Famiglia e minori

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FAMIGLIA
Tribunale territorialmente competente in caso di impugnazione del diniego di visto per ricongiungimento familiare
Con ordinanza del 17.11.2017, il Tribunale di Ferrara si dichiarava incompetente a conoscere dell’impugnazione di un diniego di visto per ricongiungimento familiare, indicando la competenza del Tribunale di Roma. Il procedimento veniva riassunto avanti tale Tribunale,
che sollevava conflitto negativo di competenza, richiamando l’art. 20, d.lgs. n. 150/2011 che, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. n. 13/2017, attribuiva la competenza al «Tribunale in composizione monocratica del luogo in cui il ricorrente ha la residenza». Con la decisione del 19.9.2019, n. 23412, la Corte di cassazione ha dichiarato competente a decidere il Tribunale di Ferrara, in ragione del fatto che il richiedente era residente in tale città, alla cui prefettura era stata anche presentata la richiesta di nulla osta. La regola della residenza del richiedente per la determinazione della competenza territoriale per le controversie previste dall’art. 30, co. 6, d.lgs. n. 286/1998 è applicabile ai procedimenti promossi con ricorso depositato prima del 17 agosto 2017 (e cioè ai procedimenti promossi prima della scadenza del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del d.l. n. 13/2017), ai sensi dell’art. 21, co. 1, d.l. 13/2017. A far data dal 17 agosto 2017, trova invece applicazione la diversa regola prevista dall’art. 7, d.l. 13/2017, che ha modificato l’art. 20, co. 2, d.lgs. n. 150/2011, prevedendo che la competenza a decidere sia della «sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, del luogo in cui ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato».

 

MINORI
Espulsione dello straniero e accertamento della minore età
Uno straniero aveva allegato di essere minore di età e di non potere pertanto essere destinatario di un provvedimento di espulsione, ai sensi dell’art. 19, co. 2, lett. a) d.lgs. n. 286/1998. La prefettura aveva comunque adottato il provvedimento di espulsione, ritenendo che lo straniero dovesse considerarsi maggiorenne sulla base di un accertamento dell’età effettuato mediante semplici esami radiologici. La legittimità di tale provvedimento era stata confermata dal Giudice di pace. Di diverso avviso la Corte di cassazione che con l’ordinanza dell’11.12.2019, n. 32340, ricorda che, ai sensi dell’art. 19-bis, d.lgs. n. 142/2015, trova applicazione la procedura per l’accertamento dell’età prevista dai commi quarto e seguenti, i quali attribuiscono alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni il potere di disporre esami socio-sanitari, i cui risultati, da notificarsi allo straniero, sono impugnabili con reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c. Secondo i Giudici di legittimità, l’astratta attendibilità degli esami radiologici non può considerarsi sufficiente a sopperire alla mancanza delle garanzie assicurate dall’osservanza della prescritta procedura, prime tra tutte quelle informative e partecipative, nonché dalla prevista facoltà di contestare in sede giudiziaria i relativi risultati. Sulla base di tale considerazione, il provvedimento di espulsione viene annullato, potendo la causa essere decisa nel merito dalla Corte di cassazione, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto.

 

Art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998. Sulla nozione di «gravi motivi». L’onere allegatorio del ricorrente
Con l’ordinanza del 17.12.2019, n. 33362, la Corte di cassazione ha dato importanti indicazioni agli stranieri che chiedono di essere autorizzati a permanere in Italia, in forza dell’art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998.
In molti casi, lo straniero si limita ad allegare che il figlio subirebbe un pregiudizio dall’allontanamento del genitore dall’Italia, senza meglio circostanziare i danni che lo stesso subirebbe. Secondo i Giudici di legittimità, non può essere condivisa la tesi secondo cui «il distacco da un genitore» costituirebbe «di per sé un grave motivo che ai sensi dell’art. 31, co. 3, d.lgs. 286/1998, giustifica il rilascio del permesso temporaneo ivi previsto». In tal caso, infatti, l’art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998 verrebbe riscritto in un precetto in base al quale ogni straniero avente un figlio minore in Italia avrebbe diritto ad un permesso di soggiorno. Il Collegio afferma che il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza dei «gravi motivi», non può limitarsi a far riferimento alla massima di esperienza secondo cui ogni minore subisce un pregiudizio dal fatto di non crescere con il genitore, ma è chiamato a circostanziare i fatti relativi alla specifica situazione, in primo luogo, dimostrando la sussistenza di un rapporto significativo tra genitore e figlio. La decisione invita, di fatto, a compiere un maggiore sforzo nella descrizione delle circostanze attinenti al singolo caso concreto, con un esame individualizzato dei pregiudizi che potrebbero derivare al minore interessato dall’allontanamento del genitore, con una valutazione individualizzata che del resto è sempre propria della giurisdizione minorile.

