Osservatorio italiano

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Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali

 

L’accesso degli stranieri al nuovo reddito di inclusione sociale: profili di illegittimità costituzionale
Il d.lgs. 15.9.2017, n. 147 (pubblicato in G.U. n. 240 del 13.10.2017) istituisce il reddito di inclusione sociale (Rei) quale misura generale per il sostegno e l’assistenza sociale delle persone a rischio di povertà.
Purtroppo, come già si prevedeva per il precedente sostegno per l’inclusione attiva (SIA), la nuova disciplina prevede che accedano alla nuova misura i residenti in Italia che siano cittadini italiani o cittadini di altri Stati dell’UE ovvero stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato in Italia (art. 3, co. 1).
Tale nuova norma legislativa appare illegittima sotto vari profili.
Anzitutto viola l’art. 76 Cost. perché applica in senso irrazionalmente restrittivo anche il criterio e principio direttivo previsto dalla legge di delega legislativa. Infatti l’art. 1, co. 2, lett. b) della l. 15.3.2017, n. 33 («Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali») prevede che il decreto legislativo debba procedere alla «definizione dei beneficiari della misura di cui al co. 1, lett. a), prevedendo un requisito di durata minima del periodo di residenza nel territorio nazionale nel rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea».
È evidente che il decreto legislativo ha rispettato tale criterio previsto dalla legge di delega legislativa soltanto per i cittadini italiani e per i cittadini UE, mentre per gli extraUE non prevede certo la medesima durata minima di 2 anni di residenza prevista per le altre categorie di beneficiari, bensì implicitamente una durata assai più elevata, quella di almeno 5 anni di residenza ininterrotta, che è richiesta come condizione per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo insieme con la disponibilità di un reddito minimo annuo e di un alloggio adeguato, l’assenza di condanne o procedimenti penali e la conoscenza della lingua italiana.
Inoltre tale restrizione non rispetta certo l’ordinamento dell’UE, perché viola direttive e regolamenti UE che prescrivono la parità di trattamento coi cittadini degli stranieri regolarmente soggiornanti titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di permesso unico per soggiorno e lavoro nell’accesso alle misure di assistenza sociale.
In tal senso la durata minima di soggiorno per gli extraUE al massimo avrebbe potuto essere quella di due anni di residenza (cioè il medesimo requisito previsto per l’accesso alla misura degli altri beneficiari), insieme col possesso di un titolo di soggiorno della durata di almeno un anno, che è il requisito indicato nell’art. 41 d.lgs. n. 286/1998 per l’accesso alle prestazioni anche economiche di assistenza sociale in condizione di parità coi cittadini italiani e che in diverse pronunce la Corte costituzionale ha ritenuto limite ragionevole ai fini dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale, nel rispetto di diversi requisiti anche inferiori previsti da direttive e regolamenti UE.
In ogni caso il limite previsto dalla nuova norma legislativa appare intrinsecamente contraddittorio rispetto all’obiettivo di dare un sostegno concreto alla povertà perché ovviamente lo straniero regolarmente soggiornante che sia indigente non dispone neppure del reddito necessario per ottenere il rilascio del permesso di lungo periodo, che deve essere almeno pari all’importo annuo dell’assegno sociale.
Inoltre, essendo già prevista (per tutti) la presenza biennale sul territorio nazionale, l’aggiunta per gli stranieri extraUE di un soggiorno regolare e ininterrotto almeno quinquennale (è uno dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo) costituisce una discriminazione del tutto irragionevole nei confronti dei soli cittadini di Paesi terzi.
La nuova norma non menziona i titolari di protezione internazionale e gli extracomunitari titolari di carta di soggiorno per familiari extraUE di cittadini UE regolarmente residenti in Italia, ma la nuova misura deve ritenersi estesa anche a costoro per effetto della parità di trattamento coi cittadini italiani in materia di assistenza sociale prevista rispettivamente dall’art. 27, co. 1, d.lgs. n. 251/2007 e dagli artt. 19 e 23, d.lgs. 6.2.2007, n. 30.
La disposizione così restrittiva prevista nel nuovo d.lgs. è stata adottata forse in conformità ai limiti finanziari imposti dall’art. 81 Cost., cioè a causa della esigua copertura degli oneri finanziari previsti dalla legge di delegazione, la quale finisce per condizionare e limitare l’efficacia e la portata davvero “universale” del nuovo strumento contro la povertà.
Occorre infatti precisare che il Rei si articola in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona che devono essere garantiti a livello locale.
  1. a) Il beneficio economico varia in considerazione della numerosità del nucleo richiedente ed è commisurato alle risorse economiche di cui tale nucleo dispone. Il Rei verrà erogato per 18 mesi mediante l’uso di una carta acquisti, analogamente alla previgente Social Card: si chiamerà Carta Rei e verrà emessa da Poste italiane e consentirà alle famiglie indigenti di poter acquistare i beni di prima necessità e onorare i pagamenti delle utenze. Inoltre, potranno essere prelevati contanti sino alla metà dell’importo mensile. Mediante la carta Rei si potrà avere uno sconto del 5% sugli acquisti effettuati nei negozi o nelle farmacie convenzionate e ad un forte sconto sulla fornitura di energia elettrica e gas.
  2. b) La parte attiva della misura si concretizza invece nella realizzazione di un progetto personalizzato di inclusione predisposto da un’équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti territoriali interessati (in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, formazione, politiche abitative, tutela della salute, istruzione) e in conformità con principi generalizzati di presa in carico. Per beneficiare del reddito di inclusione occorrerà dunque aderire a un programma d’inclusione sociale e lavorativa, nel quale, i componenti del nucleo familiare dovranno impegnarsi attivamente al fine di ottenere una qualifica e trovare un impiego, altrimenti la Rei verrà revocata.
Peraltro la legge di bilancio 2018 introduce ulteriori novità nella disciplina del Rei ancora prima che la nuova misura sia avviata.
In primo luogo si amplia la platea dei beneficiari mediante la revisione dei requisiti di accesso al REI, perché tutti i disoccupati di età superiore ai 55 anni saranno eleggibili. Il REI quindi non sarà destinato, come previsto inizialmente, soltanto a coloro che si trovano in stato di disoccupazione per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, ma potrà essere richiesto da tutti i disoccupati appartenenti a questa fascia d’età. Perciò dal 1 gennaio 2018 potranno richiedere il Rei anche gli ultra 55enni la cui disoccupazione è conseguenza ad esempio della scadenza di un contratto di lavoro.
In secondo luogo dal luglio 2018 decadranno tutti i requisiti di accesso al Rei relativi alle caratteristiche del nucleo richiedente e dovrebbe diventare di tipo universalistico e dunque sarà riconosciuto a tutte le persone bisognose che per motivi di reddito non possono provvedere al proprio mantenimento e a quello della propria famiglia, possedendo un ISEE non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare (escludendo la casa di abitazione) non superiore a 20.000 euro. Fino a luglio 2018 invece il Rei riguarda soltanto alcune categorie di persone in povertà (le famiglie con minori, con disabili gravi, con donne in stato di gravidanza accertata o le persone disoccupate di 55 o più anni di età), il che mostrava un carattere poco universalistico.
In terzo luogo l’importo del beneficio economico è stato incrementato nel caso delle famiglie più numerose: l’importo mensile varia da 190 a 485 euro, in base al numero di componenti del nucleo familiare (da 1 a 4), mentre la legge di bilancio 2018 prevede ora 534 euro mensili per i nuclei familiari con 5 componenti e a 539 euro per 6 o più componenti.
Infine gli stanziamenti del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale sono incrementati di 300 milioni di euro nell’anno 2018, di 700 milioni di euro nell’anno 2019, di 783 milioni di euro nell’anno 2020 e di 755 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021. Inoltre, lo stanziamento del medesimo Fondo è incrementato di ulteriori 117 milioni di euro nell’anno 2020 e di 145 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021 per specifiche finalità da individuare attraverso il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale.
La dotazione del Fondo Povertà è quindi pari, complessivamente, a 2.059 milioni di euro per il 2018, 2.545 milioni di euro per il 2019 e 2.745 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.
La legge di bilancio 2018 ha poi previsto dei limiti di spesa relativi alle erogazioni da destinare al beneficio economico, al fine di veicolare risorse a favore del sistema locale dei servizi sociali. In particolare, i limiti di spesa da destinare al trasferimento economico sono determinati in 1.747 milioni di euro per il 2018, in 2.198 milioni di euro per il 2019, in 2.158 milioni di euro per l’anno 2020 e in 2.130 milioni di euro annui a partire dal 2021.
Pertanto la legge di bilancio 2018 sembra avere ampliato la platea dei potenziali beneficiari includendo tutti i poveri e trasformando quindi il REI dal luglio 2018 in uno strumento universalistico, così colmando una lacuna che caratterizza in Italia soltanto Italia e Grecia.
Tuttavia permangono gravi dubbi sulla disciplina, anche riformata, del Rei.
In primo luogo le risorse attualmente previste non paiono sufficienti a rispondere alle numerose richieste che prevedibilmente giungeranno nei prossimi mesi.
In secondo luogo restano immutati i requisiti di residenza e di soggiorno, che sono assai rilevanti soprattutto ai fini dell’accesso degli stranieri e che sollevano i gravi dubbi di legittimità indicati in precedenza.
Peraltro nel frattempo la circolare INPS - Direzioni centrali ammortizzatori sociali, organizzazione e sistemi informativi, amministrazione finanziaria e servizi fiscali n. 172 del 22.11.2017 – con una giusta (ma implicita) interpretazione estensiva dei requisiti soggettivi conforme alle norme costituzionali, internazionali ed europee – espressamente dispone che la facoltà di chiedere di beneficiare del reddito di inclusione spetta anche agli apolidi in possesso di p.s. UE per soggiornanti di lungo periodo e ai titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e status di protezione sussidiaria).
È un’indubbia apertura giuridicamente obbligatoria (per costoro le norme nazionali, europee e internazionali già ora prevedono la parità col cittadino italiano in materia di assistenza sociale) e comunque positiva, anche perché proprio costoro saranno i più poveri e senza reddito.
Peraltro il nuovo strumento contro la povertà non è tuttora conforme alle norme costituzionali ed europee perché ad esso sono illegittimamente esclusi i titolari di Carta blu UE e di p.s. unico per soggiorno e lavoro e in ogni caso tutti gli stranieri e gli apolidi titolari di p.s. di durata non inferiore ad un anno, in deroga al più generale principio della parità di trattamento coi cittadini italiani nell’accesso a tutte le misure anche economiche di assistenza sociale agli indigenti, previsto dall’art. 41 d.lgs. n. 286/1998 che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto ragionevole.
Poiché dunque il nuovo strumento è erogabile dal 1° gennaio 2018, seppur con domande presentate dal 1 dicembre, è prevedibile il contenzioso giudiziario sui rigetti delle domande che potrebbe portare ad un rinvio alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1 del nuovo decreto legislativo per violazione degli artt. 10, 76 e 117, co. 1 Cost., con riferimento anche alla violazione di diverse norme UE che prevedono la parità di trattamento coi cittadini in materia di sicurezza sociale (che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ritiene esteso a tutte le prestazioni che costituiscono un diritto soggettivo fondato su requisiti predeterminati di reddito e non un mero beneficio concesso in modo discrezionale), cioè la direttiva sugli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (art. 11, parr. 1 e 4 direttiva 2003/10), la direttiva sugli stranieri lavoratori altamente specializzati titolari di Carta blu UE (art. 14 direttiva 2009/50), la direttiva sugli stranieri titolari di permesso unico per soggiorno e lavoro (art. 12 direttiva 2011/98).
L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale appare probabile anche alla luce delle molte pronunce della stessa Corte che negli ultimi anni hanno dichiarato l’incostituzionalità di altre norme che limitavano irrazionalmente l’accesso alle misure di assistenza sociale ad alcune categorie di stranieri regolarmente soggiornanti (le sentenze della Corte costituzionale rilevanti sono le seguenti: 306/2008; 11/2009; 187/2010; 329/2011; 40/2011; 40/2013; 22/2015; 230/2015).
 
