instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato verifichi presso il competente Centro per l’impiego, attraverso la presentazione di un modello di richiesta di personale predisposto dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, ANPAL (reperibile al seguente link https://www.anpal.gov.it/-/flussi-d-ingresso-dei-lavoratori-non-comunitari-e-adempimenti-dei-centri-per-1-impiego) per garantire un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale della procedura, l’indisponibilità di lavoratori già presenti sul territo rio nazionale, come previsto dall’art. 22, comma 2 d.lgs. n. 286/1998.

A tal fine, dovrà essere allegato all’istanza di nulla osta al lavoro da parte del datore di lavoro, un modello di autocertificazione, quale dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (ai sensi dell’art. 47 del d.p.r. n. 445 del 28.12.2000), che si allega.

Con la predetta autocertificazione il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del d.p.c.m. 29.12.2022, può procedere alla presentazione della richiesta di nulla osta presso lo Sportello unico per l’immigrazione, intendendosi espletata, da parte del Centro per l’impiego, la verifica di indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale, al verificarsi delle seguenti ipotesi:

a) assenza di riscontro da parte del Centro per l’impiego alla richiesta presentata, decorsi quindici giorni lavorativi dalla data della medesima;

b) non idoneità del lavoratore accertata dal datore di lavoro ad esito negativo dell’attività di selezione del personale inviato dal Centro per l’impiego;

c) mancata presentazione, senza giustificato motivo, a seguito di convocazione da parte del datore di lavoro al colloquio di selezione dei lavoratori inviati dal Centro per l’impiego, decorsi almeno venti giorni lavorativi dalla data della richiesta.

Si fa presente che la verifica di indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale non è richiesta ai fini dell’istanza di nulla osta al lavoro per l’ingresso di lavoratori stagionali, di cui all’art. 24 d.lgs. n. 286/1998, nei settori agricolo e turistico-alberghiero, come previsto dall’art. 30-quinquies del d.p.r. n. 394/1999, né per le istanze di ingresso di lavoratori che hanno frequentato e completato i percorsi di formazione all'estero, di cui all’art. 23 d.lgs. n. 286/1998, come sopra indicato. Tali lavoratori formati all’estero conseguono, infatti, un diritto di prelazione ai fini dell’ingresso in Italia.

Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non “a pacchetto”. L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda.

Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione. Nell’area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate.

Allo stesso indirizzo https://portaleservizi.dlci.interno.it, nell’area privata dell’utente, sarà possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico per l’immigrazione.

Riguardo l’istruttoria relativa alle domande di lavoro stagionale nonché alle richieste di lavoro stagionale pluriennale, si ribadiscono le istruzioni già diramate agli Uffici territoriali del lavoro con la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, con riferimento, in particolare, all’individuazione sia dei settori occupazionali “agricolo e turistico alberghiero” (art. 24, comma 1 d.lgs. n. 286/1998), che delle ulteriori ipotesi di rifiuto del nulla osta al lavoro (art. 24, comma 12 d.lgs. n. 286/1998). Si precisa, inoltre, che nel settore occupazionale “agricolo” rientrano anche le istanze relative all’ingresso di lavoratori non comunitari stagionali/pluriennali inquadrati quali “operai florovivaisti” e “personale addetto all’allevamento di animali”, come previsto dalla contrattazione collettiva di settore, in particolare, dal CCNL operai agricoli e florovivaisti di riferimento del 19 giugno 2018.

Resta salvo che occorrerà verificare l’espressa previsione della stagionalità da parte della contrattazione collettiva di settore.

Si richiama, inoltre, la procedura del silenzio assenso per le richieste di nulla osta al lavoro stagionale e stagionale pluriennale a favore degli stranieri già autorizzati almeno una volta nei cinque anni precedenti a prestare lavoro stagionale presso lo stesso datore di lavoro, nonché l’obbligo della comunicazione obbligatoria di assunzione generata in automatico dal sistema, dopo la sottoscrizione del contratto di soggiorno.

Si richiama, infine, l’attenzione sulla disposizione contenuta nell’art. 44 – comma 5 del decreto-legge n. 73/2022, che stabilisce l’applicabilità della procedura semplificata – analogamente a quanto previsto per le ipotesi richiamate all’art. 27, comma 1-ter del d.lgs. 286/1998, anche alle Organizzazioni dei datori di lavoro firmatarie dei Protocolli d’intesa col Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Per tali istanze, la comunicazione della proposta di contratto di soggiorno, per lavoro subordinato stagionale e non, sarà trasmessa per via telematica direttamente alle Rappresentanze diplomatico consolari ai fini del successivo rilascio del visto.

