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Fascicolo 2, Luglio 2021


«Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La prova per questo obbiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita».

(Enrico Berlinguer, 7 giugno 1984, Padova)

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

Alcune decisioni emesse nel primo quadrimestre del 2021 sono prese in considerazione nella Rassegna di questo numero. Abbiamo registrato un paio di interessanti ordinanze in materia di respingimenti caratterizzati dall’emergenza pandemica, che rappresentano una novità nel consueto panorama giurisprudenziale di merito:
una relativa alla illegittimità del respingimento differito dopo il trattenimento informale sulla c.d. «nave quarantena» (tema di cui ci occupiamo con due saggi in altra parte della Rivista) e le altre relative al respingimento immediato di alcuni cittadini domenicani che, pur titolari di permesso di soggiorno, si sono visti negare l’ingresso all’aeroporto di Malpensa a causa delle misure di prevenzione antipandemiche.
Seguirà la consueta analisi di alcuni provvedimenti in tema di espulsioni amministrative, inerenti taluni profili sostanziali e procedurali, e, a seguire, la panoramica giurisprudenziale sui trattenimenti.
 
RESPINGIMENTI
Respingimento differito
Un migrante sbarcato a Lampedusa il 18.9.2020 veniva attinto da decreto di respingimento ex art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98 il successivo 9 ottobre, dopo essere stato sottoposto a quarantena precauzionale. Pacifico che il provvedimento ablativo sia stato disposto dopo 21 giorni dalla sua ammissione sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso. Il Giudice di pace di Bari (23.2.2021) , chiamato a decidere circa la legittimità di tale atto, ne ha disposto l’annullamento a seguito di corretta disamina dei presupposti legittimanti i respingimenti rispetto alle espulsioni, anche in considerazione delle diverse forme di tutela apprestate dall’ordinamento. Premesso che il respingimento immediato avviene in limine, senza che lo straniero faccia ingresso sul t.n., criterio distintivo tra respingimento differito nel tempo ed espulsione consiste nel fatto che il primo dev’essere adottato entro un tempo ragionevole dal rintraccio dello straniero, potendosi configurare, in caso contrario, uno sviamento di potere, dovendo l’amministrazione adottare un decreto espulsivo. Ad avviso del giudice, trattandosi di provvedimenti incidenti sulla libertà personale, occorre esigere una rigorosa applicazione dei presupposti, sicché se un provvedimento ablativo deve essere adottato a distanza di oltre venti giorni dall’ingresso dello straniero in Italia – anche se motivato da esigenze di pubblico soccorso (o meglio da esigenze di tutela sanitaria) – viene meno il «potere di respingere» e subentra quello di «espellere». La questione non è meramente formale, al contrario è gravida di conseguenze concrete assai rilevanti se solo si pone mente al fatto che nel nostro ordinamento le garanzie previste dalla Direttiva 115/2008/UE si applicano alle espulsioni amministrative ma non ai respingimenti. Opinando diversamente, cioè non individuando un chiaro confine temporale tra potere di respingere e potere di espellere, si lascerebbe all’Amministrazione di pubblica sicurezza mano libera nella scelta di quale provvedimento adottare, in una materia soggetta alla riserva di legge.
 