Nuova proroga (per il 2018) del divieto di autocertificazione per lo straniero nelle procedure relative al soggiorno
Il divieto di autocertificazione da parte dei cittadini stranieri nelle procedure relative al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno è stato prorogato al 31 dicembre 2018 dalla legge di bilancio 2018 (art. 1, co. 1122, l. 27.12.2017, n. 205, pubblicata in G.U. n. 302 del 29.12.2017 – S.O. n. 62).
La parificazione nel diritto alla autocertificazione da parte di un cittadino proveniente da Paesi terzi fu introdotta, anche se parzialmente, dal d.p.r. 445/2000, che all’art. 3, co. 2 prevede che i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia possano utilizzare le dichiarazioni sostitutive (anche se «limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani»). Da tale equiparazione, peraltro solo parziale, erano però escluse le procedure concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione dello straniero, con la conseguenza che, nell’ambito di tali procedure, lo straniero non può mai avvalersi della autocertificazione.
Di quest’ultima previsione limitatrice, fu disposta la soppressione con il d.l. n. 5/2012 (art.17, co. 4-quater) con effetto dal 31 dicembre 2012, ma tale scadenza fu poi rinviata di anno in anno.
Dopo cinque anni di rinvio ancora una volta la Legge di Bilancio 2018 ha previsto all’art. 1, co. 1122, che tale soppressione avrà efficacia (se mai l’avrà) a partire dal 31 dicembre 2018. Anche per il 2018 dunque i cittadini extracomunitari non potranno avvalersi dell’autocertificazione per le procedure disciplinate dalle norme sull’immigrazione (e dunque quando dovranno provare, ad esempio, lo stato di parentela, il nucleo familiare, l’idoneità alloggiativa ecc.).
La parificazione tra straniero e italiano in materia di autocertificazioni è in ogni caso già in atto in relazione a tutti i certificati che non sono richiesti esplicitamente da disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle leggi sull’immigrazione) o dal suo regolamento di attuazione emanato con d.p.r. n. 394/1999.
In particolare, già a partire dal 1° gennaio 2012 per tutti i procedimenti in materia di concessione della cittadinanza italiana valgono le regole generali sull’autocertificazione. Il Comune non può, pertanto, in questi procedimenti, richiedere all’interessato la produzione di documenti attestanti stati, qualità personali e fatti che possono essere reperiti d’ufficio dall’ufficio comunale, attraverso una richiesta ad altra amministrazione.
 
