>

Fascicolo 1, Marzo 2022


«Maybe we are all prospective migrants. The lines of national borders on maps are artificial constructs, as unnatural to us they are to birds flying overhead. Our first impulse is to ignore them».

(Mohsin Hamid)

Osservatorio italiano

Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali

Riforme del diritto degli stranieri introdotte con la legge europea 2019-2020: durata decennale dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, proroga dei visti di ingresso di breve durata quale nuovo titolo di soggiorno, ampliamento dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale e della tutela contro le discriminazioni e dei compiti dell’UNAR, inammissibilità delle domande di protezione internazionale per i titolari di protezione sussidiaria riconosciuta in altri Stati UE
La legge europea 2019-2020 (legge 23.12.2021, n. 238, pubblicata in G.U. n. 12 del 17.01.2022) prevede molte norme che, per attuare le disposizioni dell’UE o per recepire sentenze della Corte di giustizia dell’UE o per prevenirle nell’ambito di procedure di infrazione, dal 1° febbraio 2022 apportano significative innovazioni generali nel sistema italiano del diritto degli stranieri.
Si illustrano di seguito le più importanti innovazioni.
 
1) Durata decennale, rinnovabilità automatica e natura di documento di identificazione dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
La modifica che potrebbe avere gli effetti più vasti e significativi è la nuova disciplina della durata dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di cui oggi sono titolari circa i 2/3 degli stranieri extraUE soggiornanti in Italia.
Essa formalmente è adottata in attuazione della direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, del 25.11.2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, e del regolamento (UE) 2017/1954 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2017, che modifica il regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi.
Le disposizioni in vigore fin dal 1998 prevedevano una durata a tempo indeterminato, salva la facoltà di usare tali documenti quali documenti di riconoscimento per i primi cinque anni, poi prorogati a dieci anni.
L’art. 15, comma 1 della legge europea modifica l’art. 9, co. 2 d.lgs. n. 286/1998 non prevede più una durata a tempo indeterminato, ma una durata decennale rinnovabile autonomamente alla scadenza e quinquennale per i minori di età.
Il nuovo testo del comma 2 del citato art. 9 prevede ora importanti norme:
1) il p.s. UE per soggiornanti di lungo periodo attesta il riconoscimento permanente del relativo status, fatti salvi i casi di revocabilità dello stesso e di espulsione dello straniero previsti dai co. 4-bis, 7, 10 e 10-bis;
2) il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è sempre rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta, ma è valido per dieci anni e, previa presentazione della relativa domanda corredata di nuove fotografie, è automaticamente rinnovato alla scadenza;
3) per gli stranieri di età inferiore a diciotto anni la validità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è di cinque anni.
4) Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo in corso di validità costituisce documento di identificazione personale ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. d), del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445.
Secondo la relazione illustrativa, la disposizione ha l’obiettivo di far chiarezza, distinguendo il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo – che ha una durata permanente salvo i casi di revoca disciplinati dal legislatore nazionale, ai sensi dell’art. 9, co. 4-bis, 7, 10 e 10-bis, del d.lgs. n. 286/1998 – dalla validità del documento elettronico che attesta tale status, che invece, ha una durata limitata nel tempo, in analogia al tempo di validità attribuito, dalle norme nazionali di settore, alla carta d’identità, al passaporto e alla patente di guida.
Molto importanti e di dubbia interpretazione sono anche le successive disposizioni, di carattere transitorio, previste nei commi 2, 3 e 4 dal citato art. 15 della legge europea.
Il comma 2 prevede che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da oltre dieci anni alla data di entrata in vigore della legge europea (1° febbraio 2022) non è più valido per l’attestazione del regolare soggiorno nel territorio dello Stato.
La previsione del comma 2 sembra dunque riguardare tutti i permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati fino al 1° febbraio 2022 che non avevano dunque una scadenza.
Occorre rilevare che in modo ambiguo non la disposizione normativa, ma soltanto la relazione illustrativa al disegno di legge chiarisce che in ogni caso la scadenza non comporta la revoca del particolare status, stante la previsione dall’art. 9, paragrafo 6, della direttiva 2003/109, che prevede che in nessun caso la scadenza del titolo di soggiorno comporta la revoca dello status. Tuttavia, prosegue la relazione illustrativa «in caso di esibizione nel corso dei controlli di polizia anche in frontiera, il titolo di soggiorno potrà essere ritirato – per la restituzione all’autorità che ne aveva curato il rilascio – e la persona potrà essere invitata presso la questura competente, per adempiere alle fasi di aggiornamento del documento in parola, ai sensi della vigente normativa (art. 15 TULPS ovvero art. 650 c.p.)».
Il comma 3 prevede che al titolare dello status di soggiornante di lungo periodo alla stessa data del 1° febbraio 2022, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo previsto, come modificato dal comma 1 dello stesso articolo della medesima legge è concesso a seguito della prima richiesta avanzata ai fini dell’aggiornamento delle informazioni trascritte ovvero della fotografia.
Infine, il comma 4 abroga il comma 2 dell’art. 17 del regolamento di attuazione dello stesso testo unico delle leggi sull’immigrazione, emanato con d.p.r. 31.8.1999, n. 394. Quest’ultima disposizione, nella parte non abrogata dall’art. 16 d.p.r. n. 334/2004 prevedeva che la carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo) per cinque anni costituiva documento di identificazione personale per cinque anni dal suo rilascio e che poteva essere a tal fine rinnovata con nuove fotografie alla data della scadenza.
La riforma complessiva così attuata mira a sopprimere l’ambigua distinzione tra un titolo di soggiorno a tempo indeterminato e il documento di identificazione con durata limitata a cinque anni.
Ora però il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è sempre anche titolo di identificazione, ma di fatto non è più davvero un titolo di soggiorno a tempo indeterminato, perché di nuovo ogni straniero lungo soggiornante sarà comunque sottoposto all’onere di presentare alla questura la domanda di rinnovo almeno ogni dieci o cinque anni, se minorenne, il che esige la necessità di recarsi personalmente in questura ogni dieci anni per rinnovarlo portando nuove foto.
L’innovazione sembra equiparare il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, in quanto documento di identificazione, alla durata delle carte di identità, oggi prevista proprio in dieci e cinque anni.
Tuttavia, la modifica introdotta appare ambigua e suscettibile di apportare peggioramenti concreti alla condizione giuridica degli oltre due milioni di stranieri extraUE lungo soggiornanti
Infatti, in primo luogo sostituire un titolo di soggiorno a tempo indeterminato, ormai il titolo di soggiorno più diffuso tra gli stranieri extraUE, il che ne conferma l’elevato grado di integrazione sociale, con un titolo di soggiorno di fatto decennale o quinquennale era una richiesta più volte avanzata in sede europea da altri Stati, come la Germania e la Francia che avevano fatto la scelta di permessi di soggiorno Ue per lungosoggiornanti con una durata temporanea invece che a tempo indeterminato, come peraltro consente la direttiva UE sul permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.
In secondo luogo, la modifica potrebbe comportare un enorme disagio per la condizione concreta di vita di milioni di stranieri che ne sono titolari. Milioni di stranieri torneranno a fare lunghissime e defatiganti attese presso le questure o i commissariati di p.s. e/o saranno costretti a presentare alle Poste o on line domande di rinnovo con sessioni di rinnovo lungamente protratte a causa delle scarse disponibilità del personale delle questure che sarà sottoposto a operazioni amministrative molto rilevanti con una nota scarsità di organico. Sarà poi difficoltoso il ritorno in Italia di chi si trovi in uno Stato extraUE e sia in possesso di un titolo di soggiorno scaduto che comporta permesso di soggiorno UE per lungo soggiornanti: non essendo stato rinnovato il titolo di soggiorno essi potranno servirsi del sistema dei visti e magari richiedere il visto di reingresso.
In terzo luogo, se è vero che la scadenza non comporta revoca, è vero anche che l’occasione del rinnovo del documento scaduto darà l’opportunità alle questure stesse di effettuare il controllo sistematico su ogni permesso per lungosoggiornanti, soprattutto per verificare l’eventuale sussistenza delle ipotesi più frequenti di revoca, come quelle del soggiorno fuori dalla UE per più di dodici mesi consecutivi o di assenza dal territorio italiano da più di sei anni dopo il rilascio del p.s. UE per lungo soggiornanti da parte di altri Stati UE.
In quarto luogo le nuove norme comporteranno la caducazione immediata della validità del loro titolo di soggiorno in Italia a chi si trovi fuori dall’UE da più di dieci anni dal 1° febbraio 2022. Automaticamente quel titolo non avrà alcun valore, né si potrebbe chiederne il rinnovo essendo revocato di diritto qualsiasi permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Indubbiamente l’operazione consentirà anche la ripulitura dagli schedari amministrativi e dai conteggi statistici molti stranieri che erano titolari di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ma che non si trovavano nella UE da più di dieci anni o comunque erano tornati in patria o si trovano ormai residenti regolarmente in altri Stati UE.
 
2) Disciplina della proroga dei visti di ingresso di breve soggiorno quale nuovo titolo di soggiorno
L’art. 16 della legge europea introduce nel testo unico delle leggi sull’immigrazione, approvato con d.lgs. n. 286/1998, nuove disposizioni legislative che attuano la facoltà, prevista da norme europee, di disporre la proroga della durata del soggiorno dei titolari di visti di ingresso per brevi soggiorni in presenza di serie circostanze individuali o generali che gli impediscono di lasciare il territorio della UE alla data di scadenza del soggiorno breve autorizzato in base al visto.
In primo luogo, la disciplina generale della proroga del visto è contenuta nel nuovo art. 4-ter introdotto nel citato testo unico, in base al quale
1) il questore della provincia in cui lo straniero si trova può prorogare il visto d’ingresso per soggiorni di breve durata fino alla durata massima consentita dalla normativa europea, ai sensi dell’art. 33 del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice europeo dei visti.
2) Lo straniero che richiede tale proroga del visto è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
3) La proroga del visto concessa dal questore consente il soggiorno dello straniero nel territorio nazionale senza la necessità di ulteriori adempimenti.
4) Le informazioni sulla proroga del visto, memorizzate nel sistema di informazione visti (VIS) conformemente all’art.14 del regolamento (CE) n. 767/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, concernente il VIS e lo scambio di dati tra Stati membri sui visti per soggiorni di breve durata (regolamento VIS), sono registrate negli archivi del Centro elaborazione dati di cui all’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121
Occorre ricordare che il citato art. 33 del regolamento (CE) n. 810/2009, istitutivo del codice comunitario dei visti, entrato in vigore nell’aprile 2010, consente di prorogare il periodo di validità e/o la durata del soggiorno per un periodo massimo di 90 giorni per semestre in presenza di due distinte ipotesi:
a) concessione a titolo gratuito, allorché si ritenga che un titolare del visto abbia dimostrato l’esistenza di motivi di forza maggiore o di ragioni umanitarie che gli impediscono di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del periodo di validità del visto o della durata del soggiorno autorizzato dallo Stato membro;
b) facoltà di concessione previo pagamento di 30 euro, qualora il titolare del visto dimostri l’esistenza di ragioni personali serie che giustifichino la proroga del periodo di validità o della durata del soggiorno.
La norma europea prevede altre importanti disposizioni di applicazione immediata.
1) Salvo diversa decisione dell’autorità che dispone la proroga del visto, la validità territoriale del visto prorogato rimane uguale a quella del visto originario.
2) La proroga del visto assume la forma di un visto adesivo.
In secondo luogo, l’art. 16 della legge europea prevede modifiche agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 286/1998;
1) al comma 1 dell’art. 5 è inserito anche il possesso della proroga del visto quale titolo di soggiorno; la disposizione non comprende espressamente tra i titoli che consentono il soggiorno il visto per ingresso di breve durata, mentre la modifica prevista vi include la sua proroga;
2) al comma 8-bis dell’art. 5 la proroga del visto è inserita nella norma penale contro la contraffazione dei titoli di soggiorno e dei documenti necessari per ottenerli;
3) all’art. 6, comma 10, si aggiunge il diniego della proroga del visto tra i provvedimenti impugnabili di fronte al giudice amministrativo;
4) all’art. 13, comma 2, lett. b) la mancata presentazione della richiesta della proroga del visto o la sua revoca o il suo annullamento o il suo rifiuto o la scadenza di validità della proroga del visto sono aggiunti tra i presupposti che legittimano il provvedimento amministrativo di espulsione disposto dal prefetto nelle ipotesi di ingresso o soggiorno irregolari.
 
