Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

Stampa
ESPULSIONI
Misure alternative al trattenimento
Nel fascicolo n. 3/2018 avevamo dato atto che la Corte di cassazione – con due ordinanze interlocutorie del 7.9.2018 – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, co. 1-bis, d.lgs. 286/98, che disciplina le misure alternative al trattenimento, disposte dal questore nei confronti di straniero espellendo titolare di passaporto in corso di validità, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida della misura dell’obbligo di presentazione agli uffici di pubblica sicurezza in determinati giorni si svolga in udienza,
con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato, per preteso contrasto con gli artt. 13 e 24, co. 2, Cost. La questione è ora stata decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 280/19 pubblicata lo scorso 20 dicembre, che ha dichiarato l’infondatezza delle questioni. Riservando al prossimo numero un commento articolato della decisione, ci limitiamo ora ad una rapida disamina.
Punto di partenza dei dubbi di costituzionalità è la considerazione che l’obbligo di presentazione periodica agli uffici di polizia, in quanto misura restrittiva della libertà personale, soggiace alle garanzie di cui all’art. 13 Cost., e, quindi, il remittente dubitava che la riserva di giurisdizione potesse ritenersi soddisfatta dalla convalida meramente cartolare che l’art. 14, co. 1-bis, d.lgs. 286/98 prevede, senza necessaria celebrazione di udienza alla presenza del difensore. La Consulta richiama la propria sentenza n. 144/1997 (avente ad oggetto la legittimità dell’obbligo di presentazione agli uffici di polizia disposto dal questore nei confronti di persone resesi responsabili di comportamenti violenti in occasione di manifestazioni sportive) che, pur riconoscendo l’incidenza sulla libertà personale di tale misura, tuttavia osservava come il diritto di difesa potesse essere garantito da una pluralità di discipline, in considerazione della varietà dei contesti, derivante dalla diversa incidenza della misura sul bene protetto. Così come con la pronuncia citata la Corte rilevò come le garanzie di cui agli artt. 13 e 24 Cost. fossero sufficientemente tutelate, stante la possibilità da parte dell’interessato di presentare memorie od osservazioni al giudice della convalida, personalmente o tramite difensore, analogamente deve essere ritenuta sufficiente la convalida meramente cartolare prevista dalla norma ora sospettata d’incostituzionalità. Inoltre, la Corte rileva la limitata incidenza sulla libertà personale dell’obbligo di presentazione alla pubblica sicurezza (a differenza del fermo o dell’arresto) e, parallelamente, osserva come la convalida abbia ad oggetto solo l’esistenza e validità del decreto espulsivo e la sua eventuale manifesta illegittimità, sicché non sono violati i parametri indicati dal remittente. Quanto alla specificità del destinatario della misura – lo straniero – e le prevedibili difficoltà linguistiche, culturali e sociali che possono ostacolare le sue capacità di difesa, si ritengono sufficienti gli obblighi informativi previsti all’art. 3, co. 3 e 4, d.p.r. 394/99 inerenti l’assistenza linguistica attuata dall’obbligo di traduzione dell’atto in lingua conosciuta dal destinatario, e la garanzia dell’assistenza legale, fiduciaria o officiosa. Tuttavia la Corte conclude per l’infondatezza delle questioni «sulla base dei soli parametri evocati nell’ordinanza di rimessione (artt. 3 e 24 Cost.), che definiscono il perimetro dell’odierna questione di legittimità costituzionale», il che lascia intuire che possono astrattamente essere esaminate questioni basate su altri parametri; e nell’ultimo paragrafo, precisa che le garanzie di informazione previste dalla disciplina sussistono «naturalmente a condizione che all’avviso si accompagni la comunicazione da parte delle questure, con modalità effettivamente comprensibili per l’interessato (eventualmente anche grazie all’intervento dei mediatori culturali, sulla cui normale presenza presso le questure insiste la stessa Avvocatura generale dello Stato), dei recapiti dei difensori d’ufficio ai quali in concreto rivolgersi nell’ipotesi in cui egli intenda esercitare il proprio diritto a presentare memorie o deduzioni al Giudice di pace, anche in relazione alla possibile manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione o alla sussistenza di ragioni ostative, ancorché sopravvenute, all’esecuzione del provvedimento medesimo; sì da assicurare piena effettività al diritto alla difesa tecnica, che l’art. 3, co. 4, del d.p.r. n. 394 del 1999 riconosce allo straniero sottoposto alle misure di cui alla disposizione censurata». Ed è proprio su tali conclusioni che ci ripromettiamo di intervenire prossimamente.

