Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

Stampa
La rassegna del numero 1 del nuovo anno prende in considerazione gli orientamenti giurisprudenziali più significativi in materia di espulsioni e trattenimenti intervenuti nel corso dell’ultimo quadrimestre del 2017. Tra questi, indubbiamente spicca la sentenza n. 275/2017 della Corte costituzionale, relativa ai respingimenti differiti che, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Palermo per difetto di rilevanza, offre una interessante ricostruzione dell’istituto ed invia un esplicito
monito al legislatore affinché intervenga a disciplinare normativamente il regime giuridico del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera. Un’approfondita nota a questa sentenza, a cura del Prof. Paolo Bonetti, è pubblicata nella sezione Commenti di questo numero della Rivista. Pubblichiamo altresì, l’atto d’intervento di ASGI nel giudizio incidentale perché, pur essendo stato dichiarato inammissibile, non essendo l’associazione portatrice di un interesse qualificato, dà conto dei numerosi profili d’illegittimità che affliggono l’istituto e che ben potrebbero essere riproposti da altri giudici remittenti.
Alcuni provvedimenti pubblicati riprendono questioni già esaminate nelle rassegne dell’anno scorso ribadendo principi di diritto che, evidentemente, continuano ad essere disattesi. Come di consueto si distinguerà tra la giurisprudenza inerente respingimenti ed espulsioni e quella relativa all’istituto del trattenimento amministrativo, sia per quanto concerne le convalide che le proroghe.
 
TRATTENIMENTO 
Misure alternative al trattenimento
Le misure alternative al trattenimento, previste all’art. 14, co. 1 bis, d.lgs. 286/98, trovano scarsa applicazione nella prassi, tuttavia iniziano ad essere pubblicate alcune decisioni giunte all’attenzione della Suprema Corte. La loro adozione è soggetta a convalida giurisdizionale da parte del giudice di pace entro i consueti termini (48+48 ore): nell’ordinanza 26123/2017 depositata il 2.11.2017 la Corte ha confermato il proprio orientamento, già espresso nell’ordinanza 24604/2017, secondo cui il giudice di pace deve provvedere alla convalida delle misure alternative al trattenimento entro 48 ore dalla richiesta, anche un ritardo ad horas inficia la legittimità del provvedimento.
Nell’ambito del procedimento cartolare delineato dal comma 1 bis del citato art. 14, dette misure alternative (deposito del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di presentazione agli uffici della forza pubblica) possono essere, su istanza dell’interessato, modificate o revocate, il che rende inammissibile l’istanza di riesame delle stesse, come precisato dalla Cassazione con ordinanza 26126/2017 (depositata il 2.11.2017).
Se, prima della convalida delle misure alternative, l’interessato ˗ anche a mezzo del suo difensore ˗ presenta memorie o deduzioni con cui lamenta l’omessa informazione circa la facoltà di chiedere un termine per la partenza volontaria (obbligo che incombe sulla PA ex art. 13, co. 5 e 5.1, d.lgs. 286/98) il giudice di pace ha l’obbligo di pronunciarsi sulla questione, così ha statuito la S.C. con l’ordinanza 26125/2017 (depositata il 2.11.2017).
 