3) Ampliamento dell’accesso dei cittadini extraUE all’assistenza sociale
L’art. 3 della legge europea reca disposizioni relative alle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi extraUE titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca, per sopperire alla procedura di infrazione n. 2019/2100.
In particolare, si riforma l’art. 41, d.lgs. n. 286/1998 che si illustra riportando la sintesi delle considerazioni fatte dall’avv. Guariso sul sito ASGI.
Resta la medesima regola generale introdotta fin dal 1998: nell’accesso a tutte le prestazioni anche economiche di assistenza sociale il medesimo trattamento previsto per i cittadini si applica anche agli stranieri extraUE titolari di permesso di soggiorno di almeno un anno «diversi da quelli di cui ai commi 1-bis e 1-ter» e non qualificabili quindi come permesso unico lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 8.1., ma si precisa che sono fatti salvi i due commi successivi (di cui si dirà subito) e che l’equiparazione è estesa ai minori indipendentemente, nel loro caso, dalla durata del permesso di soggiorno.
In proposito occorre osservare che, benché il citato comma 8.1. sia stato introdotto proprio dal d.lgs. di recepimento della direttiva 2011/98, l’ambito di applicazione del «permesso unico lavoro» di diritto nazionale non è esattamente sovrapponibile all’ambito di applicazione della direttiva 2011/98. Infatti, il citato comma 8.1. prevede che i permessi che, pur consentendo di lavorare, non sono qualificabili come «permesso unico lavoro» sono i seguenti:
- i permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, anche se rilasciati ai titolari di protezione internazionale;
- i permessi per protezione internazionale;
- i permessi per protezione sociale (ex art. 18, d.lgs. n. 286/1998);
- i permessi per vittime di violenza domestica (ex art. 18-bis, d.lgs. n. 286/1998);
- i permessi per calamità (art. 20-bis, d. lgs. n. 286/1998);
- i permessi per particolare sfruttamento lavorativo (ex art. 22 co. 12-quater, d.lgs. n. 286/1998);
- i permessi per protezione speciale rilasciati ai sensi dei commi 1 e 1.1. dell’art. 19 (cioè ai sensi dei due commi richiamati dall’art. 32 co. 3 d.lgs. 25/08 a sua volta richiamato dall’art. 5, comma 8.1., d.lgs. n. 286/1998);
- i permessi per lavoro stagionale (ex art. 24, d.lgs. n. 286/1998);
- i permessi per lavoro autonomo (ex art. 26, d.lgs. n. 286/1998);
- alcuni particolari permessi rilasciati ai lavoratori «fuori quota» (ex art. 27, d.lgs. n. 286/1998).
Per tutti costoro vale quindi la regola generale sopra richiamata, sicché se il loro permesso di soggiorno ha la durata di almeno un anno (come nel caso delle vittime di violenza domestica o nel caso del permesso per lavoro autonomo) è garantita la parità di trattamento, mentre se il permesso è di durata inferiore (si pensi al permesso per calamità naturali) lo straniero resta escluso dalla parità di trattamento, salvo disposizioni più favorevoli relative alla singola prestazione.
Per i titolari di permesso unico lavoro il regime è invece diverso e vorrebbe evidentemente avvalersi – limitatamente all’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 12 lett. e) direttiva 2011/98, cioè quello delle prestazioni di sicurezza sociale di cui al regolamento 883/04 – delle facoltà di deroga previste dall’art. 12, comma 2, lett. b) della direttiva stessa. Ciò però significa che se solo con la nuova norma è esercitata la facoltà di deroga, fino ad ora detta facoltà non era mai stata esercitata, sicché fino al 2022 l’obbligo di parità di trattamento era pienamente vigente e applicabile, come infatti le citate sentenze della Corte UE hanno confermato.
Ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’art. 41, la equiparazione ai cittadini italiani dei titolari di permesso unico lavoro opera limitatamente alle prestazioni di sicurezza sociale non allorché lo straniero sia titolare di un permesso di soggiorno di almeno un anno, ma in presenza di due diversi requisiti: l’avvenuto svolgimento di attività lavorativa per almeno 6 mesi e la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da rendere agli uffici del lavoro ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 150/2011.
Per le prestazioni familiari (che sono un «sottogruppo» rispetto a quello più ampio delle prestazioni di sicurezza sociale) si prevede poi un regime ancora diverso: l’equiparazione opera «esclusivamente» (così precisa la norma) in favore dei titolari di permesso unico lavoro e in presenza di un permesso che autorizzi lo svolgimento di attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o di un permesso per motivi di ricerca che autorizzi a soggiornare per un periodo superiore a sei mesi. L’introduzione dell’avverbio «esclusivamente» pare non casuale e potrebbe comportare effetti del tutto illogici.
Tralasciando in questa sede la situazione dei ricercatori (regolata dalla direttiva 2016/801/UE) una prima contraddizione emerge tra il comma 1 e il comma 1-bis dell’art. 41 cioè tra la condizione «generale» del titolare di permesso di almeno un anno e condizione del titolare di permesso unico lavoro che ha lavorato per almeno sei mesi.
Consideriamo ad esempio la condizione dei cittadini di Paesi extra UE che chiedono di accedere a prestazioni di invalidità.
Come noto, queste prestazioni erano rimaste prive di una disciplina specifica dopo le sentenze di incostituzionalità del requisito del possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; era tuttavia rimasto vigente (e in effetti applicato dall’INPS) il requisito di cui all’art. 41, che peraltro contraddiceva il carattere essenziale della prestazione che la Corte aveva via via riconosciuto e proprio perciò la giurisprudenza di merito ha talvolta ritenuto di superare anche il limite dell’art. 41, riconoscendo le prestazioni di invalidità anche a titolari di permesso di soggiorno di durata inferiore all’anno.
Ora, quindi, anche queste prestazioni (che certamente rientrano nell’ambito delle prestazioni di sicurezza sociale, essendo l’invalidità prevista alla lett. c) dell’art. 3 del regolamento 883/04) sarebbero interessate dalla modifica dell’art. 41, con esiti che tuttavia suscitano perplessità: così ad esempio un titolare di permesso per lavoro autonomo che chiede di accedere alla indennità di accompagnamento sarà soggetto (non essendo titolare di permesso unico lavoro) al comma 1 e dunque dovrà avere un permesso di almeno un anno (come accade già oggi); ma il suo connazionale titolare di un permesso per motivi familiari potrà accedere alla stessa prestazione solo se ha lavorato almeno 6 mesi e se dichiara la sua disponibilità al lavoro (comma 1-bis), il che è ovviamente illogico per prestazioni di invalidità, salvo che si interpreti le nuove norme nel che, anche per i titolari di permesso unico lavoro, la condizione di cui al comma 1-bis deve intendersi di miglior favore e che pertanto, se manca il requisito dei sei mesi di lavoro, resta comunque applicabile il requisito del possesso di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno: la norma prevede espressamente che il comma 1 si applica solo a chi ha un permesso diverso da quello di cui al comma 1-bis, ma deve essere interpretata nel senso indicato, perché altrimenti sarebbe irragionevole la distinzione che finirebbe per richiedere la disponibilità al lavoro a chi non può darla.
Peraltro, soprattutto per le prestazioni di invalidità, la riforma pare non recuperare la nozione di «bisogno primario e assoluto» e di conseguente risposta altrettanto assoluta che si ricava dalle sentenze della Corte Costituzionale e che avrebbe dovuto indurre – indipendentemente dalla esistenza di un vincolo eurounitario – a riconoscere le prestazioni a prescindere dalla durata del titolo di soggiorno: ma l’occasione è stata sprecata lasciando così aperto il problema sollevato dalla giurisprudenza di merito.
In ogni caso il nuovo testo dell’art. 41, d.lgs. n. 286/1998 entrato in vigore il 1° febbraio 2022 comporta l’abrogazione implicita dell’art. 80, comma 19 l. 388/2000, in base al principio generale previsto dall’art. 15, secondo comma, disp. prel. cod. civ., la norma del 2000 per assoluta incompatibilità con la norma successiva: anche se l’art. 80, comma 19, cit. appare formalmente vigente, ma non vi è dubbio che le nuove norme generali previste dal nuovo testo dell’art. 41, d.lgs. n. 286/1998 comportano il superamento della previgente regola generale prevista nell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000 che era ispirata all’idea che la maggior parte delle prestazioni di assistenza sociale spettassero soltanto agli stranieri lungo soggiornanti e che per oltre 20 anni ha escluso dalle prestazioni sociali più del 40% degli stranieri regolarmente soggiornanti.
A completamento della riforma il comma 3 dell’art. 3 della legge europea novelle modifica alcune disposizioni concernenti l’assegno di maternità di base e l’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui e cioè gli artt. 74 e 74 del d.lgs. n. 151/2001 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).
L’art. 74 prevede che per ogni figlio nato (dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data) sia concesso – qualora le risorse economiche del nucleo familiare non siano superiori ad una determinata soglia – un assegno di maternità alle donne residenti, cittadine italiane o UE o in possesso di carta di soggiorno (si legga, a seguito della riformulazione operata dalla novella: permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; o carta di soggiorno per i familiari del cittadino UE non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell’UE o carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ex art. 17 del Testo unico).
Sono ricompresi ora, per effetto della novella, altresì i soggetti di cui al novello comma 1-ter qui introdotto nell’art. 41, d.lgs. n. 286/1998 (cioè: stranieri titolari di permesso unico lavoro autorizzati a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi; gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare per un periodo superiore a sei mesi).
L’art. 75, d. lgs. n. 151/2001 ha per oggetto l’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui, ed è novellato in egual modo rispetto all’art. 74.
 
4) Il divieto di discriminazione per nazionalità
Il divieto di discriminazioni per nazionalità è previsto già espressamente nell’ordinamento italiano nell’art. 43 d.lgs. n. 286/1998 che identifica i fatti e atti discriminatori che possono essere impediti mediante l’apposita azione civile antidiscriminatoria prevista dall’art. 44 d.lgs. n. 286/1998.
Tuttavia, il divieto di discriminazione per nazionalità non era previsto espressamente tra i fattori discriminatori nella norma nazionale che attua la direttiva UE contro le discriminazioni.
L’art. 1 della legge europea interviene con rilevanti modifiche nella materia. In proposito si sintetizzano alcune riflessioni pubblicate dall’avv. Guariso sul sito ASGI.
Il legislatore ha scelto di introdurre i correttivi richiesti dalla procedura di infrazione nel d.lgs. 216/2003 che recepisce la direttiva 2000/78, aggiungendo ai fattori ivi indicati (età, orientamento sessuale, religione, convinzioni personali, disabilità) il fattore «nazionalità».
Peraltro, poiché l’art. 3, comma 2, della direttiva 2000/78 prevede che la stessa direttiva non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità è evidente che convogliare in un unico atto legislativo nazionale due direttive, l’una contenente detta esclusione e l’altra volta a reprimere proprio le discriminazioni per nazionalità, si prospettava fin dall’inizio piuttosto ardita.
Inoltre l’introduzione di un divieto di discriminazione per nazionalità (senza ulteriori specificazioni) in occasione del recepimento di una direttiva sulla libera circolazione dei soli cittadini dell’Unione comporta un evidente discrasia, perché la finalità dichiarata dal legislatore, la collocazione della modifica in sede di legge europea e di chiusura della citata procedura di infrazione e la nuova rubrica assegnata allo stesso d.lgs. 216/2003 farebbero concludere che il fattore è richiamato solo con riferimento alla nazionalità dei cittadini UE.
Tuttavia il tenore letterale della disposizione e, soprattutto, il fatto che il nuovo fattore è aggiunto, senza specificazioni, a un elenco che non riguarda i soli cittadini UE (ovviamente il divieto di discriminazione, ad es. per età o religione o orientamento sessuale non riguarda i soli cittadini UE) dovrebbe invece concludere che il soggetto che il legislatore italiano ha voluto tutelare è lo straniero in quanto tale, cioè il soggetto connotato da una determinata cittadinanza, sia essa di paese UE o non UE.
È poi altrettanto pacifico che la direttiva 2000/78 ha come ambito di applicazione esclusivamente quello lavorativo (pur latamente inteso) mentre il divieto di discriminazione tra cittadini dell’UE opera in un ambito molto più vasto e comprende tutte quelle situazioni che possono costituire, anche indirettamente, un ostacolo alla libera circolazione. Perciò la convergenza delle due direttive in un’unica norma di recepimento ha comportato l’esigenza di uniformare i campi di applicazione: e siccome il meno sta nel più, il campo di applicazione è divenuto quello della direttiva avente il campo più ampio (cioè la direttiva 2014/54) superando le originarie limitazioni contenute nella direttiva 2000/78 e quindi nel testo originario del d.lgs. n. 216/2003.
La gran parte delle modifiche introdotte dalla legge europea consiste soltanto nell’aggiunta della parola «nazionalità» a tutti gli elenchi di fattori contenuti in vari passaggi del d.lgs. n. 216/2003.
Tra i vari elenchi così modificati spicca quello dell’art. 15 l. 300/1970 il cui secondo comma si applica ora anche ai patti o atti diretti a fini di discriminazione di nazionalità, sicché il licenziamento o il demansionamento o la mancata assunzione o l’atto, comunque, pregiudizievole per lo straniero è collocato nello Statuto dei lavoratori.
La seconda modifica di rilievo riguarda gli ambiti di applicazione dei divieti.
All’elenco contenuto nell’art. 3 del d.lgs. n. 216/2003 che nel testo originario coincideva con quello contenuto nella direttiva 2000/78 sono ora aggiunti gli ambiti contenuti nella direttiva 2014/54 che mira ad intervenire su qualsiasi ostacolo, anche indiretto, alla mobilità dei cittadini dell’Unione.
Così, tra i nuovi ambiti di applicazione, alcuni sono strettamente connessi alla condizione di lavoratore e avrebbero quindi potuto trovare spazio anche nella direttiva 2000/78 («salute e sicurezza, reintegro professionale, ricollocamento»; «iscrizione alle organizzazioni sindacali ed eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori»; «assistenza fornita dagli uffici di collocamento»). Altri due ambiti però esulano del tutto dall’ambito lavorativo («accesso all’alloggio» e «accesso a vantaggi sociali e fiscali») e sono inseriti nella direttiva 2014/54 perché l’esclusione del migrante dall’uno o dall’altro ambito (ad es. requisiti restrittivi di residenza nell’accesso all’alloggio) costituisce un ostacolo alla libertà di circolazione.
Ora però di tale estensione può sicuramente avvalersi anche il cittadino extra UE che non gode della libertà di circolazione, ma che potrà far valere come «discriminazioni vietate» anche quegli ostacoli nell’accesso all’uno o all’altro ambito che determinano, direttamente o indirettamente, una restrizione non consentita dalla legge. L’estensione non aggiunge molto circa l’alloggio a quanto già prevede l’art. 43, co. 2, lett. c), d.lgs. n. 286/1998, ma molto aggiunge l’estensione ai «vantaggi sociali e fiscali».
Infatti la CGUE pronunciandosi con riferimento all’art. 7, comma 2 regolamento 492/11 (ma già in precedenza con riferimento al regolamento 1612/68) ha dato di questa nozione una interpretazione ampia, affermando che costituiscono «vantaggi sociali» i «vantaggi che, connessi o meno con un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali, in ragione principalmente del loro status obiettivo di lavoratori o del semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale e la cui estensione ai cittadini di altri Stati membri risulta quindi atta a facilitare la loro mobilità all’interno dell’Unione e pertanto, la loro integrazione nello Stato membro ospitante» (sentenza 18.12.2019 in causa C-447/18, UB, punto 47). Dal punto di vista oggettivo ha così incluso nella nozione varie prestazioni assistenziali come il reddito garantito alle persone anziane in Belgio, l’indennità denominata «minimo di mezzi di esistenza», pure prevista dalla legislazione belga; l’assegno speciale di vecchiaia in Francia; l’assegno per adulti con disabilità in Belgio.
Dunque, l’estensione è importante, anche perché la direttiva 2000/78 (e dunque il d.lgs. 216/2003 nel testo previgente) non si applicava a materie di questo tipo essendo anzi espressamente esclusa l’applicazione della stessa «ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale».
Occorre anche considerare che l’estensione degli ambiti di applicazione, benché sia effetto dell’inserimento del nuovo fattore, non è affatto limitata al nuovo fattore, ma riguarda l’intero d.lgs. n. 216/2003: ne nasce così (ad es.) una «discriminazione per orientamento sessuale» (o per convinzioni personali o per età ecc.) nell’accesso all’alloggio e nell’accesso ai vantaggi sociali, che finora era del tutto ignorata dall’ordinamento.
 
