Osservatorio italiano

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Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali

 

L’accesso degli stranieri al reddito di cittadinanza. Profili di illegittimità costituzionale

Il d.l. 28.1.2019, n. 4 (pubblicato in G.U. serie gen. n.23 del 28.1.2019) convertito con modificazioni dalla l. 28.03.2019, n. 26 (pubblicata in G.U. 29.3.2019, n. 75) prevede all’art. 2 tra i beneficiari del reddito di cittadinanza, la misura di sostegno economico destinata alle famiglie meno abbienti e legata a percorsi di politiche attive del lavoro, anche gli stranieri: cittadini europei e i loro familiari titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, mentre i cittadini extracomunitari sono ammessi soltanto se titolari di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo.
A tutti i beneficiari italiani e stranieri, inoltre, è richiesto di essere residenti in Italia regolarmente da almeno 10 anni, gli ultimi 2 dei quali in modo continuativo. Si prevedono poi numerosi requisiti economici attestati anche con ISEE per verificare che la famiglia sia effettivamente in una situazione di bisogno.
La legge di conversione in legge ha inserito un nuova norma, secondo la quale i cittadini extracomunitari dovranno presentare anche «apposita certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana» riguardo alla loro situazione familiare, al reddito e al patrimonio immobiliare e mobiliare. Da quei certificati, quindi, dovranno per esempio risultare familiari rimasti in patria o case e terreni posseduti laggiù.
Tuttavia si prevede che la richiesta dei certificati dall’estero non si applica in 3 ipotesi:
a) nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea aventi lo status di rifugiato politico;
b) qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente;
c) nei confronti di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea nei quali è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni, rientranti un elenco di Stati che dovrà essere definito per decreto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Sono evidenti alcuni profili di illegittimità costituzionale delle nuove norme.
Un primo profilo attiene alla previsione che i cittadini dei Paesi extraUE anche se risiedono legalmente da almeno 10 anni in Italia, dei quali gli ultimi due in modo consecutivo, accedono al reddito di cittadinanza soltanto se già titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Ciò comporta due aspetti di dubbia legittimità:
1) ne sono esclusi coloro che siano titolari di un regolare permesso di soggiorno, diverso dal permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
2) si prevedono 10 anni di residenza, il che finisce per discriminare soprattutto gli stranieri.
Un secondo profilo attiene alla irragionevole previsione di oneri documentali differenziati per cittadini italiani ed europei da una parte e cittadini di Stati extraUE.
Occorre in proposito ricordare che le vigenti norme già esigono che tutti i residenti, italiani e stranieri, debbano denunciare redditi e patrimoni all’estero e inserirli nella Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) che avvia il procedimento per il rilascio dell’ISEE, che costituisce una attestazione pubblica della condizione economica delle persone ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali.
Inoltre i controlli dello Stato su tali dichiarazioni sono identici per gli stranieri e per gli italiani (che ben possono possedere immobili o redditi all’estero) e comportano accordi di cooperazione tra gli Stati sullo scambio di informazioni, sicché appare irragionevole gravare lo straniero (per di più lo straniero povero) di oneri documentali spesso impossibili o cosi gravosi da azzerare il beneficio economico richiesto.
Si deve altresì osservare che l’illegittima e irragionevole distinzione di trattamento all’interno dei titolari di protezione internazionale: i titolari di protezione sussidiaria non sono esentati dall’obbligo di procurarsi i documenti nel Paese di origine, ma soltanto i rifugiati, nonostante i titolari di protezione sussidiaria, siano esposti al pericolo di un «danno grave» in caso di rientro in patria per la ricerca dei documenti.
Infine la redazione di un elenco dei Paesi in cui è oggettivamente impossibile procurarsi detti documenti appare di dubbia legittimità costituzionale per violazione della riserva di legge in materia di stranieri prevista dall’art. 10, co. 2 Cost. e apre ad incertezze e complicazioni (si pensi ai molti Paesi nei quali procurarsi i documenti non è impossibile, ma solo “estremamente difficile” per l’inesistenza di un catasto nazionale) delle quali sono vittime anzitutto gli stranieri. Del tutto irragionevole è la mancata esenzione dalla produzione dei documenti “stranieri” attestanti la composizione del nucleo familiare dello straniero la cui condizione familiare risulta già dagli atti dello stato civile italiano, il che produce l’effetto paradossale che lo straniero dovrebbe recuperare in patria anche l’attestazione di un matrimonio celebrato in Italia.
Un terzo profilo di dubbia legittimità attiene al requisito dei 10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi due ininterrotti.
È intuitivo comprendere che tale profili svantaggiano in misura molto maggiore gli stranieri rispetto agli italiani e dai lavori preparatori pare che l’intento che soggiace tale norma sia proprio quello di escludere la gran parte di stranieri bisognosi dall’accesso al reddito di cittadinanza.
In proposito i profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. con riguardo all’irragionevolezza del requisito sono almeno due:
1) in generale il requisito pare irragionevole nella sua entità, perché nega ad una persona italiana o straniera un indispensabile aiuto per l’uscita dalla povertà per un lungo periodo successivo all’ingresso in Italia e consentendo di cumulare, al fine del raggiungimento dei 10 anni, periodi tra loro lontanissimi, finisce per pervenire ad effetti illogici: ad es. quello di ritenere maggiormente “radicato” in Italia una persona che vi abbia passato 8 anni nell’infanzia e due subito prima della domanda, rispetto a un’altra che vi abbia trascorso gli ultimi 4 o 5 o 9 antecedenti la domanda;
2) il requisito non considera che il “radicamento” (che deve necessariamente guardare anche al futuro e non solo alla pregressa residenza) è già di per sé garantito dalla residenza in Italia al momento della domanda e dal necessario rispetto del progetto (che deve avere svolgimento necessariamente in Italia) durante l’erogazione del beneficio.
La previsione del requisito di dieci anni di residenza pare contrastare con una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea e della Corte costituzionale, oltre che con l’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Corte costituzionale ha anche affermato più volte che le prestazioni «destinate a far fronte al sostentamento della persona» (sent. 187/2010) non possono subire limitazioni di alcun genere, né in base alla nazionalità, né in base al titolo di soggiorno, né pretendendo requisiti di lungo-residenza nel territorio sproporzionati (come ad esempio il requisito di cinque anni di residenza nella Regione di cui alla sentenza 166/2018).
In proposito occorre infatti ricordare che più volte la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali misure assistenziali che restringevano l’accesso agli stranieri sulla base della lunga durata della loro residenza affermando:
a) circa il requisito di 5 anni di residenza nella Regione per un contributo affitti (previsto per i soli stranieri) «non si può ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari della persona che versi in condizioni di povertà e sia insediata nel territorio regionale, e la lunga protrazione nel tempo di tale radicamento territoriale» (sent. n. 166/2018);
b) circa il requisito dei 10 anni di residenza nello Stato per i soli stranieri l’irragionevolezza e la mancanza di proporzionalità del requisito si risolvono «in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari» (s 106/2018);
3) circa il titolo preferenziale di 15 anni per l’accesso all’asilo (previsto per italiani e stranieri) si afferma che «la configurazione della residenza (o dell’occupazione) protratta come titolo di precedenza per l’accesso agli asili nido, anche per le famiglie economicamente deboli» (ma lo stesso potrebbe dirsi per la residenza protratta come condizione di accesso a una prestazione come il RDC) «si pone in frontale contrasto con la vocazione sociale di tali asili» (come pure con la vocazione sociale di una prestazione di contrasto alla povertà). «Il relativo servizio risponde direttamente alla finalità di uguaglianza sostanziale fissata dall’art. 3, co. 2, Cost.» (sent. n. 107/2018);
4) il requisito di 8 anni di residenza nella Regione (previsto per italiani e stranieri) «determina un irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione…sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo» (sent. n. 168/2014);
5) circa il requisito di 3 anni nella Provincia di Trento (previsto per italiani e stranieri) per un assegno di cura eccedente le prestazioni essenziali, la sent. n. 172/2013 osserva che non si può in alcun modo presumere «che lo stato di bisogno di chi risieda (seppur regolarmente) nella Provincia da meno di tre anni sia minore rispetto a chi vi risieda da più anni (sentenze n. 133, n. 4 e n. 2 del 2013)». Tale previsione realizza dunque una discriminazione, che contrasta con la funzione e la ratio normativa stessa, in violazione del limite di ragionevolezza imposto anche dal rispetto del principio di uguaglianza.