Riesame del trattenimento
L’istituto del riesame del trattenimento, non presente nella normativa interna ma previsto dalla direttiva europea 2008/115 (Direttiva rimpatri), non sempre è stato applicato dalla giurisprudenza di merito. Giunge stavolta all’attenzione della Corte di legittimità che, nell’ordinanza 22932/17 depositata il 29.9.2017, ha chiaramente affermato l’immediata applicabilità nell’ordinamento italiano della Direttiva rimpatri, nella parte che prevede il riesame del trattenimento, anche se questa non è stata recepita, superando così i contrasti giurisprudenziali di merito, come si è rilevato nella rassegna allontanamento pubblicata sul numero 1/2017 di questa Rivista. È pertanto ammissibile una domanda giudiziale di riesame (non revoca della convalida in senso proprio) del trattenimento, e poiché non è stata dettata una disciplina normativa in trasposizione dell’art. 15 della Direttiva, lo strumento cui far ricorso è quello generico del procedimento camerale ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c. , e la richiesta è ammissibile ˗ e il giudice deve pronunciarsi ˗ anche quando si richieda la «revoca» della già avvenuta convalida del trattenimento, purché in essa si sottolinei la richiesta di un diverso esame dei presupposti del trattenimento alla luce di circostanze di fatto nuove o non considerate nella sede della convalida o delle sue proroghe.
La competenza a provvedere spetta allo stesso giudice della convalida e delle proroghe (nel caso di specie, il giudice di pace) che deve decidere applicando, in quanto compatibili con il procedimento davanti al giudice di pace, gli artt. 737 ss. c.p.c., e deve riesaminare l’attualità dell’interesse al trattenimento dello straniero secondo le finalità perseguite dalla legge e dalla Direttiva europea, sopra richiamata.
Una puntuale applicazione della citata giurisprudenza di legittimità è stata effettuata dal Tribunale di Torino, sez. IX civ., 28.11.2017 , est. Dotta, che ha accolto la richiesta di riesame del trattenimento di un richiedente protezione internazionale dichiaratosi minorenne, in pendenza della procedura di accertamento dell’età e in assenza dell’adozione da parte del Tribunale minorile del provvedimento di ratifica di tale accertamento. Secondo il giudicante, il perdurare del trattenimento è illegittimo perché in contrasto con l’art. 5, l. 47/2017 e con l’art. 7, dpcm n. 234/2016 secondo cui nelle more dell’accertamento dell’età la stessa si presume ed ogni procedimento amministrativo e penale è sospeso fino alla relativa decisione.
 
Partecipazione all’udienza di convalida del trattenimento
L’ordinanza della Cassazione 26803/2017 depositata il 13.11.2017 ribadisce che «in tema di procedimento di convalida del trattenimento dello straniero nel centro di identificazione ed espulsione, ai sensi degli artt. 14 del d.lgs. 286/98, le garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell'audizione dell'interessato, per il procedimento di convalida del trattenimento, trovano applicazione senza che sia necessaria la richiesta dell'interessato di essere sentito. Pertanto, costituisce eccezione rilevante e fondata quella sollevata dal difensore del trattenuto il quale alleghi la violazione del diritto di difesa dello straniero che, pur chiedendolo, non venga accompagnato davanti al giudice della convalida in ragione di trattamenti di semplice profilassi (nella specie: antiscabbia), che non costituiscano pericoli per la salute pubblica». Il principio vale anche per l’udienza di proroga del trattenimento, come chiarito dall’ordinanza 26919/2017 depositata il 14.11.2017.
Deve peraltro essere segnalato che la Corte, con ordinanza interlocutoria 30454/2017 depositata il 19.12.2017, ha disposto la trasmissione degli atti alla pubblica udienza in considerazione dell’esigenza di riesaminare gli argomenti svolti nelle precedenti pronunce 11468/2017 (depositata il 10.5.2017) e 10743/2017 (depositata il 3.5.2017) in cui era stato affermato il principio testè esposto.
 
Termini e presupposti della proroga del trattenimento
Nell’ordinanza 21278/2017 depositata il 13.9.2018 la Corte di cassazione afferma la legittimità del decreto di proroga del trattenimento in cui il giudice abbia, sia pure sinteticamente, spiegato le ragioni giustificative dell'ulteriore trattenimento dello straniero (costituite dalla necessità di una compiuta identificazione del medesimo trattenuto), tali motivi sono da considerarsi ragionevoli in presenza di una notoria gestione massiva di tali procedimenti, aventi ad oggetto un numero rilevante di persone appartenenti ˗ non trascurabile difficoltà ˗ ad una pluralità indeterminata di Paesi stranieri. Afferma inoltre che la richiesta di proroga può essere inoltrata, in considerazione di necessità organizzative volte al perseguimento delle finalità per cui è necessario il trattenimento, prima della scadenza del precedente termine di 60 giorni, già prorogato, ed entro 48 ore da tale richiesta il giudice deve provvedere. Se evidentemente è corretto affermare che la proroga deve essere richiesta e concessa prima della scadenza del termine, è però altrettanto vero che tale richiesta debba avvenire in prossimità della scadenza: infatti, una proroga del trattenimento richiesta, ed in ipotesi concessa, con largo anticipo non consentirebbe una adeguata valutazione ˗ da parte del giudice ˗ dell’attualità delle ragioni legittimanti la proroga, con ciò vanificando l’effettività del controllo giurisdizionale sull’ulteriore prosieguo della restrizione della libertà personale, che non può essere sminuito in ragione di necessità pratiche ed operative. Infatti, la natura detentiva del trattenimento impone particolare cautela nella valutazione dei suoi presupposti e le garanzie previste dalla legge non dovrebbero restare sulla carta. È quindi opportuno quanto affermato nell’ordinanza 22745/17 depositata il 28.9.2017 in cui la Corte di cassazione ha affermato che è illegittimo il decreto di proroga del trattenimento la cui motivazione si limiti a evidenziare che la questura abbia richiesto la proroga evidenziando «difficoltà nel completamento della procedura di identificazione della persona interessata», perché tale «indicazione, tratta da modulo prestampato privo di ogni ulteriore riferimento, non soddisfa l'onere di motivazione di un provvedimento comunque limitativo quale quello in esame, atteso il principio per cui la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve accertare la specificità dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio (v. in generale Cass. n. 18748-15; Cass. n. 11451-13)».
 
