Penale

Stampa
Prescritta la responsabilità penale degli ufficiali di marina processati per rifiuto di atti d’ufficio e omicidio colposo plurimo nel caso Libra: la decisione del Tribunale di Roma
La vicenda oggetto della pronuncia in commento (Trib. Roma, II sez. penale, 2.12.2022-15.12.2022, n. 14998/22) è molto nota, e riguarda un’ipotesi di mancato soccorso in mare, da cui era derivata la morte di più di 200 persone (di cui più di un centinaio di minori, la c.d. strage dei bambini).
Nella tarda mattinata dell’11 ottobre 2013 l’I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Center) di Roma riceveva due chiamate di emergenza ravvicinate provenienti da un telefono satellitare in uso ad un natante, con cui venivano fornite informazioni sull’imbarcazione e sulle drammatiche condizioni in cui la stessa versava (una barca in legno, con a bordo circa ottanta donne e più di cento bambini, due dei quali feriti, in balia delle onde e prossima all’affondamento, a circa 50 miglia dall’isola di Lampione), chiedendo un aiuto tempestivo. Sul presupposto che l’imbarcazione in difficoltà si trovasse nell’area SAR di competenza di Malta, l’I.M.R.C.C. (al cui vertice si trovava al momento dei fatti uno degli imputati, L.M.) inviava all’R.C.C. di Malta un fax, affinché assumesse formalmente il coordinamento delle operazioni; in suddetta comunicazione riferiva quanto appreso dai naufraghi, omettendo tuttavia qualsiasi riferimento al fatto che stessero imbarcando acqua e omettendo di precisare che una nave della Marina Militare Italiana (Nave Libra) fosse nelle vicinanze (venivano indicate solo le coordinate di due mercantili stranieri). In tale contesto, con le chiamate d’emergenza dell’imbarcazione dirette all’I.M.R.C.C. che continuavano a susseguirsi, l’altro imputato (L.L., Capo sezione dell’Unità operativa C.IN.C.NAV, Comando in capo della squadra navale, e quindi di fatto responsabile dei movimenti delle navi della Marina militare), non adottava alcuna iniziativa volta a predisporre i soccorsi. Nel frattempo, Malta, assunto il coordinamento delle operazioni, inviava una motovedetta nella posizione in cui si trovava il barcone, dandone avviso all’I.M.R.C.C. e al C.IN.C.NAV. Proprio in seguito a tale informazione, L.L. ordinava che Nave Libra non si avvicinasse troppo al natante ed in ogni caso avesse cura di non farsi vedere dalla motovedetta maltese, per evitare che quest’ultima alla vista di Nave Libra tornasse indietro per lasciare alla nave italiana l’incombenza del soccorso. L’RCC Malta, dopo aver mandato in perlustrazione oltre alla motovedetta anche un velivolo, inviava un fax all’I.M.R.C.C. informando che il velivolo aveva localizzato il barcone – sovraccarico e instabile – e chiedendo di dare indicazioni alla nave militare più vicina – ovvero Nave Libra – di dirigersi verso i naufraghi per valutare la situazione e prestare il soccorso necessario. A questo punto M.M. dava ordine di rimanere in stand by su tale richiesta; mentre il secondo imputato gli confermava di non aver dato alcun comando a Nave Libra. La situazione si sbloccava solo vero le ore 16, con l’invio definitivo di Nave Libra e poi di Nave Espero in soccorso a massima velocità, all’esito della comunicazione all’I.M.R.C.C. da parte di Malta che l’imbarcazione si era ribaltata; in seguito al naufragio, verranno recuperati 26 cadaveri, mentre la stima dei dispersi è superiore a 200.
Rispetto ad entrambi i reati contestati agli imputati (il delitto di rifiuto d’atti d’ufficio, di cui all’art. 328, co. 1 c.p., e quello di omicidio colposo plurimo), la sentenza emette dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione (il reato più grave, l’omicidio, risulta prescritto nel febbraio 2022); pur potendo dunque limitarsi, ai sensi dell’art. 129, co. 2 c.p.p., ad escludere che dagli atti risultasse evidente la necessità di assolvere gli imputati, il Tribunale afferma invece in modo molto esplicito che «sussistono gli elementi costitutivi di tutti i reati ascritti in rubrica», e indica puntualmente tutti gli elementi che, se i reati non fossero da ritenere estinti per prescrizione, avrebbero potuto sostenere una sentenza di condanna. In particolare, per quanto riguarda l’imputazione ex art. 328, la sentenza mette in luce come il comportamento dei due imputati sia stato sempre teso ad evitare l’assunzione di responsabilità per il soccorso da parte delle autorità italiane, quando al contrario la normativa interna ed internazionale imponeva loro di attivarsi al più presto per soccorrere i naufraghi; per quanto riguarda invece l’imputazione per omicidio colposo, in ordine al profilo oggettivo il Tribunale rileva che, se Nave Libra fosse stata inviata sul posto dopo la prima segnalazione, molte morti sarebbero state sicuramente evitate, mentre, in ordine al profilo soggettivo, la colpa è da radicarsi proprio in quella violazione dei doveri legati alla funzione ricoperta, posta a fondamento della responsabilità ex art. 328 c.p.
 
