Osservatorio italiano

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Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali
Misure urgenti per consentire il divieto di accesso ai porti e alle acque territoriali, per contrastare il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e per semplificare i soggiorni per breve periodo. Profili di illegittimità costituzionale. Le osservazioni del Presidente della Repubblica
Il decreto-legge 14.6.2019, n. 53 - Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica (pubblicato in G.U., n. 138 del 14.6.2019), convertito in legge con modificazioni dalla l. 8.8.2019, n. 77 (pubblicata in G.U. Serie gen. n.186 del 9.8.2019) prevede norme che dispongono sia inasprimenti (di dubbia legittimità) delle misure di prevenzione e repressione degli ingressi irregolari degli stranieri, sia norme che semplificano la disciplina concernente alcuni tipi di ingressi e soggiorni per breve periodo.
L’art. 1 modifica l’art. 11 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) introducendo un nuovo comma 1-ter che prevede che il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per gli aspetti di loro competenza, e informato il Presidente del Consiglio dei Ministri ha la facoltà di «limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e quando si concretizzino le condizioni di cui all’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare di Montego Bay limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti. La norma non si applica al naviglio militare e alle navi in servizio governativo non commerciale».
L’art. 2 modifica l’art. 12 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) introducendo nuovi commi 6-bis, 6-ter, 6-quater.
Il comma 6-bis prevede che il comandante delle navi non militari, né commerciali deve rispettare le norme internazionali e gli eventuali decreti ministeriali che restringono o vietano la navigazione nelle acque italiane o l’accesso ai porti italiane e che in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, il prefetto territorialmente competente applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di 500mila euro a un massimo di 1 milione di euro. La responsabilità solidale si estende all’armatore della nave. È sempre disposta la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione, rispetto alla quale si procede a sequestro cautelare dell’imbarcazione. Gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare sono imputati all’armatore e al proprietario della nave; quando invece le stesse imbarcazioni sono affidate in custodia agli organi di polizia, alle capitanerie di porto o alla marina militare perché ne facciano uso per attività istituzionali, i relativi oneri sono a carico delle amministrazioni affidatarie.
Il comma 6-ter prevede che le navi sequestrate possono essere affidate in custodia dal prefetto agli organi di polizia, alle Capitanerie di porto o alla Marina militare, o alle altre amministrazioni dello Stato che ne facciano richiesta per l’impiego in attività istituzionali.
Il comma 6-quater prevede che una volta divenuto inoppugnabile il provvedimento di confisca, la nave è acquisita a patrimonio dello Stato che può utilizzarla o venderla. Le navi non impiegate o invendute nei due anni successivi al primo tentativo di vendita sono destinate alla distruzione.
L’art. 3 modifica l’art. 51 c.p.p. in modo che la Procura distrettuale diventa competente per tutte le indagini che riguardano il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: se ne estende l’applicazione anche ai reati associativi realizzati al fine di commettere il reato di favoreggiamento, non aggravato, dell’immigrazione clandestina. Perciò sarà anche possibile svolgere intercettazioni preventive per l’acquisizione di notizie utili alla prevenzione di tale delitto.
L’art. 3-bis, prevede l’arresto obbligatorio in fragranza di reato anche nel caso di resistenza o di violenza contro una nave da guerra.
L’art. 4 prevede lo stanziamento di 500mila euro per il 2019, un milione di euro per il 2020 e un milione e mezzo per il 2021 per il potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura, anche in riferimento alle attività di contrasto del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sono destinate alcune risorse alla copertura degli oneri conseguenti ad operazioni di polizia sotto copertura, effettuate da operatori di Stati stranieri con i quali siano stati stipulati appositi accordi, anche con riferimento al contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’art. 8-quater, co. 2 (per prevenire il reimpiego dei funzionari specializzati delle Commissioni territoriali che saranno sciolte a seguito della diminuzione delle domande di asilo) prevede che dopo il comma 1 dell’art. 12 del d.l. 7.2.2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 13.4.2017, n. 46, è inserito un nuovo comma 1.1. in base al quale all’atto