 

Determinazione e aggiornamento del costo medio del rimpatrio a carico dei datori di lavoro che impegnano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
Con Decreto del Ministero dell’interno22.12.2018, n. 151 (pubblicato in G.U. serie generale n. 39 del 15.2.2019) approva il regolamento di attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impegnano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Occorre ricordare che il d.lgs. n. 109/2012 ha attuato la direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare». In particolare, l’art. 1, co. 2, prevede che con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri della giustizia, dell’economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali siano stabiliti i criteri per la determinazione e l’aggiornamento del costo medio del rimpatrio cui commisurare la sanzione amministrativa accessoria di cui al comma 12-ter dell’art. 22 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modifiche e integrazioni.
In proposito occorre ricordare che il d.lgs. n. 109/2012, recante l’attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e in particolare l’art. 1, co. 2, che ha previsto la necessità di individuare i criteri per la determinazione e l’aggiornamento del costo medio del rimpatrio cui commisurare la sanzione amministrativa accessoria di cui all’art. 22, co. 12-ter, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni e integrazioni.
L’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno n. 151 del 2018, stabilisce tre principi:
1) il costo medio del rimpatrio, avuto riguardo all’anno in cui è pronunciata la sentenza di condanna, è dato dalla media nel triennio che precede l’anno anteriore a quello cui il costo medio si riferisce dei valori risultanti dal rapporto tra il totale degli oneri sostenuti annualmente per il rimpatrio degli stranieri e il numero complessivo dei rimpatri eseguiti nel medesimo anno;
2) il costo medio del rimpatrio è aumentato nella misura del 30% in ragione all’incidenza degli oneri economici connessi ai servizi di accompagnamento e scorta, con arrotondamento dell’unità di euro, per eccesso o per difetto, a seconda che le cifre decimali del calcolo siano superiori o inferiori a 50;
3) al costo medio del rimpatrio, così calcolato, si applica la variazione media, relativa all’anno precedente, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi, elaborata dall’Istituto nazionale di statistica;
L’art. 2 stabilisce che la sanzione amministrativa accessoria da irrogare nei confronti del datore di lavoro punito per avere occupato stranieri in situazione di soggiorno irregolare di cui all’art. 22, co. 12-ter, d.lgs. n. 286/1998, è versata in unica soluzione sul capitolo n. 3648 del capo XIV dello stato di previsione dell’entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati, nella misura e per le finalità indicate nell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 109/2012.
L’art. 3 stabilisce che il costo medio del rimpatrio sia fissato per l’anno 2018 in euro 1.398,00 e che per i successivi anni sia stabilito con all’art. 3 si stabilisce il costo medio del rimpatrio è determinato in aggiornamento entro il 30 gennaio di ogni anno, sulla base dei medesimi criteri decreto del Capo della polizia direttore generale della pubblica sicurezza, su proposta del direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere.
Così il decreto del Ministro dell’interno 22.2.2019 emanato dal Capo della polizia (pubblicato in G.U. 28.3.2019) ha aggiornato il costo medio del rimpatrio fissandolo a 2.052 euro per l’anno 2019, a partire dalla metà di aprile 2019.

 

La programmazione dei flussi di ingresso per lavoratori non comunitari per il 2019
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12.3.2019 (pubblicato in G.U. n. 84 del 9.4.2019) determina le quote dei lavoratori stranieri che per l’anno 2019 possono fare ingresso in Italia per lavorare, prevalentemente per motivi di lavoro stagionale.
Il decreto fissa una quota massima di ingressi pari a 30.850 unità: 18.000 riservate agli ingressi per motivi di lavoro stagionale e 12.850 riservate all’ingresso di lavoratori appartenenti a determinate categorie (lavoratori di origine italiana, lavoratori autonomi, lavoratori che hanno seguito all’estero corsi di formazione ex art. 23 TU immigrazione) e, per la restante parte, riservate alle conversioni.
A) Le 18.000 quote riservate all'ingresso per lavoro stagionale sono nel settore agricolo e quello turistico-alberghiero. Deve trattarsi di settori in cui viene applicato uno dei contratti collettivi di lavoro che compaiono nel modello di domanda per lavoro stagionale presente sul sito del Ministero dell’interno.
Le quote per lavoro stagionale sono riservate alle seguenti nazionalità: Albania, Algeria, Bosnia- Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina.
Nel 2019, diversamente dagli anni passati, non sono previste quote di ingresso per la prima volta per lavoro stagionale per i cittadini pakistani (forse per la scarsa collaborazione pakistana nella prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e nella riammissione degli espulsi).
B) 2.000 delle 18.000 quote sono riservate agli ingressi per lavoro stagionale pluriennale.
Si ricorda che l’art. 22 d.lgs. n. 286/1998 prevede la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno triennale per lavoro stagionale nel caso in cui il lavoratore abbia già fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti.
La domanda può essere presentata anche da un datore di lavoro diverso da quello precedente.
Il permesso pluriennale consente al lavoratore stagionale di fare ingresso in Italia l’anno successivo indipendentemente dalla pubblicazione del decreto flussi per lavoro stagionale. La richiesta di assunzione in caso di permesso stagionale pluriennale per le annualità successive alla prima, può essere effettuata anche da un datore di lavoro diverso dal datore di lavoro che ha ottenuto il nullaosta triennale al lavoro stagionale.
C) 3.000 stranieri possono essere ammessi per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo. La quota complessiva è così ripartita:
a) 500 quote riservate ai lavoratori stranieri che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n. 286/1998;
b) 100 quote riservate ai lavoratori stranieri di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado di linea diretta di ascendenza, residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile;
c) 2.400 quote sono riservate ai lavoratori autonomi appartenenti alle seguenti categorie:
1) imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro e provenienti da fonti lecite, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro;
2) liberi professionisti riconducibili a professioni vigilate oppure non regolamentate ma rappresentative a livello nazionale e comprese negli elenchi curati dalla Pubblica amministrazione;
3) figure societarie, di società non cooperative, espressamente previste dalla normativa vigente in materia di visti d’ingresso; artisti di chiara fama internazionale, o di alta qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici oppure da enti privati;
4) stranieri per la costituzione di imprese “start-up innovative” ai sensi della legge 17 dicembre 2012 n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e a favore dei quali sia riconducibile un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.
D) 9.850 quote sono riservate agli stranieri che devono convertire in lavoro il permesso di soggiorno già posseduto ad altro titolo. In particolare in tale ambito le quote sono così ripartite:
- 4.750 quote riservate a chi ha un permesso di soggiorno per lavoro stagionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale;
- 3.500 quote riservate a chi ha un permesso di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale;
- 700 quote riservate a chi ha un permesso di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro autonomo;
- 800 quote riservate a chi ha un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato non dall’Italia ma da altro Stato membro dell’Unione europea da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale;
- 100 quote riservate a chi ha un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro dell’Unione europea da convertire in permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Le domande potranno essere presentate dalle ore 9,00 del 16 aprile 2019 per l’assunzione di lavoratori non stagionali e per le conversioni e dalle ore 9,00 del 24 aprile 2019 per l’assunzione di lavoratori stagionali.
Le quote per lavoro subordinato, stagionale e non stagionale, previste dal decreto sono ripartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali tra gli Ispettorati territoriali del lavoro, le Regioni e le Province autonome. Trascorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto, qualora il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilevi quote significative non utilizzate tra quelle previste dal decreto, può effettuarne una diversa suddivisione sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro, fermo restando il limite massimo complessivo indicato all’art. 1.