 

Espulsioni ministeriali
Il Tar Lazio, sez. I-ter , con sentenza pubblicata il 13.12.2019, ha ribadito la legittimità di un provvedimento di espulsione, con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica, disposto dal Ministro dell’interno per motivi attinenti all’ordine pubblico ed alla sicurezza dello Stato, nei confronti di un giovane pakistano. Costui aveva postato sui social network un video con cui sparava con un kalashnikov (fatto risalente ad anni addietro) in Pakistan in occasione di un festeggiamento matrimoniale, a suo dire secondo il costume locale, ed era stato indagato per addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies c.p.) per avere pubblicato su Facebook diverse fotografie che lo ritraevano mentre impugnava armi, procedimento concluso con sentenza di non luogo a procedere. A fronte delle censure di genericità della motivazione del provvedimento espulsivo sollevata dal ricorrente, i giudici hanno ribadito che le espulsioni ministeriali e per motivi di prevenzione del terrorismo, anche internazionale, costituiscono espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa, come si evince dal carattere estremamente generico dei requisiti legittimanti previsti dalla legge (art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98 e art. 3, d.l. 144/2005), essendo sufficiente la sussistenza di fondati motivi per ritenere che la permanenza in Italia dello straniero possa costituire un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, senza che sia necessario appurarlo con assoluta certezza. Nella materia in esame, concludono i giudici amministrativi, la tutela della via privata e familiare (art. 8 CEDU) non è incondizionata, essendone consentita l’ingerenza – se prevista dalla legge – quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale (art. 2 CEDU).

 

Ricorso avverso decreto di allontanamento cittadini dell’Unione europea: legittimazione passiva del Ministero dell’interno
Ricorre per cassazione l’Amministrazione dell’interno contro una sentenza di una Corte territoriale che aveva respinto il gravame ritenendo che la legittimazione passiva in materia di allontanamento di cittadini comunitari spettasse al prefetto. La Corte di cassazione, sez. I civ., con ordinanza n. 269 pubblicata il 9.1.2020, afferma il principio di diritto secondo cui «gli artt. 22 d.lgs. n. 30/2007 e 17 d.lgs. n. 150/2011, con riguardo al ricorso avverso il provvedimento di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per i motivi di cui all’art. 21 del cit. d.lgs. n. 30/2007, adottato contro cittadini dell’Unione europea o i loro familiari, non prevedono una speciale legittimazione passiva del prefetto, la quale non può essere ricavata per analogia dalla previsione, di natura eccezionale, contenuta nell’art. 18 d.lgs. n. 150/2011 in relazione al procedimento di opposizione all’espulsione; conseguentemente, tale ricorso va proposto contro il Ministero dell’interno in persona del Ministro, unico legittimato passivo, cui l’atto introduttivo deve essere notificato ex art. 11, co. 1, r.d. n. 1611/1933 presso l’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede il Tribunale avanti al quale è portata la causa».

 

Espulsione amministrativa per soggiorno illegale: volontarietà del soggiorno
Non può essere disposta l’espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98 all’atto della scarcerazione di uno straniero che abbia fatto ingresso in Italia in forza di mandato d’arresto europeo. È quanto ha deciso Cass. civ. sez. I, ord. n. 270/2020, pubblicata il 9.1.2020. Invero, la fattispecie espulsiva consistente nell’essersi lo straniero trattenuto in Italia senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto (otto giorni lavorativi dall’ingresso), presuppone un atto volontario della persona che, pur conscia dei suoi doveri, tenga la condotta omissiva prevista dalla legge. Tale situazione non si registra, invece, se lo straniero si sia forzosamente trattenuto a seguito di provvedimenti restrittivi emessi nei suoi confronti. Occorre allora domandarsi come si possa conciliare detto principio con la previsione dell’obbligo di chiedere il permesso di soggiorno nei termini indicati, salvo i casi di forza maggiore, che, per costante giurisprudenza della Corte, non è integrata dalla condizione di detenuto. L’elemento differenziale parrebbe consistere nel fatto che, nel caso in esame, lo straniero non ha fatto ingresso in Italia volontariamente, bensì in forza di mandato d’arresto europeo, e tanto meno si è trattenuto volontariamente; mentre può essere legittimamente espulso all’atto della scarcerazione colui che, essendo già in Italia prima della detenzione, abbia omesso di chiedere il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno in pendenza di carcerazione. È l’ingresso coattivo in Italia che determina l’involontarietà del soggiorno coatto.