Respingimento immediato: giurisdizione e competenza
La polizia di frontiera di Malpensa lo scorso 20 luglio ha emesso una serie di respingimenti immediati alla frontiera (ex art. 10. co. 2, d.lgs. 286/98) nei confronti di alcuni cittadini domenicani, stante il divieto di ingresso in Italia per gli stranieri provenienti dalla Repubblica dominicana disposto dal Ministero della salute con ordinanza 16.7.2020 volta a contrastare l’emergenza pandemica. Avverso tali provvedimenti amministrativi sono stati proposti altrettanti ricorsi alla sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale di Milano, per alcuni dei quali è pervenuta la decisione.
Il caso oggetto dell’ordinanza del predetto  Tribunale resa in data 17 aprile 2021 riguardava un nucleo familiare di cui la donna era titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, il coniuge di permesso di soggiorno in corso di validità per lavoro subordinato, mentre il figlio minore, nato in Italia, era titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari: la famiglia rientrava in Italia dopo un periodo di vacanza nel Paese di origine. Appena sbarcati a Malpensa, si sono visti notificare il provvedimento di respingimento immediato e, dopo essere stati trattenuti di fatto per quattro giorni nell’area aeroportuale di transito, sono stati imbarcati su un volo di ritorno nella Repubblica dominicana. Costoro proponevano ricorso lamentando plurime violazioni che, per ragioni di spazio, non è possibile riportare compiutamente in questa sede e per le quali si rimanda alla lettura del provvedimento in commento. In estrema sintesi, i ricorrenti deducevano l’illegittimità del respingimento immediato sulla base dell’art. 6 Codice frontiere Schengen (che riconosce il diritto del titolare di permesso di soggiorno di raggiungere lo Stato che quel titolo di soggiorno ha rilasciato); della Direttiva 2011/82/UE (che legittima il titolare di permesso unico lavoro a fare ingresso nel territorio dello Stato emittente); dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (non avendo ricevuto alcuna informativa dal MAE sulle limitazioni all’ingresso sul T.N.); degli artt. 8 e 4, co. 2, d.lgs. 286/98 (che consentono il rientro nel T.N. dello straniero regolarmente soggiornante, previa esibizione dei documenti previsti); degli artt. 8 CEDU e 29 Cost. (in conseguenza della forzosa separazione dai loro parenti residenti in Italia nonché dell’impossibilità di riprendere l’attività lavorativa e le proprie abitudini di vita); e, in ogni caso, la violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità nell’adozione delle misure restrittive della libertà di circolazione – come disposte dall’art. 1, co. 3, del d.l. 33/2020 – avendo riservato l’ordinanza del Ministero della salute 16.7.2020 un trattamento deteriore ai cittadini extracomunitari rispetto ai comunitari provenienti o transitati dalle medesime zone ad alto rischio epidemiologico. Più delle conclusioni cui è giunto il Tribunale nel merito della vicenda, in termini di carenza d’interesse ad agire perché – all’atto del deposito del ricorso – non erano più in vigore gli effetti della citata ordinanza del Ministero della salute in ragione del d.p.c.m. 13 ottobre 2020, e delle proroghe di validità dei titoli di soggiorno eventualmente scaduti che si sono susseguite nel tempo, che saranno eventualmente oggetto d’impugnazione, preme in questa sede porre la nostra attenzione sulla sussistenza della giurisdizione ordinaria e sulla competenza delle sezioni specializzate in materia di respingimenti immediati. Infatti, l’Avvocatura erariale aveva eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, ritenendo competente il giudice amministrativo, non incidendo l’atto opposto su diritti soggettivi essendo il respingimento immediato privo delle caratteristiche di afflittività e compressione dei diritti proprie del respingimento differito (si rammenta che nella seconda fattispecie opera un divieto di reingresso, al pari delle espulsioni, la cui violazione è sanzionata penalmente, e che la competenza del Giudice di pace a conoscere delle relative controversie è prevista dalla legge).
Tale tesi non è stata condivisa dal Tribunale adito che, riprendendo quanto sostenuto nei ricorsi introduttivi, incentra la motivazione sulla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 15115/2013 che riconobbe la giurisdizione del giudice ordinario in materia di respingimenti, superando così definitivamente l’annosa questione che vide contrapposti Tar e Giudici di pace per alcuni anni. Tuttavia, mentre, a seguito della novella di cui alla l. 132/2018, il legislatore ha disciplinato la competenza a conoscere dei respingimenti differiti in capo al giudice ordinario (tramite l’introduzione del co. 2-bis nell’art. 10, d.lgs. 286/98), nulla ha stabilito per i respingimenti immediati, sicché debbono trovare applicazione i principi dalla citata sentenza delle Sezioni Unite. In assenza di una norma derogatrice che attribuisca la competenza ai Giudici di pace (come per le controversie relative alle espulsioni prefettizie e ai respingimenti differiti) la competenza non può che essere del Tribunale «dovendosi dare corso alla generale e residuale attribuzione di competenza di cui all’art. 9, c.p.c.».
Con riferimento alla tesi dell’Avvocatura erariale, il Tribunale afferma che se è vero che il respingimento immediato non implica – di per sé – una privazione dei diritti fondamentali, risolvendosi in una limitazione della libertà di circolazione, «può, tuttavia accadere che, dopo avere ricevuto la notifica del respingimento, lo straniero si trovi a dover permanere, su disposizione della polizia di frontiera, all’interno di appositi locali di attesa della zona di transito del valico di frontiera, fintantoché la compagnia aerea o di navigazione non sia effettivamente pronta ad eseguire il suo trasferimento nello Stato di partenza, rimanendo così bloccato per giorni sotto la costante sorveglianza delle forze di polizia, configurando tale situazione un’ipotesi di privazione di fatto della libertà personale». A tal proposito, merita osservare come non sia solo la illegittima privazione della libertà personale nelle zone di transito ad interferire con diritti soggettivi, perché se così fosse, significherebbe che ove tale privazione non si verificasse – in ragione dell’immediata disponibilità del vettore a ricondurre lo straniero respinto nel Paese di provenienza – la posizione soggettiva del respinto degraderebbe ad interesse legittimo. Così non è, infatti proprio la citata sentenza 15115/201 stabilì che «il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: latto è infatti correlato allaccertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (art. 10, co. 1 e 2, TU) ed allaccertamento negativo della insussistenza dei presupposti per lapplicazione delle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale …». È l’accertamento negativo dei presupposti legittimanti il diritto d’asilo a qualificare in termini di diritto soggettivo la posizione giuridica del respinto alla frontiera, oltre alle numerose violazioni di legge poste a fondamento del ricorso introduttivo e dianzi ricapitolate in sintesi.
La circostanza, tanto eventuale quanto assai ricorrente nella prassi, del trattenimento sine titulo dello straniero respinto nelle zone di transito, è del tutto accessoria rispetto al decreto questorile di respingimento immediato, cionondimeno, la sua illiceità rileva sotto il diverso profilo della privazione di fatto della libertà personale di per sé idonea sia all’azione risarcitoria per fatto illecito, che alla denuncia del rilevante vulnus costituzionale di tale prassi con riferimento all’art. 13 Cost.
 