Proroga per il 2018 dell’assegno di natalità (bonus-bébé) escludendo gli stranieri. Profili di illegittimità
L’art. 1, co. 248, l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha prorogato l’assegno natalità (c.d. bonus bebé), previsto originariamente per i soli nati fino al 31 dicembre 2017, anche ai figli nati o adottati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2018.
A differenza di quanto prevedevano le norme previgenti, che disponevano che l’erogazione della prestazione avvenisse sino al compimento del 3° anno di età del bambino, il beneficio verrà corrisposto solo sino al compimento del primo anno di età o di ingresso nel nucleo familiare, nel caso di adozione.
In ogni caso, l’ammontare del beneficio è rimasto invariato ad 80 euro per ISEE superiore a 7.000 euro e a 160 euro per ISEE inferiore.
Al comma 249 dello stesso articolo 1 è stata poi prevista la possibilità che il Ministero dell’economia e delle finanze ridetermini l’importo annuo dell’assegno e i valori dell’ISEE richiesti ai fini dell’accesso al beneficio, nell’ipotesi di scostamenti rispetto alle previsioni di spesa originarie: analoga facoltà era prevista anche nella norma originaria, ma non è mai stata utilizzata.
Malgrado il vasto contenzioso in corso sulla estensione del beneficio ai titolari di permesso unico lavoro, che vede soccombente l’INPS pressoché in tutti i Tribunali e le Corti d’appello d’Italia, la questione è stata ancora ignorata dal Parlamento che non ha riformato la disciplina dei requisiti perché gli unici ad avere diritto per legge restano i genitori appartenenti a uno Stato dell’Unione, i titolari di permesso di lungo periodo. Peraltro i titolari di protezione internazionale e familiari di comunitari restano ammessi in forza di circolari INPS. Invece i titolari di permesso unico per soggiorno e lavoro dovranno affidarsi, anche per il 2018, al contenzioso giudiziario.
Per ipotizzare quanti possano essere i “nuovi discriminati” dalla elementi per una indicazione di massima possono ricavarsi dal rapporto IDOS 2017 che fornisce i dati relativi al 2016: i nuovi nati in Italia nel 2016 sono 473.438 di cui 373.075 da entrambi genitori italiani; dei restanti 100.363, poco più di 30.000 sono nati da coppie con un genitore italiano (e dunque accedono comunque al diritto) e 69.379 sono nati da genitori entrambi stranieri e sono dunque esposti al rischio di esclusione: dallo stesso rapporto IDOS risulta che i lungo soggiornanti sono il 63% degli stranieri non comunitari; si può dunque ipotizzare che i nati da lungo soggiornanti siano il 63% di 69.379 e che i nati da stranieri non-lungosoggiornanti (che sono per la quasi totalità, titolari di permesso unico lavoro) sono il residuo 37%: dunque i nuovi nati privati del diritto nel 2016 sono circa 25.000 e tanti saranno anche nel 2018.
Si tratta di cifre rilevanti sotto il profilo della gravità della discriminazione, che però consentirebbero una soluzione del problema – peraltro obbligatoria per osservare il diritto UE – senza stravolgere gli equilibri delle finanze nazionali.
 
Incentivi per l’assunzione da parte di cooperative sociali di lavoratori stranieri titolari di protezione internazionale
L’art. 1, co. 109, della l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) prevede un incentivo alle cooperative sociali di cui alla legge 8.11.1991, n. 381, per le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate nel corso del 2018, di stranieri a cui sia stata riconosciuta protezione internazionale (status di rifugiato o status di protezione sussidiaria) dal 1° gennaio 2016.
L’incentivo consiste in un contributo, entro il limite di spesa di 500.000 euro annui e per un periodo massimo di 36 mesi, a riduzione o sgravio delle aliquote per l’assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute, relativamente agli assunti.
La definizione dei criteri di assegnazione e ripartizione del contributo è demandata ad apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’interno, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova legge.
 
Piano nazionale per interventi di ritorno volontario assistito
L’art.1, co. 1122, lett. b), l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) autorizza la spesa di 500 mila euro per il 2018 e 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 per l’avvio sperimentale di un Piano nazionale per la realizzazione di interventi di ritorno volontario assistito (RVA), previsti dall’art. 14-ter del d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico immigrazione).
Il Ritorno volontario assistito è la possibilità di ritorno offerta ai migranti che non possono o non vogliono restare nel Paese ospitante e che desiderano, in modo volontario e spontaneo, ritornare nel proprio Paese d’origine. La disciplina del ritorno volontario assistito è prevista dall’art. 14-ter del Testo unico dell’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) ed è attuata dal decreto del Ministro dell’interno 27 ottobre 2011). Vi si prevede che il Ministero dell’interno attui programmi di rimpatrio volontario ed assistito verso il Paese di origine o di provenienza di cittadini di Paesi terzi. Nel caso in cui lo straniero sia irregolarmente presente nel territorio ed al contempo ammesso ai programmi di rimpatrio, è sospesa l’esecuzione dei provvedimenti di respingimento con accompagnamento alla frontiera e di espulsione amministrativa. La norma prevede alcuni casi di non applicabilità del ritorno volontario (ad esempio essere destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o conseguenza di questa ovvero destinatari di un provvedimento di estradizione o di un mandato di arresto europeo o di un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale).
Il nuovo Piano nazionale per interventi di ritorno volontario assistito dovrebbe consistere:
– nell’attivazione di massimo trenta Sportelli comunali, che svolgano attività di informazione, di orientamento e di assistenza sociale e legale per gli stranieri che possono accedere ai programmi esistenti di ritorno volontario e assistito. Gli Sportelli sono attivati in concorso con le associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali e in accordo con prefetture, questure e con le organizzazioni internazionali,
– nella formazione specialistica di personale interno;
– nell’informazione sui progetti di reintegrazione nei Paesi di origine.
Le linee guida e le modalità di attuazione del Piano sono rimesse ad un decreto del Ministro dell’interno da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Al fine di provvedere agli oneri derivanti dalle disposizioni introdotte dalla nuova lettera, si è prevista la corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
 
Parità di accesso dei minori stranieri anche irregolarmente soggiornanti iscritti a scuole italiane al tesseramento delle società o associazioni sportive
L’art. 1, co. 369, l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) istituisce presso l’Ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri un apposito «Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano», le cui risorse sono destinate a finanziare progetti collegati a varie finalità, tra le quali quella di garantire il diritto all’esercizio della pratica sportiva quale insopprimibile forma di svolgimento della personalità del minore, anche attraverso la realizzazione di campagne di sensibilizzazione.
Proprio al fine di consentire il pieno ed effettivo esercizio del diritto alla pratica sportiva, si prevede altresì che i minori cittadini di Paesi terzi, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, allorché siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere tesserati presso società o associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate o agli enti di promozione sportiva, anche paraolimpici, senza alcun aggravio rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani.
La disposizione mira a favorire l’integrazione sportiva dei minori stranieri, anche irregolarmente soggiornanti che già frequentano regolarmente la scuola italiana, così favorendo indirettamente anche l’accesso all’istruzione obbligatoria.
La nuova disposizione si affianca alla l. 26.1.2016, n. 12 che già consente il tesseramento dei minori stranieri regolarmente residenti in Italia a parità di condizioni coi cittadini italiani fin dal compimento dei 10 anni.
 