 

Rassegna delle circolari e delle direttive delle amministrazioni statali

 

Cittadinanza

 

Generalità da attribuire ai cittadini stranieri nell'ambito dei procedimenti di conferimento della cittadinanza italiana
La circolare 18.1.2019, prot n. 462 del Ministero dell'interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze ricorda che la circolare n. 14424/2013 aveva attribuito alla persona che acquisisce la cittadinanza italiana le generalità desumibili dall’atto di nascita dello Stato estero di appartenenza.
Tuttavia sono sorte diverse questioni sull’applicazione concreta della regola dei pieno riconoscimento del «nome d’origine», secondo i principi europei e costituzionali di tutela del patrimonio identitario.
Perciò si precisano le modalità di svolgimento delle attività di verifica delle generalità e dell’identità dei richiedenti la cittadinanza italiana.
L’atto di nascita del Paese estero prodotto a corredo dell’istanza è destinato a far prova dell’identità del soggetto intestatario, in quanto contiene le sue generalità complete, nonché, mediante le annotazioni marginali, i fatti o gli atti, giuridicamente rilevanti, intervenuti successivamente alla nascita a modificare o a integrare i dati identificativi.
Ciò non consente ai richiedenti di stabilire di propria iniziativa, all’atto dell’istanza, quali siano le generalità che lo identificheranno da cittadino italiano, dovendo egli indicare nome e cognome conformi a quelli contenuti nell'atto di nascita, eventualmente debitamente annotato.
Può darsi atto degli eventuali mutamenti intervenuti nelle generalità degli istanti, alla sola condizione che dette variazioni siano state puntualmente pubblicizzate dalla competente Autorità di stato civile straniera a margine dell’atto di nascita del proprio cittadino.
Risulta quindi necessario che sia sempre accuratamente verificata la conformità tra le generalità desumibili dall’atto di nascita del Paese di origine del richiedente e quelle contenute – oltreché, ovviamente, ne! certificato penale dello Stato di provenienza – nel suo passaporto e in tutti gli atti rilasciati a suo favore dalle Autorità italiane, a partire dal permesso di soggiorno, pena la declaratoria di inammissibilità delle domande di cittadinanza ad opera delle Autorità riceventi.
Il principio appena descritto si applica ai casi delle richiedenti coniugate che, in base all’ordinamento del proprio Paese, hanno sostituito al proprio il cognome del marito. Il diretto riconoscimento del cognome coniugale quale componente del nome di origine nei decreto di concessione della cittadinanza italiana è possibile se risulti l’espressa annotazione di tale evento nell’atto di nascita straniero.
Peraltro, qualora l’ordinamento dello Stato di origine non preveda le annotazioni marginali all’atto di nascita, neanche a seguito di atto propulsivo dell'interessato, si potrà consentire la produzione anche dell’atto di matrimonio, dal quale risultino le vicende modificative del cognome originario presente nell’atto di nascita e il conseguente “allineamento” delle nuove generalità.
Da tale atto deve cioè risultare che – pur in assenza di annotazioni marginali sull’atto di nascita – i dati anagrafici riportati nell’atto di matrimonio corrispondono a quelli contenuti nell’atto di nascita, ossia che si tratti del medesimo soggetto che, nei tempo, risulta aver cambiato le generalità nei casi consentiti dalia normativa nazionale.
La forza probatoria dell’atto di nascita trova efficacia anche nell’ipotesi del nome patronimico, che, non essendo previsto dal nostro ordinamento, acquista la valenza di un secondo nome proprio.
La possibilità di rimuovere il patronimico dal «nome d’origine» del destinatario del provvedimento di conferimento dei nostro status civitatis è perciò subordinata alla condizione della espressa annotazione di tale modifica nell'atto di nascita straniero.

 