ESPULSIONI
Espulsione e detenzione carceraria
È legittimo espellere in via amministrativa per soggiorno illegale un cittadino di Paese terzo, coattivamente condotto in Italia a seguito di mandato di arresto europeo, all’atto della sua scarcerazione per fine pena? Di questa interessante questione si è occupata Cass. civ. sez. I, sent. n. 5521/2021, pubblicata in data 1.3.2021 con una decisione innovativa che, come vedremo, va oltre il quesito iniziale.
Il caso di specie riguardava uno straniero che, dopo quattro anni di detenzione in Italia in esecuzione di mandato d’arresto europeo, era stato attinto da decreto prefettizio di espulsione perché illegalmente presente sul territorio nazionale. La I^ sezione civile della Corte suprema, con ordinanza camerale interlocutoria, disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza al fine di valutare l’eventuale incidenza portata da Cass. civ. sez. I, ord. n. 270/2020 su una fattispecie analoga. In effetti, il precedente arresto giurisprudenziale aveva statuito che l’ipotesi di cui all’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98 presuppone «un atto volontario del soggetto interessato che, pur conscio dei suoi doveri, rimane sul territorio nazionale senza formulare tempestiva richiesta di permesso di soggiorno; l’esistenza di tale atto volontario … è tuttavia da escludere se lo straniero si sia forzosamente trattenuto a seguito di provvedimenti restrittivi emessi nei suoi confronti».
Ad avviso di chi scrive è opportuno precisare che il caso in esame è diverso da quello dello straniero che, essendo detenuto in Italia senza esservi stato condotto coattivamente da un altro Paese, omette di chiedere il rilascio/rinnovo del titolo di soggiorno: in tali ipotesi, invero, la giurisprudenza prevalente (pur citata nella sentenza in commento) ritiene che lo stato di detenzione non costituisce causa di forza maggiore, sicché lo straniero detenuto è tenuto a chiedere nei termini di legge il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno tramite la direzione dell’Istituto penitenziario in cui si trova ristretto.
La Corte, tuttavia, osserva che nella ricostruzione offerta dalla citata interpretazione «il fatto che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato abbia, o meno, causa diretta in una coazione esterna si manifesta come causa del tutto accidentale, in se stessa del tutto irrilevante» il che, però «contrasta in modo frontale con l’idea che la richiesta di permesso di soggiorno di poter permanere, cioè, nel territorio italiano risponda ad una scelta propria del richiedente, quale frutto di un suo libero processo di autodeterminazione». A sostegno di tale importante rilievo, la Corte pone l’accento sulla «sfumatura lessicale» del testo dell’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98, laddove la condotta rilevante consiste nel fatto che lo straniero «si è trattenuto» nel territorio dello Stato, «che delinea una prospettiva radicalmente diversa da quella che sarebbe seguita all’adozione di una formula imperniata sul mero fatto oggettivo della permanenza o del trattenimento dello straniero sul territorio italiano». Inoltre, al fine di contrastare l’opinione per cui la detenzione costituisce una circostanza irrilevante ai fini dell’emissione di questa tipologia di espulsione, la Corte acutamente osserva che la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno deve essere inoltrata entro sessanta giorni dalla scadenza del precedente permesso, anche nell’ipotesi in cui la scarcerazione sia prevista per un periodo successivo a tale termine, il che sarebbe, all’evidenza, privo di qualsiasi utilità, posto che la permanenza dello straniero medio tempore è causata da una coazione esterna. Nè sarebbe ragionevole costringere gli stranieri detenuti a presentare richieste di permesso di soggiorno, «ora per allora», a futura memoria.
La conclusione è dirompente: poiché la disposizione di cui all’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98 viene in rilievo dal momento in cui termina la detenzione, consegue che lo straniero possa presentare la richiesta di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno entro i termini normativamente previsti successivi alla cessazione della misura restrittiva e, dunque, che il decreto di espulsione amministrativa possa essere disposto legittimamente una volta decorso inutilmente detto termine. È importate evidenziare la portata innovativa di tale decisione che, a ben vedere, non si limita a considerare l’ipotesi dello straniero che viene condotto forzosamente in Italia al fine di essere detenuto, ma estende il suo raggio applicativo a tutti gli stranieri detenuti privi di titolo di soggiorno o con il permesso in scadenza in pendenza della detenzione, superando così l’orientamento giurisprudenziale maggioritario imperniato sulla irrilevanza della detenzione quale causa di forza maggiore per il mancato rispetto dei termini per il rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno.
 
Espulsione a seguito di riammissione ai sensi del Regolamento UE n. 604/2013
Il Giudice di legittimità non perviene a conclusioni analoghe a quelle del commento che precede, nell’ipotesi di straniero riammesso in Italia da parte delle autorità del Belgio ai sensi del c.d. «Regolamento Dublino», attinto da decreto espulsivo per irregolarità del soggiorno lo stesso giorno della riammissione alla frontiera di Fiumicino.
Parte ricorrente si doleva che il Giudice di pace avesse respinto la sua opposizione ritenendo sussistente l’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 13, co. 2, d.lgs. 286/98 – ingresso illegale, sottraendosi ai controlli di frontiera – nonostante l’espulsione fosse stata disposta ai sensi della lettera b) – trattenimento irregolare nel territorio dello Stato. Cass. civ. sez. I, ord. n. 10413/2021, pubblicata il 20.4.2021, respinge il ricorso rilevando come il giudice del merito avesse in motivazione dato atto che l’interessata avesse in precedenza avanzato domanda di protezione internazionale respinta sia dalla competente Commissione territoriale che in sede giurisdizionale, senza proporre ulteriore gravame, e che il permesso di soggiorno per attesa asilo fosse scaduto da lungo tempo, e, quindi, rilevava come in sostanza la motivazione fosse correttamente incentrata rispetto alla violazione indicata dalla PA nel decreto espulsivo. La questione, in realtà più rilevante, circa la legittimità di un decreto espulsivo adottato contestualmente ad una riammissione forzata da altro Stato membro, senza nemmeno la concessione del termine per il volontario esodo, non è stata oggetto d’impugnazione. Le considerazioni sulla necessaria volontarietà dell’ingresso e del conseguente soggiorno in Italia del richiedente “dublinato” non sono state considerate, nonostante l’ovvia osservazione che il ricorrente non avrebbe potuto fisicamente sottrarsi dallo sbarco all’aeroporto di Fiumicino, in una condizione di obiettiva forza maggiore.
 
Espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno
Il Ministero dell’interno ha impugnato la decisione con la quale un Giudice di pace ha annullato un decreto di espulsione disposto a causa del mancato rinnovo, in termini, del permesso di soggiorno sul presupposto che il mero ritardo nella presentazione dell’istanza non costituisce ragione sufficiente per il suo diniego.
Cass. civ. sez. I, ord. 1496/2021, depositata il 25.1.2021, ha accolto il ricorso sul pacifico presupposto della natura obbligatoria e vincolata del decreto espulsivo che obbliga il giudice a controllare la corrispondenza della fattispecie astratta al caso concreto: nella specie l’omesso rinnovo del permesso di soggiorno, in assenza di cause di giustificazione.
Vero è che la giurisprudenza statuì il principio – tuttora valido – secondo cui «la spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine … non consente l’espulsione automatica dello straniero, la quale potrà essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti … mentre la sua tardiva presentazione potrà costituire solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva in cui versa l’interessato» (Cass. civ. SU, 20.5.2003, n. 7892), tuttavia, tale principio presuppone che la domanda di rinnovo del titolo di soggiorno sia stata, ancorché tardivamente, effettivamente presentata prima dell’adozione del decreto di espulsione.
 