della cessazione dell’attività delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, determinata con provvedimento di natura non regolamentare, il personale ivi assegnato, previo eventuale esperimento di una procedura di mobilità su base volontaria, è ricollocato, nel rispettivo ambito regionale, presso le sedi centrali e periferiche dell’Amministrazione civile del Ministero dell’interno, sulla base di criteri connessi alle esigenze organizzative e funzionali dell’Amministrazione stessa. In caso di ricostituzione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, il personale di cui al periodo precedente è ricollocato presso le sedi di provenienza, ferma restando la dotazione organica complessiva del Ministero dell’interno.
Inoltre l’art. 11 semplifica le norme del diritto degli stranieri, estendendo le facilitazioni previste dalla l. n. 63/2019 per i soggiorni di breve durata, cioè non superiori a tre mesi, già previste per chi arriva in Italia per visite, affari, turismo e studio, anche a gare sportive, missione e ricerca scientifica; in tali casi non è richiesta la presentazione della domanda di permesso di soggiorno, ma è sufficiente una «dichiarazione di presenza» da presentarsi al valico di frontiera o, in mancanza, entro 8 giorni alla questura.
L’art. 12 istituisce presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale un «Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio», che finanzia interventi di cooperazione in Paesi terzi che collaborano nella riammissione dei migranti irregolari e sostenere iniziative di cooperazione o intese bilaterali per la riammissione degli stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale e provenienti da Paesi extra-UE. La dotazione iniziale per il 2019 è di 2 milioni di euro, ma può essere incrementata da una quota annua fino a 50 milioni di euro determinata annualmente con decreto interministeriale con i risparmi derivanti dalla gestione dei centri per l’immigrazione a fronte della diminuzione degli arrivi e dei tagli al costo giornaliero dell’accoglienza
I profili costituzionali delle nuove norme sono importanti
In primo luogo l’art. 1 lascia al solo Ministro dell’interno, seppur di concerto con altri due Ministri, l’adozione di un simile decreto che ha notevoli ripercussioni di carattere generale (anche sui profili della giustizia e delle relazioni internazionali).
In primo luogo pare eludere le attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei Ministri, a cui spetta ai sensi dell’art. 95 Cost. la direzione del Governo e la promozione e il coordinamento delle attività dei Ministri.
Inoltre i presupposti per l’adozione del divieto sono molto vaghi e allorché menzionano la violazione delle leggi sull’immigrazione come uno dei presupposti del decreto ministeriale di divieto di ingresso appaiono incostituzionali perché
1) in violazione degli artt. 10 e 117 Cost. violano gli obblighi internazionali e in particolare il divieto di refoulement, il divieto di trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU), gli obblighi che prescrivono di portare in salvo nel porto più sicuro i naufraghi e quelli (di segno opposto) della Convenzione di Palermo che esige di ispezionare e bloccare ogni imbarcazione sospetta di traffico di migranti e non certo di allontanarla dalle proprie acque territoriali (come peraltro già prevede l’art. 12, co. 9-bis d.lgs. n. 286/1998);
2) in violazione dell’art. 10, co. 3 Cost. eludono il diritto di asilo, che è anzitutto diritto soggettivo perfetto ad entrare nel territorio dello Stato per fare esaminare la propria situazione e presentare domanda di asilo.
Ovviamente si deve tentare sempre una interpretazione conforme alle norme costituzionali, internazionali ed europee e in tal caso ben si potrebbe ritenere perfettamente legittime le nuove norme legislative (che peraltro non abrogano l’analogo divieto previsto per motivi in parte identici dell’art. 86 cod. nav. da parte del Ministro delle infrastrutture e i trasporti), ma l’obbligo di esperire comunque un tentativo di interpretazione conforme può fare ritenere che la nuova norma legislativa non violi le norme costituzionali sull’asilo, riprenda obblighi internazionali già previsti da norme internazionali già in vigore per l’Italia e richiami norme legislative in materia di immigrazione che vietano il respingimento, ma allora non si capisce il senso delle nuove norme legislative, che sarebbero del tutto inutili e ripetitive di norme già in vigore.
Se invece si ricorre al criterio interpretativo fondato sulle intenzioni del legislatore allora è molto chiaro che il contenuto delle nuove norme secondo l’intento di chi le ha ideate è pienamente incostituzionale: prevedere uno strumento aggiuntivo per impedire qualsiasi ingresso per qualsiasi motivo di qualsiasi straniero in fuga da situazioni disumane e degradanti e salvati da qualsiasi nave. Lo stesso “diritto vivente” dell’applicazione delle nuove norme nei primi giorni della loro entrata in vigore e l’aggravamento delle misure sanzionatorie previste nella legge di conversione per la trasgressione del decreto ministeriale confermano questo intento.