Trattenimento del richiedente asilo
Come è noto, il trattenimento del richiedente asilo è disciplinato dall’art. 6 del d. lgs. 142/2015 sulla base di presupposti diversi e ben più rigorosi rispetto a quelli del trattenimento del migrante “ordinario”. La norma prevede in particolare quattro ipotesi di trattenimento applicabili a tutti i richiedenti asilo, indicate nel co. 2, mentre al co. 3 detta una ipotesi di trattenimento applicabile solo allo straniero che presenti domanda di protezione internazionale durante il trattenimento ad altro titolo, quando tale domanda sia ritenuta pretestuosa. La disposizione recepisce il principio espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 31/5/2013 Arslan. Nell’ordinanza 22961/17 depositata il 29.9.2017 la Corte di cassazione ha chiarito che è illegittimo il decreto del tribunale che convalidi il trattenimento del richiedente asilo, disposto dal questore ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/15, laddove il questore non abbia indicato quale delle diverse ipotesi previste dalla norma sia posta a base del trattenimento, e il tribunale, a fronte della specifica contestazione sul punto, applichi invece l’art. 6, co. 3, d. lgs. 142/15, che prevede una diversa ipotesi non invocata dal questore, in ossequio al principio generale secondo cui è inibita al giudice l’integrazione della motivazione del provvedimento questorile.
 
Legittimazione passiva
A chi deve essere notificato il ricorso per cassazione contro il decreto di convalida del trattenimento? La stessa Corte di cassazione sembra non avere le idee chiare: nell’ordinanza interlocutoria 29296/2017 depositata il 16.12.2017 ha disposto la rinnovazione della notifica, già effettuata alla Questura presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, alla Questura presso l’Avvocatura generale dello Stato, specificando che la rinnovazione della notificazione, ancorché avvenuta dopo il decorso del termine per impugnare, determina la sanatoria della nullità della prima notificazione con effetto ex tunc; nell’ordinanza interlocutoria 19909/2017 depositata il 9.8.2017 aveva rimesso gli atti all’udienza pubblica per verificare se il ricorso, notificato al Ministero dell’Interno, dovesse essere notificato alla Questura; invece, nell’ordinanza interlocutoria 4726/2017 depositata il 23.2.2017 aveva disposto che il ricorso, già notificato alla Questura, venisse notificato al Ministero dell’Interno, integrando così il contraddittorio.
Infine, una segnalazione forse non necessaria ma da tenere presente: contro il decreto di convalida del trattenimento è possibile proporre ricorso per cassazione e questo deve essere indirizzato alla Corte in sede civile; qualora esso sia invece indirizzato alla Corte in sede penale, esso non può essere trasmesso alla Corte di cassazione in sede civile ai sensi dell’art. 568, comma 5, c.p.p., ma deve essere dichiarato inammissibile; è quanto affermato dall’ordinanza 1368/2018 della Corte di cassazione, sezione settima penale (udienza 17.11.2017, depositata il 15.1.2018).
 