Irrilevanza dei legami familiari nei casi di espulsione disposta per inottemperanza a pregresso ordine di allontanamento
È noto che l’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 prescrive che nel disporre l’espulsione per motivi di ingresso o soggiorno irregolare (ex art. 13, lett. a) e b), d.lgs. 286/98) nei confronti dello straniero che ha esercitato il ricongiungimento familiare, ovvero dello straniero ricongiunto, l’Amministrazione debba tenere conto anche dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine, al fine di bilanciare l’interesse pubblico all’allontanamento dello straniero in posizione di irregolarità amministrativa con le esigenze di tutela dell’unità familiare.
Secondo Cass. civ. sez. I, ord. n. 10414/2021, pubblicata il 20.4.2021, tale bilanciamento non deve essere effettuato nella diversa ipotesi in cui l’espulsione venga disposta – ai sensi dell’art. 14, co. 5-ter, d.lgs. 286/98 – in conseguenza della pregressa inottemperanza, senza giustificato motivo, all’ordine di allontanamento disposto dal questore ai sensi dell’art. 14, co. 5-bis, d.lgs. cit., in occasione di una precedente espulsione, posto che tale bilanciamento non è previsto dall’art. 14, a differenza da quanto preveduto dall’art. 13.
Al di là del dato letterale delle norme citate, pare di capire che la violazione – anche reiterata – di precedenti ordini di allontanamento, giustifichi un trattamento più rigoroso.
L’approdo non pare condivisibile se solo si rammenta la motivazione della sentenza 202/2013 della Corte costituzionale i cui principi, per costante giurisprudenza della Cassazione, si applicano anche all’art. 13, co. 2-bis cit. (ex multis Corte Cass. sent. n. 15362 del 22.7.2015; ord. n. 23957 del 2.10.2018; ord. n. 781 del 15.1.2019) ove si legge che «la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari». Inoltre la Corte rammenta che l’art. 8 CEDU esprime un livello di tutela dei rapporti familiari equivalente alla protezione accordata alla famiglia nel nostro ordinamento costituzionale.
É pertanto auspicabile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, co. 5-ter, d.lgs. 286/98 che imponga il descritto bilanciamento pure nei confronti di chi, anche reiteratamente, si è reso inottemperante a precedenti ordini questorili, proprio in ragione dell’elevata tutela che il diritto all’unità familiare riceve a livello convenzionale e costituzionale.
 
Necessaria corrispondenza tra motivo dell’espulsione e provvedimento del giudice
È annullata la decisione del Giudice di pace che respinge l’impugnazione avverso il decreto prefettizio di espulsione, basando la sua decisione su un motivo di espulsione diverso da quello considerato nel decreto. Nella specie, a fronte di un’espulsione disposta per ingresso illegale, ex art. 13, co. 2, lett. a), d.lgs. 286/98, il Giudice di pace l’ha confermata ritenendo il ricorrente appartenente alle categorie di persone socialmente pericolose richiamate dall’art. 13, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98. Ribadisce tale consolidato principio Cass. civ. sez. I, ord. 9444/2021, pubblicata in data 9.4.2021, con ampio richiamo giurisprudenziale, a riprova della ricorrente perseveranza di tale errore di diritto. Occorre pertanto ribadire che è inibito al Giudice di pace integrare o correggere la motivazione dell’atto opposto.
 
Irrilevanza della mancata presentazione del ricorrente in udienza
É principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione che «Nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione di straniero, proposta nelle forme di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, la mancata comparizione dell’opponente non comporta alcun provvedimento di tipo sanzionatorio sul piano processuale, dovendo, pertanto, in tal caso, il giudice adito, verificata la ritualità degli atti finalizzati a consentire la comparizione stessa, pronunciarsi comunque sul merito della impugnativa proposta» (Cass. n. 20894/2010; Cass. 27392/2006; Cass. n. 6061/2019). Tale principio è stato recentemente riaffermato da Cass. civ., sez.I, ord. n. 1345/2021, pubblicata il 22.1.2021, che ha annullato un’ordinanza di un Giudice di pace che aveva respinto il ricorso, senza entrare nel merito dello stesso, sulla base della mancata comparizione della parte e, quindi, con una motivazione risolventesi in una adesione stereotipata a quella del decreto espulsivo.
 