Modifiche alla struttura delle Commissioni compenti in materia di diritto di asilo, all’accoglienza dei richiedenti asilo e alla giurisdizione sui richiedenti asilo minori non accompagnati
Il d.lgs. 22.12.2017, n. 220 (pubblicato in G.U. del 16.1.2019 ed in vigore dal 31 gennaio 2018) prevede disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 18.8.2015, n. 142, con particolare riguardo alla composizione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati.
L’art. 1 riforma la composizione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, di ognuna delle quali diventano membri 4 funzionari amministrativi nominati tra i 250 funzionari specializzati assunti in base al d.l. 17.2.2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 13.4.2017, n. 46.
Una volta completate le procedure di nomina di costoro non saranno più componenti delle Commissioni territoriali i due precedenti componenti, cioè i funzionari dirigenti del Dipartimento della pubblica sicurezza, i rappresentanti designati dagli enti locali.
Perciò ogni Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale sarà formata da un funzionario della carriera prefettizia (con funzioni di presidente) nominato con decreto del Ministro dell’interno, sentita la Commissione nazionale per il diritto di asilo (parere in precedenza non previsto, a cui si aggiunge che se necessario, le Commissioni possono essere presiedute anche da funzionari della carriera prefettizia in posizione di collocamento a riposo da non oltre due anni), da un esperto in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani all’UNHCR (non più un mero “rappresentante designato” dallo stesso Alto commissariato) e da non meno di quattro funzionari amministrativi specializzati (ulteriori funzionari potranno essere assegnati in rapporto al numero di domande), nominati con provvedimento del Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, sentita la Commissione nazionale, ai quali sono espressamente affidate le funzioni di svolgere il colloquio personale con il richiedente asilo e di istruirne la domanda, sottoponendo alla Commissione territoriale la proposta di deliberazione.
Il testo modificato dell’art. 12, co. 1-bis d.lgs. n. 25/2008 prevede sempre che il colloquio si svolga sempre alla presenza di uno solo dei componenti della Commissione e possibilmente dello stesso sesso del richiedente scelto, e costui sottopone la deliberazione alla Commissione che assume la decisione ma ora prevede anche due rilevanti modifiche:
1) il componente che svolge ogni colloquio non è più scelto tra coloro che hanno una specifica formazione, ma soltanto il funzionario amministrativo che ha compiti istruttori; sono perciò sistematicamente esclusi dalla possibilità di svolgere i colloqui i componenti esperti di diritti umani e protezione internazionale designati dall’UNHCR;
2) su determinazione del Presidente, o su richiesta dell’interessato, preventivamente informato, il colloquio si svolge innanzi alla Commissione ovvero è condotto dal Presidente. Quest’ultima è un’innovazione introdotta dal decreto legislativo che lascia al Presidente, l’unico sprovvisto di specifica preparazione al colloquio, la facoltà di decidere di avocare a sé caso per caso la conduzione del colloquio, senza alcun apparente criterio preventivo (salvo che li stabilisca la Commissione nazionale per il diritto di asilo nella sua funzione di coordinamento delle attività delle Commissioni territoriali).
Si prevede ancora che il presidente di ogni Commissione svolge l’incarico invia esclusiva, ma ora si prevede anche che il decreto di nomina può prevedere che la funzione di presidente delle sezioni o di alcune di esse sia svolta in via esclusiva.
Le nuove norme mirano a potenziare la qualità del sistema e ad assicurare professionalità e continuità al lavoro delle Commissioni, perché i nuovi funzionari sostituiscono i precedenti componenti delle Commissioni che non svolgevano tali funzioni in via esclusiva. Infatti poiché 250 sono i nuovi funzionari e 50 è il numero massimo complessivo di sedi delle Commissioni e delle loro sezioni, si assicura l’assegnazione di 4 unità di personale per ogni Commissione e per ogni sezione (pari a 200 unità), garantendo, inoltre, che alle Commissioni o sezioni in cui si registrassero un maggior numero di domande possano essere assegnati uno o più degli altri 50 funzionari.
Si prevede anche che per ogni componente con funzioni di presidente e per il componente designato dall’UNHCR sono nominati uno o più componenti supplenti. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile.
Si prevede altresì che alle sedute di ogni Commissione partecipino, oltre al presidente e all’esperto designato dall’UNHCR, due dei quattro funzionari amministrativi assegnati alla Commissione, secondo criteri fissati dal presidente, il quale stabilisce anche i criteri per l’assegnazione delle istanze ai medesimi funzionari. In ogni caso alla seduta partecipa il funzionario che ha svolto il colloquio personale con il richiedente asilo.
Si modifica anche il quorum per la validità della costituzione delle Commissioni territoriale che in precedenza era individuato nella maggioranza calcolata sul totale dei componenti di ogni Commissione: con la modifica introdotta ogni Commissione si considera validamente costituita in presenza della maggioranza dei componenti secondo la nuova disciplina (quindi il presidente, l'esperto designato dall’UNHCR e due dei funzionari amministrativi con compiti istruttori).
Si tratta di modifiche molto delicate e rilevanti, perché il colloquio personale del richiedente asilo costituisce una delle fasi principali del procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale e l’audizione dell’interessato può essere omessa solamente qualora la Commissione ritiene di avere sufficienti motivi per accogliere la domanda oppure in presenza di gravi motivi di salute del richiedente (art. 12, d.lgs. 25/2008).
Complessivamente le modifiche potrebbero assicurare una maggiore ponderazione delle decisioni che sarebbero istruite e decise da persone che ora saranno in maggioranza effettivamente esperte di diritti umani (lo sono sia i nuovi funzionari amministrativi selezionati, sia l’esperto designato dall’UNHCR), mentre è assai criticabile l’estromissione dei componenti esperti di protezione internazionale designati dall’UNHCR dalla facoltà di svolgere il colloquio individuale ed è auspicabile che la Commissione nazionale per il diritto di asilo prescriva direttive precise per indirizzare criteri e modi con i quali ogni presidente eserciterà le sue delicate determinazioni discrezionali sullo svolgimento dei colloqui e sulla composizione del Collegio decidente e con i quali ogni funzionario svolgerà i suoi delicati compiti istruttori e di conduzione del colloquio.
Si prevede altresì che con decreto del Ministro dell’interno, sentita la Commissione nazionale per il diritto di asilo, sono individuate le sedi e le circoscrizioni territoriali in cui operano le Commissioni, in modo da assicurarne la distribuzione sull’intero territorio nazionale.
Il decreto legislativo modifica anche la disciplina delle sezioni istituite presso le Commissioni territoriali (il cui numero massimo complessivo pari a 30 non è variato) applicando ad esse le medesime disposizioni previste per ogni Commissione, così sopprimendo la previgente norma che prevedeva che tali sezioni fossero composte dai membri supplenti delle Commissioni (n. 3). Come si legge nella relazione illustrativa, la modifica è conseguenziale all’inserimento dei nuovi funzionari.
La norma che consente di nominare quale componente delle Commissioni territoriali anche personale in collocamento a riposo da non oltre due anni viene limitata alla sola figura del funzionario della carriera prefettizia con funzioni di presidente. Infine si prevede che il gettone per la partecipazione alle sedute della Commissione, corrisposto al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti, è un gettone giornaliero di presenza.
Il decreto legislativo aggiunge anche alle funzioni della Commissione nazionale per il diritto di asilo, quelle di monitorare la qualità delle procedure e delle attività delle Commissioni territoriali e di rendere parere sulle nomine dei membri delle predette Commissioni.
L’art. 2 del decreto legislativo introduce alcune modifiche alle disposizioni sia sull’accoglienza, sia sui minori stranieri non accompagnati.
Circa l’accoglienza si modifica l’art. 10 co. 1 d.lgs. n. 142/2015 prevedendo che nei Centri governativi di prima accoglienza e nei Centri straordinari di accoglienza o nelle strutture dello SPRAR sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza, anche di genere, e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti e del personale che opera presso i Centri. La modifica mira a prevedere specifiche misure per prevenire la violenza anche contro le donne e per garantire la sicurezza anche degli operatori di ogni Centro.
Circa la giurisdizione sui minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo si introducono molteplici modifiche alle norme vigenti.
In primo luogo si attribuisce al Tribunale per i minorenni, anziché al giudice tutelare, il potere di nominare il tutore del minore non accompagnato: al fine di razionalizzare il sistema sono concentrate tutte le fasi procedimentali giurisdizionali relative ai minori stranieri non accompagnati presso un unico giudice, individuato nel Tribunale per i minorenni, evitando così l’avvio di un doppio procedimento presso due distinti uffici giudiziari, che in precedenza erano sia il Tribunale dei minorenni sia il giudice tutelare.
L’unificazione presso il Tribunale minorile di tutte le competenze tutelari risponde anche all’esigenza di superare le criticità emerse in sede europea circa l’eccessiva durata dei tempi di apertura delle tutele e la scarsità del numero dei tutori (si veda al riguardo, la procedura di infrazione n. 2014/2171).
Si prevedono altresì tre disposizioni di garanzia:
1) il provvedimento di nomina del tutore e gli altri provvedimenti relativi alla tutela sono adottati dal presidente del Tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato;
2) il reclamo contro tali provvedimenti si propone al Collegio a norma dell’art. 739 c.p.c.;
3) del Collegio non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.
In secondo luogo l’art. 2, co. 1, lett. b) del decreto legislativo con una novella al comma 9 dello stesso art. 19-bis d.lgs. n. 142/2015 individua il Tribunale per i minorenni quale autorità competente ad emettere il provvedimento attributivo dell’età del minore nei casi di fondati dubbi sull’età dichiarata dal minore, secondo la procedura disciplinata dall’art. 19-bis d.lgs. n. 142/2015. La previgente formulazione della disposizione richiamata, infatti, pur disciplinando il procedimento di identificazione, non esplicitava l’autorità a cui spetta emanare tale provvedimento. La relazione illustrativa del provvedimento motiva tale scelta in quanto considerata la soluzione più garantista per il superiore interesse del minore, in ragione della specializzazione dell’autorità giudiziaria minorile.
Inoltre si prevede che le autorità di pubblica sicurezza consultano, ai fini dell’accertamento dell’età dichiarata, il sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché le altre banche dati pubbliche che contengono dati pertinenti, secondo le modalità di accesso per esse previste. L’innovazione contente di prevenire sia casi di accertamenti inutili allorché il minore sia già stato in precedenza identificato, sia casi di sostituzione di persona o di simulazione di minore età.
Il decreto legislativo corregge poi nell’art. 11, co. 2, l. n. 47/2017, relativo all’istituzione dell’elenco dei tutori volontari per i minori non accompagnati, il riferimento alle disposizioni del Libro primo, Titolo IX del codice civile (relative alla responsabilità genitoriale) con quello più appropriato delle disposizioni del Libro I, Titolo X, concernenti la tutela del minore.
Infine il decreto legislativo modifica l’art. 19-bis del d.l. n. 13/2017 che attualmente escludeva l’applicabilità di tutte le disposizioni del decreto-legge medesimo ai minori stranieri non accompagnati.
Infatti si specifica la portata della clausola di inapplicabilità, stabilendo che per i minori non accompagnati trovano applicazione esclusivamente le disposizioni del d.l. n. 13/2017 che:
  1. a) attribuiscono competenza alle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE;
  2. b) disciplinano procedimenti giurisdizionali;
  3. c) sono relative ai procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e alla Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Per tutte le altre disposizioni resta ferma l’esclusione per i minori stranieri non accompagnati.
Nella relazione illustrativa si rileva che escludere l’applicabilità delle disposizioni relative ai ricorsi e ai procedimenti in materia di protezione internazionale rappresenta un errore in quanto nel nostro ordinamento non esiste una procedura per il riconoscimento della protezione internazionale riservata ai minori né un procedimento giurisdizionale ad hoc per i ricorsi in materia.
Ai minori infatti si applicano le norme generali previste dal d.lgs. n. 25/2008, pur con le garanzie specifiche introdotte dalla l. n. 47/2017. La relazione sottolinea che, paradossalmente, una interpretazione letterale della disposizione vigente dell’art. 19-bis, in particolare escludendo l’applicabilità delle norme sulle neo istituite sezioni specializzate, lascerebbe i minori non accompagnati privi di un procedimento giurisdizionale per la protezione internazionale.
Tuttavia l’attribuzione della competenza per i ricorsi presentati dai minori stranieri non accompagnati contro le decisioni delle Commissioni territoriali (in particolari di diniego della protezione internazionale) alle Sezioni specializzate del Tribunale in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea appare in controtendenza con le ultime disposizioni normative approvate dal legislatore (dal d.lgs. n. 142/2015 alla legge n. 47/2017) e con il restante testo.
In ogni caso si prevede che resta fermo il diritto previsto dall’art. 18, co. 2-bis, d.lgs. n. 142/2015 che prevede che il minore straniero ha diritto di partecipare per mezzo di un suo rappresentante legale a tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che lo riguardano e di essere ascoltato nel merito e che deve essere assicurata la presenza di un mediatore culturale. La precisazione è importante; essa recepisce una richiesta delle commissioni parlamentari e è conforme all’art. 12, par. 2 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27.5.1991, n. 176, che prevede che ogni minore deve avere la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante.
Così dunque si evita che il Tribunale possa decidere senza sentire il minore, come invece possono fare le sezioni specializzate nei giudizi sui ricorsi concernenti stranieri adulti poiché il contradditorio previsto dal rito applicato ai procedimenti di competenza delle Sezioni specializzate appare soltanto cartolare e indipendentemente dal fatto che tale rito sia o meno espressamente escluso per i ricorsi presentati dai MSNA.
 