 

Espulsione e condizioni di salute
Un Giudice di pace aveva respinto il ricorso (corredato da qualificate fonti internazionali) proposto avverso l’espulsione motivato sulla base delle precarie condizioni salute dello straniero, sul presupposto che la patologia psichiatrica allegata fosse temporanea e che il suo Paese di provenienza (nella specie il Marocco) dovesse considerarsi evoluto ed idoneo, con le sue strutture, a curare la patologia da cui era affetto lo straniero. Il decreto è stato annullato con rinvio dalla Cassazione (Cass. civ. sez. I, ord. n.272/2020, pubblicata il 9.1.2020) per non avere il giudice del merito motivato la ritenuta infondatezza di quanto allegato, limitandosi ad affermazioni apodittiche.

 

Espulsione e protezione internazionale: espulsione e divieto di refoulement: obblighi del giudice
A seguito di un ricorso avverso un’espulsione amministrativa in cui si deduceva la sussistenza di condizioni ostative derivanti dal timore di persecuzione, in ragione del proprio orientamento sessuale, nel Paese di origine dello straniero, il Giudice di pace lo respingeva in applicazione del principio di diritto per cui l’espulsione è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicché al giudice ordinario è consentito solo valutare l’esistenza e la validità del decreto di espulsione.
Di diverso avviso è stata la Corte di cassazione che, con ordinanza Cass. civ., sez. I, n. 33166, pubblicata il 16.12.2019, ha richiamato il proprio orientamento precisando che in caso di diniego della protezione internazionale, l’opposizione all’espulsione fondata sul divieto di refoulment deve fondarsi su nuove o diverse ragioni rispetto a quelle oggetto del procedimento di protezione che il giudice deve valutare sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Accertamento doveroso – anche in sede di opposizione all’espulsione – perché l’obbligo di cooperazione istruttoria grava anche sul Giudice di pace, al pari di quello della protezione internazionale. Consegue che il Giudice di pace, in sede di opposizione all’espulsione, deve pronunciarsi sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di essere sottoposto a persecuzione o trattamenti disumani e degradanti.
Nello stesso senso si veda altresì Cass. civ. sez. I, ord. n. 32344, pubblicata l’11.12.2019, in cui si precisa che l’accertamento che compete al Giudice di pace, in attuazione del principio di non refoulement, non è subordinato alla avvenuta formalizzazione della domanda di protezione internazionale, né alla volontà di avvalersi di tale misura.

 