Sulla competenza delle sezioni specializzate per l’immigrazione a conoscere della legittimità delle espulsioni amministrative disposte in pendenza di procedimenti inerenti il diritto all’unità familiare
L’art. 1, d.l. 241/2004, convertito con modificazioni dalla l. 271/2004, nel prevedere al comma secondo la sostituzione della competenza del Tribunale in composizione monocratica prevista dall’art. 13, co. 8, d.lgs. 286/1998 con quella del Giudice di pace, stabilisce al comma 2-bis che «rimane ferma la competenza del Tribunale in composizione monocratica e del Tribunale per i minorenni ai sensi del comma 6 dell’art. 30 e del comma 3 dell’art. 31 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni», aggiungendo che «in pendenza di un giudizio riguardante le materie sopra citate, i provvedimenti di convalida di cui agli artt. 13 e 14 dello stesso decreto legislativo e l’esame dei relativi ricorsi sono di competenza del Tribunale in composizione monocratica». L’attribuzione di tale competenza, non modificata dal d.lgs. 150/2011, e nemmeno dal decreto Minniti del 2017, è stata più volte confermata dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass, civ, sez. VI, ord. 16075 pubblicata il 14.6.2019; Cass., sez. VI, 13.7.2018, n. 18622; Cass., sez. I, 18.6.2010, n. 14849). Pertanto, provata la pendenza di un giudizio inerente l’art. 31, co. 3, ovvero l’art. 30, co. 6 cit. sussiste la competenza del Tribunale a conoscere della legittimità del decreto espulsivo ed alla convalida dei provvedimenti di trattenimento e accompagnamento.
Ma è competente la sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale in cui ha sede la Corte d’appello?
Secondo logica sì, invece, Cass. civ. sez. VI, ord. 5111/2021, pubblicata il 25.2.2021, evidenzia che l’art. 3, d.l. 13/2017 non ricomprende nell’elenco delle materie di competenza della sezione specializzata le controversie sulle espulsioni di cittadini extraUE, e conseguentemente «in adesione al criterio di collegamento territoriale con il luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione» è competente il Tribunale in cui ha sede la prefettura che ha disposto l’espulsione, a prescindere dall’esistenza della sezione specializzata. Si tratta di una soluzione forse corretta sul piano formale che, tuttavia, non convince perché è in aperta contraddizione con la ratio sottesa alla istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione. È, invero, assai verosimile che il legislatore del 2017, nel definire la competenza per materia delle predette sezioni non abbia considerato il caso in questione, peraltro poco noto in ragione della risalenza nel tempo di questa previsione derogatoria rispetto alla competenza ordinaria dell’Ufficio del Giudice di pace. Ma la questione potrebbe rivelare profili d’interesse anche sotto l’aspetto dell’effettività della tutela giurisdizionale: infatti, lo straniero attinto da un decreto di espulsione in pendenza di una causa in materia di unità familiare, radicata necessariamente presso la sezione specializzata del Tribunale in cui ha sede la Corte d’appello, vedrebbe decisa la controversia relativa all’espulsione da un diverso Tribunale (privo di sezione specializzata) solo sulla base del collegamento territoriale con la sede della prefettura, nella sola ipotesi in cui questa non coincida con la Provincia in cui ha sede la sezione specializzata.
Forse si potrebbe superare questa distonia applicando l’art. 3, co. 3, d.l. 13/17, che attribuisce la competenza delle sezioni specializzate anche per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli per i quali è prevista la competenza per materia di tali sezioni, come, appunto, la materia dell’unità familiare.
 