Cittadini di Paesi terzi
Contrasto degli ingressi irregolari
Le direttive del Ministero dell’interno per il coordinamento delle attività di sorveglianza alle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale. Profili di illegittimità
Il Ministero dell’interno ha adottato diverse misure di coordinamento della sorveglianza alle frontiere marittime e per il contrasto dell’immigrazione illegale ai sensi dell’art. 11 d. lgs. n. 286/1998.
La direttiva del Ministro dell’interno 18.3.2019, n. 14100/141(8) ricorda che ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 286/1998 spetta al Ministro dell’interno adottare misure per coordinare le attività di sorveglianza alle frontiere marittime e per il contrasto dell’immigrazione illegale.
In proposito ricorda che al verificarsi di un evento di soccorso in acque internazionali o in acque SAR di competenza di altro Paese estero, il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera, attraverso il Centro nazionale di soccorso (MRCC Roma), comunica al Centro di coordinamento internazionale (NCC) della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo i meccanismi stabiliti dal predetto decreto interministeriale del 14 luglio 2003, tutte le circostanze relative all’intervento effettuato per gli aspetti connessi al contrasto dell’immigrazione irregolare, al fine di consentire all’Autorità nazionale di pubblica sicurezza di valutare, nell’esercizio delle proprie competenze, l’eventuale adozione delle iniziative e dei provvedimenti ritenuti urgenti, necessari ed indifferibili nell’ambito della cornice normativa vigente.
Dopo considerazioni concernenti i recenti flussi immigratori illegali e un esame (che appare incompleto) delle vigenti norme internazionali la direttiva si sofferma in particolare sull’art. 19 della convenzione di Montego Bay sul diritto del mare che consente agli Stati di considerare non inoffensivo il transito di navi che violino le normative sull’immigrazione.
Essa giunge alla conclusione che il soccorso, a opera di navi, di migranti irregolari in acque di responsabilità non italiane e il successivo deliberato trasferimento dei medesimi migranti, nonostante il Comando delle capitanerie di porto italiano non avesse coordinato l’evento e, quindi, in violazione delle leggi vigenti in materia di immigrazione – ha determinato negli anni 2016, 2017 e 2018 l’arrivo di migliaia di migranti irregolari sul territorio italiano.
Perciò la direttiva afferma che tali condotte di soccorso e navigazione costituiscono una manifestazione concreta di un modus operandi di una attività di soccorso svolta con modalità improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello stato costiero in quanto finalizzata all’ingresso di persone in violazione delle leggi di immigrazione nello Stato costiero, prive altresì di documenti di identità e provenienti in parte da paesi stranieri a rischio terrorismo, per diffuse attività terroristiche verificatesi ed in atto in quei territori.
La direttiva ministeriale suscita vari dubbi di legittimità.
In primo luogo paiono parziali le norme internazionali citate.
In secondo luogo il riferimento alla violazione delle norme sull’immigrazione appare contraddittorio, perché proprio tali norme espressamente agli artt. 10, co. 4, e 19 d.lgs. n. 286/1998 vietano il respingimento allorché si debba applicare il diritto di asilo o vi sia rischio di invio in Paesi in cui lo straniero non sia protetto dal rischio di subire persecuzioni o torture e dei minori stranieri non accompagnati, e prevedono che in appositi punti di crisi sulla terra ferma si svolgano le operazioni di soccorso, accoglienza, identificazione e orientamento delle persone soccorse in mare (art. 10-ter d.lgs. n. 286/1998).
In terzo luogo in qualsiasi Paese del mondo spesso il richiedente asilo è sprovvisto di documenti di identificazione, sia perché impedire il rilascio o revocare i documenti di viaggio è una forma di persecuzione, sia perché distruggerli è la sola possibilità talvolta per tentare di fuggire a persecuzioni e conflitti.
Sulla base di questa direttiva ministeriale generale sono stati adottati successivi 3 provvedimenti ad hoc di coordinamento delle operazioni di sorveglianza in mare nei confronti di determinate imbarcazioni in uso ad ONG considerate ostili soltanto perché avevano soccorso naufraghi stranieri in situazione di soggiorno irregolare che si sono rifiutate di riportare in Libia, che, come confermano UNHCR e altre agenzie ONU è considerata zona insicura a causa della guerra civile e delle condizioni disumane e degradanti in cui gli stranieri sono detenuti senza processo.
Con direttiva del 4.4.2019 del capo di gabinetto del Ministro dell’interno, n. 14100/141(8), su suo ordine, si prescrive alle autorità civili e militari di intimare il divieto di ingresso e transito nelle acque territoriali alla nave Alan Kurdi, battente bandiera tedesca e in uso all’ONG tedesca Sea Eye finalizzata al trasferimento sul territorio italiano di migranti irregolari salvati nel mare davanti la Libia con modalità ritenute improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, in maniera pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello Stato.
La direttiva del Ministro dell’interno del 15.4.2019 N. 14100/141(8) e la direttiva del Ministro dell’interno del 15.5.2019, N. 14100/141(8) dispongono di impartire alle autorità civili e militari la prescrizione di vigilare affinché il comandante e la proprietà rispettivamente della Nave “Mare Jonio”, (la prima direttiva) e della nave Sea Watch 3 (la seconda direttiva):
- si attengano alle vigenti normative nazionali ed internazionali in materia di coordinamento delle attività di soccorso in mare e di idoneità tecnica dei mezzi impiegati per la citata attività;
- rispettino le prerogative di coordinamento delle Autorità straniere legittimamente titolate ai sensi della vigente normativa internazionale al coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nelle proprie acque di responsabilità dichiarate e non contestate dai paesi costieri limitrofi;
 - non reiterino condotte in contrasto con la vigente normativa nazionale ed internazionale in materia di soccorso in mare, di immigrazione, nonché con le istruzioni di coordinamento delle competenti Autorità.

 