5) I nuovi compiti dell’UNAR sulle discriminazioni dei lavoratori fondate sulla nazionalità
Infine, l’art. 1 della legge europea sopperisce ad un’altra contestazione contenuta nella procedura di infrazione, cioè la mancanza di un organismo «per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento dei lavoratori dell’Unione e dei loro familiari», ai sensi dell’art. 4 della direttiva.
I relativi compiti sono stati assegnati all’UNAR (peraltro disciplinato nell’ambito del d.lgs. 215/2003 cioè delle norme riguardanti il divieto di discriminazione per razza e origine etnica), ma con esplicito e limitato riferimento all’ambito di applicazione della direttiva 54 e dunque alla assistenza «indipendente, giuridica o di altra natura, ai lavoratori dell’Unione europea e ai loro familiari». Si tratta di un compito rilevante per situazioni come quella del requisito decennale per l’accesso al reddito di cittadinanza che certamente costituisce violazione della parità di trattamento nell’accesso ai vantaggi sociali e che ben potrebbe ora vedere un intervento, per quanto solo in sede di consultiva, dell’UNAR.
Dunque, all’UNAR è assegnato anche il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori che esercitano il diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE.
I compiti dell’UNAR con particolare riferimento alle discriminazioni nei confronti dei lavoratori fondate sulla nazionalità, sono i seguenti:
a) prestare o assicurare che sia prestata assistenza indipendente, giuridica o di altra natura, ai lavoratori dell’UE e ai loro familiari, fatti salvi i loro diritti e i diritti delle associazioni e delle organizzazioni o di altri soggetti giuridici preposti alla tutela dei loro diritti secondo l’ordinamento italiano;
b) fungere da punto di contatto nei confronti di punti di contatto equivalenti in altri Stati membri dell’UE al fine di cooperare e di scambiare informazioni utili;
c) realizzare o commissionare indagini e analisi indipendenti riguardo a restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione o alla discriminazione basata sulla nazionalità dei lavoratori dell’Unione europea e dei loro familiari;
d) assicurare la pubblicazione di relazioni indipendenti e formulare raccomandazioni su ogni questione connessa alle restrizioni, agli ostacoli o alla discriminazione di cui alla lett. c);
e) pubblicare informazioni pertinenti sull’applicazione a livello nazionale delle norme dell'UE sulla libera circolazione dei lavoratori.
 
6) Documenti di viaggio europei per il rimpatrio degli stranieri
L’art. 17 della legge europea introduce nell’art. 1 del d.lgs. n. 286/1998 un nuovo comma 6-bis che prevede che il documento di viaggio europeo per il rimpatrio di stranieri extraUE, il cui soggiorno è irregolare, previsto dal regolamento (UE) 2016/1953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, è rilasciato dal questore sulla base del modello conforme approvato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (da adottarsi entro il 1° maggio 2022).
 
7) Inammissibilità delle domande di protezione internazionale presentata dai titolari di protezione sussidiaria riconosciuta in altri Stati UE
L’art. 14 della legge europea modifica l’art. 29, d.lgs. n. 25/2008, sui casi di inammissibilità della domanda di concessione dello status di protezione internazionale a cittadini di paesi terzi. Al fine di tenere conto di quanto evidenziato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (cause riunite C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17) si prevede ora che è inammissibile la domanda nel caso in cui al richiedente sia stata riconosciuta da parte di un altro Stato membro non più soltanto lo status di rifugiato, ma lo status rifugiato o la protezione sussidiaria.
La CGUE nella decisione concernente tali cause aveva infatti affermato che la direttiva UE 2013/32 non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe sottoposto tale richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in quello Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatta prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe esposto a un siffatto rischio soltanto se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.
Poiché prima della modifica all’art. 29, d.lgs. n. 25/2008, i casi di inammissibilità erano contemplati soltanto per chi era stato riconosciuto rifugiato da altro Stato, mentre ciò non valeva per la protezione sussidiaria. La modifica mira ad evitare che persone a cui è stata riconosciuta la protezione sussidiaria in altri Stati UE possano presentare domanda di protezione internazionale in Italia (che ora sarà dichiarata inammissibile) per usufruire di prestazioni sociali più vantaggiose rispetto allo Stato membro che aveva inizialmente riconosciuto tale protezione.
 
Incremento di 3000 posti del Sistema di accoglienza e integrazione da destinare ai cittadini afghani
L’art. 7 del decreto-legge 8.10.2021, n. 139 (pubblicato su G.U., n. 241 del 8.10.2021), convertito con modificazioni dalla legge 3.12.2021, n. 205, prevede che per far fronte alle eccezionali esigenze di accoglienza dei richiedenti asilo, in conseguenza della crisi politica in atto in Afghanistan, al fine di consentire l’attivazione di ulteriori 3.000 posti nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), la dotazione del Fondo nazionale per le politiche e per i servizi dell'asilo di cui all’art. 1-septies del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.2.1990, n. 39, è incrementata di 11.335.320 euro per l’anno 2021 e di 44.971.650 euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e a tali oneri si provvede mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte, per i medesimi anni, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, relative all’attivazione, la locazione e la gestione dei Centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri.
 
La legge di modifica della giustizia civile non riforma le giurisdizioni in materia di immigrazione, asilo, discriminazioni e cittadinanza nella, ma modifica la competenza territoriale delle sezioni territoriali per l’immigrazione per i giudizi sulle domande di accertamento dello stato di cittadinanza
La legge 26.11.2021, n. 206 (pubblicata in GU n. 292 del 09.12.2021) prevede la delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.
Si deve purtroppo constatare che la grande riforma abbozzata nelle disposizioni della delega legislativa volutamente esclude ogni intervento concernente le procedure giudiziarie in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, così come quelle in materia di discriminazioni.
Anzitutto la legge delega prevede due riferimenti utili alle tematiche in materia di immigrazione e discriminazione:
1) il solo riferimento (molto residuale) ai temi delle discriminazioni si riduce ai soli licenziamenti discriminatori e infatti il testo dell'art.1, co. 11 che riforma le controversie in materia di lavoro indica tra l'altro il seguente principio e criterio direttivo: «c) le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell'articolo 414 del codice di procedura civile, possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali di cui agli articoli 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, stabilendo che la proposizione dell'azione, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso»;
2) il solo riferimento all'immigrazione è escludente, nel senso che si conferma il mantenimento del vigente assetto delle giurisdizioni in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza.
Infatti, nel testo del comma 24 dell'art. 1 che istituisce il nuovo «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie» si prevede al comma 1, la seguente lettera c):
«c) attribuire alle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie le competenze assegnate al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, dall'articolo 403 del codice civile e dai titoli I e I-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, oltre a tutte le competenze civili attribuite al tribunale ordinario nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, ad esclusione delle cause aventi ad oggetto la cittadinanza, l'immigrazione e il riconoscimento della protezione internazionale, nonché quelle riguardanti la famiglia, l'unione civile, le convivenze, i minori e tutti i procedimenti di competenza del giudice tutelare, nonché i procedimenti aventi ad oggetto il risarcimento del danno endo-familiare».
La legge, dunque, conferma l'accordo politico implicito di escludere dalla riforma i temi delle giurisdizioni in materia di immigrazione, asilo, cittadinanza, nonché in materia di discriminazioni.
La mancata armonizzazione nell'ambito del progetto di riforma così ambizioso delle sezioni specializzate in materia di immigrazione appare però davvero disarmonica rispetto all'intera riforma prefigurata nella legge e suscettibile di creare non pochi problemi applicativi anche con la nuova sezione o tribunale per le persone.
Peraltro, il decreto legislativo riformerebbe la giustizia civile fondandola su una discriminazione implicita e irrazionale e di dubbia legittimità costituzionale: «persone» sarebbero soltanto le persone di cittadinanza italiana, come se la condizione giuridica delle persone straniere o apolide o l'acquisto della cittadinanza non influisca sullo stato delle persone non italiane.
Insomma, appare davvero un po' irrazionale che la legge prevedeva una riforma complessiva dell’assetto delle giurisdizioni in materia civile, ma espressamente escluda da ogni riforma anche quella giurisdizione che riguarda 5,5 milioni di persone straniere, il cui assetto ha enormi disarmonie anche costituzionali e internazionali sia nella giurisdizione ordinaria (divisa oggi tra magistrati ordinari, a loro volta distinti tra tribunale ordinario e, sezioni specializzate del tribunale ordinario in materia di immigrazione, protezione internazionale e libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini europei, e magistrati onorari, cioè i giudici di pace) sia nei rapporti tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa.
Tuttavia, la materia potrebbe essere oggetto del prossimo disegno di legge di iniziativa del Governo di riforma della magistratura ordinaria, la cui commissione di studio ha suggerito di rivedere anche le competenze dei giudici di pace in materia di immigrazione, anche se con una soluzione di dubbia costituzionalità, cioè quella di destinare magistrati onorari a trattare questi temi all'interno delle sezioni specializzate. Peraltro, sul punto il Governo non ha ancora neppure predisposto alcun testo.
La legge prevede però altre direttive di delega legislativa che potrebbero essere fin da subito attuate in modo da semplificare i procedimenti in materia civile, in particolare nell'art. 1, co. 17, che consentirebbe numerose semplificazioni, in attuazione del quale sarebbero infatti adottabili norme di modifica del c.p.c. e di altre norme (incluse quelle consolari) che equiparino italiani, italiani all'estero e stranieri nelle procedure di conferimento della procura, di autenticazione delle procure e delle firme nei consolati o prima e dopo di essi.
Da ultimo si deve però segnalare che nelle disposizioni della legge di immediata applicazione una si applica ai giudizi in materia di cittadinanza.
Infatti, l’art. 1, co. 36 aggiunge all’art. 4, co. 5, del d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 aprile 2017, n. 46, la previsione secondo cui quando l’attore risiede all’estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell'avo cittadini italiani. Il comma 37 specifica che la disposizione del comma 36 si applica ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, e cioè dal 9 giugno 2022.
 
L’accesso degli stranieri al nuovo assegno unico e universale per i figli a carico. Profili di illegittimità costituzionale
Il decreto legislativo 29.12.2021, n. 230 (pubblicato in G.U., n. 309 del 30.12.2021) ha istituito l’assegno unico e universale per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1.4.2021, n. 46 carico, che costituisce un beneficio economico attribuito, su base mensile, per il periodo compreso tra marzo di ciascun anno e febbraio dell’anno successivo, ai nuclei familiari sulla base della condizione economica del nucleo.
Il nuovo assegno accorpa e assorbe gli assegni per il nucleo familiare e altre prestazioni.
L’art. 3 disciplina i requisiti soggettivi dell’accesso alla prestazione, il che riguarda anche gli stranieri.
Infatti, l’assegno è riconosciuto a condizione che al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio il richiedente sia in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno:
a) sia cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea, o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero sia cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi;
b) sia soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
c) sia residente e domiciliato in Italia;
d) sia o sia stato residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero sia titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale.
Rispetto alla legge n. 46/2021 il decreto legislativo apporta qualche miglioramento perché, pur essendo ovviamente vincolato alla legge delega, interviene su aspetti che si ponevano in palese contrasto con la direttiva UE 2011/98: la durata minima del permesso di soggiorno richiesto è così passata da 1 anno a 6 mesi.
È rimasta tuttavia la limitazione al solo «permesso unico di lavoro» che rende la previsione conforme alla direttiva UE 2011/98, ma così esclude tutti i titolari di permessi di soggiorno che, ai sensi del comma 8.2. dell’art. 5 d. lgs. n. 286/1998, non sono riconducibili al «permesso unico lavoro», cioè i titolari di permesso per lavoro autonomo, per protezione speciale, per lavoro stagionale, per casi speciali, il che priva l’assegno, per i soli stranieri, di quel carattere di universalità che il legislatore voleva perseguire.
In proposito i profili critici dal punto di vista costituzionale appaiono dunque numerosi.
L’espressione «permesso unico lavoro» intende sicuramente richiamare (anche se non espressamente) il permesso unico lavoro previsto dal d.lgs. n. 40/2014 di recepimento della direttiva UE 2011/98.
Perciò tale dizione dell’art. 3 escluderebbe dall’assegno unico i familiari extra UE di cittadini dell’Unione, perché la citata direttiva li esclude espressamente dal suo ambito di applicazione (cfr. art. 3, comma 2 lett. a), il che però violerebbe anche l’art. 2, comma 1, lett. f) della legge di delegazione legislativa che prevede espressamente il diritto dei familiari.
Sempre per l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva 98 cit. e dunque del «permesso unico lavoro» sarebbero esclusi dall’assegno anche i titolari di protezione internazionale (cfr. art. 3, comma 2 lett. g) della direttiva); costoro invece, pur non essendo titolari di «permesso unico lavoro», hanno sicuramente diritto alla prestazione per effetto del vincolo di parità di trattamento con i cittadini dello stato ospitante in materia di assistenza sociale, previsto dall’art. 29 della direttiva 2011/95, attuata dall’art. 27, d. lgs. n. 251/2007.
Ancora per lo stesso motivo l’attuale formulazione esclude dall’assegno anche i titolari di permesso per lavoro autonomo (cfr. art. 3, comma 2, lett. k della direttiva).
Tra l’altro i titolari di protezione e i familiari di cittadini UE sono inclusi in tutte le prestazioni assistenziali di recente istituzione (assegno di natalità, reddito di cittadinanza ecc.) e dunque l’esclusione appare ancora più irragionevole.
Inoltre, l’esclusione dei titolari di permesso per lavoro autonomo appare particolarmente irragionevole e ingiustificata, proprio perché il nuovo assegno unico «universale» è istituito proprio per estendere la prestazione oltre i limiti soggettivi del previgente assegno per il nucleo familiare riconoscendola ai lavoratori autonomi, mentre l’art. 3 escluderebbe – senza alcuna logica motivazione – tutti i lavoratori autonomi stranieri. La situazione dei titolari di permesso per lavoro autonomo è particolarmente illogica se si considera non solo che la novità dell’assegno unico era proprio l’estensione a categorie che sinora non disponevano di aiuti alla famiglia (come appunto i lavoratori autonomi), ma anche che un titolare di permesso per lavoro autonomo può svolgere lavoro subordinato (senza necessità di convertire il permesso) e ciononostante continuerebbe a non percepire l’assegno che avrebbe invece percepito, sino ad oggi, per il solo fatto di lavorare: l’assegno universale sostituirà infatti, dal 1.3.2022, anche gli assegni al nucleo familiare spettanti fino ad oggi a tutti i lavoratori e i disoccupati titolari di NASPI.
Analoga irrazionalità riguarda pure un titolare di permesso per protezione speciale che sino ad oggi percepiva gli assegni per il nucleo familiare, ma che da marzo 2022, pur continuando a lavorare, non percepirà più nulla, non avendo un titolo di soggiorno che gli consente di accedere all’assegno.
Infine, si ritiene che, proprio per il carattere universale della prestazione, vadano inclusi – indipendentemente dalla qualificazione del permesso posseduto come «permesso unico lavoro» – tutti i titolari di un permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa e/o di un permesso di soggiorno convertibile in permesso per lavoro (che è di per sé garanzia di una prospettiva di stabilità del cittadino straniero) ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 1-bis d.lgs. n. 286/1998.
Una circolare dell’INPS che prevedesse una interpretazione conforme alla Costituzione e alle norme europee delle nuove norme potrebbe rimediare ad alcune delle illegittimità e irrazionalità del decreto.
Altrimenti è prevedibile un lungo contenzioso giurisdizionale che potrebbe avere un esito scontatamente di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, se si considera la costante giurisprudenza costituzionale sul tema della parità coi cittadini nell’accesso degli stranieri regolarmente soggiornanti alle prestazioni di assistenza sociale.
Vi sono peraltro altri dubbi interpretativi meritevoli di chiarimento.
Uno è quello che riguarda l’art. 3, comma 1 che prevede che i requisiti di accesso devono permanere per l’intero periodo di erogazione, anche se si dovrebbe ritenere che cessati i sei mesi di contratto il titolare dovrebbe continuerà a percepire l’assegno, trattandosi di un requisito di accesso (sostitutivo dei due anni idi residenza) perché una volta avuto accesso alla prestazione il diritto dovrebbe perdersi soltanto al termine dell’anno di validità delle certificazioni reddituali.
 
Limitazioni agli ingressi degli stranieri durante lo stato di emergenza nazionale derivante dalla pandemia di Coronavirus
Dal settembre 2021, come durante tutti i precedenti mesi, ulteriori ordinanze del Ministro della salute e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanati sulla base dei poteri conferiti dalle norme legislative concernenti lo stato di emergenza di livello nazionale instaurato per contenere e prevenire la pandemia da Coronavirus-19 (che nel frattempo con altro decreto-legge è stato prorogato al 31 marzo 2022), hanno disposto misure che limitano la possibilità di ingresso in Italia delle persone (cittadini o stranieri) provenienti da altri Stati, sulla base dei rischi sanitari derivanti dall’andamento della pandemia e delle campagne vaccinali in atto in quegli Stati.
Le misure man mano adottate sono state a loro volta poi via via modificate ed integrate alla luce dell’andamento della pandemia e della campagna vaccinale.
In particolare, il regime per gli spostamenti in entrata e in uscita da Stati o territori esteri è stato più volte modificato da ultimo dalle ordinanze del Ministro della salute 22.10.2021, 26.11.2021 e 14.12.2021.
Dal 16 dicembre 2021 e fino alla cessazione dello stato di emergenza e comunque non oltre il 31 gennaio 2022, con l’ordinanza del Ministro della salute 14.12.2021 (pubblicata in G.U. Serie Gen. n. 297 del 15.12.2021) è stato disposto che chi fa ingresso in Italia provenendo dai Paesi inclusi nell’elenco C dell’Allegato 20 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 marzo 2021 deve compilare il Passenger Locator Form, presentare la certificazione verde Covid-19 di vaccinazione o guarigione (o certificazione equipollente) ed effettuare un test (molecolare nelle 48 ore antecedenti l’ingresso nel territorio nazionale, oppure antigenico nelle 24 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale) con esito negativo. In caso di mancata presentazione della certificazione verde Covid-19 di vaccinazione o guarigione, e fermo restando l’obbligo del test sopra citato, è obbligatorio sottoporsi alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario di 5 giorni, al termine del quale è obbligatorio sottoporsi a tampone (molecolare o antigenico).
È stata anche aggiornata la lista dei Paesi inclusi nell’elenco D dell’Allegato 20. Chi proviene da questi Paesi deve: compilare il Passenger Locator Form, presentare la certificazione verde Covid-19 di vaccinazione (o certificazione equipollente) ed effettuare un test (molecolare nelle 72 ore antecedenti l’ingresso nel territorio nazionale, oppure antigenico nelle 24 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale) con esito negativo. Il termine del test molecolare è ridotto a 48 ore per gli ingressi da Regno Unito. In caso di mancata presentazione della certificazione verde Covid-19 di vaccinazione (solo da USA, Canada e Giappone si può presentare la certificazione di guarigione in alternativa alla vaccinazione), e fermo restando l’obbligo del test sopra citato, è obbligatorio sottoporsi alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario di 5 giorni, al termine del quale è obbligatorio sottoporsi a tampone (molecolare o antigenico).
Il regime degli ingressi da Sudafrica, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Malawi, Mozambico, Namibia, Eswatini, previsto dall’ordinanza del Ministro della salute del 26 novembre 2021, viene inoltre prorogato fino alla cessazione dello stato di emergenza e comunque non oltre il 31 gennaio 2022.
 
Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extraUE nel territorio dello Stato per l'anno 2021
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21.12.2021 (pubblicato in G.U. 17.1.2022) stabilisce che a titolo di programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extraUE per l’anno 2021, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini extraUE entro una quota complessiva massima di 69.700 unità.
Il decreto presenta alcune novità e formalmente riguarda il 2021, ma in realtà si applicherà dal 2022 o, più esattamente, ammette soltanto domande che saranno presentate entro due mesi dalla pubblicazione del decreto cioè entro il 18 marzo 2022.
Le quote per lavoro subordinato, stagionale e non stagionale, previste dal decreto, sono poi ripartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali tra gli Ispettorati territoriali del lavoro, le Regioni e le Province autonome.
Trascorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto (14.3.2022), qualora il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilevi quote significative non utilizzate tra quelle previste dal decreto, può effettuarne una diversa suddivisione sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro, fermo restando il limite massimo complessivo.
La quota complessiva di 69.700 unità è ripartita in due quote distinte:
A) 27.700 per lavoro subordinato o per lavoro autonomo.
Nell’ambito di tale quota (con domande da presentarsi a partire dal 27.1.2022):
1) sono ammessi in Italia 100 stranieri extraUE residenti all’estero, che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n. 286/1998;
2) è consentito l’ingresso in Italia a 100 lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Venezuela;
3) è autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di:
a) 4.400 permessi di soggiorno per lavoro stagionale;
b) 2.000 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
c) 200 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’UE;
4) è autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di:
a) 370 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
b) 30 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’UE.
5) È consentito l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo di 500 stranieri extraUe residenti all'estero, appartenenti alle seguenti categorie:
a) imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana, che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro;
b) liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;
c) titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850;
d) artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850;
e) cittadini stranieri che intendono costituire imprese «start-up innovative» ai sensi della legge 17 dicembre 2012, n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.
6) sono ammessi per ingressi per lavoro subordinato non stagionale soltanto 20.000 stranieri, i quali però potranno essere assunti soltanto nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi, dell’edilizia e turistico alberghiero e soltanto se sono cittadini dei Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria, così ripartiti:
a) 17.000 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Corea del Sud (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina;
b) n. 3.000 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Paesi con i quali nel corso dell’anno 2022 entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria (con domande da presentarsi a partire dal 1.2.2022).
 
B) 42.000 per lavoro stagionale, i quali potranno essere assunti, come prevedono le norme in vigore, soltanto nei settori agricolo e turistico-alberghiero e soltanto se sono cittadini dei medesimi Stati sopra indicati alla lett. a) e con domande da presentarsi a partire dal 1.2.2022.
Nell’ambito di tale quota:
- è riservata una quota di 1.000 unità per i lavoratori extraUE cittadini dei medesimi Stati, che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale;
- è riservata una quota di 14.000 unità per i lavoratori extraUE cittadini dei medesimi Stati le cui istanze di nulla osta all’ingresso in Italia per lavoro stagionale anche pluriennale, siano presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e Confcooperative). Tali organizzazioni assumono l’impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori fino all’effettiva sottoscrizione dei rispettivi contratti di lavoro, ivi compresi gli adempimenti di comunicazione previsti dalla normativa vigente.
 