 

Sul rilievo del passaggio del tempo nel caso di presenza di precedenti penali
Con il decreto del 9.1.2020, n. 21 , la Corte d’appello per i minorenni di Roma fa applicazione dei principi appena richiamati, prendendo in esame le allegazioni specifiche contenute nel reclamo del genitore. Quest’ultimo si era reso responsabile di alcuni reati risalenti agli anni 1999 e 2000 e aveva successivamente costituito un nucleo familiare, composto dalla moglie regolarmente soggiornante e da due figlie. Dal decreto, si ricava che il reclamante aveva ricostruito in modo specifico il suo apporto alla vita delle figlie, così come l’inserimento delle stesse in Italia e la loro vita scolastica. Attenzione era stata poi posta alla descrizione della posizione della madre, regolarmente soggiornante in Italia e titolare di un contratto di lavoro, e all’ampio sostegno di cui il nucleo poteva contare in Italia. Punto qualificante del decreto appare la considerazione secondo cui, visto il lungo lasso di tempo trascorso tra i reati contestati, era sostenibile che il reclamante fosse «divenuto persona diversa, per la maturità conseguita, per le persone incontrate ed esperienze di vita vissute». Per questa ragione, poteva pertanto escludersi che vi fosse «alcuna pericolosità sociale connessa alla persona del reclamante, ritenendo i fatti di devianza superati attraverso un reinserimento sociale, passato verosimilmente anche per le responsabilità familiari».
Queste osservazioni appaiono degne di note, dal momento che, in materia di diritto dell’immigrazione, lo straniero che si è reso responsabile di reati rimane frequentemente inquadrato a vita come soggetto pericoloso, senza che trovino applicazione per lui principi quali l’efficacia rieducativa della pena o la possibilità per una persona di cambiare, principi che sono invece alla base del nostro sistema penale e penitenziario.
Nel decreto in esame, tali principi trovano invece diretta e concreta applicazione, con conseguente valorizzazione del percorso di integrazione effettuato dallo straniero e rispetto della regola secondo cui la valutazione sulla pericolosità deve essere attuale e fondata su un’analisi di tutte le circostanze del caso.

 

Sul rilascio del permesso UE lungo soggiornanti a favore di straniero titolare di permesso per assistenza minori
Con la sentenza del 18.12.2019, n. 14516, il Tar del Lazio ha dato seguito all’orientamento secondo cui anche il titolare di permesso per assistenza minori può richiedere il rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, nel caso in cui abbia soggiornato regolarmente in Italia per il prescritto quinquennio. Secondo il giudice amministrativo, «se il permesso di soggiorno per assistenza minore ha carattere necessariamente temporaneo e non è convertibile in un titolo più stabile, il soggiorno a tale titolo per un periodo di tempo sufficientemente lungo è comunque idoneo a costituire presupposto per richiedere un permesso a titolo diverso, ad esempio, il permesso per soggiornanti di lungo periodo, salva la verifica della sussistenza di tutti i requisiti richiesti e dell’assenza di elementi ostativi».
Si tratta di un orientamento che ha trovato autorevole sostegno da parte del Consiglio di Stato (cfr. in particolare, da un lato, la sentenza n. 1909 del 14 aprile 2015, e, dall’altro, il parere del 20 luglio 2016) e che può dirsi ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa.