Cittadinanza e apolidia

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L’ultimo quadrimestre del 2018 mostra un discreto numero di pronunce, all’interno del quale si segnalano una rara pronuncia sull’acquisto della cittadinanza a seguito di riconoscimento del figlio nato fuori
 
dal matrimonio ed altre sull’acquisto per matrimonio e sull’accertamento dell’apolidia. Persiste comunque l’atteggiamento severo del Tar di Roma in relazione alle (sempre) numerose istanze di revisione del diniego della cittadinanza da parte del Ministero dell’interno in riferimento al procedimento di naturalizzazione ex art. 9 lett. f) della legge n. 91/92. Alcune decisioni sono fondate infine sulla nuova competenza attribuita in materia di cittadinanza e apolidia alle Sezioni specializzate dei Tribunali in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ai sensi dell'art. 3, co. 2 del d.l. 13/2017, convertito dalla l. 46/2017: quest’ultimo ha infatti introdotto il nuovo art. 19-bis nel d.lgs. 150/2011 sulla riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
 
Riconoscimento della cittadinanza per discendenza da cittadina italiana. Competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Efficacia temporale delle sentenze costituzionali.
Il già nutrito indirizzo giurisprudenziale relativo al riconoscimento della cittadinanza per discendenza da madre cittadina in un periodo nel quale, in base alla precedente legge 555/12, non era consentito alla donna di «trasmettere» la cittadinanza italiana ai figli, anche perché assai spesso tale cittadinanza veniva persa a causa del matrimonio con un cittadino straniero (rispettivamente ex artt. 1 e 10 l. cit.), si arricchisce con una ulteriore decisione dei giudici di merito ( Trib. Brescia, Sez. spec., 10 novembre 2018 n. 3039) , la quale presenta diversi spunti di interesse. Al di là della consueta conferma del ruolo di legittimato processuale esclusivamente in capo al Ministero dell’interno, anziché al Sindaco, il Tribunale respinge correttamente la doglianza del Ministero convenuto, relativa ad una pretesa necessità di una domanda o iter amministrativo quale presupposto necessario per l’instaurazione del relativo processo davanti all’a.g.o. In effetti, appare inusuale e totalmente infondata la tesi del convenuto, secondo il quale l’istanza doveva essere proposta preliminarmente davanti ad esso. Si trattava infatti di una domanda di accertamento dello status civitatis italiano iure sanguinis, dunque svincolato da valutazioni discrezionali della P.A. e sottoposto in quanto tale alla giurisdizione della Sezione specializzata del Tribunale territorialmente competente, ai sensi dell’art. 19 bis d.lgs. n. 150/2011, sopra ricordato.
Viene poi confermato ancora una volta – alla luce delle ben note sentenze costituzionali n. 87/1975 e n. 30/1983 che «la titolarità della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria, indipendentemente dalla dichiarazione resa dall’interessata ai sensi della l. n. 151 del 1975, art. 219, alla donna che l’ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volontà della titolare della cittadinanza è effetto perdurante, dopo la data indicata, della norma incostituzionale, effetto che contrasta con il principio della parità dei sessi e dell’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.)». Ciò comporta quindi il riconoscimento dello status civitatis anche ai figli «legittimi» di madre cittadina nata prima dell’entrata in vigore della Costituzione, «attesi i caratteri di assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità» dello status medesimo, rispetto alla quale non può applicarsi la categoria delle c.d. situazioni esaurite. Il valore aggiunto di questa sentenza risiede in una accurata disamina delle norme in materia di cittadinanza, succedutesi nel tempo, del Brasile (Stato in cui risiedevano gli ascendenti), al fine di escludere definitivamente l’acquisto della relativa cittadinanza e la conseguente perdita di quella italiana.
 