La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza che aveva condannato per il delitto di cui all’art. 12 TUI quattro cittadini eritrei che avevano aiutato alcuni connazionali giunti irregolarmente in Italia
Di grande importanza, anche per le possibili ricadute sistematiche, è la sentenza della I sezione penale della  Cassazione 45963/2022  che ha annullato senza rinvio perché il fatto non sussiste la decisione con cui la Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, aveva condannato a significative pene detentive quattro cittadini eritrei che avevano offerto ospitalità ed avevano aiutato a spostarsi sul territorio nazionale alcuni connazionali giunti irregolarmente in Italia (per un commento alla decisione, cfr. C. Caprioglio, Il fatto non sussiste: brevi note sulla sentenza di Cassazione nel processo Agaish in tema di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, in Quest. giust., 14.2.2023). Inizialmente accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare (e per questa imputazione sottoposti a quasi due anni di custodia cautelare in carcere), gli imputati, caduta l’ipotesi associativa, erano stati condannati per favoreggiamento dell’immigrazione e dell’emigrazione irregolare, in quanto, oltre ad avere favorito la permanenza dei connazionali in Italia, li avrebbero altresì aiutati a lasciare il nostro Paese verso altre (imprecisate) destinazioni. La Cassazione esclude in primo luogo la sussistenza del reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare, dal momento che l’aiuto era stato fornito quando le persone erano già giunte in Italia, né vi è alcuna prova che tale aiuto fosse stato concordato prima del loro arrivo, e dunque si potesse ritenere causalmente legato all’ingresso, come aveva ritenuto la sentenza annullata. Gli aspetti più interessanti della pronuncia riguardano tuttavia la fattispecie di favoreggiamento dell’ingresso irregolare in altro Stato. Al riguardo, la Corte precisa anzitutto come sia indispensabile, ai fini dell’emissione di una sentenza di condanna, che risulti in modo inequivocabile quale fosse il Paese verso il quale gli stranieri favoriti erano diretti, venendo meno altrimenti la possibilità di valutare se tale ingresso fosse o meno conforme alla legislazione di tale Paese. La Corte ha altresì escluso la sussistenza del reato in un caso in cui era risultato accertato che era stato favorito l’ingresso di una persona in Olanda, posto che questa persona aveva poi ottenuto il riconoscimento in tale Paese della protezione internazionale, ed il suo ingresso non poteva di conseguenza secondo la Cassazione reputarsi essere avvenuto in violazione della normativa olandese: principio di diritto che, ove applicato anche alle ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso irregolare in Italia, potrebbe avere effetti dirompenti rispetto all’attuale orientamento della giurisprudenza, per cui invece è da escludere che vicende successive all’ingresso in Italia, come l’eventuale riconoscimento della protezione ai soggetti favoriti, possano incidere sulla responsabilità dei favoreggiatori.
 