Le quote di ingresso di lavoratori stranieri per l’anno 2018
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15.12.2017 (pubblicato in G.U. – serie gen. n. 12 del 16.1.2018) prevede la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2018.
Esso autorizza 21.000 nuovi ingressi di stranieri non appartenenti all’UE, dei quali 18.000 sono per lavoro stagionale e 9850 sono in realtà destinati alle conversioni di permesso di soggiorno per coloro che sono già in Italia.
Gli ingressi sono suddivisi secondo la seguente ripartizione:
– 18.000 quote per lavoratori stagionali da impiegare nei settori agricolo e turistico-alberghiero (delle quali 2.000 sono riservate alle richieste di nulla osta pluriennale stagionale) riservate ai lavoratori e alle lavoratrici provenienti da Albania, Algeria, Bosnia-Herzegovina, Repubblica di Corea, Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador (Paese al quale per la prima volta è stata riservata una quota di ingresse per lavoro stagionale), Etiopia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia e Ucraina.
Per gli stranieri che hanno già soggiornato in Italia come lavoratori stagionali nei cinque anni precedenti non conta invece il Paese di provenienza.
– 500 quote per lavoratori subordinati non stagionali che abbiamo completato programmi di formazione/istruzione nei Paesi di origine ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n. 286/1998.
– 2400 quote per lavoratori autonomi appartenenti alle seguenti categorie: «imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500 mila euro e proveniente da fonti lecite, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro; liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni; titolari di cariche societarie di amministrazione o di controllo espressamente previsti dal decreto interministeriale 1.5.2011, n. 850; artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11.5.2011, n. 850; cittadini stranieri che intendono costituire imprese “start-up innovative” ai sensi della legge 17.12.2012, n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa».
– 100 quote per lavoratori subordinati non stagionali e per lavoratori autonomi riservate ai lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile.
Le conversioni sono invece così ripartite:
– 4.750 conversioni in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di permessi per lavoro stagionale;
– 3.500 conversioni in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di permessi per studio, tirocinio e/o formazione;
– 800 conversioni in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di permessi Ue per lungo soggiornanti rilasciati da altri Stati membri dell’UE;
– 700 conversioni in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di permessi per studio, tirocinio e/o formazione;
– 100 conversioni in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di permessi Ue per lungo soggiornanti rilasciati da altri Stati membri dell’UE.
Le domande relative alle conversioni dei permessi di soggiorno e agli ingressi per lavoro non stagionale, autonomo e subordinato possono essere compilate dal 18 gennaio ed inviate dal 23 gennaio 2018. Le domande relative agli ingressi per lavoro stagionale possono invece essere compilate dal 24 gennaio ed inviate a partire dal 31 gennaio 2018.
Le istanze possono essere presentate con le consuete modalità (soltanto online attraverso il sito del Ministero dell’interno) fino al 31 dicembre 2018, anche se la natura stessa delle quote previste dal decreto rende improbabile che vadano esaurite in poco tempo.
 