Nuove modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo
Il decreto del Ministro dell’interno 7.12.2021 (pubblicato in G.U. n. 36 del 12.02.2022) riforma la disciplina delle modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana richiesto dall’art. 9 d.lgs. n. 286/1998 per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e dal 27 febbraio 2022 abroga e sostituisce il decreto ministeriale 4.06.2010.
In primo luogo, l’art. 1, co. 3, esclude da ogni dimostrazione della conoscenza della lingua italiana:
1) i figli minori degli anni quattordici, anche nati fuori dal matrimonio, propri e del coniuge;
2) lo straniero affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da handicap, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica. A tal fine l’art. 4, co. 3 del decreto prevede che tale straniero deve allegare la certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica alla documentazione richiesta dall' art. 16, d.p.r. n. 394/1999.
In secondo luogo, l’art. 4 esenta dallo svolgimento della prova di conoscenza della lingua italiana chiunque documenti altrimenti la conoscenza della lingua italiana perché si trovi in una delle seguenti condizioni:
a) è in possesso di un attestato di conoscenza della lingua italiana che certifica un livello di conoscenza non inferiore al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d’Europa, rilasciato dagli enti certificatori riconosciuti, che sono indicati nell'allegato A del decreto (Università degli studi di Roma Tre; Università per stranieri di Perugia; Università per stranieri di Siena; Società Dante Alighieri, Università per stranieri «Dante Alighieri» di Reggio Calabria.). Per garantire il principio dell'autonomia universitaria, anche per il rilascio di certificazioni di lingua italiana da parte di ulteriori istituzioni e per garantire il necessario controllo sulla qualità delle certificazioni stesse, il Ministro dell’università e della ricerca individuerà con proprio decreto le procedure di accreditamento, verifica e monitoraggio del possesso dei requisiti di qualità degli enti certificatori stessi;
b) ha frequentato un corso di lingua italiana presso i Centri provinciali per l'istruzione degli adulti di cui all' art. 1, co. 632, della l. 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modifiche e integrazioni, ed ha conseguito, al termine del corso, un titolo che attesta il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue, approvato dal Consiglio d'Europa;
c) ha ottenuto, nell'ambito dei crediti maturati per l'accordo di integrazione di cui all'art. 4-bis lgs. n. 286/1998, il riconoscimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue, approvato dal Consiglio d'Europa;
d) ha conseguito il diploma di scuola secondaria di primo o secondo grado presso un istituto scolastico appartenente al sistema italiano di istruzione di cui all' art. 1, l. n. 62/200 o ha conseguito, presso i centri provinciali per l'istruzione di cui alla lettera b), il diploma di scuola secondaria di primo o di secondo grado, ovvero frequenta un corso di studi presso una Università italiana statale o non statale legalmente riconosciuta, o frequenta in Italia il dottorato o un master universitario;
e) è entrato in Italia ai sensi dell'art. 27, co. 1, lett. a), c), d), e q), d. lgs. n. 286/1998 e svolge una delle attività indicate nelle disposizioni medesime.
Il comma 2 precisa che nei casi previsti dalle lett. a), b) e d) lo straniero deve allegare alla documentazione richiesta dall’ art. 16, d.p.r. n. 394/1999 per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, copia autentica dei titoli di studio o professionali conseguiti e dei certificati di frequenza richiesti. Nei casi previsti dalle lettere c) ed e) lo straniero deve allegare alla documentazione richiesta per il rilascio del permesso di soggiorno una dichiarazione sul titolo di esonero posseduto.
In terzo luogo, l’art. 3 del decreto disciplina le modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana
1) Lo straniero presenta, con modalità informatiche, la richiesta di partecipazione al test di conoscenza della lingua italiana alla prefettura territorialmente competente in base al domicilio del richiedente. La richiesta contiene, a pena di inammissibilità, l'indicazione delle generalità del richiedente, i dati relativi al titolo di soggiorno, compresa la scadenza e la tipologia, i dati del documento valido per l'espatrio, e l'indirizzo presso cui lo straniero intende ricevere la convocazione per lo svolgimento della prova.
2) La prefettura convoca, entro sessanta giorni dalla richiesta, lo straniero per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana, indicando il giorno, l'ora ed il luogo in cui lo straniero si deve presentare.
3) Il test si svolge, previa identificazione dello straniero a cura del personale della prefettura ed esibizione della convocazione, con modalità informatiche, ed è strutturato sulla comprensione di brevi testi e sulla capacità di interazione, in conformità ai parametri adottati, per le specifiche abilità, dagli enti di certificazione sopra indicati.
Il contenuto delle prove che compongono il test, i criteri di assegnazione del punteggio e la durata della prova sono stabiliti in collaborazione con un ente di certificazione compreso tra quelli sopra indicati, a seguito di apposita convenzione da stipulare con il Ministero dell'interno. Alla stipula della convenzione si provvede nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Per superare il test il candidato deve conseguire almeno l'ottanta per cento del punteggio complessivo.
4) A richiesta dell'interessato il test può essere svolto con modalità scritte di tipo non informatico, fermi restando l’identità del contenuto della prova, i criteri di valutazione ed il limite temporale, fissati per il test svolto con modalità informatiche.
5) Il risultato della prova è comunicato allo straniero ed è inserito a cura del personale della prefettura nel sistema informativo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. ln caso di esito negativo, lo straniero può ripetere la prova, previa nuova presentazione della richiesta.
Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, la questura verifica la sussistenza del livello di conoscenza della lingua italiana attraverso il riscontro dell'esito positivo del test riportato nel sistema informativo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
Il prefetto territorialmente competente individua in ambito provinciale le sedi per lo svolgimento del test, anche attraverso accordi con gli enti locali e le istituzioni scolastiche.
I consigli territoriali per l'immigrazione anche attraverso accordi con enti pubblici e privati e con associazioni attive nel campo dell'assistenza agli immigrati, nell'ambito delle risorse statali e comunitarie disponibili, promuovono progetti di informazione per illustrare le modalità di attestazione della conoscenza della lingua italiana ai fini del rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e progetti per la preparazione al test.
 
Rassegna delle circolari e delle direttive delle Amministrazioni statali
 
Cittadinanza italiana
 
Riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis a discendenti di cittadini italiani che l’avevano perduta
La circolare Ministero dell’interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del 6.10.2021, prot. n. 6497 precisa elementi importanti concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai discendenti di antenati italiani prendendo lo spunto da sentenze che concernenti le richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis a discendenti di cittadini italiani che l’avevano perduta durante la grande naturalizzazione operata dalla legge del Brasile nel 1880.
La circolare ricorda che la Corte d’appello di Roma con due pronunce sulla base di richieste dell’avvocatura dello Stato già per due volte ha affermato che, per il caso di un cittadino italiano emigrato in Brasile a fine XIX secolo (nel periodo della Grande Naturalizzazione Brasiliana del 1889), «si desume inequivocabilmente l’accettazione tacita dell’avvenuto acquisto della cittadinanza brasiliana e soprattutto ... la contestuale rinuncia tacita a quella italiana alla luce del disposto di cui all’art. 11 del C. C. del 1865».
È stata pertanto respinta la domanda di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza dei discendenti dell’avo sulla base dell'avvenuta interruzione della linea di trasmissione.
Sulla base di questa interpretazione giurisprudenziale assai controversa e controvertibile (si veda questa Rivista n. 3.2020 nella Rassegna - Cittadinanza) la circolare prescrive ai Comuni di dare priorità alle domande di riconoscimento della cittadinanza italiana nelle quali il dante causa non sia uno degli italiani interessati alla grande naturalizzazione attuata in Brasile nel 1880, in attesa che l’orientamento giurisprudenziale sopra citato si consolidi magari con una sentenza della Corte suprema di cassazione.
Questa opinabile conclusione è accompagnata pure dall’invito a fornire risposta alle tante domande di chiarimento, anche provenienti da avvocati, concernenti tali casi accantonati suggerendo agli ufficiali di stato civile di opporre l’esigenza di effettuare approfondimenti alla luce degli orientamenti innovati della Corte d’appello romana.
Si prescrive infatti di utilizzare i medesimi elementi informativi in caso di diffide legali per istanze nelle quali è vantata discendenza da dante causa interessato dalla Grande Naturalizzazione Brasiliana del 1889: in particolare gli Ufficiali di Stato Civile potranno – senza rigettare le istanze – segnalare la necessità di rinvio per ulteriori approfondimenti, opponendo l’esigenza di tener conto dell’orientamento delle predette sentenze della Corte d’appello.
La discutibile conclusione è pure motivata dall’esigenza di utilizzare al meglio le risorse disponibili per concentrarsi su altre domande, così salvaguardando il buon andamento dell’amministrazione prescritto dall’art. 97 Cost.
Infine, la circolare suggerisce l’opportunità ai Comuni di effettuare sempre un controllo della regolare iscrizione anagrafica nel Comune prima di esaminare ogni domanda di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis viste le numerose irregolarità verificatesi nella prassi.
 
Salute
 
Equipollenza delle certificazioni vaccinali rilasciate in Stati extraUE
Ulteriori provvedimenti nel 2021 hanno stabilito equipollenze delle certificazioni vaccinali estere che tanto hanno riguardato gli stranieri durante la pandemia.
Infatti, con circolare Ministero della salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria del 23.9.2021, prot. n. 42957 si è disposto che ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a) del d. l n. 127/2021 e per le finalità previste dalla normativa sulle certificazioni verdi COVID-19, i seguenti vaccini, somministrati dalle autorità sanitarie nazionali competenti estere, sono riconosciuti come equivalenti a quelli effettuati nell’ambito del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2:
- vaccini per i quali il titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio è lo stesso dell’Unione europea;
- Covishield (Serum Institute of India), prodotti su licenza di AstraZeneca;
- R-CoVI (R-Pharm), prodotto su licenza di AstraZeneca;
- Covid-19 vaccine-recombinant (Fiocruz), prodotto su licenza di AstraZeneca.
Si precisa anche che anche tali vaccini sono considerati validi ai fini dell’emissione della Certificazione verde COVID-19 a favore dei cittadini italiani (anche residenti all’estero) ai i loro familiari conviventi e ai cittadini stranieri che dimorano in Italia per motivi di lavoro o studio, indipendentemente dal fatto che siano iscritti al Servizio sanitario nazionale o al SASN (Assistenza Sanitaria al Personale Navigante), nonché tutti i soggetti iscritti a qualunque titolo al Servizio sanitario nazionale che sono stati vaccinati all’estero contro il SARS-CoV-2.
Inoltre, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di ingressi transfrontalieri, le certificazioni di vaccinazione rilasciate dalle autorità sanitarie nazionali competenti estere, a seguito di vaccinazione con vaccini autorizzati da EMA o con i vaccini equivalenti di cui sopra, sono considerate come equipollenti alla certificazione verde COVID-19 per le finalità previste dalla legge.
Tali certificazioni dovranno riportare almeno i seguenti contenuti:
- dati identificativi del titolare (nome, cognome, data di nascita);
- dati relativi al vaccino (denominazione e lotto);
- data/e di somministrazione del vaccino;
- dati identificativi di chi ha rilasciato il certificato (Stato, Autorità sanitaria).
Le certificazioni vaccinali, in formato cartaceo e/o digitale, dovranno essere redatte almeno in italiano o inglese o francese o spagnolo o tedesco.
Nel caso in cui il certificato non fosse stato rilasciato in una delle cinque lingue si prescrive che sia accompagnato da una traduzione giurata.
La validità dei certificati vaccinali è la stessa prevista per la certificazione verde COVID-19 (Certificato COVID digitale dell’UE) emessa dallo Stato italiano.
 
Indicazioni per la dose di richiamo in soggetti vaccinati all’estero con un vaccino non autorizzato da EMA
La circolare Ministero della salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria del 4.11.2021 nell’ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 dispone che i soggetti vaccinati all'estero con un vaccino non autorizzato da EMA possono ricevere una dose di richiamo con vaccino a m-RNA nei dosaggi autorizzati per il «booster» (30 mcg in 0,3 mL per Comirnaty di Pfizer/BioNTech; 50 mcg in 0,25 mL per Spikevax di Moderna) a partire da 28 giorni e fino a un massimo di 6 mesi (180 gg.) dal completamento del ciclo primario. Il completamento di tale ciclo vaccinale integrato è riconosciuto come equivalente ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. b) del d.l. 22.04.2021 n. 52, convertito con modificazioni dalla l. 17.6.2021, n. 87.
Superato il termine massimo di 6 mesi dal completamento del ciclo primario con vaccino non autorizzato da EMA, così come in caso di mancato completamento dello stesso, è possibile procedere con un ciclo vaccinale primario completo con vaccino a m-RNA, nei relativi dosaggi autorizzati.
 