Lavoro
La ripartizione delle quote di ingresso per lavoro per l’anno 2019
Una circolare congiunta del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 9.4.2019, n. 1257 illustra i contenuti del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2019 concernente la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2019 (si veda la Rassegna sulle leggi, i regolamenti e i decreti statali). 
La circolare dispone altresì le modalità di presentazione delle istanze e la modulistica
A partire dalle ore 9.00 dell’11 aprile 2019 è disponibile l’applicativo per la precompilazione deli moduli di domanda all’indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.interno.it, che saranno trasmessi, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, per le categorie dei lavoratori non comunitari per lavoro non stagionale ed autonomo, compresi nella quota complessiva indicata al precedente comma 1, articolo 2, dalle ore 9,00 del 16 aprile 2019, settimo giorno successivo alla data di pubblicazione del citato decreto. Le domande potranno essere presentate fino al 31 dicembre 2019.
A differenza degli anni precedenti, la procedura concernente le modalità di accesso al sistema dello Sportello unico richiede il possesso di un’identità SPID, come illustrato con circolare del Ministero dell’interno n. 3738 del 4 dicembre 2018.
Pertanto, prerequisito necessario per l’inoltro telematico delle domande sul sito https://nullaostalavoro.dlci.interno.it è il possesso della citata identità SPID da parte di ogni utente, utilizzando possibilmente, lo stesso indirizzo email usato per l’identità SPID, quale nome utente.
Eseguito l’accesso sopra descritto, le modalità di compilazione dei moduli e di invio delle domande sono identiche a quelle da tempo in uso e le caratteristiche tecniche sono reperibili sul manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link “Help Desk”, sull’home page dell’applicativo, disponibile per tutti gli utenti registrati.
I modelli da utilizzare per l’invio della domanda sono i seguenti:
- Modelli A e B per i lavoratori di origine Italiana residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile,
- Modello VA conversioni dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in permesso di lavoro subordinato,
- Modello VB conversioni dei permessi di soggiorno per lavoro stagionale in lavoro subordinato,
- Modello Z conversione dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in lavoro autonomo,
- Modello LS conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato,
- Modello LS1 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato domestico,
- Modello LS2 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in lavoro autonomo,
- Modello BPS richiesta nominativa di nulla osta riservata all'assunzione di lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del TUI).
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non “a pacchetto”. L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda. Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione.
Nell’area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate. Allo stesso indirizzo http://nullaostalavoro.dlci.interno.it, nell’area privata dell’utente, sarà possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico immigrazione.
Si impartiscono anche criteri per la gestione delle procedure.
a. Istanze per articolo 23 del T.U. Immigrazione (modello B-PS)
Gli Ispettorati territoriali del lavoro, per le istanze relative ai lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del TU), pervenute agli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI), provvederanno a riscontrare sulla lista pubblicata nell’home page del sistema SILEN (nella parte relativa alla documentazione), la presenza dei nominativi dei lavoratori stranieri distinti per Paese di appartenenza. Solo nell’ipotesi di riscontro positivo procederanno a richiedere – per il tramite dell’Ispettorato nazionale del lavoro – alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le relative quote, fornendo gli elementi anagrafici identificativi dei lavoratori richiesti. Le stesse saranno assegnate direttamente sul sistema SILEN.
La circolare ricorda l’importanza di comunicare alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione l’avvenuto rilascio del nulla osta al lavoro o l’eventuale diniego dello stesso, con relativa motivazione.
b. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro subordinato
Si conferma che, nel caso di conversione in lavoro subordinato, il lavoratore dovrà presentare, al momento della convocazione presso lo Sportello unico, la proposta di contratto di soggiorno sottoscritta dal datore di lavoro – valida come impegno all’assunzione da parte dello stesso datore di lavoro – utilizzando il modello Q, ricevuto insieme alla lettera di convocazione. Successivamente, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione (Mod. UNI-Lav) secondo le norme vigenti e a darne copia al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico postale per la richiesta di conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato da inoltrare alla questura competente.
Per i casi di conversione di un permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato (Modello VB), come già disposto dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, si ricorda che è possibile convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ferma la disponibilità di quote, solo dopo almeno tre mesi di regolare rapporto di lavoro stagionale (comma 10, art. 24 TU) ed in presenza dei requisiti per l’assunzione con un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato. A tal fine, gli Ispettorati territoriali del lavoro dovranno verificare la presenza dei requisiti per la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, l’avvenuta assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale, la durata dello stesso rapporto di lavoro stagionale, nonché i relativi pagamenti contributivi agli Enti competenti effettuati a favore del lavoratore nel periodo considerato. Con riferimento al settore agricolo, le cui prestazioni lavorative dei lavoratori stagionali sono effettuate “a giornate” e non a mesi, ai fini della conversione dovrà risultare una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate), coperti da regolare contribuzione previdenziale.
c. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro autonomo
Ai fini della conversione del permesso di soggiorno da studio, tirocinio e/o formazione professionale e permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato dell’UE a lavoro autonomo, si dovrà tener conto delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2015, come modificato da ultimo dalla l. 96/2018, alla disciplina dei contratti di lavoro, con particolare riguardo ai rapporti di collaborazione (art.2) e ai contratti a progetto (art. 52). In tali ipotesi, lo Sportello unico acquisirà il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro.
d. Ingresso per startup innovative
Per quanto concerne l’ingresso per le startup innovative alla circolare sono allegati le linee guida predisposte dal Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell’interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché i relativi modelli di candidatura.
Lo straniero che intende chiedere la conversione del permesso di soggiorno ai fini della costituzione di una startup innovativa dovrà richiedere al Comitato tecnico Italia startup visa il nulla osta secondo le modalità indicate nelle richiamate linee guida ed esibire allo Sportello unico per l’immigrazione la certificazione di nulla osta rilasciata dal predetto Comitato.
Il Comitato, nel caso di conversione, non dovrà richiedere alla questura il nulla osta provvisorio in quanto gli accertamenti di competenza verranno effettuati all’atto del rinnovo del permesso di soggiorno. Questa certificazione sostituisce la certificazione della Camera di commercio di cui all’art. 39, co. 3, d.lgs. 286/1998. Rimane invariata l’esibizione dell’ulteriore documentazione prevista. Per ogni ulteriore chiarimento sulla procedura relativa alle startup innovative potrà essere consultato il sito del Ministero dello sviluppo economico.
Circa le modalità di presentazione delle istanze e la modulistica concernente il lavoro stagionale a partire dalle ore 9.00 dell’11 aprile 2019 è disponibile l’applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda all’indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.intero.it (mod. C-STAG) e saranno trasmesse, esclusivamente con le consuete modalità telematiche e previo accesso al sistema con identità SPID, come sopra descritto, per i lavoratori non comunitari stagionali, compresi nella quota complessiva indicata al precedente articolo 4, dalle ore 9,00 del 24 aprile 2019, quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del citato decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Le domande potranno essere presentate fino al 31 dicembre 2019. Le procedure riguardanti l’accesso degli utenti, l’invio delle domande e la verifica dello stato di avanzamento della pratica sono rinvenibili sul sito internet del Ministero dell’interno (www.interno.gov.it).
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link Help Desk, sull’home page dell’applicativo, disponibile per tutti gli utenti registrati.
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l'assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non “a pacchetto”. L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all'ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda. Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione. Nell'area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate.
Riguardo l’istruttoria relativa alle domande di lavoro stagionale nonché alle richieste di lavoro stagionale pluriennale, si ribadiscono le istruzioni già diramate agli Uffici territoriali del lavoro con la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, con riferimento, in particolare, all’individuazione sia dei settori occupazionali «agricolo e turistico alberghiero» (art. 24, co. 1 TU), che delle ulteriori ipotesi di rifiuto del nulla osta al lavoro (art. 24, co. 12 TU).
Si richiama, inoltre, la procedura del silenzio assenso per le richieste di nulla osta al lavoro stagionale e stagionale pluriennale a favore degli stranieri già autorizzati almeno una volta nei cinque anni precedenti a prestare lavoro stagionale presso lo stesso datore di lavoro, nonché l'adempimento dell'obbligo della comunicazione obbligatoria di assunzione contestuale alla sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Anche in questa occasione, le associazioni di categoria di cui all’art. 38 del d.p.r. n. 394/99, firmatarie dei Protocolli stipulati con questi Ministeri, potranno inviare le istanze per conto dei datori di lavoro che aderiscono alle rispettive associazioni. Protocolli sono aperti all’adesione di altre associazioni interessate.
Gli accreditamenti già rilasciati agli operatori segnalati dalle associazioni di categoria firmatarie del protocollo per le domande relative ai precedenti decreti sono confermati.
Per l’accreditamento di altri operatori (sia delle stesse associazioni che di quelle che aderiranno durante l’anno), ogni Direzione nazionale dovrà presentare, in formato elettronico, a codeste prefetture-UTG i modelli 7 e 8 (allegati), come già indicato nella sopra richiamata circolare del 4 dicembre 2018.
Codeste prefetture, dopo aver disposto gli accertamenti ritenuti opportuni, trasmetteranno, con il proprio parere, i citati modelli alla Direzione centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo, all’indirizzo di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
La successiva circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale dell’immigrazione del 16.4.2019, n. 9 dispone di attribuire a livello territoriale le quote per lavoro subordinato e autonomo di cui agli artt. 2 e 4 del d.p.c.m. che ripartisce le quote per il 2019, direttamente sul sistema informatizzato SILEN, ai fini del rapido rilascio dei nulla osta al lavoro da parte degli Sportelli unici per l’immigrazione.
- Art. 2, co. 2 - Ingressi di lavoratori formati all’estero (ex art. 23 del TU) - n. 500 quote
La Direzione generale provvederà ad assegnare la relativa quota, tramite il sistema informatizzato SILEN, previo riscontro positivo del nominativo del lavoratore inserito in elenco pubblicato sul SILEN, da parte degli Uffici territoriali competenti.
- Art. 2, co. 3 - ingressi lavoratori di origine italiana - n. 100 quote
La Direzione generale provvederà ad assegnare le quote sulla base delle specifiche richieste che perverranno agli Sportelli unici per l’immigrazione e che saranno segnalate alla scrivente dagli Uffici territoriali.
- Art. 2, co. 4 e 5 - Conversioni di permessi di soggiorno in lavoro subordinato e autonomo - n. 9.850 quote
Si procede ad una provvisoria ripartizione territoriale di n. 2.000 quote, per consentire l’immediata operatività degli Sportelli unici per l’immigrazione. Successivamente, sulla base delle effettive domande di conversione, saranno attribuite ulteriori quote.
- Art. 4 - ingressi per motivi di lavoro stagionale - n. 18.000 quote(di cui 2.000 pluriennali)
Viene effettuata una prima ripartizione territoriale di n. 14.108 quote (di cui n. 700 per richieste di nulla osta al lavoro stagionale pluriennale), sulla base del fabbisogno di manodopera stagionale extracomunitaria segnalato alla Direzione generale dagli Uffici territoriali e scaturito dalle consultazioni effettuate a livello locale anche con le parti sociali. Come da prassi consolidata nell’applicazione dei precedenti decreti di programmazione dei flussi, a fronte di fabbisogni locali che si rivelassero superiori alle quote attribuite a livello provinciale, gli Uffici territoriali potranno richiedere ulteriori quote per dare riscontro alle richieste presentate agli Sportelli unici per l’immigrazione.
Procedure di chiusura flussi
Infine con riferimento ai decreti flussi per l’anno 2016 (d.p.c.m. 14.12.2015) e 2017 (d.p.c.m. 13.2.2017) le quote non impegnate dagli Uffici territoriali entro il 31 maggio 2019 sono azzerate nel sistema informatizzato SILEN, d’intesa con il Ministero dell’interno.