Rassegna delle circolari delle amministrazioni statali
 
Stranieri in genere
 
Circolazione stradale
 
Contestazioni ai conducenti di veicoli stranieri fermati sprovvisti di patente di guida
Con una nota prot. n. 300/A/8581/17/106/15 del 13.11.2017 del Ministero dell’interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i Reparti speciali della polizia di Stato - Servizio polizia stradale sono state date all’ASAPS precisazioni circa i casi in cui uno straniero appartenente all’Unione europea o ad uno Stato extracomunitario sia fermato non avendo patente di guida al seguito e si faccia la contestazione ai sensi degli artt. 180, commi 1 e 7, ovvero 116, co. 15 e 17, C.d.S.
Facendo riferimento alla nota n. 1184/816/5/2017 del 31.10.2017 si ricorda l’art. 135 C.d.S., contenente disposizioni in materia di circolazione con patenti di guida rilasciate da Stati non appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, che prevede che i conducenti muniti di tali patenti sono tenuti all’osservanza di tutte le disposizioni e le norme di comportamento stabilite nel codice della strada e che agli stessi, fatto salvo quanto stabilito in materia di sospensione e revoca. Si applicano le sanzioni previste per i titolari di patente italiana.
Analoga ipotesi è contenuta nell’art. 136-bis C.d.S. per i titolari di patenti di guida e di abilitazioni professionali rilasciate da Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.
Poiché l’art. 180 del medesimo codice non opera alcuna distinzione tra conducenti titolari di patenti italiane e di permessi di guida rilasciati da Stati esteri, si deve ritenere che la prescrizione del comma 1, secondo cui il conducente di un veicolo a motore per poter circolare deve avere con sé la patente di guida, valga sia per i titolari di patenti italiane che estere.
Si ricorda anche che le due principali Convenzioni internazionali in materia di circolazione stradale, la Convenzione di Vienna dell’8 novembre 1968 e quella di Ginevra del 19 settembre 1949, comunque applicabili ai soli veicoli in circolazione internazionale, nulla aggiungono a tal riguardo.
Circa il caso dello straniero, comunitario o extracomunitario, che guida un veicolo a motore momentaneamente privo della patente di guida, si ritiene applicabile la sanzione di cui all’art. 180, co. 1 e 7, C.d.S.
Qualora questi non ottemperi all’intimazione di esibire il documento di guida nel termine stabilito, vista la difficoltà di verificare attraverso pubblici registri o altri sistemi se il documento esiste o meno, si procederà direttamente alla contestazione dell’art. 116, co. 15 e 17, C.d.S., senza ulteriori accertamenti, a differenza di quanto occorre fare per i titolari di patente nazionale.
Nondimeno, qualora sin da subito si abbiano sufficienti elementi (da riportare nel verbale) per ritenere che il conducente sia privo della patente di guida perché mai conseguita o perché revocata, sarà possibile contestare immediatamente la violazione dell’art. 116, co. 15 e 17, C.d.S.
 