Vi sono poi dubbi circa la tassatività del diritto sanzionatorio e penale di sanzioni fondate sulla violazione di un decreto ministeriale i cui contenuti sono decisi ad hoc caso per caso.
Peraltro dal punto di vista del merito l’art. 1 d.l. potrebbe essere alla fine poco utile perché
1) qualsiasi nave invocando lo stato di necessità potrebbe violare legittimamente quel divieto come prevedono le norme internazionali;
2) le norme sull’immigrazione citate vietano ogni respingimento a chi può presentare domanda di asilo (art. 10, co. 4 d.lgs. n. 286/1998) o è minore non accompagnato o non può essere rinviato in altro Stato in cui potrebbe essere oggetto di persecuzione o di tortura (art. 19, co. 1 e 1-bis d. lgs. n. 286/1998).
In realtà ogni decreto ministeriale adottato contro le ONG potrebbe essere in sé illegittimo proprio per violazione di due presupposti legislativi introdotti dal d.l. per la sua emanazione, cioè il rispetto degli obblighi internazionali e la vigente legislazione sull’immigrazione che tra l’altro esige (all’art. 11-ter d.lgs. n. 286/1998) di soccorrere, identificare e orientare ogni persona che sia stata salvata in mare. Qualora il decreto ministeriale non sia annullato occorrerà sollevare l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma legislativa presupposto in base alla quale è stato emanato.
Infine gli artt. 3 e 4 del d.l. sono scritti in modo tale che possono eludere l’art. 80 Cost., perché nessun finanziamento di operazioni con agenti sotto copertura, né di operazioni di riammissione di stranieri in situazione irregolare deve essere possibile se non nei riguardi di quegli Stati che operano in virtù di Trattati o Convenzioni internazionali, che siano già stati ratificati dall’Italia previa legge di autorizzazione ai sensi dell’art. 80 Cost. o in virtù di accordi regolarmente conclusi dall’UE.
Tra tali testi vi sono la Convenzione di Palermo sul crimine internazionale, i cui allegati consentono le operazioni sottocopertura e gli accordi di riammissione conclusi della UE con altri Stati.
Tra tali testi non vi sono gli accordi di riammissione che sono sempre stati stipulati in forma semplificata dall’Italia (incluso quello degli Stati UE con la Turchia), in violazione dell’art. 80 Cost., come ha correttamente osservato la recente pronuncia del GIP di Trapani.
Qualora invece si finanziassero altri Stati senza che un apposito Trattato internazionale sia stato ratificato ai sensi dell’art. 80 Cost. si eluderebbe tale norma che prescrive la procedura della preventiva approvazione di legge di autorizzazione alla ratifica proprio allorché si debbano prevedere spese derivanti dall’applicazione di accordi con altro Stato.
Su tutti questi aspetti è importante l’inusuale lettera inviata dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle Camere al momento della promulgazione della legge di conversione in legge del decreto-legge, mediante la quale il Presidente manifesta seri dubbi sulla legittimità del testo del decreto-legge convertito. La lettera merita di essere parzialmente menzionata, anche perché il programma su cui il nuovo Governo costituitosi ha ottenuto la fiducia delle due Camere mira a recepire proprio queste osservazioni.
Il Presidente della Repubblica osserva che per effetto di un emendamento, nel caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali – per motivi di ordine e sicurezza pubblica o per violazione alle norme sull’immigrazione – la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile è stata aumentata di 15 volte nel minimo e di 20 volte nel massimo, determinato in un milione di euro, mentre la sanzione amministrativa della confisca obbligatoria della nave non risulta più subordinata alla reiterazione della condotta.
Il Presidente rileva che, con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Il Presidente afferma che non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei cittadini italiani e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità.
Il Presidente ricorda anche che la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 112 del 2019, ha ribadito la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti.
Infine il Presidente osserva che, come correttamente indicato all’art. 1 del d.l. convertito, la limitazione o il divieto di ingresso può essere disposto «nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia», così come ai sensi dell’art. 2 «il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale». Nell’ambito di questa la Convenzione di Montego Bay, richiamata dallo stesso articolo 1 del decreto, prescrive che «ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo».

