Osservatorio italiano

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prevede che «I minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani» (art. 1, co. 1). Il tesseramento «resta valido, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, fino al completamento delle procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei soggetti che, ricorrendo i presupposti di cui alla legge 5.2.1992 n. 91, hanno presentato tale richiesta» (art. 1, co. 2).

La legge mira a superare gli attuali limiti alle possibilità dei minori di origine straniera di partecipare alle attività sportive, dovuti al fatto che la disciplina delle procedure per il tesseramento è demandata all’autonomia statutaria delle singole federazioni sportive, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva.
Poiché infatti soltanto alcune federazioni avevano adottato disposizioni per equiparare gli atleti stranieri nati in Italia agli atleti italiani, si impediva ai giovani dotati di capacità, nati e cresciuti in Italia, alunni nelle scuole italiane, figli di genitori aventi la cittadinanza di Stati non appartenenti all’Unione europea, di seguire i compagni nell’attività agonistica per motivi legati al mancato possesso della cittadinanza.
La legge mira a rendere omogenea la regolamentazione del tesseramento per le diverse discipline sportive, eliminando ogni discriminazione tra alcune di esse e le altre, e a favorire la più ampia partecipazione dei minori stranieri allo sport.
 
 
Il rilascio di permessi di soggiorno individuali anche ai minori stranieri di età inferiore ai 14 anni
La legge 7.7.2016 n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2015-2016), pubblicata in G.U. Serie generale n. 158 dell’8.7.2016 ed entrata in vigore il 23 luglio 2016, all’art. 10 prevede il rilascio di un permesso di soggiorno autonomo ai minori stranieri, anche prima del quattordicesimo anno di età, per dare piena attuazione al regolamento (CE) n. 380/2008 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi.
In particolare, il co. 1, lett. a) dell’art. 10 sostituisce il co. 1 dell’art. 31 d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle leggi sull’immigrazione) stabilendo che, al figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante, sia rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età ovvero un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Il minore fino al quattordicesimo anno di età non dovrà dunque essere iscritto, come nell’attuale versione della norma, nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori.
Si ricorda che il minore convivente e regolarmente soggiornante segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Il minore che risulta affidato ai sensi dell’art. 4 della legge 4.5.1983, n. 184, segue la condizione giuridica dello straniero al quale è affidato, se più favorevole.
Come conseguenza delle modifiche apportate, il co. 1, lett. b) dell’art. 10 abroga il co. 2 dell’art. 31, che prevedeva che al minore venisse rilasciato, solo al compimento del quattordicesimo anno di età, «un permesso di soggiorno per motivi familiari validi fino al compimento della maggiore età», ovvero «una carta di soggiorno».
Il co. 2 dell’art. 10 modifica l’art. 28, co. 1, lett. a), (sui permessi di soggiorno per gli stranieri per i quali sono vietati l’espulsione o il respingimento) del d.p.r. n. 394/1999, prevedendo la soppressione delle parole «salvo l’iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia».
Infine, il co. 3 della nuova norma, prevede una disposizione di carattere transitorio, stabilendo che una volta entrata in vigore la nuova legge, al momento del rinnovo del permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario, al minore di anni quattordici già iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario venga rilasciato il permesso di soggiorno autonomo.
 
 
Misure straordinarie di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati (e i rilievi critici di legittimità formulati da ASGI)
L’art. 1-ter del decreto legge 24.6.2016 n. 113 (pubblicato in G.U. n. 146 del 24.6.2016), nel testo introdotto dalla legge 7.8.2016 n. 160 di conversione in legge (pubblicata in G.U. 20.8.2016 n. 194) modifica la disciplina dei Centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo prevista nell’art. 19 d.lgs. 18.8.2015 n. 142.Si prevede che in presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, qualora l’accoglienza non possa essere assicurata dai Comuni è disposta dal Prefetto l’attivazione di strutture ricettive temporanee esclusivamente dedicate ai minori non accompagnati, con una capienza massima di cinquanta posti per ciascuna struttura, nei quali sono comunque assicurati i servizi di accoglienza e psicologici che devono essere comunque garantiti ai minori richiedenti asilo ai sensi del co. 1 del medesimo art. 19. L’accoglienza nelle strutture ricettive temporanee non può però essere disposta nei confronti del minore di età inferiore agli anni quattordici ed è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento nelle strutture governative di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Dell’accoglienza del minore non accompagnato in tali strutture di è data notizia, a cura del gestore della struttura, al Comune in cui si trova la struttura stessa, per il coordinamento con i servizi del territorio.