Segue: Domanda di protezione internazionale presentata dopo l’adozione di decreto espulsivo
Con articolata ed esaustiva motivazione, la Cassazione si interroga sulle conseguenze di una domanda di protezione internazionale presentata successivamente all’adozione di un decreto espulsivo motivato sulla base della pericolosità sociale dello straniero (Cass. civ., sez. I, sent. 27077, pubblicata il 23.10.2019). In primo luogo, la Corte nega l’esistenza di connessione tra la causa conseguente all’impugnazione dell’espulsione e quella instaurata a seguito del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, richiamando il suo consolidato orientamento secondo cui se lo straniero, dopo essere stato raggiunto da un decreto di espulsione, presenti domanda di riconoscimento della protezione internazionale, sul giudice chiamato a decidere della legittimità dell’espulsione non incombe alcun obbligo di sospendere il relativo giudizio ex art. 295 c.p.c. (sospensione necessaria) stante l’assenza di un rapporto di pregiudizialità tra le due situazioni. Il che, ovviamente, non significa che lo stesso giudice possa (ma non debba obbligatoriamente) disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto espulsivo e rinviare la causa all’esito del giudizio sulla domanda di protezione. In secondo luogo, la Corte affronta la questione relativa all’ambito di operatività dell’art. 7, d.lgs. 25/2008, a mente del quale il richiedente è autorizzato a restare nel territorio dello Stato sino alla decisione della Commissione territoriale, in caso di espulsione disposta prima della domanda di protezione, che rappresenta il “cuore” della questione. Indubbiamente, il diritto del richiedente asilo a restare nel territorio dello Stato sino all’esito – amministrativo o giudiziale, a seconda che la domanda sia stata proposto prima o dopo la c.d. riforma Minniti – della richiesta, configge con l’obbligo dello Stato di allontanare gli stranieri irregolare, a maggior ragione se ritenuti pericolosi. Trattasi di obblighi vincolanti, di derivazione eurounitaria: art. 9, co. 1, dir. 2013/32/UE, quanto al primo e art. 6, co. 1, dir. 2008/115/UE, quanto al secondo. Tale apparente antinomia è stata risolta dalla giurisprudenza della CGUE nei seguenti termini, riassunti nella motivazione della sentenza in esame:
- il richiedente protezione non può essere considerato irregolarmente soggiornante fino all’esito della relativa procedura (CGUE, 30.5.2013, Arslan nella causa C-534/11);
- lo stesso richiedente, se non può essere espulso, può nondimeno essere trattenuto in appositi Centri, in presenza di esigenze cautelari previste dalla legge, previa valutazione caso per caso (CGUE, 30.5.2013, Arslan nella causa C-534/11);
- la proposizione di una domanda di protezione dopo che il richiedente si stato raggiunto da un procedimento espulsivo, non determina la sua caducazione, ma solo la sua ineseguibilità, sino alla conclusione della procedura (CGUE, 15.2.2016, J.N. nella causa C-601/15);
- a seguito del rigetto della domanda di protezione, il decreto espulsivo riacquista l’efficacia temporaneamente sospesa e la procedura di espulsione riprende il suo corso (CGUE, 15.2.2016, J.N. nella causa C-601/15).
In definitiva, la presentazione di una domanda di protezione internazionale proposta dopo l’adozione e la notificazione di un decreto espulsivo non determina la nullità di quest’ultimo, ma solo ne impedisce temporaneamente l’eseguibilità, mentre, invece, l’accoglimento della domanda comporta l’annullamento – giudiziale o in autotutela – del decreto di espulsione.

 

Segue: Espulsione disposta in pendenza del termine per impugnare il diniego della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza
Negli ultimi tempi si registrano numerosi provvedimenti di espulsione adottati e notificati contestualmente alla notifica di provvedimenti di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28-ter, d.lgs. 25/2008 (disposizione introdotta con il d.l. 113/2018, convertito, con modificazioni, nella l. 132/2018) o, comunque, in pendenza del termine per impugnare. Di seguito diamo atto dei primi orientamenti giurisprudenziali di legittimità e di merito.
A soli tredici giorni dalla notificazione del rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, il richiedente veniva fatto oggetto di decreto espulsivo che tempestivamente impugnava al competente Giudice di pace il quale rigettava il ricorso, nonostante non fosse ancora spirato il termine di 15 giorni per proporre ricorso giurisdizionale avverso la decisione negativa della commissione territoriale. La Corte di cassazione (Cass. civ. sez. I, ord. n. 32958, pubblicata il 13.12.2019), decidendo nel merito, ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Giudice di pace, specificando come l’art. 32, co. 4, d.lgs. 25/2008 preveda che il rigetto della domanda di protezione per manifesta infondatezza, comporti – alla scadenza del termine – l’obbligo, per il richiedente, di lasciare il territorio nazionale, richiamando precedente ordinanza della stessa sezione.
Stupisce che, a fronte di una disposizione così semplice, l’Amministrazione emetta provvedimenti così macroscopicamente illegittimi. Tuttavia, lo stupore viene meno se si considera che provvedimenti espulsivi sono stati notificati – addirittura contestualmente alla notifica del rigetto per manifesta infondatezza – nei confronti di migranti sbarcati a Lampedusa (come nei casi di seguito indicati), ragion per cui sorge spontaneo il dubbio che si tratti di prassi consapevolmente poste in essere al fine di allontanare prima possibile costoro, confidando che la gran parte non ricorre ad un giudice. Una sorte di “snellimento delle procedure” nei confronti di cittadini tunisini, appartenenti a Paesi di origine sicura.
E così, con due ordinanze “gemelle” emesse da due diversi Giudici di pace di Agrigento, sono stati annullati due decreti espulsivi adottati e notificati dalla locale prefettura nei confronti di due cittadini tunisini nella stessa data: il 2.11.20219, contestualmente alla notifica del rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza. In questi casi i giudici hanno applicato correttamente il disposto di cui all’art. 32, co. 4, d.lgs. 25/2008, conformemente al citato insegnamento della Cassazione.