 

Il nuovo reato di costrizione o induzione al matrimonio, anche celebrato all’estero, a danni di cittadini italiani o di stranieri residenti in Italia
L’articolo 7 della l. 19.7.2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, pubblicata in G.U. Serie generale n. 173 del 25.7.2019) introduce nel codice penale il reato di «costrizione o induzione al matrimonio».
Oltre a punire chi costringe una persona a sposarsi «con violenza o minaccia», viene punito chi la induce a sposarsi «approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità», «con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia». La pena va da uno a cinque anni di reclusione, ma aumenta se la vittima è un minore e arriva fino a sette anni se ha meno di quattordici anni.
Le nuove norme si applicano sia a matrimoni forzati in Italia, sia quando il reato è commesso all’estero da o ai danni di cittadini italiani o stranieri residenti in Italia, il che consente di tutelare persone riportate nei Paesi d’origine, anche durante periodi di vacanze, e costrette o indotte lì a sposare i prescelti dalle famiglie.

 

Organizzazione e funzionamento del Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura
L’art. 25-quater della l. n. 136/2018, con cui è stato convertito in legge il d.l. n. 119/2018 istituiva un Tavolo interministeriale di coordinamento per la prevenzione e il contrasto del lavoro irregolare e del caporalato, presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali o da un suo delegato che opererà per 3 anni (prorogabile per ulteriori tre anni), con l’obiettivo di promuovere «la programmazione di una proficua strategia per il contrasto al fenomeno del caporalato e del connesso sfruttamento lavorativo in agricoltura».
Il Tavolo svolge varie funzioni: definire gli obiettivi strategici nel contrasto al caporalato, elaborare misure specifiche per migliorare le condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa stagionale di raccolta dei prodotti agricoli e individuare misure per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori. Tali obiettivi saranno programmati in un apposito Piano triennale che sarà definito nel corso delle riunioni del Tavolo. Le attività saranno sviluppate nell’ambito di appositi gruppi di lavoro strutturati in relazione alle principali sfide da affrontare: vigilanza e repressione del fenomeno del caporalato; adeguamento dei prezzi dei prodotti agricoli, intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e valorizzazione del ruolo dei Centri per l’impiego, trasporti, fornitura di alloggi e foresterie temporanee, potenziamento della rete del lavoro agricolo di qualità.
Parteciperanno ai lavori del Tavolo i rappresentanti di vari Ministeri (interno, giustizia, politiche agricole, alimentari e forestali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), dell’ANPAL, dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dell’INPS, del Comando carabinieri per la tutela del lavoro, del Corpo della guardia di finanza, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Potranno partecipare alle riunioni anche i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore nonché delle organizzazioni del Terzo settore.
Le modalità organizzative e operative concernenti l’organizzazione, la composizione e il funzionamento del Tavolo sono demandate ad uno specifico decreto interministeriale (che avrebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge), cioè al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4.07.2019 (pubblicato in G.U. n. 306 del 3.9.2019).
All’art. 1, co. 2 sono definite meglio le sue funzioni:
a) predisposizione del Piano triennale che individua le principali linee di intervento;
b) indirizzo e programmazione delle attività istituzionali finalizzate al contrasto del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura;
c) monitoraggio sull’attuazione degli interventi previsti dal Piano triennale;
d) monitoraggio sull’attuazione della l. n. 199 del 4.11.2016;
e) coordinamento delle azioni intraprese dalle diverse istituzioni attraverso la gestione condivisa degli interventi volti alla prevenzione del fenomeno, ferme restando le competenze delle Forze di polizia e dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi della l. n. 121/1981;
f) condivisione delle buone prassi sperimentate a livello locale e loro possibile riproduzione in altre realtà territoriali;
g) condivisione e confronto sulla programmazione dei pertinenti Fondi europei per il finanziamento di azioni di prevenzione e contrasto al caporalato;
h) elaborazione di proposte normative relative al contrasto e alla prevenzione del fenomeno;
i) collaborazione con la Cabina di regia e con le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità.
Appaiono interessanti le articolazioni interne del Tavolo, previste nell’art. 5 del decreto.
Il Tavolo è organizzato in sei gruppi di lavoro, ognuno dei quali è coordinato da un’Amministrazione capofila, competente ratione materiae. Tali gruppi sono funzionali alla programmazione strategica, nell’ambito del Piano triennale di interventi di cui contribuiscono alla redazione, per quanto di competenza, di azioni afferenti alle seguenti macro-aree di intervento:
a) gruppo 1 - Prevenzione, vigilanza e repressione del fenomeno del caporalato, coordinato dall’Ispettorato nazionale per il lavoro, ferme restando le competenze delle Forze di polizia e dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi della l. 121/1981;
b) gruppo 2 - Filiera produttiva agroalimentare, prezzi dei prodotti agricoli, coordinato dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;
c) gruppo 3 - Intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e valorizzazione del ruolo dei Centri per l’impiego, coordinato dall’ANPAL;
d) gruppo 4 - Trasporti, coordinato dalla Regione Basilicata;
e) gruppo 5 - Alloggi e foresterie temporanee, coordinato dall’ANCI;
f) gruppo 6 - Rete del lavoro agricolo di qualità, coordinato dall’INPS.
I gruppi di lavoro, nell’ambito della materia di loro competenza, esercitano il monitoraggio sull’attuazione del Piano triennale di interventi definito dal Tavolo.
Ognuno dei coordinatori stabilisce l’organizzazione e le modalità di funzionamento nonché la programmazione dei lavori dei singoli gruppi. L’adesione ai gruppi è aperta anche a soggetti diversi da quelli designati per la partecipazione ai lavori del Tavolo.

 

Definizione delle zone di frontiera e zone di transito ai fini dell’esame accelerato delle domande di protezione internazionale. Le osservazioni critiche dell’ASGI
Il decreto del Ministero dell’interno del 5.8.2019 (pubblicato nella G.U. n. 210 del 7.9.2019) individua – come previsto dall’art. 28-bis, co. 1-quater del d.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.l. n. 113/2018 – le zone di transito e di frontiera, nelle quali si applicherà la procedura accelerata per l’esame nel merito delle domande di protezione internazionale e istituisce due nuove sezioni delle Commissioni territoriali dedicate soltanto all’esame di tali domande, ai sensi dell’art. 28-bis co. 1, 1-ter e 1-quater del d.lgs. n. 25/2008.
Preliminarmente si osserva che il decreto ministeriale omette qualsiasi riferimento che possa ricollegarsi alle norme nazionali che disciplinano l’organizzazione territoriale degli uffici di polizia di frontiera e non fornisce alcuna definizione delle zone di frontiera e di transito ma si limita a stabilire che le zone di frontiera o di transito sono individuate in quelle esistenti nelle seguenti Province: a) Trieste e Gorizia; b) Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi; c) Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina; d) Trapani, Agrigento; e) Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna.
Il decreto ministeriale istituisce altresì 2 nuove sezioni, Matera e Ragusa, le quali operano rispettivamente nella Commissione territoriale di Bari, per la zona di frontiera di Matera, e nella Commissione territoriale di Siracusa, per la zona di frontiera di Ragusa.
Dal tenore dell’art. 3, co. 1 del decreto ministeriale si evince che queste due nuove sezioni saranno preposte soltanto all’esame di domande da esaminarsi con la procedura accelerata perché presentate nella zona di frontiera nelle circoscrizioni di propria competenza, il che significa che le Commissioni territoriali che sono già istituite e che sono competenti per altre zone di frontiera (diverse da quelle di Matera e Ragusa) individuate nel decreto ministeriale restano competenti ad esaminare sia domande da esaminarsi con la procedura accelerata, presentate nelle zone di frontiera così individuate, sia domande presentate e esaminate con le procedure ordinarie, anche se presentate in frontiera, sia domande non presentate in frontiera.
Le nuove disposizioni, nel riferirsi in modo assolutamente generico alle «zone di transito o di frontiera individuate in quelle esistenti nelle Province» e non ad aree delimitate, quali ad esempio i porti o le aree aeroportuali o altri luoghi coincidenti con frontiere fisiche con Paesi terzi non appartenenti all’Unione europea, paiono contrastare con le norme dell’Unione europea ed essere pertanto illegittime.
La normativa dell’Unione europea a cui il decreto fa riferimento non contiene una definizione specifica di zona di transito o di frontiera.
L’art. 43 par. 1 della direttiva 2013/32/UE prevede che gli Stati membri possono prevedere procedure per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro sull’ammissibilità di una domanda o sul merito della stessa. In base al successivo par. 3 «Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di Paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di Paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito».
L’ambigua formulazione delle previsioni contenute nel decreto del Ministero dell’interno del 5.8.2019 e il riferimento ad aree estese, apparentemente coincidenti con il territorio di intere Province, contrasta quindi anche con quest’ultima disposizione della direttiva 2013/32/UE che contiene comunque il riferimento a luoghi di accoglienza specifici in cui le procedure di frontiera possono essere applicate in ipotesi eccezionali.
