Non discriminazione

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Nel corso del terzo quadrimestre del 2021 le pronunce in tema di discriminazione hanno riguardato in prevalenza la gestione dei rapporti dei cittadini extraUE con gli enti locali.

In data 28 ottobre 2021 la Corte di giustizia, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano (vedi la Rassegna 1/2021), ha rilevato che la limitazione della Carta Famiglia ai soli cittadini italiani e degli Stati membri dell’UE è una violazione della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi dei cittadini di paesi terzi stabilita dalle direttive 2003/109, 2009/50 e 2011/98, 

in quanto esclude sia i titolari di permesso di lungo soggiorno, sia i titolari di permesso unico, che i titolari di Carta blu UE. Ha infine stabilito che l’art. 29 della dir. 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa che escluda i beneficiari di protezione internazionale dalla Carta famiglia, qualora detto beneficio rientri in un regime di assistenza istituito da autorità pubbliche, al quale ricorre un individuo che non disponga di risorse sufficienti a far fronte ai bisogni elementari propri e a quelli della sua famiglia. Ha quindi affermato che spetta al giudice del rinvio verificare se la Carta famiglia costituisca una prestazione di assistenza sociale ai sensi dell’art. 29 della dir. 2011/95.

In materia di prestazioni di sicurezza sociale la parità di trattamento fra cittadini nazionali e cittadini stranieri è stata affermata dalla Corte costituzionale che, nel mese di gennaio del 2022, ha esaminato la disciplina del cosiddetto bonus bebè (art. 1, co. 125 della l. n. 190/2014 e successive proroghe) e dell’assegno di maternità (art. 74 del d.lgs. n. 151/2001), dichiarando incostituzionali le norme che escludono dalla concessione dei due assegni i cittadini di paesi terzi ammessi a fini lavorativi e quelli ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi. La Corte costituzionale ha ritenuto che le disposizioni censurate siano in contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione e con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In tema di reddito di cittadinanza con sentenza n. 19 del 2022 la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale (sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, co. 1 Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 14 CEDU) del d.l. n. 4 del 2019, conv in l. n. 26 del 2019 ove fra i diversi requisiti necessari per l’ottenimento del reddito di cittadinanza richiede agli stranieri il «possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo».

Alloggi pubblici
Come noto, la Corte costituzionale con sentenza n. 9/2021 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1 della l.r. Abruzzo n. 34 del 2019 nella parte in cui aveva introdotto il co 4.1 dell’art. 5, l.r. n. 96 del 1996 che obbligava, per la partecipazione al bando per l’assegnazione degli alloggi, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea a presentare la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza. 
Il Tribunale di Monza ha accolto il ricorso contro il Comune di Sesto San Giovanni promosso da due cittadini stranieri esclusi dalla graduatoria per l’accesso agli alloggi ERP a causa della domanda di documenti comprovanti la impossidenza di immobili all’estero. Nelle more del giudizio, il Comune di Sesto San Giovanni aveva provveduto ad emettere un nuovo bando ed entrambi i ricorrenti erano stati inseriti in graduatoria senza la richiesta della documentazione contestata. Il giudice, dopo aver dichiarato che tale inserimento era idoneo a soddisfare gli interessi fatti valere in giudizio dagli stranieri, ha accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione, in quanto «la previsione di requisiti di particolare onerosità, come quelli concernenti la necessità di produrre attestazioni sostanzialmente impossibili da ottenere in paesi non dotati di efficienti sistemi di registrazione e trattamento dei dati, si traduce in una ingiusta discriminazione a carico di persone di nazionalità diversa da quella italiana», ponendoli «in una condizione di evidente svantaggio nel concorso a procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica». Ha quindi provveduto alla sua determinazione in via equitativa considerando la circostanza che la discriminazione era avvenuta in relazione ad esigenze primarie della persona e che tuttavia, stante l’inserimento in graduatoria, doveva escludersi per il futuro, ogni possibilità di reiterazione della condotta pregiudizievole (ordinanza 9.12.2021, in Banca dati Asgi).
 
Bonus per materiale didattico
Il Tribunale di Matera ha accolto il ricorso promosso contro la Regione Basilicata da due genitori nigeriani di una bambina che frequentava la scuola elementare e che erano stati esclusi dal contributo di cui alla delibera della Giunta regionale n. 633 del 17.2.2020 e relativo avviso pubblico, in quanto, pur essendo domiciliati nel Comune di Matera, in pendenza di un giudizio ex art. 33 TUI, non potevano ottenere la residenza anagrafica nel predetto Comune. La misura consisteva in un bonus a fondo perduto per le famiglie lucane con un reddito ISEE fino a 10.000 euro per l’acquisto di beni e dispositivi informatici, ma riservato ai «nuclei familiari in cui il soggetto richiedente, nella persona di uno dei genitori o del tutore legale, a pena di inammissibilità, alla data di presentazione della domanda… sia residente in Basilicata». La minore, domiciliata ma non residente anagraficamente nel comune di Matera, non aveva potuto partecipare alle attività in D.A.D non avendo i genitori i mezzi necessari per acquistare un computer.
Il tribunale di Matera ha operato una dettagliata disamina delle fonti normative e degli approdi giurisprudenziali sottolineando l’importanza che rivestiva l’interpretazione del concetto di residenzada intendere come «luogo in cui la persona ha la dimora abituale» ex art. 43, co. 2 c.c. e non solo nel senso stretto di iscrizione anagrafica. Osservava, inoltre, il giudice che il diritto all’istruzione, in quanto diritto sociale costituzionalmente riconosciuto e tutelato (artt. 33 e 34 Cost.), deve essere assicurato sempre e comunque al minore, nel suo superiore interesse. È stato sottolineato altresì che nell’avviso pubblico era stato chiarito che lo scopo del bonus era anche quello di favorire la inclusione digitale e l’accesso ai servizi pubblici digitali da cui si poteva evincere che si trattava di una misura diretta a superare il gap digitale e culturale che era già esistente per i nuclei famigliari più disagiati e che la pandemia aveva acuito. Disapplicati i provvedimenti amministrativi, il giudice ha condannato la Regione Basilicata a riaprire i termini per la presentazione della domanda di accesso alla misura di sostegno allo studio entro 30 giorni dalla data di pubblicazione della ordinanza per consentire a tutte le famiglie escluse di parteciparvi, e di procedere alla riedizione della procedura selettiva (ordinanza 12.9.2021, in Banca dati Asgi).
 