TRATTENIMENTO
Garanzie processuali e termini massimi di trattenimento del richiedente asilo. Rapporti tra il trattenimento pre-espulsivo e il trattenimento del richiedente asilo
Il 2021 si è aperto con due importanti pronunce della Corte di cassazione, intervenute a chiarire due aspetti delle garanzie processuali del trattenimento del richiedente asilo.
Con la sentenza sez. I 3.2.2021 n. 2457 la Corte ha affermato che, quando il questore disponga il trattenimento del cittadino straniero che abbia già presentato domanda di protezione internazionale, non si applica il disposto dell’art. 6, comma 5, ultimo periodo, del d.lgs. 142/2015, che prevede solo per il caso di richieste di protezione internazionale presentate in corso di trattenimento la durata massima del trattenimento in sessanta giorni, bensì l’art. 14 del d.lgs. 286/1998, al quale l’art. 6 citato rimanda in quanto applicabile, che prevede la durata massima del trattenimento in trenta giorni.
La Corte ha chiarito che anche qualora il trattenimento sia stato inizialmente convalidato per un periodo maggiore di quello consentito dalla legge, la tempestività della richiesta di proroga deve essere valutata in relazione alla scadenza del termine massimo previsto dalla legge e non alla maggior durata inizialmente convalidata per errore; la Corte ha altresì chiarito che tale verifica non è preclusa dalla mancata impugnazione della convalida o della proroga anteriore.
Con sentenza sez. I 3.2.2021 n. 2458 la Corte ha affermato che il trattenimento del cittadino straniero che abbia presentato domanda di protezione internazionale allo scopo di eludere o ritardare l’esecuzione del provvedimento di espulsione è consentito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, co. 6, d.lgs. 142/2015 e 28-bis d.lgs. 25/2008, per un periodo massimo corrispondente al termine entro il quale la domanda di protezione internazionale dev’essere esaminata secondo la procedura accelerata prevista dal citato art. 28-bis. Detto termine coincide, di norma, con quello di 14 giorni dalla presentazione della domanda, previsto dal secondo comma dell’art. 28-bis, a meno che non sussistano ulteriori motivi di trattenimento, ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998 – come previsto dall’art. 6, co. 6, d.lgs. 142/2015 – ovvero ricorra una delle ipotesi previste dall’art. 28-bis, co. 3, d.lgs. 25/2008, che a sua volta rinvia all’art. 27, co. 3 e 3-bis, del medesimo decreto legislativo: si tratta delle ipotesi in cui si renda necessario, per l’esame della domanda di protezione, acquisire nuovi elementi, o valutare questioni complesse in fatto o in diritto, ovvero in presenza di numerose domande presentate simultaneamente o ancora quando il ritardo è imputabile all’inosservanza, da parte del richiedente, degli obblighi di cooperazione che egli è tenuto a rispettare (comma 3); o ancora di «casi eccezionali debitamente motivati» (comma 3-bis).
I rapporti tra i diversi titoli di trattenimento possono porre qualche difficoltà all’interprete. L’art. 6 d.lgs. 142/2015 prevede e disciplina il trattenimento del cittadino straniero richiedente asilo, dedicando solo un inciso all’ipotesi in cui questi assuma tale qualità mentre si trova già trattenuto ad altro titolo e cioè in applicazione dell’art. 14 d.lgs. 286/1998: in tal caso, i termini previsti dal citato art. 14 sono sospesi e riprendono a decorrere quando venga meno la qualità di richiedente asilo, presupposto per il trattenimento ex art. 6 d.lgs. 142/2015. La qualità di richiedente asilo permane fino alla decisione definitiva sulla domanda di protezione internazionale. Si segnala in proposito il provvedimento del  Tribunale di Roma del 14.4.2021 che, rilevato come la domanda fosse stata rigettata e il cittadino straniero non avesse proposto ricorso, perdendo così la qualità di richiedente asilo, ha dichiarato la immediata cessazione del trattenimento. Nel caso di specie, il cittadino straniero aveva presentato domanda di protezione internazionale mentre era già trattenuto ad altro titolo; i termini del trattenimento preespulsivo si erano quindi sospesi, e avevano ripreso a decorrere quando era venuta meno la qualità di richiedente asilo; il questore tuttavia non aveva chiesto la proroga del trattenimento preespulsivo e pertanto anche questo era divenuto illegittimo.
Nel diverso caso in cui il richiedente asilo abbia proposto ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 35-bis, comma 3, del d.lgs. 25/2008, l’efficacia del provvedimento impugnato non è sospesa per la sola proposizione del ricorso, ma può essere sospesa su istanza di parte dal Tribunale che decide entro il termine ordinatorio di cinque giorni. Un interessante provvedimento del  Tribunale di Trieste del 16.3.2021 afferma che la disposizione dell’art. 6, co. 6, d.lgs. 142/2015 – ai sensi del quale il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda ed eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano la proroga del trattenimento, salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 268/1998 – va interpretata estensivamente anche alla fase giurisdizionale della domanda venendo in questione la limitazione della libertà personale di una persona, e pertanto non ha concesso la proroga del trattenimento essendo decorsi settantasette giorni dal deposito del ricorso senza che fosse stata assunta la decisione inaudita altera parte sull’istanza di sospensiva.
Analogamente, lo stesso  Tribunale di Trieste con provvedimento del 7.4.2021 non ha autorizzato la proroga del trattenimento di un richiedente asilo che aveva proposto ricorso e ottenuto la sospensione del provvedimento della Commissione territoriale; il Tribunale ha rilevato che l’udienza per l’audizione era stata fissata a distanza di circa otto mesi e ha ritenuto che tale ritardo, non imputabile al ricorrente, non consentisse la proroga del trattenimento.
Di segno diverso sono invece i provvedimenti del  Tribunale di Bari del 13.1.2021 e del Tribunale di Torino del 29.3.2021 , che hanno autorizzato la proroga, in pendenza di ricorso per la protezione internazionale, espressamente escludendo che la disposizione di cui all’art. 6, co. 6, d.lgs. 142/2015 possa applicarsi al procedimento giurisdizionale.
Il provvedimento di Bari si segnala, altresì, perché afferma che, nell’ipotesi in cui il cittadino straniero presenti domanda di protezione internazionale mentre è già trattenuto in esecuzione di un decreto di espulsione e il questore disponga il trattenimento ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, la intervenuta sospensione del provvedimento di espulsione non spiega effetti sul trattenimento disposto per l’esame della domanda di protezione. Analogo principio è affermato dal  Tribunale di Roma con provvedimento dell’11.6.2021 secondo cui la sospensione del decreto di espulsione è superata dal decreto del Tribunale che rigetta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento di diniego della protezione internazionale. Soluzione esattamente opposta è adottata dallo stesso  Tribunale di Roma con decreto 26.5.2021 e dal  Tribunale di Lecce con decisione dell’11.3.2021 che affermano non esservi ragione di prorogare un trattenimento di cui non vi sono più le condizioni previste dalla legge.
Il Tribunale di Roma, infine, con decreto del 31.5.2021 , ha espressamente escluso di poter valutare la legittimità del provvedimento di convalida del trattenimento emesso dal Giudice di pace, presupposto del trattenimento in seguito disposto dal questore ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015 e convalidato dal Tribunale. La decisione si segnala, peraltro, perché convalida il trattenimento solo per il tempo (individuato in 14 giorni) necessario a effettuare gli accertamenti medici e psicologici necessari a verificare la condizione di vulnerabilità del richiedente e la compatibilità con il regime di trattenimento, onde consentirne la successiva valutazione da parte del giudice.
Il citato provvedimento del Tribunale di Torino del 29.3.2021 , poi, ha rigettato l’eccezione formulata dal difensore del cittadino straniero trattenuto in relazione alla mancata partecipazione dell’interessato all’udienza, di persona o mediante collegamento audiovisivo; il Tribunale ha ritenuto valida e sufficiente l’allegazione, da parte della questura, della impossibilità tecnica di condurre il trattenuto in udienza, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, e della impossibilità di svolgimento dell’udienza presso il Centro di permanenza per i rimpatri, sia in presenza sia avvalendosi dell’impianto audiovisivo, a causa del provvedimento del prefetto che ha dichiarato lo stato di quarantena dei moduli abitativi del CPR. Il Tribunale ha comunque escluso la sussistenza di qualsivoglia nullità, affermando che la difesa, pur avendo eccepito la mancata traduzione del trattenuto, non aveva esplicitato le motivazioni per cui la presenza sarebbe stata necessaria e decisiva.
 
Garanzie processuali e termini per il trattenimento pre-espulsivo
Partecipazione del trattenuto all’udienza
La partecipazione dell’interessato all’udienza di convalida o di proroga del trattenimento trova spesso spazio nelle decisioni della Corte di cassazione. Da ultimo, con sentenza sez. I del 1.3.2021 n. 5520 la Corte ha ribadito che le garanzie del contraddittorio previste dall’art. 14, co. 4, d.lgs. 286/1998 (applicabili anche alla convalida e alla proroga del trattenimento disposto ex art. 6 d.lgs. 142/2015) impongono la partecipazione dell’interessato all’udienza, senza che sia necessaria apposita richiesta in tal senso. La Corte ha però precisato che la mancata traduzione del trattenuto all’udienza determina una nullità relativa, che deve essere tempestivamente eccepita dalla parte e non può essere denunciata per la prima volta nel ricorso per Cassazione.
 