 

Linee guida dell’Ispettorato nazionale del lavoro sulla vigilanza concernente il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Con circolare 28.2.2019, n. 5 dell’Ispettorato nazionale del lavoro dopo un congruo periodo di vigenza del nuovo art. 603-bis c.p., l’Ispettorato nazionale del lavoro ha emanato Linee guida per l’attività di vigilanza in materia di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, quale contributo alle attività di indagine svolte dal personale ispettivo che, in ogni caso, dovrà tenere preliminarmente conto delle eventuali diverse indicazioni fornite dalle competenti Procure della Repubblica, sia sugli elementi utili alla configurazione del reato, sia sulle metodologie per l’acquisizione dei relativi elementi di prova.
Si trattasi infatti di attività di polizia giudiziaria che, fatta salva una prima fase di indagine, va svolta in stretto coordinamento con le competenti Procure e i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro.
Si ricorda anzitutto che la riformulazione del citato art. 603-bis c.p. da parte della l. n. 199/2016 ha previsto, fra l’altro, due distinte figure di incriminazione:
- la intermediazione illecita, che persegue chiunque “recluta” manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizione di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
- lo sfruttamento lavorativo, che punisce penalmente chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante la citata attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Con la l. n. 199/2016 sono anche introdotte misure di carattere patrimoniale, dettate evidentemente dalla consapevolezza che i reati in questione producono vantaggi economici. Sebbene nel sentire comune il reato in questione è spesso associato alle attività svolte in agricoltura, tuttavia, lo stesso è riscontrabile anche in ambiti diversi. Sono anzi sempre più frequenti comportamenti riconducibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 603-bis c.p. nell’ambito di attività di servizi esercitate da talune imprese che realizzano forme di intermediazione illecita lucrando su un abbattimento abnorme dei costi del lavoro a danno dei lavoratori o degli Istituti previdenziali.
Non è altresì escluso che ipotesi di sfruttamento possano essere realizzate nell’ambito di una «associazione per delinquere» (art. 416 c.p.) o, addirittura, nell’ambito di «associazioni di tipo mafioso anche straniere» (art. 416-bis).
Elementi della fattispecie
Elementi costitutivi di entrambe le fattispecie di illecito sono dunque quello dello sfruttamento lavorativo – individuabile anche attraverso l'ausilio di alcuni indici di cui si dirà successivamente – e quello dell’approfittamento dello stato di bisogno.
Approfittamento dello stato di bisogno
Quanto all’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori è possibile anzitutto richiamare la giurisprudenza che ha approfondito la nozione, pur relativamente ad altre fattispecie di reato. In particolare tale elemento rappresenta una delle circostanze aggravanti del reato di usura (art. 644 c.p. ) che si realizza quando la condotta illecita è posta in essere «in danno di chi si trova in stato di bisogno».
Preliminarmente, per quanto riguarda l’approfittamento, lo stesso può ritenersi riconducibile alla strumentalizzazione a proprio favore della situazione di debolezza della vittima del reato, per la quale è sufficiente una consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali (v. Cass. civ., sent. n. 1651/2015).
Per quanto concerne lo stato di bisogno si ritiene di poter aderire anzitutto a quell’orientamento giurisprudenziale che ha chiarito come «lo “stato di bisogno” della persona offesa [...] non può essere ricondotto ad una situazione di insoddisfazione e di frustrazione derivante dall'impossibilità o difficoltà economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza di mezzi idonei a sopperire ad esigenze definibili come primarie, cioè relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque» (Cass. pen., sent. n. 4627/2000).
Tale elemento del reato è stato altresì ricondotto ad «una condizione psicologica in cui la persona si trova e per la quale non ha piena libertà di scelta» (Cass. pen., sent. n. 2085/1993) e «non si identifica nel bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona» (Cass. pen., sent. n. 10795/2016).
Come successivamente chiarito, anche su tale elemento – in quanto imprescindibile ai fini della applicazione dell’art. 603-bis c.p. – dovrà soffermarsi l’attenzione del personale ispettivo, che pertanto dovrà fornire i relativi elementi di prova. L’attività investigativa sarà comunque tanto più semplice da realizzarsi quanto più è evidente lo stato di “debolezza sociale” dei lavoratori, ciò che avviene non di rado in relazione all'impiego di personale straniero spesso extracomunitario.
Sfruttamento lavorativo
Ulteriore elemento costitutivo del reato è lo sfruttamento lavorativo. Secondo l’art. 603-bis costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più “condizioni”, da intendersi tuttavia quali condizioni “di lavoro” e non quali elementi condizionanti la sussistenza del reato. Sul punto va infatti evidenziato che le condizioni di cui si dirà di seguito costituiscono meri indici dello sfruttamento, peraltro alternativi, finalizzati ad indirizzare e approfondire gli accertamenti. Si tratta, nello specifico, dei seguenti indici:
- la «reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato». Al riguardo si ritiene utile precisare che la reiterazione va intesa come comportamento reiterato nei confronti di uno o più lavoratori, anche nel caso in cui i percettori di tali retribuzioni non siano sempre gli stessi in ragione di un possibile turn over. Inoltre, il riferimento ai contratti collettivi è evidentemente da intendersi ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni “comparativamente” più rappresentative, il che costituisce elemento di maggior garanzia per i lavoratori. Ciò anche in ragione del fatto che ogni altra disposizione di legge emanata negli ultimi decenni, che richiede l’applicazione di contratti collettivi a diversi fini, fa espresso riferimento ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative a livello nazionale” (v. ad es. l’art. 54-bis, co. 16, del d.l. n. 50/2017, secondo il quale nell’ambito del lavoro occasionale in agricoltura «il compenso minimo è pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo di lavoro stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»; oppure l’art. 7, co. 4, del d.l. n. 248/2007 secondo il quale, nel settore della cooperazione, vanno applicati «i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria»);
- la «reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie»; trattasi sostanzialmente della negazione del diritto ai riposi previsti dagli artt. 7 (riposo giornaliero), 9 (riposo settimanale) e 10 (ferie annuali) del d.lgs. n. 66/2003 e/o del diritto alla aspettativa obbligatoria, cioè del diritto di assentarsi dal lavoro in tutti i casi in cui è obbligatoriamente previsto (ad es. per gravidanza); anche in tal caso il comportamento reiterato, quale indice della sussistenza di una condizione di sfruttamento lavorativo, può ben realizzarsi nei confronti di lavoratori sempre diversi;
- la «sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro»; in tal caso, l’indice sarà tanto più significativo quanto più gravi saranno le violazioni di carattere prevenzionistico accertate, mentre avranno evidentemente meno “peso” eventuali violazioni di carattere formale o altre violazioni che non vadano ad incidere in modo diretto sulla salute e sicurezza del lavoratore o la mettano seriamente in pericolo. Viceversa, violazioni in materia di salute e sicurezza particolarmente gravi potranno dar luogo ad una aggravante specifica (v. infra) che, secondo il comma 4 n. 3 dell’art. 603-bis c.p., si realizza per «aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro». In relazione a tale indice si evidenzia che, a differenza di quelli esposti in precedenza, non è richiesta la reiterazione;