Prestazioni di assistenza
Il Tribunale di Milano ha accertato la natura discriminatoria della condotta tenuta dalla Regione Liguria consistente nell'aver dato indicazioni agli enti del servizio sanitario regionale nel senso di escludere i cittadini extra UE non titolari del permesso di lungo soggiorno che intendevano accedere alla misura economica di euro 350 come regolata dalla delibera regionale n. 1106/2006 (fondo regionale non autosufficienze) ed ha condannato la Regione a riaprire i termini per la presentazione delle domande per un periodo di almeno tre mesi consentendo la presentazione delle domande a chi non l'avesse fatto in precedenza nonché a pubblicare l'ordinanza sulla home page del sito istituzionale. Il ricorso era stato presentato dalla APN, Avvocati per Niente ONLUS e dall’ASGI, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione che, avendo riscontrato la richiesta di tale requisito sul sito del Distretto 3 dell’ASL genovese cui diversi Comuni liguri (Genova, Rapallo, La Spezia, Sestri Levante) a loro volta rinviavano, avevano segnalato tale illegittima previsione sia alla Regione sia ai Comuni sia alle ASL. Nel costituirsi in giudizio la Regione Liguria aveva concordato sul fatto che il permesso di lungo soggiorno non dovesse essere inserito tra i requisiti per la concessione della misura e che non vi era alcuna norma regionale che lo prevedesse, ma aveva eccepito il proprio di difetto di legittimazione passiva. La Regione aveva comunque escluso la possibilità di consentire la presentazione della domanda a chi, sprovvisto del permesso di lungo soggiorno, non lo aveva fatto in passato, interpretando quale acquiescenza la mancata richiesta (v. nota Regionale prot. 2021/00007035, deposito del 25/11/2021). Il tribunale di Milano, dopo aver respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, ha sottolineato che l’impostazione della Regione Liguria introduce «una disparità di trattamento tra soggetti in posizioni analoghe e a danno di coloro che – non essendo in possesso del requisito richiesto – non hanno presentato la domanda. Né può ritenersi che si configuri, nel caso di specie, una vera e propria “acquiescenza” la quale postula un'esplicita e inequivoca manifestazione di piena accettazione di un determinato assetto di interessi e, in ogni caso, lo spontaneo adeguamento ad esso non è di per sé sufficiente a far desumere una rinuncia a opporsi a una situazione sfavorevole (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14.02.2012, n. 706). Non può quindi essere interpretato acquiescente l’atteggiamento del cittadino il quale – confidando nella correttezza dell’azione della PA – non presenti la domanda poiché sprovvisto di un requisito che la stessa PA (illegittimamente) gli richiede» (ordinanza 1.12. 2021, in Banca dati Asgi).
 
Il Tribunale di Ancona ha affrontato la questione del diritto a percepire l'assegno mensile di assistenza di cui all'art. 13 della l. 118/1971 del richiedente con invalidità al 70%, titolare del permesso di soggiorno per cure mediche, negato dall’INPS in assenza di un permesso di soggiorno di durate superiore all’anno. Il Tribunale ha affermato che, seppur la durata di tale permesso sia inferiore ad un anno, il richiedente è legalmente soggiornante sul territorio italiano da tempo apprezzabile e con carattere non episodico, sicché deve ritenersi discriminatorio il rifiuto opposto dall'INPS al riconoscimento di una prestazione ritenuta essenziale dalla Corte costituzionale ad un soggetto extracomunitario in tali condizioni. Il provvedimento si segnala per l’accurata disamina in diritto e per l’analitica ricostruzione in fatto della vicenda del ricorrente (ordinanza 24.11.2021, in Banca dati Asgi).
 
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 5.10.2021 ha confermato la pronuncia di primo grado secondo cui i titolari del permesso di soggiorno per cure mediche di durata semestrale, ex art. 19, co. 2-bis lett. d) TUI, hanno diritto a percepire l'assegno mensile di assistenza in quanto, trattandosi di prestazione destinata a far fronte al sostentamento di soggetto invalido grave non potrebbe essere negata a colui che, proprio in conseguenza del grave stato patologico che non consente di lavorare, né di fare rientro nel paese di origine, è stato autorizzato, quantomeno per un periodo superiore a tre mesi, alla permanenza sul territorio nazionale sicché il diniego finirebbe per incorrere in una palese violazione del principio sancito dall’art. 14 della CEDU (sentenza 5.10.2021, in Banca dati Asgi).