Cittadini di Paesi terzi
 
Asilo
 
Accoglienza ai cittadini afghani che hanno collaborato con le Forze Armate della missione internazionale in Afghanistan
La circolare del Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Prot. 0024964 del 24.08.2021 -  ricorda la necessità di adottare ogni utile iniziativa per assicurare l’accoglienza dei nuclei familiari afghani trasferiti in Italia.
Ai fini dello svolgimento della quarantena si indica di utilizzare le strutture della Difesa, nonché le strutture eventualmente messe a disposizione dalle singole Regioni, ai sensi della vigente normativa emergenziale.
Circa l’accoglienza, a cura delle Prefetture, si ribadisce la necessità dell’immediata individuazione di idonee strutture nell’ambito della rete CAS - nelle more del trasferimento nel Sistema di Accoglienza e Integrazione - e si osserva la disponibilità manifestata da soggetti pubblici e privati a partecipare solidaristicamente all’ospitalità dei cittadini evacuati, in ragione della grave situazione umanitaria in atto.
Al fine di favorire e promuovere il concorso delle istituzioni e della società civile si forniscono le seguenti possibili linee di intervento.
1) Per le eventuali disponibilità all’accoglienza manifestate da enti pubblici, organizzazioni non governative, associazioni del terzo settore, ovvero da enti di culto, si suggerisce di stipulare appositi protocolli d’ intesa tra la Prefettura e l’ente interessato, in base ai quali questo ultimo si impegna a provvedere, con le proprie risorse professionali ed economiche a fornire, secondo standard adeguati, ospitalità, accoglienza ed assistenza alle persone beneficiarie, nonché ogni altra attività connessa e strumentale. A sua volta, la Prefettura, nelle forme di legge, dovrà assicurare, nell’ambito delle proprie prerogative istituzionali, a garantire un costante supporto e monitoraggio nell’espletamento delle necessarie procedure amministrative concernenti la presenza dei beneficiari sul territorio nazionale e la richiesta di protezione internazionale.
2) Circa le disponibilità all’accoglienza pervenute da diversi Comuni, ove l’onere economico sia comunque imputato alla Prefettura, si ipotizza la sottoscrizione di accordi di collaborazione ai sensi dell’art. 15 della l. 241 del 1990, tra la Prefettura e l’ente locale, al fine di affidare ai Comuni la gestione dell’accoglienza, secondo la disciplina del sistema CAS, con oneri a carico del Ministero dell’interno ed in conformità a quanto previsto dall’art. 5 del codice dei contratti pubblici, in merito agli accordi tra le pubbliche amministrazioni. Le strutture di accoglienza in tal modo individuate potranno, se del caso, successivamente confluire nel sistema SAI, in relazione alle eventuali possibilità di ampliamento della rete stessa.
3) Circa le manifestazioni solidaristiche pervenute dai singoli cittadini, si suggerisce ai Prefetti di svolgere a livello territoriale, anche in raccordo con i Sindaci, ogni opportuno approfondimento al fine di valutare l’eventuale forma di coinvolgimento ritenuta idonea.
 
Trasferimenti dell’esame delle domande di riconoscimento della protezione internazionale da una Commissione territoriale all’altra
Con circolare del Presidente della Commissione nazionale per il diritto d'asilo - AOO ASILO - 0011 – Prot. 0009349 del 22.09.2021 si intende attuare le norme dell’art. 4, commi 5 e 5-bis d. lgs. n. 25/2008 che danno la facoltà al Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo di individuare con proprio provvedimento la competenza all’esame delle domande di protezione internazionale.
La circolare indica criteri che mirano a dare uniformità applicativa e parità di trattamento circa il trasferimento della competenza all’esame delle domande da una Commissione territoriale all’altra.
1) la richiesta di trasferimento di competenza per mutamento volontario di residenza/domicilio deve essere riservata ai casi di vulnerabilità e perciò si chiede che le Commissioni territoriali valutino la ricevibilità delle istanze di trasferimento sotto il profilo della completezza della documentazione presentata, del requisito della vulnerabilità, nell’ambito del fascicolo all’interno del sistema Vestanet. Infatti, allorché il richiedente asilo sia stato meramente spostato da un centro di accoglienza ad un altro oppure vi sia stato inserito e non abbia ancora avuto il colloquio personale davanti alla Commissione e non sia stata presa alcuna decisione la competenza si radica nella Commissione territoriale competente in relazione alla sede del centro. Tale cambiamento non necessita della nulla osta della Commissione nazionale, trattandosi di un mero “cambio Vestanet” che deriva direttamente dall’applicazione della norma da parte della Competente Commissione territoriale o della Questura.
2) la Commissione nazionale si ritiene competente al trasferimento del fascicolo in 3 ipotesi:
a) prima istanza, limitatamente al caso in cui ci sia stato un provvedimento (negativo assente, diniego per irreperibilità, fascicolo sospeso) e dunque si sia definitivamente radicata la competenza ovvero la persona sia stata già ascoltata una prima volta e sia necessario provvedere ad una seconda audizione;
b) proposizione di istanza reiterata, previa valutazione dell’ammissibilità da parte della Commissione territoriale di prima istanza;
c) istanza di rinnovo del permesso per motivi umanitari o per protezione speciale, limitatamente ai casi in cui la Commissione territoriale competente necessiti di un approfondimento istruttorio ai fini dell’emissione del parere, purché si tratti di persone vulnerabili.
In tutti questi casi la Commissione nazionale esaminerà l’istanza considerando il criterio della vulnerabilità del richiedente nell’accezione indicata nell’art. 2, lett. h-bis) del d.lgs. n. 25/2008, ma si riserva una valutazione caso per caso, tenendo conto della situazione specifica dell’interessato.
Tuttavia, si ricorda che l’istanza motivata di vulnerabilità deve essere corredata di tutti gli elementi al suo supporto, evidenziando le ragioni di impossibilità dello spostamento in concreto, e non limitarsi ad un mero richiamo ad indicatori per tabulas che non risultino ancorati alla situazione di fatto, perché in tal caso la domanda risulterebbe incompleta ai fini di un esame di merito.
Si ricorda peraltro che la Commissione nazionale terrà conto di due altre motivazioni, oltre alla vulnerabilità, alle richieste di spostamento
a) esigenze di ordine e sicurezza pubblica che evidenzino l’opportunità di un cambio di competenza nei casi di richiedente asilo detenuto, sottoposto a misure di custodia cautelare o di prevenzione, purché si tratti di istanze motivate e corredate della pertinente documentazione;
b) numero delle pratiche in carico alla Commissione destinataria del trasferimento, poiché la norma è finalizzata a redistribuire il carico delle Commissioni territoriali.
 
Due diversi tipi di permessi di soggiorno per protezione speciale – Profili di illegittimità costituzionale della non convertibilità del permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato a seguito di istanza presentata direttamente al questore
La   comunicazione del Centro elaborazione dati della Polizia di Stato del 15.11.2021  informa dell’avvenuta modificazione delle diciture dei permessi di soggiorno per protezione speciale a seguito della circolare della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 19.7.2021 (si veda l’Osservatorio italiano n. 3/2021 di questa Rivista): oltre al permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato dal questore su richiesta della Commissione territoriale sulla protezione internazionale nei casi indicati nell’art. 32 d.lgs. n. 25/2008, si dispone di inserire nel Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno un distinto permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato dal questore su richiesta direttamente presentata dallo straniero nelle ipotesi previste nell’art. 19, comma 1.2. d.lgs. n. 286/1998, come modificata dal d.l. n. 130/2020, previo parere della medesima Commissione territoriale.
Tuttavia si prescrive che in quest’ultima ipotesi il permesso di soggiorno, rilasciabile soltanto col pagamento di 50 euro e soltanto ai maggiori di 16 anni, consente il lavoro, ma non è convertibile in permesso di soggiorno per lavoro ai sensi dell’art. 6, comma 1-bis, lett. a) d.lgs. n. 286/1998, come modificato dal d.l. n. 130/2020.
In effetti tale ultima disposizione letteralmente consente la convertibilità espressamente soltanto al titolare del permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato allo straniero che si trova nella prima ipotesi, con esclusione dei casi in cui la protezione speciale sia stata riconosciuta perché lo straniero si trova in una delle situazioni che rientrano nelle cause di diniego o di esclusione della protezione internazionale previste negli artt. 10, comma 2, 12, comma 1, lett. b) e c) e 16 d.lgs. n. 251/2007.
Peraltro, si deve osservare che la ragionevolezza di una simile distinzione concernente la convertibilità in permesso di lavoro dei due tipi diversi tipi di permessi di soggiorno per protezione speciale appare di dubbia legittimità costituzionale.
In particolare, pare violato il principio di eguaglianza di trattamento di situazioni identiche garantita dall’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza manifesta di una simile distinzione tra stranieri, ai quali è riconosciuto un permesso di soggiorno per protezione speciale, i cui presupposti legislativi previsti nell’art. 19 d. lgs. n. 286/1998 sono fondati su norme costituzionali e internazionali che hanno il medesimo rango nella gerarchia delle fonti del diritto. Tali presupposti si riferiscono a ipotesi identiche in cui il rimpatrio dello straniero è vietato sulla base dei medesimi presupposti previsti dallo stesso art. 19 d.lgs. n. 286/1998 e coi medesimi fondamenti, derivanti da obblighi internazionali e costituzionali.
In tal senso appare priva di ragionevole giustificazione che la non convertibilità del permesso di soggiorno per protezione speciale dipenda soltanto dal fatto che il permesso di soggiorno per protezione speciale sia stato rilasciato per effetto di una domanda presentata direttamente dallo straniero al questore e non all’interno della procedura di esame delle domande di protezione internazionale.
 
Obbligo per ogni Commissione territoriale per la protezione internazionale di svolgere il colloquio personale che abbia presentato domanda reiterata ammissibile anche ai fini del riconoscimento della protezione speciale
La   circolare della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 25.11.2021, prot. 0011406  a completamento della sua importante circolare del luglio 2021 (si veda l’Osservatorio italiano n. 3.2021 di questa Rivista) ricorda che l’omissione del colloquio personale è un’eccezione consentita soltanto nelle ipotesi indicate nell’art. 12, comma 2 e 2-bis, d.lgs. n. 25/2008, sicché allorché una domanda reiterata sia stata ritenuta ammissibile sulla base di nuovi elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale è importante procedere all’ascolto personale del richiedente proprio in ragione del precedente rigetto della domanda di protezione internazionale.
Pertanto anche per le istanze reiterate fondate su nuovi elementi riconducibili ai presupposti per il riconoscimento della protezione speciale che abbiano superato il vaglio di ammissibilità del Presidente della Commissione territoriale è necessario procedere ad un esame valutativo caso per caso per verificare, anche grazie all’udizione del richiedente, che i nuovi ed ulteriori elementi posti a sostegno della domande reiterata non siano stati già oggetto di una precedente domanda reiterata e non siano stati già oggetto di una precedente valutazione presso la stessa o altra Commissione dopo la modifica normativa intervenuta con il d.l. n. 130/2020 o prima di essa.
In ogni caso si ricorda che la necessità di procedere nuovamente all’audizione del richiedente anche in relazione ad una istanza reiterata ritenuta ammissibile e fondata, anche se solo per profili attinenti al riconoscimento della protezione speciale discende ed è coerente col tipo di esame pieno e completo che caratterizza tutte le procedure in materia di protezione internazionale che non può essere limitato neppure per importanti esigenze di economia procedurale delle Commissioni territoriali.
Infatti, tale esame, come quello effettuato in sede di prima istanza, impone al funzionario istruttore di esaminare nel merito la posizione complessiva del richiedente, al fine di non ancorare definitivamente la nuova richiesta di protezione al nomen dato dal richiedente e non precludere eventualmente il riconoscimento di forme di protezione maggiore, quali potrebbero discendere dall’espletamento di un colloquio personale.
Pertanto, l’audizione del richiedente si rende necessaria anche nel caso di domande reiterate ai sensi dell’art. 29 d.lgs. n. 25/2008 che siano ritenute ammissibili e che, in base alla documentazione allegata, appaiono prima facie fondate circa il riconoscimento della protezione speciale ai sensi dell’art. 19, comma 1 e 1.1.d.lgs. n. 286/1998, come da ultimo modificato dalla legge n. 173/2020.
 