Dalla lettura del decreto sembra al contrario evincersi l’intenzione del Ministero di estendere la frontiera ad intere Province, il che comporterebbe il rischio di un’applicazione generalizzata della procedura accelerata a tutti coloro che in qualsiasi modo manifestino volontà di presentare domanda di asilo o protezione internazionale o presentino domanda di protezione non soltanto al momento dell’ingresso ad ognuno dei valichi di frontiera marittima o aeroportuale o terrestre che si trova nella zona di frontiera indicata nel decreto ministeriale, ma anche direttamente alle questure site nelle Province delle aree individuate dallo stesso decreto, poiché la domanda di protezione internazionale è presentata personalmente dal richiedente presso l’ufficio di polizia di frontiera all’atto dell’ingresso nel territorio nazionale o presso l’ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente (art. 6, co. 2, d.lgs. n. 25/2008).
L’indefinitezza e l’omessa previsione di delimitazioni dell’area di frontiera e della zona di transito, che caratterizza anche gli atti normativi dell’Unione europea richiamati dal decreto, non consente inoltre di comprendere se le procedure accelerate si potranno applicare soltanto alle domande di protezione internazionale presentate da persone accolte in un Centro governativo di prima accoglienza o in un Centro di primo soccorso e accoglienza, presso alcuni dei quali sono allestiti, ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs. n. 286/1998) appositi punti di crisi (hotspot) o anche da persone nel frattempo trattenute in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) o anche presso le questure da persone non presenti all’interno del circuito di accoglienza ma comunque dimoranti nella Provincia individuata come area di frontiera o di transito.
Si osserva inoltre che erroneamente il decreto richiama le ipotesi di procedura accelerata disciplinate dall’art. 28-bis ai commi 1, 1-bis e 1-ter, dal momento che l’art. 28-bis, co. 1-quater, in base al quale il decreto stesso è stato adottato, fa esclusivo riferimento all’ipotesi di cui all’art. 28-bis, co. 1-ter.
In ogni caso appare opportuno evidenziare che l’applicazione delle procedure accelerate alle domande presentate nelle zone individuate nel decreto ministeriale comporta una restrizione dell’effettivo esercizio dei diritti di cui ogni straniero è titolare allorché manifesta la volontà di presentare la domanda e una conseguente contrazione del diritto di difesa, in ragione del dimezzamento dei termini di impugnazione e dell’assenza di un effetto sospensivo automatico derivante dalla proposizione del ricorso previsti, in modo differente per le varie ipotesi specifiche, dall’art. 35-bis d.lgs. 25/08.
Asgi ha già avuto modo di evidenziare i profili di illegittimità del d.l. 113/2018 conv. l. 132/2018 anche con riferimento alle previsioni della direttiva 2013/32/UE relative alle procedure accelerate e/o di frontiera. In particolare, l’applicazione della procedura accelerata, alle domande di protezione internazionale presentate direttamente alla frontiera o nelle zone di transito dal richiedente «dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli» contrasta con gli artt. 31 par. 8 e 43 della direttiva 2013/32/UE, in quanto il tentativo di eludere i controlli alle frontiere non è incluso tra i motivi che giustificano l’applicazione di una procedura accelerata e/o svolte nelle zone di frontiera o di transito ai sensi dell’art. 31, par. 8.
Invero, l’art. 31, par. 8, lett. g), della citata direttiva 2013/32/UE consente agli Stati membri di prevedere una procedura accelerata e svolta in frontiera quando il richiedente «presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe l’allontanamento». La direttiva tuttavia esclude ogni automatismo rispetto al mero fatto dell’essere stato fermato all’atto dell’attraversamento della frontiera, che di per sé non esclude l’intenzione dello straniero di presentarsi quanto prima alle autorità per chiedere protezione.
Pertanto, la modifica introdotta all’art. 28-bis si pone in radicale contrasto con la disposizione europea che impone una rigorosa verifica della situazione concreta dello straniero fermato alla frontiera.