 

2. Accesso al Portale ALI. Attivazione delle credenziali. Indicazioni operative per la presentazione delle domande allo Sportello unico per l’immigrazione

Con circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e per l’asilo, n. 1212 del 24.02.2023 si informa che è stato semplificato il meccanismo di accesso al portale informatico dedicato (ALI) e che ogni richiedente può presentare una o più domande, accedendo tramite SPID e selezionando il relativo modello in relazione alla tipologia di lavoro (es. stagionale, subordinato, ecc.).

Non è più necessario fare richiesta di profilazione alla Prefettura e non è più imposto un limite massimo di domande.

Il sistema informatico profila automaticamente soltanto i seguenti operatori:

- le associazioni o organizzazioni professionali che hanno stipulato con il Ministero del lavoro e politiche sociali il protocollo d’intesa, di cui all’art. 44, comma 5 d.l. 21.06.2022, n. 73, convertito dalla l. 04.08.2022, n. 122, in ragione della prevista procedura semplificata;

- le associazioni che fruiscono delle quote riservate per il lavoro subordinato stagionale nel settore agricolo, di cui all'art. 6, punto 4 d.p.c.m. 28.12.2022, per il rispetto della predetta disposizione;

- gli enti ai quali è riconosciuto il finanziamento da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell’art. 13 della legge n. 152/2001 e del conseguente d.m. 10.10.2008 n. 193 Tabella D, per i relativi adempimenti periodici.

A tal fine, le Direzioni nazionali dei patronati e delle associazioni o organizzazioni professionali dovranno inviare gli elenchi degli operatori da abilitare, con l’indicazione del codice fiscale degli stessi, ai seguenti indirizzi pec:

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3. Semplificazione delle procedure per il rilascio dei nulla-osta al lavoro per i lavoratori stranieri all’estero

La nota n. 2066 del 21.03.2023 dell’Ispettorato nazionale del lavoro illustra le novità procedurali concernenti la nuova disciplina dei nulla-osta al lavoro per gli ingressi per lavoro, derivante dalle modifiche introdotte con il d.l. n. 20/2030 (che si omettono) e fa alcune precisazioni.

Sul punto della “capacità economica” del datore di lavoro si ricorda la circolare INL n. 3 del 5.07.2022 che ha richiamato l’art. 9 d.m. 27/05/2020 con il quale sono stati definiti i requisiti reddituali che il datore di lavoro (che sia persona fisica, ente o società) è tenuto a dimostrare al fine di poter assumere il/i cittadino/i straniero/i non appartenente/i all’UE fornendo, a tal fine, criteri specifici e dettagliati per specifiche casistiche e settori produttivi. Infatti, il comma 1 dell’art. 9 del d.m. in questione, in caso di presentazione di una sola istanza, fissa una soglia minima di € 30.000,00 di reddito imponibile o di fatturato, quali risultanti dall’ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio precedente; mentre, nel delineare una possibile concomitanza di istanze plurime, prevede il giudizio sulla «congruità della capacità economica in rapporto al numero delle istanze», fornendo altresì criteri specifici e dettagliati per specifiche casistiche e settori.

Per il settore del lavoro domestico o di assistenza alla persona, il reddito imponibile del datore di lavoro con nucleo familiare composto solo dalla sua persona non può essere inferiore a € 20.000,00 annui, limite che sale a € 27.000,00, nel caso in cui la famiglia anagrafica del datore di lavoro sia composta da più familiari conviventi.

Possono concorrere nella formazione del requisito reddituale del datore di lavoro sia il reddito del coniuge e dei parenti entro il secondo grado di parentela, anche se non conviventi, sia eventuali redditi esenti certificati (come, ad esempio, l’assegno di invalidità).

La verifica dei requisiti reddituali, non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza e che abbia presentato l’istanza per un lavoratore straniero addetto alla sua assistenza.

Per gli altri comparti lavorativi il reddito imponibile, in caso di persona fisica/impresa individuale o il fatturato, in caso enti e società, non può essere inferiore a € 30.000,00 annui.

In particolare, nel caso di impresa agricola, la capacità economica potrà essere valutata prendendo in considerazione anche indicatori ulteriori rispetto al fatturato, quali quelli ricavabili dalla dichiarazione IVA, prendendo in considerazione il volume d'affari al netto degli acquisti o dalla dichiarazione Irap e i contributi comunitari documentati dagli organismi erogatori.

Il comma 2 della disposizione citata stabilisce i criteri in base ai quali i professionisti e le organizzazioni datoriali saranno tenute ad effettuare le verifiche di congruità (capacità patrimoniale, equilibrio economico-finanziario, fatturato, numero dei dipendenti, ivi compresi quelli già richiesti ai sensi del d.lgs. n. 286/1998 e tipo di attività svolta dall’impresa).