Diritto alla comprensione degli atti e all’interprete
Con tre distinte ordinanze della sez. I del 9.4.2021 (n. 9438, n. 9439, n. 9448) la Corte di cassazione esclude la violazione del diritto alla traduzione e all’interprete, rilevando che in un caso il giudice della convalida aveva dato atto che il cittadino straniero trattenuto comprendeva la lingua italiana, in un altro caso che era presente un interprete, e nel terzo caso che l’interessato, pur non risultando che comprendesse la lingua italiana, avrebbe reso dichiarazioni e spiegato le proprie difese.
 
Termini
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. III 31.5.2021 n. 15058, ha dato séguito al proprio orientamento secondo il quale, in materia di convalida del provvedimento di accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera a seguito di decreto di espulsione adottato dal prefetto, il termine di quarantotto ore dalla comunicazione del provvedimento in cancelleria entro il quale il giudice di pace deve provvedere ai sensi dell’art. 13, co. 5-bis, d.lgs. 286/1998 è rispettato se, entro tale termine, venga fissata e abbia concreto inizio l’udienza di convalida, sempreché la decisione, ancorché adottata successivamente, sia intervenuta a conclusione dell’udienza senza soluzione di continuità. La Corte ha ribadito che il principio si applica a tutti i procedimenti di convalida dei provvedimenti esecutivi dell’espulsione, identica essendo la ratio legis: la compiuta decorrenza del termine fissato, infatti, deve essere riferita all’orario di inizio del procedimento di convalida e non all’orario di emissione del provvedimento (sempre che non siano disposti rinvii ad altra data) in quanto una diversa interpretazione affiderebbe alla condotta dell’interessato la possibilità di ritardare surrettiziamente la pronuncia e di ottenere un annullamento del provvedimento restrittivo.
È invece irrilevante che la richiesta di proroga sia inoltrata alcuni giorni prima della scadenza del periodo di trattenimento già convalidato (così Cass. ord. sez. III del 18.5.2021 n. 13282).
 
Motivazione
Il provvedimento di convalida dell’accompagnamento alla frontiera deve recare una motivazione idonea a dar conto delle ragioni che impongono una limitazione delle libertà personale. La Corte di cassazione ribadisce, con ordinanza sez. I del 9.4.2021 n. 9435, che non è idonea la motivazione, sostanzialmente tautologica, quando il Giudice di pace si limiti a compilare un modulo prestampato in cui dichiara sussistenti i presupposti della convalida, senza confrontarsi con le specifiche eccezioni e doglianze addotte dalla difesa del cittadino straniero.
La motivazione standardizzata, che non risponde in alcun modo, e dunque omette di pronunciare, su quanto dedotto dalla difesa in sede di proroga del trattenimento, è cassata anche da Cass. ord. sez. I 9.4.2021 n. 9440.
Apodittico, contraddittorio e quindi nullo è stato dichiarato un decreto del tutto privo dell’indicazione delle ragioni per le quali poteva essere prorogato per la quarta volta un periodo di trattenimento in attesa delle condizioni per l’espatrio: la motivazione consisteva nell’apposizione di due «crocette» su un modulo prestampato con cui il Giudice di pace si limitava ad affermare la sussistenza dei presupposti della convalida, riferita oltretutto ad un periodo di proroga dapprima indicato in «ulteriori 30 giorni» e, nello spazio immediatamente successivo, «di ulteriori 15 giorni». La Corte ha rilevato l’assenza di un percorso argomentativo volto a motivare le ragioni della misura prevista che consiste nella limitazione della libertà personale, imposta senza una comprensibile motivazione e per una durata incerta, e ha cassato il provvedimento (ordinanze sez. III del 17.5.2021 n. 13172, n. 13174; nello stesso senso ord. sez. III del 18.5.2021 n. 13294).
D’altro canto, la Corte ha ritenuto legittimo il decreto di proroga del trattenimento adottato facendo ricorso a un format di decisione predisposto in via informatica, a condizione che esso sia integrabile con l’inserimento di tutti i dati che consentano di identificare il caso concretamente sottoposto all’attenzione del giudice e di inserire una motivazione relativa al caso concreto (ordinanza sez. III del 18.5.2021 n. 13282).
Con particolare riferimento alla proroga, la Corte di cassazione ha ribadito che la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio (ordinanze sez. III del 20.5.2021 n. 13921, n. 13922, n. 13923; ordinanze sez. III del 26.5.2021 n. 14705 e n. 14707).
Ancora, la proroga non può essere autorizzzata sulla base della mera affermazione del questore che sia in corso l’identificazione del cittadino straniero, senza indicazione di elementi che facciano ritenere che si arriverà alla identificazione dell’interessato e senza che la concretezza di tali elementi sia valutata dal Giudice di pace (Cass. ord. sez. III del 27.5.2021 n. 14842).
L’onere di allegazione, di prova e di motivazione è maggiore in relazione alle proroghe successive alla prima, poiché la disciplina posta dall’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/1998 prevede presupposti diversi e più stringenti rispetto a quelli sottostanti alla prima proroga, non essendo sufficiente, come per la prima, la sussistenza di gravi difficoltà per l’accertamento dell’identità del trattenuto o per l’acquisizione di documenti per il viaggio, ma essendo necessario, per converso, che siano emersi elementi concreti che consentano di ritenere probabile l’identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio, con un conseguente onere motivazionale inerente alla specificità dei presupposti di legge (Cass. ord. sez. I del 4.6.2021 n. 15647; Cass. ord. sez. II del 22.1.2021 n. 1322).
Analogamente è stata dichiarata l’illegittimità della quinta proroga autorizzata senza verificare – al di là dell’intercorso colloquio dello straniero con un funzionario dell’Ambasciata del proprio Paese – quali elementi concreti sussistessero al fine di ritenere «probabile» (ex art. 14, co. 5, d.lgs. 286/1998) l’identificazione dell’interessato (Cass. ord. sez. L 7.1.2021 n. 82).
Idonea è stata invece ritenuta la motivazione del provvedimento che dava conto delle ragioni per le quali la richiesta di proroga del trattenimento doveva essere convalidata, affermando che esse erano desumibili dall’attività di sollecito posta in essere dalla questura nei confronti dell’Ambasciata del Paese di origine esibita dal delegato della questura (Cass. ord. sez. III del 31.5.2021 n. 15062).
Anche la necessità di verificare la sospensione dei voli tra l’Italia e il Paese di origine, da quest’ultimo disposta, è stata ritenuta idonea motivazione per la proroga del trattenimento da Cass. ord. sez. I del 9.4.2021 n. 9446.
 