 
Cittadini di Paesi terzi
 
Ingresso
 
 Precisazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari
Come è noto il d.lgs. n. 253/2016 disciplina l’ingresso e il soggiorno in Italia di lavoratori stranieri subordinati, al di fuori delle quote di cui all’art. 3, co. 4 del Testo unico immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), e si applica soltanto per le fattispecie di distacco che coinvolgono i dirigenti, i lavoratori altamente qualificati, i lavoratori in formazione nell’ambito di aziende appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale, come definito dall’art. 2359 c.c.
Perciò la nota del 27 settembre 2017, la Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali fornisce ulteriori indicazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari (previste dall’art. 27-quinquies del Testo unico immigrazione introdotto dal d.lgs. n. 253/2016).
Preliminarmente si precisa che il d.lgs. n. 253/2016 disciplina l’ingresso e il soggiorno in Italia di lavoratori stranieri subordinati, al di fuori delle quote di cui all’art. 3, co. 4, d.lgs. n. 286/1998 e si applichi soltanto per le fattispecie di distacco che coinvolgono i dirigenti, i lavoratori altamente qualificati, i lavoratori in formazione nell’ambito di aziende appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale, come definito dall’art. 2359 c.c.
Si forniscono poi 7 chiarimenti specifici:
1) Proroga di nulla osta al distacco di lavoratori specializzati ai sensi dell’art. 27, co. 1 lett. f) e g) d.lgs. 286/1998 (lettere modificate e soppresse dall’art. 4, co. 1, d.lgs. n. 253/2016).
A seguito delle abrogazioni di cui all’art, 4, co. 1, d.lgs. n. 253/2016, i nulla osta relativi ai distacchi concessi ai sensi dell’art. 27, co. 1, lett. f) e g) d.lgs. n. 286/1998 non sono più prorogabili, perché rilasciati in base ad un riferimento normativo non più vigente. La proroga può, comunque, avvenire ove la fattispecie rientri nei casi oggi previsti dallo stesso d.lgs. n. 286/1998, come modificato dal d.lgs. n. 253/2016.
2) Competenza dello Sportello unico per l’immigrazione al rilascio del nulla osta ex art. 27-quinquies d.lgs. n. 286/1998.
Il comma 5 dell’art. 27-quinquies d.lgs. n. 296/1998 individua la competenza esclusiva dello Sportello unico per l’immigrazione dove ha sede legale l’entità ospitante, sia per la presentazione delle istanze che ai fini del rilascio del nulla osta (come indicato anche in circolare congiunta Min. interno e Min. lavoro del 9.2.2017).
3) Lavoratori presenti sul territorio nel momento dell’istanza di nulla osta ex art. 27-quinquies, d.lgs. n. 286/1998.
L’art. 27-quinquies, co. 1 consente l’ingresso, nell’ambito dei trasferimenti intra-societari, agli stranieri che soggiornano fuori dal territorio dell’Unione europea al momento della domanda di ingresso e agli stranieri che sono stati ammessi nel territorio di un altro Stato membro.
Questa condizione non vieta allo straniero, nelle more dell’ottenimento del nulla osta al distacco intra-societario, di soggiornare in Italia temporaneamente ad esempio per motivi di turismo oppure affari.
Rimane, comunque, l’obbligo per gli stranieri di ritirare il visto di ingresso presso la Rappresentanza diplomatico-consolare italiana nello Stato di origine o di stabile residenza (art. 4, co. 1, d.lgs. n. 286/1998), salvo i casi di esenzione previsti dall’art. 27-sexies, co. 3 per stranieri in possesso di permesso di soggiorno per trasferimento intra-societario o “ICT” rilasciato da altro Stato membro dell’UE ed in corso di validità.
4) Documentazione da produrre agli Sportelli.
La documentazione richiesta ai fini del rilascio del nulla osta al distacco intra-societario, ex art. 27-quinquies d.lgs. n. 296/1998, come individuata con circolare congiunta Ministero del lavoro e Ministero dell’interno del 9.2.2017, sostituisce quella indicata nella circolare congiunta del 14.7.2016 con riferimento alle lettere f) e g) dell’art. 27, co. 1. d.lgs. n. 286/1998 (ora modificate e abrogate dall’art. 27-quinquies), ai fini del distacco in Italia del personale extracomunitario specializzato ed in formazione.
5) Vigenza nel d.lgs. n. 286/1998 della tipologia di ingresso di personale ai sensi dell’art. 27, co. 1, lett. a) (dirigenti o personale altamente specializzato).
Il d.lgs. n. 253/2016 non esclude che, alternativamente all’art. 27-quinquies, co. 1 lett. a), d.lgs. n. 286/1998, si possa applicare l’art. 27, co. 1, lett. a) d.lgs. n. 286/1998, quando ne ricorrano i presupposti. L’art. 27, co. 1, lett. a) disciplina l’ingresso in posizione di distacco (per una durata complessiva di cinque anni con possibile assunzione presso l’azienda distaccataria al termine del distacco) di dirigenti o personale altamente specializzato dipendenti di società collegate o facenti parte di un unico gruppo internazionale-multinazionale (che abbiano la sede principale nel territorio di uno Stato membro dell’Organizzazione mondiale del commercio). Tale ingresso non consente una mobilità intraeuropea (come prevista dall’art. 27-quinquies per distacco intra-societario ICT) e non rientra nell’apparato di controllo previsto dal decreto 136/2016 (limitato soltanto alle ipotesi di cui all’art. 27, co. 1 lett. i), d.lgs. n. 286/1998 e cioè al distacco per “prestazioni di servizi” di lavoratori dipendenti da imprese stabilite in Paesi terzi).
6) Piano formativo individuale di cui all’art. 27-quinquies, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 286/1998.
Al fine di garantire uniformità e omogeneità operative sul territorio, si potrà fare riferimento allo «Schema di Piano formativo individuale» di cui all’Allegato 1a del decreto interministeriale 12.10.2015 «Definizione degli standard formativi dell’apprendistato e criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato, in attuazione dell’art. 46, co. 1, d.lgs. 15.6.2015, n. 81», eventualmente adattato alla fattispecie di cui all’art. 27-quinquies, co. 1, lett. c), d. lgs. n. 296/1998.
7) Applicazione delle disposizioni previste dal decreto 136/2016 anche ai distacchi intra-societari (obbligo di comunicazione obbligatoria).
Circa gli obblighi comunicazionali e gli altri adempimenti amministrativi di cui all’art. 10, d.lgs. n. 136, si rinvia ai chiarimenti già forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro (con circolari n. 3/2016 e n. 1/2017), precisando che tali obblighi non si configurano nelle ipotesi di lavoratori non comunitari distaccati, rientranti nel campo di applicazione del d.lgs. n. 253/2016 (dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione nell’ambito di trasferimenti intra-societari ex art. 27-quinquies, co. 1 lett. a), b) e c), d.lgs. n. 286/1998), nonché con riferimento alle categorie di lavoratori contemplate da normative speciali, quali ad esempio i ricercatori, di cui all’art. 27-ter, i lavoratori autonomi ex art. 26, i dirigenti e il personale altamente specializzato di cui all’art. 27, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 286/1998).
A seguito di questa nota del Ministero del lavoro una nota dell’Ispettorato nazionale del lavoro del 13.10.2017 fornisce alcune precisazioni operative ricordando che con nota prot. n. 3464 del 19.4.2017, lo stesso Ispettorato aveva fornito indicazioni operative agli Uffici preposti alla formulazione del parere di competenza nell’ambito del Sportello unico per l’immigrazione (SUI) per il nulla osta al lavoro stagionale e per il nulla-osta ICT, ponendo in particolare evidenza le cause non ostative al rilascio, sulla base dei dati fruibili dalle banche dati SGIL e con riferimento all’arco temporale ivi tracciato, e mutuando – stante l’assenza di puntuali previsioni da parte del legislatore – quanto disposto dall’art. 6, d.l. n. 91/2014 come modificato dalla l. n. 99/2016 dare rilievo, ai fini del rilascio del parere positivo di competenza, non solo all’adempimento di cui all’art. 13, d.lgs. n. 124/2004 ma anche a quello ex art. 16 l. n. 689/1981, poiché in entrambi i casi il procedimento sanzionatorio si estingue e tali fattispecie non assumono rilevanza neanche ai fini dell’art. 8 bis della l. n. 689/1981. Pertanto ora l’Ispettorato prescrive che
1) nel caso in cui, dalla consultazione delle banche dati SGIL (Sistema gestionale Ispettori del lavoro) e con riferimento all’arco temporale ivi tracciato, risultino verbali di contestazione, nelle more dello spirare del termine di cui agli artt. 13 e 16 citati, si deve rilasciare un parere negativo che potrà essere evidentemente superato dal richiedente laddove, a seguito del rituale preavviso di rigetto emesso dal SUI, lo stesso fornisca prova dell’avvenuto adempimento;
2) si ritiene rilevante, al fine di emettere un parere positivo, anche la sentenza, non più soggetta ad impugnazione, favorevole al ricorrente come pure l’accoglimento del ricorso in sede amministrativa. Invece si prescrive che devono essere ritenute irrilevanti tutte le vicende successive all’emanazione dell’ordinanza di ingiunzione, compreso il provvedimento di rateizzazione dell’importo sanzionatorio e la pendenza del contenzioso amministrativo e giudiziario, non comportando le stesse l’estinzione dell’illecito.