RESPINGIMENTI
Legittimità costituzionale del sistema di esecuzione coattiva del respingimento
Come anticipato in premessa, la Consulta, con sentenza 275/2017 ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Palermo (pubblicata sul n. 1/2017 di questa Rivista) sull’art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98 e chiarito che, quando il questore ordini al cittadino straniero respinto di allontanarsi dal territorio nazionale, tale ordine di allontanamento sostituisce l’accompagnamento coattivo, che diviene non più applicabile. La Consulta ha riconosciuto tuttavia «la necessità che il legislatore intervenga sul regime giuridico del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, considerando che tale modalità esecutiva restringe la libertà personale (il richiamo è alle sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001) e richiede di conseguenza di essere disciplinata in conformità all’art. 13, terzo comma, Cost.».
 
ESPULSIONI
Profili procedurali e formali
La Corte di cassazione è tornata su una questione già affrontata: la validità della firma del decreto di espulsione da parte di soggetto diverso dal prefetto. Nell’ordinanza 28330/2017, pubblicata il 28.11.2017, la Corte ha ribadito che è legittimo il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato emesso dal vice prefetto aggiunto a ciò delegato dal vice prefetto vicario, in quanto la previsione di tre distinte figure professionali della carriera prefettizia (prefetto, vice prefetto vicario e vice prefetto aggiunto), ciascuna titolare di proprie attribuzioni, non esclude la facoltà di delega al compimento di singoli atti, rientranti nelle attribuzioni del delegante, al funzionario delegato, mentre è del tutto irrilevante che tale funzione non sia ricompresa nelle attribuzioni proprie del delegato.
Questione simile ma non sovrapponibile è invece quella della attestazione di conformità della copia del decreto di espulsione notificata al destinatario. La Corte, nell’ordinanza 26124/2017 pubblicata il 2.11.2017, ha seguito il costante orientamento (già espresso in Cass. 17960/2004, 28884/2005, 17569/2010, 13304/2014) e ribadito che l'attestazione di conformità della copia del documento all'originale deve essere apposta sulla copia stessa e non attestata nel verbale di notifica.
La Corte è stata inoltre sollecitata a ribadire il proprio costante orientamento secondo cui il provvedimento di espulsione è invalido se non tradotto in lingua comprensibile allo straniero. Ai fini dell'uso di una delle lingue veicolari non è, infatti, sufficiente la mera dichiarazione dell'impossibilità di procedere alla traduzione, essendo necessario che l'amministrazione affermi ed il giudice ritenga plausibile l'impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità. Nel caso affrontato nell’ordinanza 28332/2017 (Sez. VI, pubblicata il 28.11.2017), non risulta legittima la mancata traduzione per asserita impossibilità di reperire in tempo utile un qualificato traduttore, considerato che nella città in cui ha sede il prefetto che emise il decreto di espulsione esiste un consolato del paese di origine del cittadino straniero espulso. Diversamente, nel caso in cui il giudice di pace abbia accertato la conoscenza della lingua italiana da parte dello straniero espulso, tale questione non può essere oggetto di valutazione di legittimità (Cass. Sez. VI, ordinanza n. 30896/2017 pubblicata il 22.12.2017).
 