- la «sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti»; in relazione a tale indice occorrerà verificare se la sua sussistenza non integri altresì gli estremi del reato di cui all’art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù). Ipotesi di condizione lavorativa degradante possono rinvenirsi nelle situazioni di significativo stress lavorativo psico-fisico, ad es. quando il trasporto presso i luoghi di lavoro sia effettuato con veicoli del tutto inadeguati e superando il numero delle persone consentito così da esporli a pericolo; lo svolgimento dell’attività lavorativa avvenga in condizioni metereologiche avverse, senza adeguati dispositivi di protezione individuale; quando sia del tutto esclusa la possibilità di comunicazione tra i lavoratori o altri soggetti; quando siano assenti locali per necessità fisiologiche ecc. La sorveglianza non è invece da intendersi nel senso letterale della parola, spesso essendo sufficiente una costante presenza fisica del datore di lavoro/fiduciario affinché nel lavoratore si generi il pensiero di essere controllato e quindi di dover produrre al fine di conservare il lavoro.
Si ricorda che, per quanto riguarda alcuni indici di sussistenza dello sfruttamento lavorativo, esiste inoltre un presidio sanzionatorio amministrativo, ad es. in relazione alle violazioni al d.lgs. n. 66/2003. In tali casi occorrerà adottare evidentemente i relativi provvedimenti ma ciò non comporta la necessità di notificare la sanzione amministrativa prima della comunicazione di reato alla competente Procura della Repubblica – che va inoltrata “senza ritardo” (art. 347 c.p.p.) – atteso che tali adempimenti seguono procedure e tempistiche differenti. Nella notizia di reato sarà sufficiente evidenziare l'accertamento di uno o più indici segnalando alla Procura che gli stessi, qualora sanzionati in via amministrativa, saranno oggetto di separata verbalizzazione e notificazione di illecito.
Aggravanti speciali
Si ricorda che l’art. 603-bis c.p. prevede inoltre che «se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato» (co. 2) e che «costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro» (co. 3).
Attività investigativa
Si ribadisce che l’attività investigativa deve essere pianificata, tranne che nelle ipotesi di arresto in flagranza, con i magistrati delle competenti Procure della Repubblica ed i carabinieri del Comando per la tutela del lavoro e deve essere finalizzata a ricostruire l’intera filiera e accertare l’esistenza degli elementi che integrano il reato di cui all’art. 603-bis c.p.; va poi ricordato che rispetto al reato in questione, oltre all’arresto in flagranza, è prevista:
- la possibilità di ricorso alle intercettazioni (v. art. 266 c.p.p.);
- la confisca obbligatoria delle «cose che servirono o furono destinate alla commissione del delitto e dei proventi da esso derivanti» (anche per equivalente) in caso di condanna o patteggiamento (v. infra);
- la confisca allargata per sproporzione di denaro, beni oltre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui risulti titolare in valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività economica (v. infra).
Nel caso dell’intermediazione illecita, l’accertamento deve essere effettuato sia nei confronti dell'intermediario, sia nei confronti dell’utilizzatore; tuttavia nei confronti di quest’ultimo, secondo l’esperienza maturata, sarà evidentemente più semplice ricercare gli indici di sfruttamento previsti dall’art. 603-bis c.p.
Identificazione dell’intermediario
In riferimento all’attività dell’intermediario occorre in primo luogo procedere ad una sua identificazione attraverso le banche dati a disposizione (C.C.I.A.A. in particolare) per appurare:
a) se lo stesso opera sotto una ragione sociale ed in caso affermativo qual è l’oggetto dell’impresa;
b) se dispone di autorizzazioni alla somministrazione o intermediazione di lavoro;
c) se ha rapporti economici (censiti ufficialmente) con imprenditori operanti nel settore interessato dallo sfruttamento;
d) se è intestatario di veicoli, verificandone la tipologia e la targa (in particolare nell’ambito dell’agricoltura);
e) qual è l’attività lavorativa o imprenditoriale (se ve ne è una) ufficialmente esercitata.
Identificazione dell’utilizzatore e collegamenti con l’intermediario
Nel caso in cui siano acquisiti indizi di una attività di intermediazione illecita si procederà, coinvolgendo i carabinieri del Comando per la tutela del lavoro, all’accertamento degli utilizzatori presso i quali il personale è inviato e le modalità con cui ciò avviene. In tale fase, qualora non si sia già proceduto, occorrerà relazionarsi con la competente Procura, anche al fine di ottenere indicazioni sulle modalità di acquisizione degli elementi di prova inerenti la platea degli utilizzatori (ad es. intercettazioni telefoniche e possibile sequestro degli apparati utilizzati nella corrispondenza elettronica per la trascrizione di conversazioni sospette). L’ulteriore fase investigativa è rappresentata da una attenta attività di osservazione volta ad accertare il collegamento tra l’intermediano e l’utilizzatore, le reali condizioni di lavoro, quelle alloggiative (se ai lavoratori viene fornito alloggio), i metodi di sorveglianza (se le lavorazioni si svolgono all’aperto), il numero di lavoratori reclutati, la loro età ecc.
Perquisizioni, sequestri e rilievi
Qualora gli accertamenti già effettuati abbiano consentito l’acquisizione di importanti indizi di colpevolezza, occorre procedere all'effettuazione di perquisizioni e al successivo sequestro di documentazione e dispositivi informatici (con estrazione di copia forense), nonché della c.d. doppia contabilità formata dall’intermediario e dall’utilizzatore. Contestualmente alle perquisizioni, a seconda dei casi, vanno effettuate delle videoriprese o fotografie all'interno dei locali ove si svolgono le lavorazioni o presso cui i lavoratori sono eventualmente alloggiati, allo scopo di documentare le condizioni di lavoro e di vita.
Informazioni sui rapporti di lavoro
Occorre quindi acquisire, anche presso gli Istituti previdenziali e le organizzazioni sindacali, elementi utili alla dimostrazione degli indici di sfruttamento previsti in particolare dai n. 1 e 2 del comma 3 dell’art. 603-bis c.p. Al riguardo va premesso che sono sempre meno i casi che coinvolgono lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno e comunque lavoratori, siano essi italiani o stranieri, privi di regolare assunzione. L’evoluzione del fenomeno si caratterizza infatti per una apparente legalità, tant’è che in alcuni casi esiste addirittura un contratto di somministrazione di lavoro con un somministratore fornito di autorizzazione e ai lavoratori è consegnato un prospetto paga da cui si evince un apparente rispetto di orari e trattamento economico previsti dalla contrattazione collettiva. Può dunque accadere che il datore di lavoro abbia predisposto documentazione amministrativa e contabile tale da fornire una rappresentazione del rapporto di lavoro notevolmente diversa dal suo effettivo svolgimento. A titolo esemplificativo, pertanto, le ore effettivamente lavorate e la retribuzione effettivamente percepita potrebbero essere assolutamente diverse da quelle documentate e non si possono escludere casi in cui i pagamenti siano tracciati (ad es. attraverso bonifico) e il lavoratore sia costretto a restituire una parte della retribuzione; in tali ipotesi, sarà evidentemente necessario verificare anche la sussistenza del reato di cui all’art. 629 c.p. (estorsione).