In ordine alla valutazione della capacità economica dell'impresa in caso di richieste plurime di assunzione, ai sensi del comma 4 dell’art. 9 d.m. 27.05.2020, deve confermarsi l’esclusione di meccanismi di sommatoria del fatturato/reddito imponibile di 30.000 euro annui.

La disciplina in questione, da un lato, pone una soglia minima per la presentazione di una sola istanza nei settori di cui trattasi (30.000,00 euro), dall’altro, non prevede che detta soglia minima debba essere automaticamente moltiplicata per il numero dei lavoratori da assumere ponendo in risalto il giudizio sulla congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero di richieste presentate, e quindi la verifica sulla loro accoglibilità.

La verifica di congruità deve necessariamente sostanziarsi in una valutazione fondata sull’analisi della capacità economica e delle esigenze dell’impresa, anche in relazione agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria applicabili.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza amministrativa valorizza la necessità dell’acquisizione di analitica e documentata relazione concernente l’andamento economico-finanziario ed occupazionale dell’azienda nel tempo, l’indicazione dell’inquadramento contrattuale, delle ore lavorate e dei redditi percepiti ed il connesso assolvimento degli oneri previdenziali ed assistenziali da parte dell’azienda, la condizione di integrazione sociale ed economica dei lavoratori e le loro attuali prospettive di inserimento lavorativo.

Nel caso in cui il medesimo datore di lavoro presenti più richieste di autorizzazione all’ingresso, quindi, la congruità del numero delle richieste presentate in relazione alla sua capacità economica andrà di volta in volta valutata, non essendo riconducibile a quote reddituali prefissate o ad altri automatismi e il datore di lavoro dovrà essere in possesso, in alternativa, di tali requisiti reddituali:

a) fatturato al netto degli acquisti superiore ad € 30.000 e comunque, sufficiente a coprire il costo di tutti i dipendenti in forza, compresi i lavoratori stranieri a cui si riferiscono le istanze;

b) reddito imponibile superiore ad € 30.000 e comunque, sufficiente a coprire il costo del lavoro di tutti i lavoratori in forza, compresi i lavoratori stranieri a cui si riferiscono le istanze. Il costo del lavoro deve essere determinato con riferimento alla retribuzione lorda spettante al lavoratore sulla base del CCNL sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi relativo al settore in cui opera l’azienda.

Circa la valutazione della capacità economica di un’impresa di nuova costituzione, intesa, ai presenti fini, come impresa per la quale, al momento della presentazione della domanda, non è ancora maturato il termine per gli adempimenti di legge di natura fiscale, tenuto conto degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa, si ritiene possano essere valorizzati, ai fini istruttori per l’eventuale rilascio del nulla osta, ulteriori indici rivelatori della capacità economica datoriale quali, a titolo esemplificativo, l’esame del fatturato presuntivo del primo anno di attività (come, peraltro, richiesto nel modello di asseverazione) o la consistenza del capitale sociale versato, il tutto rapportato alle concrete esigenze rappresentate dall’impresa.

In caso di esito positivo delle verifiche è rilasciata apposita asseverazione che il datore di lavoro produce unitamente alla richiesta di assunzione del lavoratore straniero.

A quest’ultimo riguardo, si evidenzia che il d.l. n. 20/2023 ha ricompreso l’asseverazione tra la documentazione da produrre introducendo, all’art. 22, comma 2 d.lgs. n. 286/1998, la lett. d-bis.

L’asseverazione non è comunque richiesta con riferimento alle istanze presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che hanno sottoscritto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito protocollo di intesa con il quale si impegnano a garantire il rispetto, da parte dei propri associati, dei requisiti di cui al comma 1 dell’art. 24-bis sopra richiamato.

Risulta, dunque, importato l’impianto normativo introdotto dall’art. 44 del d.l. n. 73/2022, i cui chiarimenti, concernenti in particolare la procedura di asseverazione, sono già stati forniti con la circolare dello stesso Ispettorato n. 3/2022 e con il relativo modello allegato, parte integrante del contenuto descrittivo di tale circolare.

Pertanto, anche con l’entrata in vigore del d.l. n. 20/2023 resta in capo al professionista/organizzazione datoriale e all’Associazione di categoria firmataria del Protocollo d’intesa la possibilità di procedere a valutazioni tecniche.

Tali valutazioni possono incentrarsi su ulteriori e specifici elementi che, se supportati da documentazione e adeguatamente motivati, possono giustificare e consentire le assunzioni richieste.

A tal riguardo, il modello di asseverazione, allegato alla circ. n. 3/2022,contempla uno spazio dedicato a eventuali relazioni a cura del professionista, in cui è possibile riportare le valutazioni a questi rimesse, che consentono il rilascio della asseverazione, analogamente a quanto previsto nel modello predisposto dal Ministero del lavoro, in allegato ai protocolli d’intesa, con cui le Organizzazioni di categoria firmatarie si impegnano a garantire l’osservanza delle prescrizioni del CCNL applicabile e la congruità delle richieste in relazione alla capacità economica.