 

Profili procedurali
È cassato con rinvio il provvedimento del Giudice di pace che, dopo avere disposto il rinvio dell’udienza di trattazione di un ricorso avverso un decreto espulsivo, in accoglimento dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore del ricorrente, ha preso a decisione la causa senza accertarsi che la Cancelleria avesse avvisato le parti della data dell’udienza di rinvio (Cass. civ. sez. I, ord. n. 33508, pubblicata il 17.12.2019).
È cassato senza rinvio il provvedimento del Giudice di pace (con annullamento nel merito del decreto espulsivo) che non ha rilevato la nullità del provvedimento amministrativo di espulsione per omessa traduzione nella lingua conosciuta dal destinatario, e nemmeno ha sindacato la sostenibilità dell’affermazione della P.A. di essere impossibilitata a tradurre l’atto ricorrendo così alla traduzione in lingua veicolare (Cass. civ. sez. VI, ord. n. 65, pubblicata il 7.1.2020).

 

TRATTENIMENTO
Diritto al contraddittorio nell’udienza di convalida e di proroga del trattenimento
La Corte di cassazione, con due ordinanze della I sezione civile, n. 26837/2019 e n. 26838/2019, entrambe depositate il 21.10.2019, e con la successiva ordinanza n. 32342/2019 depositata l’11.12.2019, ha ribadito che al procedimento giurisdizionale di decisione sulla proroga del trattenimento dello straniero nel Centro di identificazione ed espulsione ai sensi degli artt. 21, co. 2, e 28, co. 2, del d.lgs. n. 25 del 2008 si applicano le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato, previste dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 cui rinvia l’art. 21 cit. per il procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento, senza che sia necessaria una richiesta dell’interessato di essere sentito.

 

Avviso al difensore
La Corte, con ordinanza della I sezione civile n. 27939/2019 depositata il 30.10.2019, ha ribadito che la mancata notificazione al difensore dell’avviso di fissazione dell’udienza di convalida del trattenimento comporta il difetto di una condizione di procedibilità della richiesta e la nullità dell’udienza celebrata senza la partecipazione del difensore tempestivamente avvisato.

 

Riesame del trattenimento
La Corte di cassazione, con ordinanza della I sezione civile n. 27076/2019 depositata il 23.10.2019, ha ribadito che per effetto dell’art. 15 della direttiva 2008/115/UE, direttamente applicabile benché non attuata nell’ordinamento interno, lo straniero, nei cui confronti è stata applicata o prorogata la misura del trattenimento in un CIE-CPR, ha diritto al riesame della misura medesima con le garanzie del diritto di difesa e del contraddittorio, previste – nel diritto interno – dagli artt. 24 e 111 Cost., e – a livello comunitario – dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della UE.
Con ordinanza interlocutoria n. 32365/2019 depositata l’11.12.2019, la medesima I sezione civile della Corte ha rimesso alla pubblica udienza la questione della decisione sull’istanza di riesame del trattenimento adottata in violazione del principio del contraddittorio senza procedere alla fissazione dell’udienza di comparizione personale delle parti.

 

Termini della proroga del trattenimento
La Corte di cassazione, con ordinanza della I sezione civile, n. 33178/2019, depositata il 16.12.2019, ha dichiarato l’illegittimità della proroga del trattenimento dello straniero presso un Centro di Permanenza per i Rimpatri (C.P.R.) che sia stata disposta (nel caso di specie, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 142/2015 perché lo straniero aveva presentato domanda di protezione internazionale) sulla base di un’istanza formulata successivamente alla scadenza del termine iniziale, o prorogato, della misura restrittiva. In tal caso, osserva la Corte, anche qualora il provvedimento con cui fu inizialmente convalidata la misura restrittiva non sia stato tempestivamente impugnato dal destinatario, il provvedimento di proroga va cassato senza rinvio, con conseguente cessazione del trattenimento. La Corte chiarisce che il dies a quo per la richiesta della proroga del trattenimento decorre non dalla data iniziale dello stesso, ma dalla scadenza dell’ultima proroga disposta dall'autorità giudiziaria.
Sempre in relazione ai termini della proroga del trattenimento del richiedente asilo, si segnala un provvedimento emesso dal Tribunale di Trieste il 13.1.2020 , in cui si osserva che la proroga del trattenimento del richiedente asilo può essere disposta dal questore, e convalidata dal Tribunale, ai sensi dell’art. 6, co. 5, primo periodo del d.lgs. 142/2015, in pendenza della procedura amministrativa, mentre in pendenza del ricorso giurisdizionale, ai sensi dell’art. 6, co. 8, la proroga è richiesta dal questore e convalidata dal Tribunale. Il Tribunale di Trieste rileva poi che il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda di protezione internazionale, e che gli eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative preordinate all’esame della domanda, non imputabili al richiedente, non giustificano la proroga del trattenimento; poiché la procedura d’esame della domanda di protezione internazionale presentata dallo straniero trattenuto avviene con la procedura accelerata prevista dall’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008, che impone un termine massimo di 14 giorni per l’audizione del richiedente, e un termine massimo di quattro giorni per la decisione (termini che possono essere superati solo quando ciò sia necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fermi restando comunque i termini massimi previsti dall’art. 27, co. 3 e 3-bis), e nel caso di specie risultava dalla richiesta di proroga che dopo due mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale non era ancora stata fissata l’audizione del richiedente, senza che vi fosse stata alcuna motivazione relativa alle esigenze di completo e adeguato esame della domanda, il Tribunale ha rigettato la richiesta di proroga del trattenimento.
Con la sopra citata ordinanza della I sezione civile n. 27939/2019 depositata il 30.10.2019, la Corte ha altresì ribadito che alla proroga del trattenimento si applicano le stesse garanzie previste per la convalida e imposte dalla Costituzione, ed è pertanto illegittima la proroga autorizzata oltre il termine di 48 ore dalla richiesta.

 

Legittimazione passiva
Nella sopra citata ordinanza interlocutoria n. 32365/2019 depositata l’11.12.2019, la Corte ha ribadito che il ricorso per Cassazione deve essere notificato all’Avvocatura generale dello Stato solo se questa aveva assunto il patrocinio dell’Amministrazione convenuta nelle fasi di merito a mezzo della competente Avvocatura distrettuale, diversamente il ricorso deve essere notificato all’Amministrazione presso la propria sede.

 

Cognizione del giudice della convalida sul provvedimento presupposto, manifesta illegittimità
La Corte, nell’ordinanza n. 26839/2019 della I sezione civile depositata il 21.10.2019, ribadisce il principio della c.d. doppia tutela secondo il quale il giudice della convalida del trattenimento non può sindacare il decreto di espulsione, che è atto presupposto dell’ordine di trattenimento, dovendo limitarsi a verificarne l’esistenza e l’efficacia, e, come chiarito nell’ordinanza n. 17407/2014 del 30.7.2014, la non manifesta illegittimità. La Corte precisa che l’illegittimità dell’atto presupposto, che può essere sindacata dal giudice della convalida, deve essere manifesta e cioè non richiedere uno specifico accertamento giudiziale.