Peraltro, la procedura accelerata o in frontiera potrà essere applicata soltanto ad una delle ipotesi indicate nella direttiva, sicché in mancanza di una norma che riproduca una di quelle ipotesi, la norma legislativa nazionale deve considerarsi illegittima per violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE.
La norma nazionale non recepisce, inoltre, l’art. 43 par. 2 della citata direttiva, ai sensi del quale il richiedente protezione internazionale può entrare nel territorio nazionale nel caso in cui l’autorità preposta non abbia assunto una decisione entro 4 settimane. Poiché però la disposizione eurounitaria deve ritenersi sufficientemente dettagliata ed autoapplicativa, sono da ritenersi illegittimi prassi, atti e impedimenti all’ingresso sul resto del territorio allorché la procedura accelerata non si sarà effettivamente conclusa entro 4 settimane dalla presentazione della domanda.
Deve perciò restare inteso che la procedura non conclusa entro 4 settimane deve continuare secondo il procedimento ordinario e che se la competente Commissione territoriale sia istituita soltanto per esaminare le domande con la speciale procedura per le domande presentate in zone di frontiera (come le due nuove sezioni di Matera e Ragusa) dovrà trasmettere la domanda alla Commissione competente ad esaminare le domande con la procedura ordinaria. In proposito è auspicabile che la Commissione nazionale per il diritto di asilo prescriva disposizioni di coordinamento tra le attività delle sezioni.
Vi è comunque la probabilità concreta che questo esame venga comunque svolto in tempi brevissimi; può infatti accadere che lo straniero sia nel frattempo trattenuto in un Centro di permanenza temporanea – ipotesi nella quale l’esame deve concludersi entro 9 giorni – oppure che l’esame sia svolto in un valico di frontiera p. es. aeroportuale o marittimo qualora non sia possibile disporre ed eseguire con immediatezza un respingimento alla frontiera.
Occorre ricordare che l’art. 13, co. 5-bis d.lgs. n. 286/1998, come riformato dallo stesso d.l. n. 113/2018, dà al Giudice di pace in sede di convalida del trattenimento dello straniero espulso o respinto, la facoltà di autorizzare la temporanea permanenza dello straniero, sino alla definizione del procedimento di convalida in strutture diverse dai Centri di permanenza temporanea per il rimpatrio e idonee nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza; qualora le condizioni di cui al periodo precedente permangono anche dopo l’udienza di convalida, il giudice può autorizzare la permanenza, in locali idonei presso l’ufficio di frontiera interessato, sino all’esecuzione dell’effettivo allontanamento e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida. Queste strutture e locali dovrebbero garantire condizioni di trattenimento che assicurino il rispetto della dignità della persona, ma la genericità delle previsioni circa le modalità della restrizione della libertà personale le rende del tutto incostituzionali per violazione della riserva di legge assoluta prevista dall’art. 13 Cost., come già Asgi ha ricordato in sede di esame parlamentare del d.l. n. 113/2018.
È evidente dunque il rischio che lo straniero espulso o respinto che abbia presentato domanda di protezione internazionale dopo l’espulsione o il respingimento in una zona di frontiera tra quelle indicate nel nuovo decreto ministeriale si veda esaminata la sua domanda in modo sommario mentre è trattenuto in condizioni e luoghi imprecisati e inaccessibili di fatto a difensori e organizzazioni di tutela dei diritti. Occorre invece ribadire che la presentazione della domanda di protezione internazionale in frontiera riguarderà spesso persone rese ulteriormente vulnerabili dalle condizioni traumatiche del viaggio ed alle quali andrà perciò in ogni caso garantito un esame adeguato della domanda di protezione internazionale e l’applicazione delle garanzie e dei diritti previsti a tutela dei richiedenti protezione internazionale dalle disposizioni nazionali e dell’Unione europea.