Ammissibilità delle domande di protezione speciale collegate a domande di protezione internazionale pendenti in via amministrativa o in via giudiziaria
La   circolare della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 7.12.2021, prot. 0011823 , si pronuncia sulla procedura da seguire nell’ipotesi, non disciplinata a livello legislativo, che uno straniero presenti presso una questura istanza di permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19, comma 2, secondo periodo d.lgs. n. 286/1998, ma lo stesso abbia già formalizzato istanza di protezione internazionale sulla quale la competente Commissione territoriale non si sia ancora pronunciata oppure risulti ricorrente contro la decisione già assunta dalla Commissione stessa.
Dopo aver ricordato le due procedure potenzialmente distinte e parallele che possono condurre al riconoscimento della protezione speciale si individua una soluzione in modo da garantire razionalità al sistema e di tutelare il diritto del richiedente a richiedere la protezione speciale riconosciuto all’interessato dalle nuove norme riformate dal d.l. n. 130/2020.
In proposito la circolare delinea risposte diverse per due ipotesi distinte.
a) Nell’ipotesi in cui, al momento della presentazione dell’istanza diretta di protezione speciale alla questura, la procedura di protezione internazionale risulti ancora pendente innanzi ad una Commissione territoriale la seconda istanza deve considerarsi assorbita nella prima, il che consente al richiedente un’immediata valutazione da parte della Commissione territoriale sulla sussistenza della protezione sussidiaria, salvo il riconoscimento della più ampia protezione internazionale.
In tale ipotesi tenendo presente il diritto del richiedente di trasmettere ogni ulteriore documentazione alla Commissione (art. 31, d.lgs. n. 25/2008) le questure avviseranno che l’istanza alla questura di rilascio della protezione speciale è inammissibile in pendenza della procedura di decisione della domanda di protezione internazionale, ma che la documentazione che egli ritenga di sottoporre all’attenzione della Commissione ai fini dell’eventuale riconoscimento – almeno – della protezione speciale sarà integralmente e prontamente trasmessa alla Commissione e da essa valutata soltanto in caso di mancato riconoscimento della protezione internazionale ai fini del possibile invio degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
b) Nell’ipotesi in cui, al momento della presentazione dell’istanza diretta di protezione speciale alla questura, la procedura di protezione internazionale avviata in precedenza dall’istante si trovi in fase di contenzioso innanzi all’autorità giurisdizionale, fermo restando il diritto di ottenere il riconoscimento della protezione speciale a livello giudiziario si consente comunque la presentazione dell’istanza in sede amministrativa anche in considerazione della durata di anni dei giudizi sui ricorsi giurisdizionali, la quale espone lo straniero al rischio, a lui non imputabile, che le condizioni che gli avrebbero potenzialmente garantito in un determinato momento il riconoscimento della protezione speciale su parere della Commissione territoriale (p.es. situazioni lavorative o sanitarie o attinenti a condizioni familiari) vengano meno o mutino in maniera sostanziale nel tempo non breve dei giudizi.
Si conclude pertanto che la mera constatazione che nell’ambito della procedura di protezione internazionale il giudice possa anch’egli valutare in via residuale la sussistenza dei presupposti per la protezione speciale non può far ritenere inammissibile l’istanza diretta di protezione speciale presso una questura, perché tale istanza deve ritenersi ammissibile al fine del riconoscimento diretto della protezione speciale, fermo restando che sarà il giudice ad individuare definitivamente l’eventuale sussistenza dei requisiti per la sussistenza dello status di protezione internazionale.
 
Ingresso e soggiorno
 
Impossibilità di registrazione anagrafica di contratti di convivenza tra italiani e stranieri extraUE non regolarmente soggiornanti – Aspetti di illegittimità
Una circolare Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali del 21.9.2021 n. 78/21 si pronuncia circa le richieste di registrazione presso gli Uffici di Anagrafe, di contratti di convivenza stipulati tra cittadini italiani e cittadini extra UE sprovvisti di permesso di soggiorno, per i quali alcuni Tribunali avrebbero disposto l’iscrizione anagrafica degli stranieri sottoscrittori di un contratto di convivenza, benché irregolarmente soggiornanti.
La circolare si fonda su un recente parere dell’Avvocatura generale dello Stato concernente la registrazione – effettuata da un Comune – dell’accordo di convivenza tra una cittadina italiana e un cittadino extraUE sprovvisto del permesso di soggiorno.
Si ricorda che il parere ha preso innanzitutto in esame le disposizioni della legge n. 76/2016 recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze» e in particolare, l’art. l, comma 36, che prevede che ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile.
Il successivo comma 37 stabilisce che, ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e alla lett. b) del co. l dell’art. 13 del regolamento di cui al d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223.
Il comma 50 dispone che «i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimonio/i relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.».
Il comma 51, poi, prescrive che «i/contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.».
Il comma 52 statuisce, inoltre, che ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223.
Infine, il comma 53 prevede che «il contratto di cui al comma 50 reca l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto può contenere:
a) l’indicazione della residenza;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c) il regime patrimonio/e della comunione dei beni, di cui alla sezione II/ del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile» .
Afferma l’Avvocatura generale che «dalla disciplina surrichiamata, emerge come la registrazione del contratto di convivenza sia solo l’ultimo di una serie imprescindibile di atti, così riassumibili:
- un legame affettivo di coppia (requisito);
- la costituzione della convivenza di fatto attraverso la dichiarazione registrata all’anagrafe, e quindi la regolarità del soggiorno dei richiedenti (atto costitutivo);
a cui si aggiunge, eventualmente, il contratto di convivenza concluso davanti ad un legale e la registrazione di quest’ultimo, utile per l’opponibilità ai terzi.».
Pertanto, conclude l’Avvocatura, «alla registrazione del contratto di convivenza non può essere certamente riconosciuto il carattere di debita attestazione, dal momento che, a monte, manca la preliminare regolarità del soggiorno in Italia» del soggetto extraUE «necessaria per concludere il contratto stesso».
Quest’ultimo, in particolare, non può essere considerato un componente della famiglia anagrafica, «in quanto privo di valido documento di soggiorno e quindi irregolare sul territorio dello Stato».
L’Avvocatura generale dello Stato conclude le proprie osservazioni, evidenziando come il «requisito della dichiarazione anagrafica previsto dal predetto comma 37 dell’art. 1 della legge n.76/2016, sia posto dall’ordinamento al fine di consentire la puntuale identificazione di tutti i soggetti stranieri che circolano sul territorio dello Stato, e quindi, a tutela di un interesse generale, quale quello della sicurezza e dell’ordine pubblico.».
La circolare implicitamente suggerisce dunque agli Uffici anagrafici comunali di non procedere alla registrazione di questo contratto di convivenza con straniero che si trova in Italia in situazione di soggiorno irregolare.
Tuttavia, questo tipo di conclusione appare discutibile perché e eventuali dinieghi di registrazioni di contratti di convivenza tra persone, le quali abbiano tra di loro un’effettiva convivenza di fatto lungamente vissuta in Italia o all’estero e in qualsiasi modo documentabile, potrebbero comportare caso per caso, in mancanza di qualsiasi tipo di preclusione connessa con l’ordine pubblico o la sicurezza o la sanità, una violazione al loro diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’art. 8 CEDU.
 
La presentazione delle domande di nulla-osta al lavoro e delle domande di conversione dei permessi nell’ambito delle quote 2011
La circolare dei Ministeri dell’interno, del lavoro e della previdenza sociale e delle risorse agricole, prot. n. 0000116 del 5.1.2022 illustra i contenuti del d.p.c.m. 21.12.2021 per la programmazione delle quote di ingresso per lavoro concernenti il 2021 (già illustrato sopra) e prescrive le istruzioni per la loro applicazione.
A) Modalità di presentazione delle istanze e modulistica concernenti il lavoro subordinato e autonomo
A partire dalle ore 9,00 del 12 gennaio 2022 sarà disponibile l’applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda all’indirizzo
https://nullaostalavoro.dlci.interno.it, che saranno trasmessi, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, per le categorie dei lavoratori per lavoro non stagionale ed autonomo, compresi nelle quote indicate all’art. 3, comma 1, lett. a) e all’art. 4 del d.p.c.m. 21.12.2021, dalle ore 9,00 del 27 gennaio 2022, decimo giorno successivo alla data di pubblicazione del citato decreto nella G.U.
Per le categorie dei lavoratori di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) – cittadini di Paesi con i quali, nel corso dell’anno 2022, entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria – le istanze potranno essere trasmesse a partire dalle ore 9,00 del quindicesimo giorno successivo alla
pubblicazione dell’accordo di cooperazione sulla G.U.
Tutte le domande potranno essere presentate fino al 17 marzo 2022.
La circolare ricorda che la procedura concernente le modalità di accesso al sistema dello Sportello unico richiede il possesso di un’identità SPID, come illustrato con circolare del Ministero dell’interno n. 3738 del 4 dicembre 2018.
Pertanto, prerequisito necessario per l’inoltro telematico delle domande sul sito https://nullaostalavoro.dlci.interno.it è il possesso della citata identità SPID da parte di ogni utente, utilizzando possibilmente, lo stesso indirizzo e-mail usato per l’identità SPID, quale nome utente.
Eseguito l’accesso sopra descritto, le modalità di compilazione dei moduli e di invio delle domande sono identiche a quelle da tempo in uso e le caratteristiche tecniche sono reperibili sul manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link «Help Desk», sull’home page dell’applicativo, disponibile per tutti gli utenti registrati.
I modelli da utilizzare per l’invio della domanda sono i seguenti:
  • Modelli A e B per i lavoratori di origine italiana residenti in Venezuela,
  • Modello VA conversioni dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in permesso di lavoro subordinato,
  • Modello VB conversioni dei permessi di soggiorno per lavoro stagionale in lavoro subordinato,
  • Modello Z conversione dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in lavoro autonomo,
  • Modello LS conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato,
  • Modello LS1 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato domestico,
  • Modello LS2 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in lavoro autonomo,
  • Modello BPS richiesta nominativa di nulla osta riservata all’assunzione di lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del d.lgs. n. 286/1998),
  • Modello B2020 richiesta nominativa di nulla osta riservata all’assunzione di lavoratori da adibire nei settori dell’autotrasporto, dell’edilizia e turistico-alberghiero.
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, saranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non «a pacchetto». L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda. Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione.
Nell’area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate.
Allo stesso indirizzo http://nullaostalavoro.dlci.interno.it, nell’area privata dell’utente, sarà possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico immigrazione.
 
B) Gestione delle procedure per i lavoratori subordinati non stagionali
 a. Istanze per lavoro subordinato non stagionale nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi (modello B2020)
Si precisa che, per il settore dell’autotrasporto merci per conto terzi, l’istanza di nulla osta per lavoro subordinato è ammessa soltanto in favore di lavoratori conducenti, muniti di patenti professionali equivalenti alle patenti di categoria CE, cittadini dei Paesi compresi nell’elenco di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), che rilasciano patenti di guida equipollenti alla categoria CE e convertibili in Italia sulla base di vigenti accordi di reciprocità (attualmente esistenti con: Albania, Algeria, Marocco, Moldova, Repubblica di Macedonia del Nord, Sri Lanka, Tunisia, Ucraina).
Per un aggiornamento sugli accordi vigenti con alcuni Paesi terzi si veda il seguente link del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti:
http://www.mit.gov.it/come-fare-per/patenti-mezzi-e-abilitazioni/patenti-mezzistradali/conversione-patente-estera.
Tali lavoratori, titolari di una patente di guida extraUE, potranno condurre veicoli immatricolati sul territorio italiano, a nome di impresa che effettua trasporti in conto terzi, fino ad un anno dall’acquisizione della residenza in Italia. Trascorso un anno, è necessario convertire la patente. L’impresa che effettua trasporti, ai fini della presentazione della relativa istanza di nulla osta, deve essere:
- iscritta all’Albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi (di cui alla legge n. 298/1974) della provincia di appartenenza;
- iscritta al Registro Elettronico Nazionale (R.E.N.) di cui al regolamento CE n. 1071/2009;
- in possesso di licenza comunitaria, in corso di validità, in caso di trasporti internazionali.
La durata del contratto di lavoro sarà a tempo determinato della durata massima di un anno. Se, invece, il lavoratore è già in possesso della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), in corso di validità, la durata del contratto di lavoro potrà essere anche a tempo indeterminato.
In caso di trasporti internazionali l’impresa, successivamente alla comunicazione di assunzione agli Enti competenti e al rilascio da parte della questura del permesso di soggiorno al lavoratore, dovrà richiedere all’Ispettorato territoriale del lavoro il rilascio dell’attestato di conducente.
 
b. Istanze per articolo 23 del TU immigrazione (modello B-PS)
Gli Ispettorati territoriali del lavoro, per le istanze relative ai lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del d.lgs. n. 286/1998), pervenute agli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI), a valere sulle quote di cui all’art. 4, comma 1 del decreto, provvederanno a riscontrare sulla lista pubblicata nell’home page del sistema SILEN (nella parte relativa alla documentazione), la presenza dei nominativi dei lavoratori stranieri distinti per Paese di appartenenza. Solo nell’ipotesi di riscontro positivo procederanno a richiedere – per il tramite dell’Ispettorato nazionale del lavoro – alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le relative quote, fornendo gli elementi anagrafici identificativi dei lavoratori richiesti. Le stesse saranno assegnate direttamente sul sistema SILEN.
Si ricorda agli uffici l’importanza di comunicare alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione l’avvenuto rilascio del nulla osta al lavoro o l’eventuale diniego dello stesso, con relativa motivazione.
 
c. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro subordinato
Nel caso di conversione in lavoro subordinato, il lavoratore dovrà presentare, al momento della convocazione presso lo Sportello unico, la proposta di contratto di soggiorno sottoscritta dal datore di lavoro – valida come impegno all’assunzione da parte dello stesso datore di lavoro – utilizzando il modello disponibile sul sistema, ricevuto insieme alla lettera di convocazione.
Successivamente, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione (Mod. UNILAV) secondo le norme vigenti e a darne copia al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico postale per la richiesta di conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato da inoltrare alla questura competente.
Per i casi di conversione di un permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato (Modello VB), come già disposto dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, si ricorda che è possibile convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ferma la disponibilità di quote, solo dopo almeno tre mesi di regolare rapporto di lavoro stagionale (comma 10, art. 24, d.lgs. n. 286/1998) ed in presenza dei requisiti per l’assunzione con un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato. A tal fine, gli Ispettorati territoriali del lavoro dovranno verificare la presenza dei requisiti per la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, l’avvenuta assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale, la durata dello stesso rapporto di lavoro stagionale, nonché i relativi pagamenti contributivi agli Enti competenti effettuati a favore del lavoratore nel periodo considerato.
Con riferimento al settore agricolo, le cui prestazioni lavorative dei lavoratori stagionali sono effettuate «a giornate» e non a mesi, ai fini della conversione dovrà risultare una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate), coperti da regolare contribuzione previdenziale.
 
d. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro autonomo
Ai fini della conversione del permesso di soggiorno da studio, tirocinio e/o formazione professionale e permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato dell’UE a lavoro autonomo, si dovrà tener conto delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 81/2015, come modificato da ultimo dalla legge 96/2018, alla disciplina dei contratti di lavoro, con particolare riguardo ai rapporti di collaborazione (art. 2) e ai contratti a progetto (art. 52).
In tali ipotesi, lo Sportello Unico acquisirà il parere del competente Ispettorato Territoriale del Lavoro.
 
e. Ingresso per start-up innovative
Per quanto concerne l’ingresso per le start-up innovative si allegano le linee guida predisposte dal Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell’interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché i relativi modelli di candidatura.
Lo straniero che intende chiedere la conversione del permesso di soggiorno ai fini della costituzione di una start-up innovativa dovrà richiedere al Comitato tecnico Italia start-up visa il nulla osta secondo le modalità indicate nelle richiamate linee guida ed esibire allo Sportello unico per l’immigrazione la certificazione di nulla osta rilasciata dal predetto Comitato.
Il Comitato, nel caso di conversione, non dovrà richiedere alla questura il nulla osta provvisorio in quanto gli accertamenti di competenza verranno effettuati all’atto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Questa certificazione sostituisce la certificazione della Camera di commercio di cui all’art. 39, co. 3, d.lgs. 286/1998. Rimane invariata l’esibizione dell’ulteriore documentazione prevista.
Per ogni ulteriore chiarimento sulla procedura relativa alle start-up innovative potrà essere consultato il sito del Ministero dello sviluppo economico.
 
A) La presentazione delle domande concernenti il lavoro stagionale
Le istanze che perverranno dalle Organizzazioni datoriali, per conto ed in nome dei datori di lavoro saranno identificate sul sistema SPI e riconoscibili dagli Ispettorati territoriali del lavoro.
La quota di 14.000 unità sarà ripartita a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali agli Ispettorati territoriali del lavoro, sulla base dei dati che il Ministero dell’interno fornirà, relativi alle istanze inviate in ordine cronologico dalle sei associazioni. Con apposita direttiva del Ministro del lavoro e delle politiche sociali all’Ispettorato nazionale del lavoro saranno date indicazioni sull’istruttoria di tali istanze.
Come previsto dal citato art. 6, co. 4 del d.p.c.m., tali Organizzazioni dovranno sovraintendere alla conclusione del procedimento, fino alla sottoscrizione del contratto di soggiorno e alla comunicazione di assunzione agli Enti competenti.
Il ruolo delle Associazioni datoriali non si limiterà, infatti, all’inoltro delle istanze per conto del datore di lavoro, ma potranno procedere, per conto del datore di lavoro, alla trasmissione dell’eventuale documentazione richiesta dallo Sportello unico ad integrazione di quanto dichiarato e, con apposita delega del datore di lavoro e documento di legittimazione alla rappresentanza dell’Associazione, alla successiva stipula del contratto di soggiorno con attivazione della comunicazione obbligatoria di assunzione. Copia di detta comunicazione verrà data al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico postale per la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.
Da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarà successivamente effettuato un monitoraggio del comportamento delle associazioni datoriali, sulla base dei dati relativi ai rapporti di lavoro effettivamente attivati (attraverso controlli con il sistema delle comunicazioni obbligatorie).
La restante quota di 28.000 unità (di cui 1.000 riservate per richieste di nulla osta stagionale pluriennale) sarà ripartita sempre a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali agli Ispettorati territoriali del lavoro con apposita circolare, sulla base del fabbisogno scaturito dalle consultazioni effettuate a livello locale anche con le Regioni, parti sociali e organizzazioni sindacali.
Nell’ambito delle medesime quote, è confermata la possibilità di presentazione di domande a favore di lavoratori che siano già entrati in Italia per lavoro stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti. Tali stranieri maturano, in base all’art. 24, co. 9 del d.lgs. n. 286/1998 un diritto di precedenza per il rientro in Italia per ragioni di lavoro stagionale presso lo stesso o altro datore di lavoro, rispetto a coloro che non hanno mai fatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro, ove abbiano rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e siano rientrati nello stato di provenienza alla scadenza del medesimo.
 
Modalità di presentazione delle istanze e modulistica degli ingressi per lavoro stagionale
A partire dalle ore 9,00 del 12 gennaio 2022 sarà disponibile l’applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda all’indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.interno.it (mod. C-STAG) e saranno trasmesse, esclusivamente con modalità telematiche e previo accesso al sistema con identità SPID, come sopra descritto, per i lavoratori extraUE stagionali, compresi nella quota complessiva indicata al citato art. 6, dalle ore 9,00 del 1° febbraio 2022, quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del d.p.c.m. nella G.U. Le domande potranno essere presentate fino al 17 marzo 2022.
Le procedure riguardanti l’accesso degli utenti, l’invio delle domande e la verifica dello stato di avanzamento della pratica sono rinvenibili sul sito internet del Ministero dell’interno (www.interno.gov.it).
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link «Help Desk», sull’home page dell’applicativo, disponibile per tutti gli utenti registrati.
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non «a pacchetto». L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda.
Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione.
Nell’area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate.
 
2. Istruttoria delle domande di nulla-osta al lavoro stagionale
Riguardo l’istruttoria relativa alle domande di lavoro stagionale nonché alle richieste di lavoro stagionale pluriennale, si ribadiscono le istruzioni già diramate agli Uffici territoriali del lavoro con la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, con riferimento, in particolare, all’individuazione sia dei settori occupazionali «agricolo e turistico alberghiero» (art. 24, co. 1 d.lgs. n. 286/1998), che delle ulteriori ipotesi di rifiuto del nulla osta al lavoro (art. 24, co. 12 d.lgs. n. 286/1998).
Si precisa, inoltre, che nel settore occupazionale «agricolo» rientrano anche le istanze relative all’ingresso di lavoratori extraUE stagionali/pluriennali inquadrati quali «operai florovivaisti», come da CCNL di riferimento del 19 giugno 2018.
Si richiama, inoltre, la procedura del silenzio assenso per le richieste di nulla osta al lavoro stagionale e stagionale pluriennale a favore degli stranieri già autorizzati almeno una volta nei cinque anni precedenti a prestare lavoro stagionale presso lo stesso datore di lavoro, nonché l’adempimento dell’obbligo della comunicazione obbligatoria di assunzione contestuale alla sottoscrizione del contratto di soggiorno.
 
3. Protocolli di intesa per il lavoro stagionale
Le associazioni di categoria di cui all’art. 38 del d.p.r. n. 394/99, firmatarie dei protocolli stipulati con questi Ministeri, potranno inviare le istanze per conto dei datori di lavoro che aderiscono alle rispettive associazioni. I protocolli sono aperti all’adesione di altre associazioni interessate.
Gli accreditamenti già rilasciati agli operatori segnalati dalle associazioni di categoria firmatarie del protocollo per le domande relative ai precedenti decreti sono confermati.
Per l’accreditamento di altri operatori (sia delle stesse associazioni che di quelle che aderiranno durante l’anno), ogni Direzione nazionale dovrà presentare, in formato elettronico, alle prefetture-UTG i modelli 7 e 8, come già indicato nella circolare del 4 dicembre 2018.
Le prefetture, dopo aver disposto gli accertamenti ritenuti opportuni, trasmetteranno, con il proprio parere, i citati modelli alla Direzione centrale per le politiche migratorie – autorità Fondo asilo, migrazione e integrazione del Ministero dell’interno, all’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
 
Lavoro
 
Chiarimenti sul distacco transnazionale dei lavoratori e sul regime sanzionatorio
Il d.lgs. n. 122/2020 ha recepito la direttiva europea n. 957 del 28 giugno 2018 che ha modificato la direttiva 96/71/CE in materia di distacco transnazionale dei lavoratori. Il decreto di recepimento, a sua volta, ha interpolato il d.lgs. n. 136/2016 che già disciplinava compiutamente la materia.
Esso prevede una disciplina specifica per le ipotesi di doppi distacchi o distacchi a catena di lavoratori somministrati, un rafforzamento del nucleo delle tutele già previste dalla legislazione vigente per i lavoratori distaccati, nonché l’ampliamento del livello di tutele per i lavoratori coinvolti in distacchi di lunga durata.
Si segnala la circolare n. 2/2021 dell’Ispettorato nazionale del lavoro – Direzione generale del 19.10.2021 che illustra le novità del d.lgs. n. 122/2020 e che con particolare riguardo alle nuove fattispecie di illecito che presidiano il corretto adempimento degli obblighi informativi e amministrativi connessi alla fattispecie del distacco a catena e a tutte le altre disposizioni che possano avere ricadute sull’attività di vigilanza.
 
Assistenza sociale
 
Riconoscimento del diritto alle prestazioni assistenziali, a sostegno della famiglia, di inclusione sociale e di invalidità civile ai cittadini britannici residenti in Italia a seguito della Brexit
La circolare INPS – Direzione centrale inclusione sociale e invalidità civile del 18.10.2021, n. 154 dopo avere richiamato le novità introdotte dai Trattati tra UE e Regno unito conseguenti alla sua uscita dalla UE ricorda che alla luce di tali nuove norme devono considerarsi equiparati ai cittadini dell’Unione europea i cittadini del Regno Unito residenti nel territorio italiano entro il 31 dicembre 2020, i quali mantengono i diritti connessi al soggiorno legale in Italia anche per il periodo successivo a tale data e non devono costituire un nuovo status di soggiorno, ai fini dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale o al mantenimento delle prestazioni già in godimento.
Si precisa che tale criterio si applica ai fini del riconoscimento del diritto alle seguenti prestazioni:
- prestazioni assistenziali a sostegno della famiglia (assegno di natalità, bonus asilo nido e contributo per l’introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, premio alla nascita, assegno temporaneo, ecc.);
- assegno sociale di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335;
- prestazioni di invalidità civile (invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità);
- prestazioni di inclusione sociale e contrasto alla povertà (reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, reddito di emergenza, reddito di libertà).
Pertanto si prescrive che, qualora nei confronti dei suddetti cittadini risulti accertato il requisito della residenza anagrafica entro e non oltre il 31 dicembre 2020 (attraverso le verifiche automatizzate sull’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente - ANPR o altri archivi anagrafici), non dovrà richiedersi l’esibizione di ulteriori titoli di soggiorno legale diversi da quelli già posseduti a tale data.
Si ricorda che invece nei confronti dei cittadini del Regno Unito non residenti nel territorio nazionale entro il 31 dicembre 2020, che presentino istanza per le citate prestazioni, si applicheranno le disposizioni dettate in materia di documenti di soggiorno per i cittadini extraUE.
Resta inteso che ai cittadini del Regno Unito legalmente soggiornanti in Italia, e ai loro familiari, potranno essere riconosciute le sopra elencate prestazioni assistenziali, ove gli stessi risultino in possesso di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge italiana per ognuna di esse.
Si ricorda anche che, a partire dal 1° gennaio 2021, i cittadini britannici che risultano residenti in Italia alla data del 31 dicembre 2020, possono richiedere presso la questura di residenza un documento di soggiorno in formato digitale (art. 18, par. 4, dell’Accordo di recesso).
Le informazioni per il rilascio del suddetto documento sono contenute nel vademecum realizzato dal Ministero dell’interno e disponibile sul sito web del medesimo Dicastero.
In linea con le indicazioni fissate a livello di Unione europea, il nuovo documento digitale garantisce un più agevole riconoscimento dei diritti previsti dall’Accordo di recesso in favore dei cittadini britannici che hanno fissato la loro residenza in Italia prima del 31 dicembre 2020, fatta salva in ogni caso l’applicazione nei loro confronti della normativa vigente in materia di diritto di soggiorno e diritto di soggiorno permanente (cfr. art. 19 d.lgs. n. 30/2007).
Si precisa che tale documento rappresenta un diritto per i cittadini del Regno Unito (se ricorrono le condizioni), ma non costituisce un obbligo. I diritti acquisiti prima del recesso dall’Unione europea sono, infatti, garantiti dall’Accordo sul recesso e non dal possesso del suddetto documento, potendo i cittadini britannici dimostrare di essere legalmente residenti in Italia entro il 31 dicembre 2020 anche tramite altri validi documenti di riconoscimento di cui risultino titolari.
 

Sito realizzato con il contributo della Fondazione "Carlo Maria Verardi"

© 2017-2023 Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. Tutti i diritti riservati. ISSN 1972-4799
via delle Pandette 35, 50127 Firenze

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.