 

Motivazione
La Corte di cassazione, con ordinanza della I sezione civile n. 23450/2019 depositata il 20.9.2019, ha dapprima ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. 286/1998, sollevata dal ricorrente, per asserito contrasto con i principi posti dagli artt. 3 co. 2, 10 co. 1 e 2 e 13 co. 1, 2 e 3 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede che l’ordine di trattenimento del questore possa essere emesso soltanto nella sussistenza di tassativi casi eccezionali di necessità e urgenza. La Corte ha rilevato che il legislatore ha previsto un controllo giurisdizionale (la convalida) sul provvedimento amministrativo di trattenimento, sostanzialmente analogo a quelli previsti per le misure cautelari e di prevenzione, proprio al fine di consentire la verifica immediata della sussistenza dei presupposti minimi occorrenti per giustificare la limitazione della libertà personale dello straniero trattenuto, mentre la successiva proroga della misura è stata affidata direttamente alla cognizione dell’autorità giudiziaria, che può disporla su richiesta del questore. La Corte osserva che la norma da un lato assicura l’immediato controllo giurisdizionale sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura (attraverso il giudizio di convalida), e dall'altro lato attribuisce il potere di prorogare gli effetti della misura medesima direttamente all’autorità giudiziaria, e all’Amministrazione un mero potere di impulso. Dopo aver escluso i profili di legittimità costituzionale della norma, la Corte ribadisce che il provvedimento di proroga del trattenimento dello straniero presso un C.P.R., analogamente a quello che dispone inizialmente la misura, incide sulla libertà personale del suo destinatario, limitandola, sia pure per un tempo determinato. Ai sensi dell’art. 13 Cost. la libertà personale ha natura inviolabile e le relative misure limitative possono essere disposte solo dalla legge con provvedimento motivato dell’autorità giurisdizionale. Il doppio principio della riserva di legge e del motivato controllo giurisdizionale vale quindi per qualsiasi misura che abbia effetto limitativo della libertà personale, ivi incluso il trattenimento dello straniero nel C.P.R. e la sua eventuale proroga. Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la proroga era stata disposta dal giudice senza una idonea motivazione: il Giudice di pace, infatti, aveva fatto ricorso alla formula di stile “sussistendo i presupposti di legge”, inidonea a integrare il così detto minimo costituzionale della motivazione.
Nell’ordinanza n. 32338/2019, depositata l’11.12.2019, la I sezione civile della Corte di cassazione ha ritenuto legittima la proroga del trattenimento fondata sull’avvenuto deposito da parte dell’Amministrazione della richiesta di rilascio del lasciapassare inoltrata al Consolato del Paese di origine, a riprova dell’avvio della procedura finalizzata all’acquisizione del documento necessario per il rimpatrio; la Corte ha affermato che il mancato riscontro da parte del Consolato non consente di per sé di escludere una futura ottemperanza.
Analogamente, con ordinanza n. 33172/2019 depositata il 16.12.2019, la Corte ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la proroga del trattenimento dello straniero in attesa delle informazioni richieste all’Ambasciata del Paese di origine ai fini della sua identificazione.

 

Precedente detenzione
Nella sopra citata ordinanza n. 32338/2019, depositata l’11.12.2019, la I sezione civile della Corte di cassazione si è pronunciata sull’ambito di applicabilità del termine massimo di trattenimento previsto dall’art. 14, co. 5, del d.lgs. 286/1998, per gli stranieri che siano stati detenuti in una struttura carceraria per un periodo superiore a 90 giorni. La Corte ha affermato che non rileva, ai fini dell’applicazione di tale norma, il periodo di detenzione sofferto in epoca risalente rispetto alla data del trattenimento, poiché deve sussistere un rapporto di continuità temporale tra il trattenimento presso la struttura carceraria e quello presso il Centro.

 