In proposito notevoli profili di illegittimità sono stati ravvisati in un’apposita lettera inviata dall’ASGI a tutte le autorità statali nazionali competenti.
Tale previsione si pone in netto contrasto con la normativa nazionale e regionale sulle strutture di accoglienza per minori, che prevede il superamento degli istituti di grandi dimensioni a favore di comunità di tipo familiare o comunque di strutture di dimensioni ridotte (l. 184/83, l. 328/2000, d.m. 308/2001). Gli standard strutturali stabiliti per le strutture ricettive temporanee risultano nettamente inferiori anche rispetto a quelli previsti dall’Avviso pubblico per la presentazione di progetti da finanziare a valere sul FAMI «Qualificazione del sistema nazionale di prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA)», in base a cui ciascuna struttura dovrà recare un numero massimo di 30 posti di accoglienza ed essere rispondente a specifici parametri di carattere infrastrutturale, nel rispetto della normativa nazionale e regionale vigente in materia, tra l’altro, di autorizzazione/accreditamento di strutture destinate all’accoglienza di minori. L’accoglienza in strutture di grandi dimensioni implica una forte spersonalizzazione delle relazioni e impedisce la creazione di quell’ambiente di tipo familiare di cui ogni minore ha bisogno, oltre a rendere molto più difficile la gestione e la mediazione delle conflittualità che talvolta emergono all’interno dei Centri. Inoltre, tale modalità di accoglienza spesso provoca reazioni negative e ostilità da parte della cittadinanza, in genere assai più disponibile ad accettare la presenza di Centri di piccole dimensioni.
La nuova norma prevede inoltre che le strutture ricettive temporanee dovranno assicurare i servizi indicati nel decreto del Ministro dell’interno di cui al co. 1 dell’art. 19, relativo alle strutture governative di prima accoglienza (decreto adottato soltanto il 1° settembre 2016, su cui si veda più oltre).
Si ricorda che, ai sensi del citato co. 1, i minori non accompagnati sono accolti nelle strutture governative di prima accoglienza «per il tempo strettamente necessario, comunque non superiore a sessanta giorni, alla identificazione e all’eventuale accertamento dell’età, nonché a ricevere, con modalità adeguate alla loro età, ogni informazione sui diritti riconosciuti al minore e sulle modalità di esercizio di tali diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale». È dunque presumibile che in tali strutture - così come peraltro indicato nel sopra citato Avviso pubblico relativo ai c.d. Centri FAMI - non saranno previsti servizi volti all’inclusione sociale e all’autonomia del minore (iscrizione nelle scuole o Centri di formazione sul territorio, avviamento al lavoro ecc.), che devono invece essere assicurati dalle strutture di seconda accoglienza. 
A differenza di quanto previsto per le strutture governative di prima accoglienza, il nuovo co. 3-bis non prevede un termine massimo di permanenza nelle strutture ricettive temporanee, limitandosi a prevedere che l’accoglienza in tali strutture «è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento nelle strutture di cui ai co. 2 e 3 del presente articolo», ovvero nello SPRAR o nelle altre strutture di accoglienza per minori del Comune competente per territorio. È peraltro noto che i minori collocati nei Centri FAMI in molti casi vi permangono per periodi di tempo assai più lunghi dei previsti sessanta giorni, a causa dell’estrema difficoltà di inserimento nello SPRAR (si ricorda che all’interno di tale Sistema, in attesa dell’attivazione dei progetti finanziati dall’ultimo bando, sono attualmente disponibili 1.852 posti, a fronte di circa 12.000 minori presenti a fine maggio 2016) ovvero nelle strutture di accoglienza per minori del Comune competente per territorio. Le medesime difficoltà si presenteranno, presumibilmente, per i trasferimenti dalle strutture ricettive temporanee. Così come avviene per gli adulti inseriti nei CAS, è dunque presumibile che i minori collocati nelle strutture ricettive temporanee vi resteranno per periodi molto lunghi, o addirittura potranno non essere mai trasferiti nello SPRAR. Tali strutture fungeranno dunque, di fatto, anche da strutture di seconda accoglienza, caratterizzate tuttavia da standard significativamente inferiori rispetto a quelli previsti non solo dalla normativa nazionale e regionale in materia di strutture per minori ma anche agli standard recentemente approvati dalla Conferenza delle Regioni per le strutture di seconda accoglienza per minori non accompagnati, che prevedono una capienza massima di 16 posti e l’attivazione di percorsi di inserimento scolastico, formativo, lavorativo ecc. In particolare, i minori che resteranno nelle strutture ricettive temporanee da 50 posti, per molti mesi o addirittura anni, potranno non essere mai inseriti in percorsi di inclusione sociale, con gravi conseguenze in termini di disagio psicologico e marginalizzazione di questi minori.