Ai sensi del comma 4 dell’art. 2, resta ferma la possibilità da parte degli Ispettorati territoriali del lavoro, anche in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate, di svolgere controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure previste dal medesimo articolo.

Al riguardo la nota dell’Ispettorato nazionale del lavoro conferma le indicazioni che aveva fornito (con nota DC Tutela riservata prot. n. 4918 del 04.08.2022), in merito agli indicatori di rischio e alle modalità di svolgimento dei previsti controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure in argomento.

Si conferma, altresì, che gli Ispettorati territoriali continueranno a fornire il parere di competenza in ordine alle sole istanze di conversione.

Infatti, il vigente articolato normativo circoscrive l’ambito della procedura di semplificazione alle richieste di nulla osta all’ingresso presentate in relazione ai flussi e alle sole fattispecie di lavoro subordinato e lavoro stagionale, lasciando pertanto inalterate competenze, procedure e controlli già devolute all’INL per altri titoli di ingresso sul territorio nazionale per motivi di lavoro, quali, a titolo esemplificativo, gli ingressi c.d. fuori quota di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 286/1998 o ancora, per tutte le ipotesi di conversione del titolo di soggiorno in un titolo che comporta l’inserimento nel mercato del lavoro nazionale di un lavoratore straniero non appartenente all’UE (es: conversione P.S. per studio, artt. 39 e 39-bis, d.lgs. n. 286/1998; conversione P.S. per tirocinio, art. 27, lett. f), d.lgs. n. 286/1998; conversione P.S. per lavoro stagionale, art. 24, comma 10, d.lgs. n. 286/1998).

 

 Assistenza sociale

 4. L’assegno unico e universale per le famiglie spetta anche agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per protezione temporanea

La circolare INPS 7.04.2023, n. 41 ha chiarito che tra i permessi di soggiorno che danno diritto a percepire l’assegno unico universale alle famiglie rientra anche il permesso per protezione temporanea, garantito alle persone in fuga dal conflitto in Ucraina, sulla base dell’art. 4, comma 1, lettera g), del d.lgs. 7.04.2003, n. 85, il quale recependo la Direttiva 2001/55/CE espressamente prevede la possibilità che vengano estese ai titolari di protezione temporanea misure assistenziali comprese quelle per l’assistenza sociale.

 

Lavoro

5. Tirocini formativi di lavoratori stranieri con permesso di soggiorno per studio

Con nota n. 320 del 14.02.2023 dell’Ispettorato nazionale del lavoro si ricorda che la normativa nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento, per un generale principio di parità di trattamento, si applica anche ai cittadini non appartenenti all’Unione europea, consentendo anche ai cittadini provenienti da Paesi extra-UE di usufruire dei percorsi di tirocinio come strumenti formativi e orientativi finalizzati all’inserimento lavorativo.

La nota ricorda che però la legge distingue tra l’ipotesi di tirocinio da instaurarsi con un cittadino extraUE regolarmente soggiornante in Italia – come quello titolare di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio – da quello in cui lo stesso rapporto si debba instaurare con un cittadino extra-Ue che si trova all’estero.

In forza dell’art. 2 del d.m. 22.03.2006, infatti, «ai cittadini non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia si applica, integralmente la normativa regionale vigente in materia di tirocini formativi e di orientamento o, in difetto, la regolamentazione contenuta nel decreto ministeriale 25 marzo 1998, n. 142…», diversamente dall’ipotesi di cui all’art. 3 dello stesso decreto relativa ai «cittadini non appartenenti all’Unione europea (…) residenti all’estero» nei confronti dei quali «trova applicazione quanto previsto, in attuazione del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’art. 40, comma 9, lettera a), del decreto del Presidente Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dall’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334».

Nel caso il cui lo straniero sia già presente sul territorio italiano con un titolo di soggiorno in corso di validità (per studio o formazione professionale), pertanto, si ritiene che lo stesso possa svolgere tutte le attività di tirocinio curriculare previste dal corso di studi o formazione professionale per cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno in quanto rientranti nelle finalità per le quali il permesso di soggiorno è stato rilasciato.

Analogamente lo straniero entrato in Italia con permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione potrà svolgere, nel rispetto dei presupposti previsti dalla normativa regionale, un’attività di tirocinio non curriculare, compatibilmente con l’espletamento del percorso di studio o formazione professionale sotteso al rilascio del titolo di ingresso, a nulla rilevando, per tale ipotesi – che non costituisce rapporto di lavoro – i limiti in cui è consentito lo svolgimento di attività di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 14, comma 4, d.p.r. n. 394/1999.