Espulsione e partenza volontaria
La Corte ha ribadito nelle ordinanze 26120/2017 e 26121/2017 pubblicate il 2.11.2017 il proprio orientamento costante (Cass. 873/2017; Cass. 18540/2016; Cass. 15185/2012, 10243/2012) secondo cui l’omessa concessione del termine per la partenza volontaria e la sussistenza del rischio di fuga sono questioni attinenti non alla validità dell’espulsione bensì all’esecuzione della stessa e non possono quindi essere denunciate nel ricorso proposto contro il decreto di espulsione ma sono oggetto del giudizio di convalida dell’accompagnamento alla frontiera o del trattenimento nel CIE.
Occorre però evidenziare un grave limite conseguente a siffatta interpretazione: infatti, nel caso in cui l’esecuzione dell’espulsione venga effettuata con le modalità dell’ordine di allontanamento del questore entro sette giorni dalla notifica del provvedimento ablativo (art. 14, co. 5 bis, d.lgs. 286798) non si fa luogo ad alcuna udienza di convalida, tuttavia, poiché tale modalità esecutiva delle espulsioni non va confusa con la concessione del termine per la partenza volontaria, presupponendo comunque che l’espulsione sia disposta dal prefetto con accompagnamento immediato, ecco che in tali numerosissimi casi se si seguisse l’orientamento citato l’espellendo sarebbe privo di una sedes in cui dolersi dell’omessa concessione del termine per la partenza volontaria. Forse è necessario ribadire con forza che l’ordine di allontanamento del questore è istituto che nulla ha a che vedere con la partenza volontaria: prova ne sia che l’incipit dell’art. 14, co. 5 bis, d.lgs. 286/98 fa riferimento espresso alla necessità di «eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione».
Un diverso orientamento sembra tuttavia porsi in contrasto con quello sopra narrato che attribuisce solo al giudice della convalida la cognizione sull’omessa informazione della partenza volontaria: la Corte ha infatti affermato, nell’ordinanza 28158/2017 pubblicata il 24.11.2017, che il provvedimento di espulsione dello straniero è rimesso alla potestà deliberativa esclusiva del prefetto, la cui legittimità è nondimeno sindacabile avendo riguardo proprio al fatto che il cittadino straniero non abbia potuto esercitare la propria opzione in ordine alla richiesta di rimpatrio mediante partenza volontaria, previa adeguata informazione a mezzo di schede informative plurilingue (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1809), in quanto tali adempimenti risultano imposti imperativamente dalla legge oltre che dal complesso dei principi fondativi dei diritti degli stranieri di derivazione comunitaria e costituzionale.
Con l’ordinanza 30896/2017 (Sez. VI, pubblicata il 22.12.2017) la Corte ha inoltre precisato che l'informazione circa l'opzione della partenza volontaria (art. 13, co. 5.1, del d.lgs. 286/1998) è prevista nel caso in cui all'interessato sia consentito di chiedere al prefetto la concessione di un termine per la partenza volontaria (art. 13, co. 5, del d.lgs. ult. cit.), possibilità che non sussiste nel caso di rischio di fuga (art. 13, co. 4, lett. b) che la legge individua nella situazione di mancato possesso del passaporto o di documento equipollente valido (art. 13, co. 4 bis, lett. a).
Infine, con l’ordinanza 28155/2017 pubblicata il 24.11.2017 la Corte ha ribadito che il possesso del passaporto (cui non è equipollente il permesso di soggiorno) è condizione necessaria sia per la concessione del termine per la partenza volontaria che per l’applicazione delle misure alternative al trattenimento.
 
Espulsione dello straniero titolare di permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato UE
La Corte ha affermato, nell’ordinanza 26200/2017 (sez. VI civile, depositata il 3.11.2017), che è illegittima l’espulsione disposta nei confronti del cittadino straniero, titolare di permesso di soggiorno rilasciato da altro paese dell’Unione Europea, che si sia trattenuto in Italia oltre i 90 giorni. Ai sensi dell’art. 5, co. 7, 7 bis e 7 ter, d.lgs. 286/98, il superamento del termine massimo di permanenza in Italia dello straniero, munito di titolo di soggiorno rilasciato dall'autorità di un altro Stato membro dell'Unione europea, non consente l'immediata adozione di un provvedimento espulsivo, bensì la sola intimazione a fare rientro in tale Stato, e solo in caso di inottemperanza è consentita l’espulsione. La Corte ha colto l’occasione per chiarire inoltre che il giudice di pace, investito dell'impugnazione del decreto di espulsione emesso dal prefetto, può sindacare solo la legittimità del provvedimento e, se non conforme a legge, disporne l'annullamento, ma non anche sostituire od integrare la motivazione dell'atto, trattandosi di attività preclusa alla giurisdizione ordinaria; nel caso di specie, il giudice di pace aveva posto a fondamento dell'espulsione un fatto nuovo ˗ la pretesa insussistenza del suo titolo di soggiorno belga ˗ non contemplato dal decreto di espulsione, ma dedotto dall'amministrazione soltanto nel giudizio e sul quale il ricorrente non aveva avuto la possibilità di controdedurre.
 
Rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero detenuto
La Corte di cassazione ha ribadito nell’ordinanza 28328/2017 (sez. VI civile, depositata il 28.11.2017) che lo stato di detenzione del cittadino straniero non costituisce causa di forza maggiore tale da giustificare il ritardo nella richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno. L’affermazione è ripetuta anche nella sentenza n. 50457/2017 (sez. I penale, udienza 16.5.2017, depositata 6.11.2017) in cui la Corte ha precisato che è onere dello straniero detenuto inoltrare la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, scaduto durante la detenzione, tramite il direttore del carcere (nella specie, tramite l’ufficio matricola della casa di reclusione); in caso di rifiuto dell’amministrazione di accettare l’istanza, lo straniero deve fornire prova di tale circostanza.
 
Legittimazione passiva
La Corte di cassazione ha ribadito nella citata ordinanza 28328/2017 (sez. VI civile, depositata il 28.11.2017) che nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione la legittimazione passiva spetta alla prefettura-UTG e non al ministero dell’interno.
 
Gravidanza della convivente more uxorio, nascita di figli
La gravidanza della convivente more uxorio e la nascita di figli, successive al decreto di espulsione, sono state ritenute irrilevanti come circostanze ostative all’espulsione, ai sensi dell’art. 19 comma 2 d. lgs. 286/1998 dall’ordinanza 26119/2017 (Sez. VI civile, depositata il 2.11.2017), in cui la Corte ha altresì ribadito che le questioni attinenti all’esecuzione dell’espulsione sono oggetto del giudizio di convalida e non del ricorso contro il decreto di espulsione; tale principio è stato reiterato anche nelle citate ordinanze n. 26120/2017 in relazione all’omessa concessione del termine per la partenza volontaria e alla sussistenza del rischio di fuga, e 26121/2017 in cui la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento del giudice di pace che ha rigettato il ricorso contro l’espulsione senza pronunciarsi sulla condizione di inespellibilità ai sensi dell'art. 19, co. 2, d.lgs. 286/98, per essere il medesimo coniugato convivente con una cittadina italiana e con i loro due figli minorenni.
 
Presupposti dell’espulsione per ingresso clandestino
Nell’ordinanza 22625/2017 (depositata il 27.9.2017) la Corte ha affermato l’illegittimità del decreto di espulsione adottato in base all’art. 13, co. 2, lett. a), del d. lgs. 286/98 nei confronti del cittadino straniero di cui risulti - dal timbro apposto sul passaporto- la data e la frontiera di ingresso nel territorio dello Stato; la Corte ha osservato che «in tanto può parlarsi d'ingresso clandestino nel territorio dello Stato, con sottrazione ai controlli di frontiera, in quanto dalle autorità preposte non sia stato effettuato alcun controllo sull'ingresso dello straniero, mentre, nel caso in cui il controllo sia stato effettuato e (ancorché erroneamente, risultando nella specie incontroverso che lo straniero non fosse in possesso del visto di ingresso) non abbia evidenziato ostacoli all'ingresso dello straniero in Italia, non si versa più nell'ipotesi di sottrazione ai controlli di frontiera, prevista dal secondo comma, lettera a), dell'art. 13 cit. (salvo il caso in cui lo straniero si sia sottoposto ai controlli di frontiera, ma esibendo documenti falsificati), potendo porsi al più il problema della mancanza di un titolo di soggiorno, rilevante ai fini della diversa ipotesi di espulsione disciplinata dalla lettera b) del medesimo comma (cfr. Cass., Sez. I, 25/10/2005, n. 20668)».
 