L’audizione dei soggetti sottoposti alle indagini, nell’immediatezza dell’accesso sul luogo di lavoro, avviene di norma ai sensi dell’art. 350, co. 7, c.p.p. sotto forma di dichiarazioni spontanee. Un vero e proprio interrogatorio dell’indagato avviene invece nella fase di svolgimento delle indagini preliminari, uno dei principali momenti in cui si concretizza il coordinamento fra la Procura e la polizia giudiziaria. In tale occasione, solitamente, il Procuratore formula un addebito a carico dell'indagato, invitandolo a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p. ed eventualmente delegando la p.g. al suo svolgimento. Proprio in tale contesto potrà quindi essere sollecitata la collaborazione dell’indagato, al fine di chiarire anche la posizione di altri soggetti, ricordando quanto previsto dall’art. 600-septies 1 e dall’art. 603-bis 1, c.p. Il primo prevede una diminuzione di pena «nei confronti del concorrente che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti». La seconda disposizione prevede una diminuzione di pena «nei confronti di chi, nel rendere dichiarazioni su quanto a sua conoscenza, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite».
Risulta naturalmente fondamentale l’audizione dei lavoratori coinvolti, dai quali è necessario acquisire non solo delle “sommarie informazioni” circa la propria attività, ma ogni notizia utile a comprovare sia la condizione di sfruttamento sia lo stato di bisogno, sebbene ciò non sia sempre agevole in quanto spesso soggetti a forme di intimidazione da parte dell'intermediario e/o del datore di lavoro. A tal riguardo, qualora si tratti di personale extracomunitario privo di permesso di soggiorno, è opportuno ricordare loro alcune disposizioni di favore previste dall’ordinamento. In particolare l’art. 18 del d.lgs. n. 286/1998 prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno «per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale» che, peraltro, «consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età». Analogamente l’art. 22, co. 12-quater, del medesimo decreto stabilisce che «nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis» – che a sua volta richiama anche l’art. 603-bis c.p. – «è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del Procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno»; anche tale documento, «consente lo svolgimento di attività lavorativa e può essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo» (art. 22, co. 12-sexies, d.lgs. n. 286/1998).
Proprio in ragione della particolare vulnerabilità dei soggetti vittime del reato di cui all’art. 603-bis c.p., possono trovare applicazione alcuni istituti processuali che appare utile ricordare:
- incidente probatorio ex art. 392, co. 1-bis, c.p.p.;
- parte offesa risentita in dibattimento ex art. 190-bis c.p.p. solo su fatti diversi dall’incidente probatorio;
- audizione protetta in dibattimento ex art. 498 c.p.p.;
- audizione protetta in incidente probatorio ex art. 398, co. 5, c.p.p.;
- possibilità di ricorrere all’ausilio di esperto (psicologo) per l’esame.
Occorre altresì evidenziare alcune cautele da adottare nel caso in cui il lavoratore intervistato sia uno straniero privo di regolare permesso di soggiorno, ciò al fine di non vanificare il successivo sviluppo processuale della attività di indagine. Va infatti ricordato che, in tali casi, lo stesso lavoratore è imputabile ai sensi dell’art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale «salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente Testo unico nonché di quelle di cui all’art. 1, legge 28.5.2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro».
Ne deriva che la sua audizione debba essere preceduta:
- dall’avviso al difensore di ufficio/di fiducia;
- dall’avviso ex art. 64, co. 3 lett. b) e c), c.p.p. (facoltà di non rispondere ad alcuna domanda; in caso di dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone).
Quanto alle domande da sottoporre ai lavoratori coinvolti occorre evidenziare la necessità di sottoporre domande specifiche, evitando domande che possano nuocere alla sincerità della risposta o che tendano a suggerirla. Per quanto concerne la verbalizzazione, la stessa riguarderà sia la domanda che la risposta per esteso, evitando pertanto la formulazione “ADR” (a domanda risponde). In allegato (ALL. 1) è riportata una griglia di massima di domande da sottoporre alle vittime del reato di cui all'art. 603 bis c.p. , evidentemente da selezionare in base al caso concreto e finalizzate alla acquisizione degli elementi costitutivi della fattispecie.
Coinvolgimento di soggetti terzi
È bene porre attenzione alle condotte di soggetti terzi che abbiano consentito o agevolato la realizzazione del reato di cui all’art. 603-bis c.p., pur non qualificabili espressamente come intermediari. Come già rappresentato, lo sfruttamento del lavoro può realizzarsi anche nell’ambito di rapporti commerciali tra imprese, in particolare nell’ambito di una prestazione di servizi oggetto di un contratto di appalto, laddove l’impresa appaltatrice, nel garantire forti risparmi ai committenti, approfitti dello stato di bisogno dei lavoratori abbattendo considerevolmente i costi del lavoro attraverso la corresponsione di retribuzioni «in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato». In tale contesto andrà ad esempio valutato il comportamento del personale incaricato dalla società appaltatrice di offrire i servizi ai futuri committenti sottoscrivendo i relativi preventivi, il quale potrà rendersi anch’esso responsabile di un comportamento penalmente rilevante. Le indagini andranno estese anche alle imprese (indipendentemente dal possesso della personalità giuridica) utilizzate come mezzo per la consumazione dei delitti in questione, considerato che le condotte di cui all’art. 603-bis c.p. sono valutate anche ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.
Indagini patrimoniali
È sempre necessario effettuare un calcolo, anche approssimativo, dei guadagni ottenuti dall’intermediario in forza di quanto corrisposto dagli utilizzatori (e talvolta dai lavoratori stessi) e di quelli ottenuti dagli utilizzatori a seguito del mancato o ridotto versamento di retribuzione, contribuzione ed imposte sui rapporti di lavoro.
Tali somme dovranno essere sequestrate, a fine di confisca, ai responsabili dei reati anche ai sensi dell’art. 603-bis 2 c.p. quale profitto del reato; dovranno inoltre essere cercati, in assenza di denaro liquido, anche beni di pari importo, considerato che tale disposizione consente la confisca per equivalente.
A tale ultimo fine dovranno essere eseguite accurate indagini patrimoniali sui redditi e sulla consistenza del patrimonio delle persone indagate e delle imprese da loro amministrate. I relativi risultati saranno infatti utili sia per l’esecuzione del sequestro per equivalente di cui all’art. 603-bis c.p., sia per l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato all’esecuzione della confisca di cui all’art. 240-bis c.p. (confisca in casi particolari).
Conclusione delle indagini
Nel momento della conclusione delle indagini, sarà comunque necessario preservare da eventuali atti di danneggiamento i beni aziendali per consentire l’eventuale applicazione dell’art. 3 della l. n. 199/2016, secondo il quale «il giudice dispone, in luogo del sequestro, il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato, qualora l'interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale».
In tali casi il Legislatore richiede al giudice di nominare un amministratore (o anche più di uno) il quale «affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda ed autorizza lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa» e «controlla il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative la cui violazione costituisce, ai sensi dell’articolo 603-bis c.p., indice di sfruttamento lavorativo, procede alla regolarizzazione dei lavoratori che al momento dell’avvio del procedimento per i reati previsti dall’art. 603-bis prestavano la propria attività lavorativa in assenza di un regolare contratto e, al fine di impedire che le violazioni si ripetano, adotta adeguate misure anche in difformità da quelle proposte dall’imprenditore o dal gestore».