Trattenimento del richiedente asilo, inammissibilità della domanda reiterata ex art. 29-bis d.lgs. 25/2008
Meritano di essere commentati in questa sede alcuni provvedimenti che hanno affrontato le questioni poste dall’introduzione dell’art. 29-bis nel d.lgs. 25/2008 per opera del d.l. 113/2018 convertito in l. 132/2018.
Si tratta della norma che prevede che la domanda di protezione internazionale reiterata, presentata dallo straniero nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, sia considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento di allontanamento; la norma prevede poi che in tal caso non si proceda all’esame della domanda ai sensi dell’art. 29 del medesimo d.lgs. 25/2008.
In virtù di questa norma, alcune questure hanno ritenuto di poter dichiarare esse stesse l’inammissibilità della domanda di protezione internazionale reiterata presentata dallo straniero trattenuto; le stesse questure hanno ritenuto di poter mantenere il trattenimento, già disposto e convalidato dal Giudice di pace ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 286/1998, senza provvedere a un nuovo trattenimento, con la relativa richiesta di convalida al Tribunale, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 142/2015.
Tale prassi ha incontrato tuttavia la ferma censura dei Tribunali investiti della questione attraverso lo strumento dei ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c.; in particolare il Tribunale di Roma si è più volte pronunciato (ex multis, nel decreto del 25.11.2019 e nell’ ordinanza del 9.12.2019 , affermando che l’art. 29-bis del d.lgs. 25/2008 non autorizza a ritenere che la proposizione di una domanda reiterata resti del tutto priva di effetto, nel senso cioè che non debba essere sottoposta ad un vaglio di ammissibilità ad opera dell’autorità competente, che ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 25/2008 resta sempre la Commissione territoriale e non la questura. Il Tribunale di Roma ha poi rilevato che l’art. 29-bis del d.lgs. 25/2008 non ha modificato l’art. 6 del d.lgs. 142/2015, che impone invece la convalida del trattenimento del richiedente asilo da parte del Tribunale, senza alcuna eccezione. Nello stesso senso si è espresso anche il Tribunale di Bari con decreto del 20.12.2019 .
La tutela accordata in via di urgenza tuttavia non sempre giunge in tempo. In un caso portato all'attenzione del Tribunale di Roma è infatti accaduto che la questura, dopo aver dichiarato inammissibile la domanda reiterata di protezione internazionale e senza aver chiesto la convalida del trattenimento al Tribunale, procedesse al rimpatrio di una cittadina straniera prima che il Tribunale potesse pronunciarsi sul ricorso d’urgenza. Dopo l’esecuzione dell'espulsione, il Tribunale emetteva decreto cautelare in cui dichiarava il diritto della cittadina straniera al riesame della sua domanda di protezione internazionale e a rimanere nel territorio nazionale fino alla definizione del procedimento. Il difensore della cittadina straniera estendeva allora la domanda al rilascio di un’autorizzazione al rientro in Italia. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 22/11/2019 , ha confermato il diritto della ricorrente di veder raccolta la sua domanda di protezione internazionale con l’allegazione dei fatti nuovi, e in relazione alla richiesta di autorizzazione al rientro ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero degli Esteri, competente all’eventuale rilascio dell’autorizzazione; con la successiva ordinanza dell' 11.2.2020 il Tribunale ha ordinato al Ministero degli esteri di consentire alla ricorrente il rientro in Italia al fine di presentare la domanda reiterata di protezione internazionale, mediante la concessione del visto di cui all'art. 25 del reg. 2009/810/CE,  o mediante altra misura equipollente.

 

Risarcimento dei danni da illegittimo trattenimento
Si segnala infine una decisione della Corte d’appello di Roma, la sentenza n. 7206/2019 pubblicata il 21.11.2019 (all. 6), con cui è stata accolta la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da un cittadino tunisino, già titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, che era stato espulso e trattenuto dopo aver sottoscritto dinanzi alla polizia di frontiera una dichiarazione di rinuncia alla protezione internazionale. La Corte d’appello, in riforma della decisione del Tribunale, ha ritenuto che in mancanza dei necessari approfondimenti da parte della Commissione territoriale sulla genuinità e la spontaneità di tale dichiarazione di rinuncia, questa non poteva comportare l’automatico venir meno della misure di protezione riconosciuta allo straniero e pertanto non poteva giustificare la sua espulsione (che peraltro era stata poi annullata dal Giudice di pace). Stabilita così l’illegittimità del trattenimento, la Corte ha ritenuto che la privazione della libertà personale abbia cagionato un danno non patrimoniale in termini di patema d’animo, perturbamento delle abitudini di vita, ansia e stress, e ha liquidato tale danno in via equitativa con riferimento ai parametri utilizzati dalla giurisprudenza in materia di riparazione per ingiusta detenzione, ridotto ex art. 1227 c.c. per il comportamento dello straniero che non aveva saputo chiarire la propria posizione al momento del controllo.