La sospensione dell’efficacia esecutiva dell’espulsione nelle more della definizione del ricorso
In seguito a provvedimento d’espulsione, corredato dall’emissione delle misure alternative al trattenimento, dopo la rituale proposizione del ricorso avanti il giudice di pace, l’espellendo chiede al tribunale la sospensione in via d’urgenza dell’atto ablativo ex art. 700 c.p.c., sostenendo che il tempo occorrente per la definizione del giudizio potrebbe vanificare irrimediabilmente l’efficacia di un suo eventuale accoglimento, in caso di sopravvenuto rimpatrio.
Il ricorrente giustifica la richiesta, sotto il profilo procedurale, sul presupposto che l’art. 18, d.lgs. 150/2011 (disciplinante i procedimenti d’impugnazione dei provvedimenti di espulsione avanti l’ufficio del giudice di pace) non contiene alcun richiamo all’art. 5 del medesimo decreto legislativo (norma disciplinante la facoltà di proporre istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati). E ciò a differenza di quanto disposto dall’art. 17, d.lgs. 150/2011 a proposito delle impugnazioni avverso i provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari: sicché l’unica soluzione per scongiurare il rimpatrio parrebbe il ricorso al procedimento d’urgenza.
Il Tribunale di Roma dichiara inammissibile il ricorso con recente ordinanza del 26.1.2018 secondo il seguente condivisibile percorso argomentativo:
      a) l’art. 18, d.lgs. 150/2011, pur delineando la procedura di opposizione ai decreti espulsivi prefettizi secondo il procedimento sommario di cognizione, espressamente prescrive che il procedimento debba essere definito - in ogni caso - entro venti giorni dalla data di proposizione del ricorso;
     b) tale previsione giustifica il mancato richiamo alla disciplina generale della sospensione del provvedimento impugnato ex art. 5, d.lgs. 150/2011. Tant’è vero che nei procedimenti avverso i provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari - per i quali è prevista la possibilità di sospensione - non è contenuto alcun accenno ai tempi di definizione del giudizio;
      c) contrariamente a quanto opina il ricorrente, sussiste un altro rimedio tipico azionabile in via d’urgenza; 
     d) infatti, una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della disciplina vigente consente al giudice di pace «di individuare lo strumento più idoneo nell’ambito dell’ordinamento per sospendere l’efficacia del decreto prefettizio di espulsione», ove il ricorso sia sorretto da sufficiente fumus boni iuris, come espressamente affermato dalle ordinanze 485 e 161/200 della Corte costituzionale, secondo cui il potere di disporre la tutela cautelare, pur in mancanza di una previsione normativa espressa, discende sia dai principi generali dell’ordinamento che dal complesso delle garanzie processuali costituzionali;
    e) inoltre, la stessa direttiva rimpatri (dir. 2008/115/CE) prescrive ˗ all’art. 13 ˗ che allo straniero debbono essere «concessi mezzi di ricorso effettivo … compresa la facoltà di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno».
Trattasi di un’ordinanza molto importante nella pratica quotidiana, sia per il recupero della giurisprudenza costituzionale ˗ troppo spesso dimenticata ˗ che per il richiamo alle norme direttamente esecutive del diritto dell’UE che, tra l’altro, ben si coniugano con l’insegnamento, ancorché remoto ma pur sempre attuale, della Consulta.
 
L’espulsione del richiedente protezione internazionale in pendenza dell’appello avverso la decisione negativa
La proposizione dell’appello avverso l’ordinanza del tribunale che conferma il diniego della domanda di protezione internazionale (per i procedimenti introiettati in data anteriore al 17.8.2017 - c.d. vecchio rito) comporta la sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento e, quindi, impedisce l’adozione del decreto di espulsione. A tale approdo era pervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte con l’ordinanza 18737/2017 pubblicata sul numero 3/2017 di questa rivista. Tale arresto giurisprudenziale è stato ribadito da Cass. civ. sez. VI, ord. 699, pubblicata il 21.1.2018, che ha dichiarato infondato un ricorso proposto dal Ministero dell’interno avverso un’ordinanza di un giudice di pace che aveva annullato un decreto espulsivo emesso in pendenza di documentata proposizione di appello avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale. Anche la giurisprudenza dei giudici di pace si orienta in conformità all’insegnamento nomofilattico della Cassazione, come dimostrato dall’ordinanza del Giudice di pace di Torino del 20.11.201 7, est. Volpes.
 
L’accertamento della minore età dello straniero espellendo
Sovente la giurisprudenza di merito ha ritenuto la legittimità di decreti espulsivi emessi nei confronti di MSNA sulla base di procedure di accertamento dell’età vetuste e superate dalla recente normativa. Fa eccezione l’ordinanza del Giudice di pace di Torino del 22.11.2017 , est. Volpes, che espressamente rileva come l’accertamento dell’età sia avvenuto in maniera difforme da quanto stabilito all’art. 19 bis, d.lgs. 142/2015.