Acquisto della cittadinanza a seguito del riconoscimento del figlio maggiorenne da parte di cittadino italiano.
Com’è noto, l’art. 2 co. 1 della legge n. 91/92 estende l’acquisto automatico della cittadinanza italiana per filiazione ai casi di riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione stessa durante la minore età del figlio. Il co. 3 tuttavia prevede (con una formulazione per certi versi contorta, ereditata dalla precedente legge del 1912) che qualora il figlio sia maggiorenne può dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale oppure dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di «eleggere» la cittadinanza determinata dalla filiazione: ovvero, di voler acquistare lo status civitatis italiano. Su quest’ultima norma si fondava il ricorso di un cittadino italiano e della figlia contro una pronunzia negativa della Corte di Appello di Venezia.
Tuttavia, il Supremo Collegio (Cass., ord. 31.10.2018 n. 27925) conferma ineccepibilmente la decisione di quest’ultima constatando anch’essa che la manifestazione della volontà richiesta dalla norma era intervenuta ben oltre la scadenza del termine annuale ivi previsto e affermando che, ad onta della residenza in Brasile di entrambe le parti e di un trasferimento tardivo in Italia della ricorrente ai fini della dichiarazione suddetta, essa ben poteva manifestare la sua volontà nei termini previsti presso Consolato italiano territorialmente competente; viene altresì precisato che, in ogni caso, il temine per la dichiarazione medesima decorre dal riconoscimento, e non dal relativo assenso da parte del figlio ultrasedicenne di cui all’art. 250, co. 2 c.c.
 
Acquisto della cittadinanza per matrimonio. Irrilevanza della mancata convivenza tra i coniugi. Riduzione del periodo di residenza in Italia in presenza di figli. Nuova competenza dei tribunali ordinari. Rilevanza delle condanne penali.
Gli artt. 5-8 della legge 91/92, relativi all’acquisto della cittadinanza per matrimonio sono stati oggetto, come noto, di rilevanti modifiche nel corso degli ultimi dieci anni, in primo luogo ad opera della l. 15.7.2009 n. 94 (di conversione del c.d. decreto sicurezza). Questo provvedimento, pur innalzando a due anni il periodo di residenza per il coniuge interessato a tale acquisto, ha lasciato sostanzialmente invariato il requisito attinente all’assenza di separazione personale, definita originariamente «legale». Muovendo da questa constatazione un giudice di merito (Trib. Modena, 6.11.2018, n. 1827, in Banca dati De Jure) ha ritenuto ininfluente la mancata convivenza tra i coniugi, ovvero la separazione di fatto, richiamando a sostegno della sua decisione Cass., 17.1.2017 n. 969 (sulla quale v. la Rassegna in questa Rivista, fasc. 2/2017) e disponendo così l’acquisto della cittadinanza del coniuge di una cittadina italiana.
 
Al medesimo risultato è giunta anche un’altra pronuncia (Trib. Roma, ord. 28.9.2018, in Banca dati De Jure). È stato accertato anzitutto che l’attrice, nel frattempo trasferitasi all’estero, aveva comunque titolo per godere, sempre in base al nuovo testo dell’art. 5 della l. 91/92, del dimezzamento del periodo di residenza in Italia di due anni, a causa della presenza di figli. È stato poi accertato il decorso del termine di due anni ai fini della preclusione all’eventuale rigetto della domanda da parte del Ministero dell’interno (norma oggi purtroppo abrogata dal d.l. 4.10.2018, n. 113, conv. dalla l. 1.12. 2018, n. 132).
 
Infine, un’ulteriore decisione ( Trib. Brescia, Sez. spec., ord. 28.9.2018) ha sancito il diritto soggettivo del coniuge straniero di acquistare la cittadinanza italiana, malgrado il Ministero dell’interno avesse formulato due diverse eccezioni. Alla prima, relativa alla presunta competenza in materia del Tribunale di Roma, è stata puntualmente rammentata l’entrata in vigore del d.l. 13/2017, convertito nella l. 46/2017, il cui art. 3, co. 2 ha attribuito invece competenza alle Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, come si è ricordato all’inizio, individuando tale competenza nel luogo in cui il ricorrente ha dimora. Quanto al preteso rilievo di due condanne penali riportate dall’attore, il Tribunale ne ha sancito l’irrilevanza alla luce del testo dell’art. 6 della l. 91/92 in quanto inferiori al termine di pena ivi stabilito ed una emessa a seguito di patteggiamento, escludendone la qualifica di sentenza di condanna e verificando l’avvenuta pronuncia di estinzione del reato.
 
