Penale

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Una nuova archiviazione per la capitana Carola Rackete
Giunge a conclusione anche l’ultimo procedimento avviato nei confronti della capitana Carola Rackete in relazione alla nota vicenda che l’aveva vista protagonista nel giugno 2019, quando, al comando della nave Sea Watch 3, di fronte al rifiuto oppostole dal Ministro dell’interno a sbarcare in Italia i migranti soccorsi in mare, aveva deciso di procedere comunque all’attracco, scontrandosi con un’imbarcazione della Guardia di finanza che aveva cercato di impedirglielo.
Dopo l’archiviazione per i delitti di violenza contro nave da guerra ex art. 1100 cod. nav. e resistenza a un pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., di cui abbiamo dato conto nella rubrica del n. 2.2021, con il provvedimento allegato del  20.12.2021 il GIP di Agrigento dispone l’archiviazione della Rackete anche per il secondo filone dell’indagine aperta nei suoi confronti, e relativa ai reati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, ex art. 12 TUI, e di rifiuto di obbedienza a nave da guerra, ex art. 1099 cod. nav. Il provvedimento del GIP è assai sintetico, venendo integralmente richiamate le conclusioni cui era pervenuta la  Procura nella richiesta di archiviazione . Per quanto riguarda la prima contestazione, il giudice agrigentino, constatato come il porto di Tripoli non potesse essere considerato un place of safety ove riportare i migranti, così come non potesse più ritenersi un luogo sicuro la nave, in considerazione del numero ingente di naufraghi a bordo e del lungo lasso temporale in cui gli stessi vi erano stati ricoverati, esclude la sussistenza del reato in quanto la condotta di condurre in Italia i migranti soccorsi in mare deve ritenersi scriminata dalla causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere di cui all’art. 51 c.p. In ordine poi all’ipotesi di reato di cui all’art. 1099 cod. nav., il giudice rileva come il divieto di ingresso in acque nazionali emanato dal Ministro dell’interno non contenesse elementi tali da giustificare la qualificazione come non inoffensivo dell’ingresso della Sea Watch 3 in acque territoriali, e pertanto anche in questo caso la condotta dell’indagata deve ritenersi scriminata dall’adempimento all’obbligo di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro.
 
Una sentenza di condanna per il respingimento verso la Libia di naufraghi soccorsi in acque internazionali da un’imbarcazione italiana
Sulla base dei medesimi principi di diritto, ed in particolare sulla base del principio di non refoulement che impedisce di rinviare i naufraghi soccorsi in mare verso un luogo ove non è garantito il rispetto dei loro diritti fondamentali, si fonda la decisione di condanna del  Tribunale di Napoli (sent. 1643/2021) . La vicenda è presto riassunta: il comandante di una nave di appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo della Libia, la nave ASSO 28, effettua a fine luglio 2018 il soccorso di 101 profughi in fuga dalla Libia, ma, invece di portarli in Italia o in altro luogo sicuro, segue le indicazioni fornitegli dalla Guardia costiera libica e li riporta a Tripoli, senza avere prima verificato se avessero motivo di chiedere protezione internazionale e senza neppure procedere alla loro identificazione. Il procedimento celebrato con rito abbreviato davanti al GUP partenopeo aveva ad oggetto i reati di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) e di sbarco e abbandono arbitrario di persone (art. 1155 cod. nav.). La sentenza, dopo avere ricostruito il reticolo di fonti nazionali e sovranazionali che regolano il soccorso in mare, e da cui si ricava univocamente il divieto di riportare le persone soccorse in un luogo, come la Libia, ove le stesse sono esposte al rischio di trattamenti lesivi dei loro diritti fondamentali, esclude la sussistenza degli estremi dell’abuso d’ufficio: vero infatti che l’imputato ha violato «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalità» (come recita l’art. 323 c.p. in seguito alla riforma del 2020), il reato non viene comunque ritenuto sussistente in quanto secondo il Tribunale non è stata fornita la prova oltre ogni ragionevole dubbio di quale vantaggio patrimoniale abbia con la propria condotta procurato l’imputato, né sono stati accertati gli effettivi danni subiti dai migranti respinti (che peraltro non sono stati neppure identificati), né è stato provato il dolo intenzionale richiesto dalla norma. Diverse sono invece le conclusioni cui perviene il Tribunale rispetto agli altri due reati contestati: rilevato come il soccorso in mare comporti l’assunzione di responsabilità del comandante della nave nei confronti dei naufraghi, tra i quali vi erano diversi minorenni e donne in stato di gravidanza, e quindi soggetti all’evidenza vulnerabili, la sentenza rileva come l’imputato si sia totalmente disinteressato dei pericoli cui esponeva i naufraghi in seguito al loro illegittimo refoulement verso la Libia, e su tale constatazione fonda la responsabilità dell’imputato per i reati in questione.
 
Rapporti tra il reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare e il reato di tratta di persone
Meritano infine un cenno due decisioni di legittimità ( Cass., sez. I, n. 33708 del 25.6.2021, E., Rv. 281791, e Cass., sez. I, n. 31650 del 3.6.2021) che prendono posizione in ordine al controverso problema dell’assorbimento o del concorso tra il reato di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare di cui all’art. 12 co. 3 TUI e il reato di tratta di persone di cui all’art. 601 c.p. Prendendo le distanze dall’indirizzo prevalente in sede di legittimità, secondo cui la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme escluderebbe la possibilità di constatare un concorso apparente tra le stesse, le sentenza in esame, valorizzando la clausola di riserva con cui si apre il testo dell’art. 12 («salvo che il fatto costituisca più grave reato»), giungono alla conclusione opposta, e reputano assorbito il reato del TUI nella più grave fattispecie codicistica, almeno quando il favoreggiamento dell’ingresso irregolare fosse ab initio finalizzato allo sfruttamento costitutivo della tratta (per una approfondita argomentazione a sostegno di tale conclusione, cfr. in particolare la sentenza n. 31650).