Reato di false generalità e stato di necessità (putativo)
Merita una segnalazione una decisione del  Tribunale di Trento 21.5.2022-16.8.2022, n. 340/2022 , relativa alla responsabilità penale per l’art. 477 c.p. di un cittadino gambiano che era risultato avere fornito delle false generalità al momento del suo arrivo in Italia in provenienza dai campi di detenzione per stranieri in Libia. L’imputato aveva allegato di avere compiuto il reato in quanto temeva che, qualora avesse fornito le vere generalità e fosse stato poi riportato in Libia, avrebbe potuto venire identificato dalle milizie che lo avevano tenuto prigioniero e che al momento dell’imbarco lo avevano minacciato di morte qualora fosse tornato in Libia. Il Tribunale, citando altri precedenti evidenziati dalla difesa, assolve l’imputato riconoscendogli lo stato di necessità, dal momento che ha agito al fine di evitare il rischio di essere nuovamente esposto, in caso di rimpatrio, alle atroci violenze cui era appena sfuggito. La sentenza poi pone in termini dubitativi la natura reale o putativa della scriminante («sussistono tutti i presupposti per il riconoscimento della scriminante dello stato di necessità, da ritenersi certamente ricorrente quantomeno nella sua forma putativa»), senza tuttavia chiarire le ragioni di tale possibile incertezza, quando dalla motivazione pare emergere senza incertezze la natura reale (e tutt’altro che erroneamente rappresentata) dei pericoli cui l’imputato sarebbe stato esposto in caso di ritorno in Libia.
 
Reato di falso al fine di ottenere il reddito di cittadinanza e pronunce di assoluzione (con formule diverse)
Segnaliamo ancora, dopo quelle indicate alla Rassegna n. 2/2022, una sentenza che assolve lo straniero imputato di avere reso false dichiarazioni in relazione al requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni, al fine di ottenere il reddito di cittadinanza (RDC). In questo caso, il  Tribunale di Vercelli 2.11.2022, n. 313/2022 assolve non già per carenza di dolo, come nei casi citati nella passata Rassegna, ma per errore inevitabile sulla legge penale, posto che l’imputato si era rivolto ad un CAF per chiedere di verificare se avesse o meno i requisiti per accedere al beneficio, e nessuno degli operatori, ai quali aveva consegnato tutta la documentazione a sua disposizione, gli aveva fatto presente che gli mancava un requisito necessario (la sentenza fa anche notare il dato oggettivo che nella domanda vengono forniti i dati del permesso di soggiorno non di lunga durata, da cui dunque risultava per tabulas la mancanza del requisito). Da segnalare che il Tribunale valuta in modo molto severo il comportamento degli operatori del CAF («si deve ritenere che l’imputato si trovasse in una situazione di ignoranza normativa scusabile e che gli operatori del CAF lo abbiano indotto in errore facendogli compilare una domanda che conteneva delle false dichiarazioni di cui loro, a differenza dell’imputato, erano consapevoli»), al punto da trasmettere gli atti alla Procura «affinché valuti eventuali profili di responsabilità in capo agli operatori del CAF che si sono occupati della pratica in ordine al reato di cui agli artt. 48 c.p. e 7, d.l. 4/2019».
 
Alleghiamo infine una sentenza del Tribunale di Torino (13.1.2023, reg. sent. n. 2132) , che esclude il reato per carenza di dolo, anche in questo caso esprimendo pesanti critiche all’operato degli operatori del CAF cui l’imputato si era rivolto, pur senza arrivare a trasmettere gli atti alla Procura; e una decisione del Tribunale di Rovigo 18.1.2023, reg. sent. n. 10/2023 , che assolve perché il fatto non sussiste, svolgendo considerazioni interessanti riguardo alla possibilità di ritenere decorso il termine di residenza decennale previsto per il RDC anche quando l’iscrizione anagrafica sia più recente.