Acquisto della cittadinanza per naturalizzazione. Effetti ostativi ad opera di condanne penali, contiguità a gruppi estremistici, reddito inadeguato, mancata conoscenza della lingua italiana.
Come di consueto, le sentenze più numerose del periodo qui considerato traggono origine dai ricorsi presentati da cittadini stranieri contro il diniego della P.A. alla concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. f) della l. 91/92. Si tratta di pronunce in larghissima parte negative, le quali ribadiscono alcuni principi di diritto costantemente evocati in questo settore e già ampiamente illustrati nelle precedenti Rassegne: quali, ad esempio, la amplissima discrezionalità dell'Amministrazione in questo procedimento e il correlativo apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta. Muovendo da questa ampia prospettiva assumono perciò rilievo sia le condanne penali per qualsiasi reato (ex multis, Tar Lazio, sez. I, sent. 1.10.2018 n. 9678,Tar Lazio, sez. I, sent. 15.10.2018 n. 9993, Tar Lazio, sez. I, sent. 23.10.2018 n. 10254, Tar Lazio, sez. I, sent. 19.11.2018 n. 11192, Tar Lazio, sez. I, sent. 5.12.2018 n. 11796) sia, anche in assenza di esse, la frequentazione e l’appartenenza a movimenti che rivelano posizioni estremistiche (Tar Lazio, sez. I, sent. 20.11.2018 n. 11249, in relazione a un apolide per il quale l’art. 9, co. 1 lett. d prevede un periodo di residenza in Italia di soli quattro anni). Inoltre, l’ampiezza della prospettiva sopra ricordata induce i giudici amministrativi ad avallare anche i dinieghi del Ministero dell’interno fondati sulla inadeguatezza del reddito dell’interessato (Tar Lazio, sez. I, sent. 20.11.2018 n. 11253), a volte combinata con i precedenti penali a carico del coniuge dell’istante (Tar Lazio, sez. I, sent. 23.10.2018 n. 10255) o fondati sulla mancata conoscenza della lingua italiana (Tar Lazio, sez. I, sent. 9.8.2018 n. 9061). Gli stessi giudici (Tar Lazio, sez. I, sent. 4.10.2018 n. 9735) non possono tuttavia sottrarsi all’accoglimento del ricorso allorché venga a cadere l’unico presupposto dal quale muoveva il rifiuto della cittadinanza: ovvero, il reato di ricettazione di una bicicletta da parte del figlio del soggetto interessato, in riferimento al quale il Tribunale per i minorenni ne aveva dichiarato l’improcedibilità per irrilevanza del fatto; ne consegue però, esclusivamente annullando il provvedimento impugnato, il rinvio dei giudici a “successive valutazioni dell’Amministrazione” e, qui come in altri casi, la compensazione delle spese processuali.
Dal canto loro, i giudici di Palazzo Spada (Cons. St., sez. III, sent. 6.9.2018 n. 5262) ribadiscono la delicatezza e la notevole rilevanza delle indagini svolte dagli organismi di sicurezza ai fini del rifiuto della cittadinanza in caso di sospetta contiguità con associazioni “non positive”.
 
Accertamento dell’apolidia. Novero degli Stati da esaminare ai fini della mancanza di cittadinanza.
In tema di apolidia è stata emessa una interessante e dettagliata pronuncia ( Trib. Bologna, Sez. spec., ord. 31.12.2018) relativa a uno straniero originario della Palestina, il quale chiedeva l’accertamento dello status di apolide. A tale riguardo, il Tribunale afferma preliminarmente la propria competenza, in quanto Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, ai sensi dell'art. 3, co. 2 del d.l. 13/2017, ricordato all’inizio. In vista della complessa situazione del ricorrente, rimasto orfano in tenera età, fuggito dalla Palestina con uno stretto parente e poi giunto in Egitto, in Libia ed infine in Italia, dove era divenuto titolare di protezione umanitaria tramutatasi in protezione sussidiaria, il giudice indaga anzitutto sull’eventuale possesso della cittadinanza palestinese, poiché dapprima l’ambasciata e successivamente le autorità palestinesi competenti, il Ministero degli interni e il comune di Gaza erano rimasti inerti di fronte alle ripetute richieste di documenti da parte dell’interessato, sia riguardo allo stato civile sia riguardo alla cittadinanza. Al termine di un’accurata ricerca (anche condotta autonomamente dal giudice) ed analisi delle fonti normative rilevanti e delle carenze dello stato civile e dell’anagrafe palestinese a tale proposito, il Tribunale conclude che il ricorrente non potrà mai ottenere una carta d’identità e dunque il riconoscimento della cittadinanza palestinese né conseguire quest’ultima attraverso la procedura di riconoscimento (ricongiungimento) familiare. Evocando poi l’orientamento della Corte di cassazione riguardo alla prova dell’apolidia, che limita l’accertamento della mancanza di cittadinanza agli Stati con i quali il soggetto mostri collegamenti significativi, il giudice constata anche il mancato possesso della cittadinanza italiana. Ne consegue, anche alla luce della necessità di garantire all’interessato i diritti derivanti da tale status, la dichiarazione di apolidia.