 

Rassegna delle circolari e delle direttive delle amministrazioni statali
Cittadini di Paesi terzi
Asilo
Apertura dei conti bancari per i richiedenti asilo e loro accesso al lavoro
L’art. 4 del d.lgs. n.142/2015, come modificato dall’art. 13, co. 1, lett. a), n. 1, d.l. n. 113/2018, prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo costituisce documento di riconoscimento, ai sensi dell’art. 1, co. 1 lett. c), del d.p.r. n.445/2000.
Perciò l’Associazione bancaria italiana con una propria circolare del 19.4.2019 ha ricordato a tutte le banche che gli stranieri titolari del permesso di soggiorno provvisorio per richiesta asilo e del codice fiscale (ancorché solo numerico) a loro rilasciati possono aprire conti correnti bancari.
Infatti in base all’art. 4, co. 3, d.l. n. 142/2015 anche la ricevuta di verbalizzazione della domanda, è un documento munito di fotografia del titolare e, pertanto, appare idoneo a consentire l’identificazione personale del richiedente, ai fini dell’apertura di un rapporto continuativo comprensivo dei servizi bancari di base. Peraltro la ricevuta rilasciata da tutte le questure dopo la presentazione della richiesta di protezione internazionale è definita dall’art. 4, co. 3, d.lgs. n. 142/2015 permesso di soggiorno provvisorio e reca la fotografia del richiedente asilo e quindi presenta le caratteristiche del documento di riconoscimento secondo la definizione dell’art. 1, lett. c) del d.p.r. n. 445/2000, il che adempie agli obblighi delle banche che impongono loro la identificazione della clientela attraverso il ricorso a documenti di identità o di altri documenti di riconoscimento ritenuti “equipollenti” ai sensi della normativa vigente (d.p.r. n. 445/00).
Pertanto le banche possono aprire conti correnti intestati ai cittadini extracomunitari in base al permesso di soggiorno provvisorio di cui all’art. 4, co. 3, del d.lgs. n. 142/2015 e al codice fiscale, ancorché soltanto numerico, agli stessi rilasciati, impongono, anche sulla base delle norme di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo previste dal d. lgs. n. 231/2007,«l’identificazione della clientela attraverso il ricorso a documenti di identità o di altri documenti di riconoscimento ritenuti “equipollenti” ai sensi della normativa vigente» (cfr. art. 35, co. 2, d.p.r. n. 445/2000).
Dopo tali chiarimenti la nota 5.6.2019, n. 5293 dell’Ispettorato nazionale del lavoro - Direzione centrale vigilanza, Ufficio IV-affari legali e contenzioso conferma che il datore di lavoro che ha alle proprie dipendenze lavoratori richiedenti asilo in attesa della formalizzazione del permesso di soggiorno, il quale abbia corrisposto a costoro la retribuzione in contanti e non mediante apposito conto corrente bancario può essere sanzionabile ai sensi dell’art. 1, co. 913, l. n. 205/2017.

 

Imposta di bollo sulle domande di rilascio o di rinnovo dei permessi di soggiorno per richiesta asilo
La circolare 6.8.2019, n. 12693 Prot. n. 400/A/2019/14.38.01 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere ha ricordato che anche la domanda di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta asilo è soggetta all’obbligo del pagamento dell’imposta di bollo e ha confermato l’obbligo di apporre la marca da bollo di € 16,00 per le istanze di rilascio del permesso di soggiorno per richiesta asilo. Si ribadisce la cogenza del principio di carattere generale che impone l’obbligo del bollo per tutte le istanze dirette alla Pubblica amministrazione, nella misura di euro 16,00, ivi comprese le istanze presentate per l’ottenimento di un provvedimento di riconoscimento dello status di rifugiato o di quello di protezione sussidiaria, la cui ricevuta attestante la presentazione costituisce permesso di soggiorno provvisorio.

 

Assistenza sanitaria
Iscrizione al Servizio sanitario nazionale dei titolari dei nuovi permessi di soggiorno e assistenza sanitaria all’estero degli stranieri iscritti al SSN
La nota del Ministero della salute - Direzione generale della programmazione sanitaria - Ufficio 8 del 24.7.2019
precisa gli effetti dei nuovi permessi di soggiorno istituiti col d.l. n. 113/2018 ai fini dell’iscrizione al Servizio sanitario nazionale e dell’assistenza sanitaria.
Si ricorda che i nuovi permessi di soggiorno per casi speciali, per calamità e per cure mediche comportano l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, ma che i permessi per calamità e per cure mediche valgono solo per il territorio nazionale e perciò non possono comportare il rilascio della TEAM (Tessera europea di assistenza medica). Gli altri permessi di soggiorno di durata inferiore a sei mesi o ad un anno comportano il rilascio della tessera sanitaria, ma consentono il rilascio di un mero certificato provvisorio in sostituzione della TEAM, rinnovabile in relazione alla durata del soggiorno.
Si precisa altresì che gli stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale possono ricevere cure all’estero soltanto se si tratta di straniero iscritto obbligatoriamente al Servio sanitario nazionale, che perciò riceve la TEAM e i modelli per il rimborso delle spese.

 

Assistenza sociale
Sospensione dell’esame delle domande di reddito di cittadinanza presentate da cittadini di Stati extraUE
Con circolare n. 100 dell’INPS del 5.7.2019 l’INPS ha comunicato di avere sospeso dall’aprile 2019 l’esame delle domande di reddito di cittadinanza presentate da cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, in attesa che sia emanato il decreto interministeriale che stabilirà quali di costoro siano esentati dal produrre certificazione dell’autorità estera competente, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana, circa la disponibilità di propri redditi e patrimoni perché cittadini di Stati nei quali è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni, ai sensi del comma 1-ter dell’art. 2, d.l. n. 4/2019, esclusi coloro che sono già esentati.