Divieti di espulsione, provvedimento presupposto e doppia tutela
Non è idonea a giustificare la caducazione del decreto di espulsione, e quindi neanche a impedire la convalida del conseguente accompagnamento alla frontiera o del trattenimento, la sopravvenuta presentazione della richiesta di autorizzazione al soggiorno ex art. 31, co. 3, d.lgs. 286/1998. A maggior ragione, afferma la Corte nell’ordinanza sez. I del 9.4.2021 n. 9445, la convalida del trattenimento non può essere rifiutata quando la richiesta di autorizzazione al soggiorno non sia stata neanche presentata.
La convivenza con figli di nazionalità italiana, che impedisce l’espulsione al di fuori delle ipotesi di pericolosità del cittadino straniero di cui all’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/1998, costituisce oggetto di valutazione nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione, ma secondo Cass. ord. sez. III del 18.5.2021 n. 13282 non è apprezzabile nel giudizio di convalida del trattenimento, che ha «l’ambito limitato di verificare la legittimità del trattenimento, che si traduce in una compressione, per un numero limitato di giorni (sette, in questo caso), della libertà personale del ricorrente». La pronuncia riprende il concetto della «doppia tutela» elaborato dalla giurisprudenza, che distingue gli ambiti di cognizione del giudizio sulla convalida e dell’eventuale giudizio di opposizione all’espulsione, ma sembra non tener conto del principio affermato a partire dal 2014 con l’ordinanza n. 17407 secondo cui il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di convalida del trattenimento del cittadino straniero non deve essere limitato alla verifica delle condizioni giustificative dell’adozione della misura indicate nell’art. 13, co. 4-bis, e 14, co. 1, d.lgs. 286/1998, ma deve essere esteso oltre che all’esistenza ed efficacia del provvedimento espulsivo anche alla verifica della sussistenza di condizioni di manifesta illegittimità del medesimo, in quanto indefettibile presupposto della disposta privazione della libertà personale.
 
Misure alternative al trattenimento
Il potere di esecuzione del decreto di espulsione non si consuma con un solo atto, sicché qualora il questore disponga il trattenimento e questo non sia convalidato può tuttavia disporre le misure alternative previste dall’art. 14, co. 1-bis, d.lgs. 286/1998 (Cass. ord. sez. II del 30.3.2021 n. 8799).
Non vi è lesione del diritto di difesa nel caso in cui l’avviso dell’udienza di convalida delle misure alternative non venga comunicato al difensore di fiducia, nominato in un momento successivo alla fissazione dell’udienza, purché dell’incombente si sia data notizia al difensore d’ufficio tempestivamente nominato (Cass sez. I ord. 8.2.2021 n. 2924).
 
Riesame
L’istituto del riesame del trattenimento o della sua proroga trova immediata applicazione, pur in assenza di apposita disciplina nazionale, per effetto dell’art. 15 della Direttiva 2008/115/CE; la richiesta di riesame può essere introdotta, in ogni tempo, nelle forme del rito camerale ex art. 737 c.p.c., e il Giudice di pace deve fissare udienza di comparizione delle parti, a meno che, con provvedimento adeguatamente motivato, dia atto della superfluità dell’incombente, alla luce dell’istruttoria già compiuta, e conceda alle parti un termine per il deposito di memorie scritte, onde consentire alle stesse la piena esplicazione del contraddittorio (Cass. sent. sez. I 3.2.2021 n. 2459).
 
Legittimazione passiva
La Corte ribadisce che la legittimazione passiva nel ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di convalida del trattenimento spetta al Ministero dell’interno e non al prefetto (Cass sez. I ord. del 9.4.2021 n. 9438; Cass sez. I ord. del 9.4.2021 n. 9439) e il ricorso deve essere notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato (Cass sez. I ord. 10.5.2021 n. 12317; Cass sez. I ord. 4.6.2021 n. 15647).
La notifica alla controparte, se nulla, può essere rinnovata. Se la notifica è invece inesistente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. sez. L ord. 3.3.2021 n. 5827).
 
Comunicazione dell’ordinanza
Il termine di tre giorni previsto dall’art. 176 c.p.c. per la comunicazione dell’ordinanza emessa fuori udienza è ordinatorio, quindi non è affetta da nullità l’ordinanza di convalida del trattenimento comunicata oltre tale termine (Cass. sez. I ord. 21.5.2021 n. 14061).
 
Libertà di corrispondenza e di comunicazione
Segnaliamo un interessante provvedimento del  Tribunale di Milano del 23.2.2021 che ha ordinato alla prefettura, alla questura e all’ente gestore del locale CPR di consentire a un cittadino straniero ivi trattenuto la detenzione e l’uso del telefono cellulare di sua proprietà, nei limiti e secondo le modalità stabilite dall’art. 7 del regolamento ministeriale del 20.10.2014.
 
Risarcimento per illegittimo trattenimento
La  Corte d’appello di Roma, con sentenza sez. I del 2.4.2021 n. 2454, ha accolto la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da un cittadino straniero, trattenuto in esecuzione di un decreto di espulsione in seguito annullato dal Giudice di pace; del pari erano stati annullati dalla Corte di cassazione i provvedimenti di convalida e di proroga del trattenimento. La Corte ha ravvisato la colpa in re ipsa dell’Amministrazione e ha determinato il danno non patrimoniale, patito dal cittadino straniero illegittimamente trattenuto dall’appellante per l’ingiusta privazione della libertà personale, liquidato in via equitativa in misura pressoché equivalente rispetto a quella configurabile in caso di ingiusta detenzione.

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