Si noti che la nuova norma esclude dall’accoglienza nelle strutture ricettive temporanee solo i minori infraquattordicenni, senza prevedere tutele specifiche neanche per i minori che presentino particolari profili di vulnerabilità (minori con gravi disagi psicologici, vittime di tratta, sfruttamento, tortura, violenza, traumi da migrazione, abusi ecc.), a differenza dei sopra citati standard per le strutture di seconda accoglienza per minori non accompagnati approvati dalla Conferenza delle Regioni, che si applicano solo ai minori ultrasedicenni che non presentino profili di vulnerabilità. Dunque ad esempio una minore quattordicenne vittima di tratta e di violenze potrebbe essere collocata in una struttura ricettiva temporanea.
Va poi rilevato come i presupposti di applicazione delle disposizioni di cui al co. 3-bis siano definiti in modo estremamente generico «In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, qualora l’accoglienza non possa essere assicurata dai Comuni ai sensi del co. 3», aprendo margini di discrezionalità eccessivamente ampi: è ipotizzabile che le autorità non solo dei Comuni di sbarco, ma anche di molti Comuni interessati da flussi consistenti di arrivo di minori stranieri non accompagnati dichiareranno di non poter assicurare l’accoglienza dei minori, chiedendo alla prefettura di intervenire. La possibilità di attribuire la responsabilità dell’accoglienza alla prefettura rappresenta anche un forte disincentivo per i Comuni a partecipare allo SPRAR e a predisporre strutture di accoglienza idonee all’accoglienza di minori non accompagnati. Di conseguenza, è molto probabile che il sistema ordinario di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (nell’ambito dello SPRAR o delle altre strutture per minori predisposte dal Comune) si riduca, a favore di un ampliamento del sistema di accoglienza straordinario, con tutte le conseguenze negative in termini di mancata tutela dei diritti dei minori sopra citate.
Non è chiaro, infine, quale sarebbe il ruolo del Comune rispetto ai minori accolti nelle strutture ricettive temporanee, posto che la nuova norma si limita a prevedere che «Dell’accoglienza del minore non accompagnato nelle strutture di cui al presente comma e al comma 1 del presente articolo è data notizia, a cura del gestore della struttura, al Comune in cui si trova la struttura stessa, per il coordinamento con i servizi del territorio».
È evidente come le disposizioni fin qui analizzate prevedano un trattamento di forte svantaggio dei minori stranieri non accompagnati collocati nelle strutture ricettive temporanee rispetto ai minori italiani, ma anche rispetto ai minori stranieri non accompagnati collocati - sulla base esclusivamente della disponibilità di posti e non di criteri come ad es. le condizioni di vulnerabilità - nello SPRAR e nelle altre strutture di accoglienza per minori predisposte dal Comune.
Ad avviso della scrivente organizzazione, tale disparità di trattamento appare sotto diversi profili discriminatoria e contraria al superiore interesse del minore, in violazione della nostra Costituzione e della normativa comunitaria e internazionale.
In particolare, la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con legge n. 176/1991, impone agli Stati Parti di garantire i diritti da essa enunciati - tra cui i diritti alla protezione e all’assistenza per i minori privati del proprio ambiente familiare, allo sviluppo, alla salute, all’istruzione, a condizioni di vita adeguate, alla partecipazione ecc. - «senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza» (art. 2).
Come chiarito dal Comitato ONU sui diritti del fanciullo, il principio di non discriminazione si applica a tutti i minori, a prescindere dalla nazionalità e dallo status relativo al soggiorno (cfr. Paragrafo 12, Commento generale n. 6 (2005) sui minori stranieri non accompagnati).
L’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo stabilisce poi che «in tutte le decisioni relative ai minori, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei Tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione preminente». Tale principio è richiamato, con specifico riferimento all’accoglienza dei minori stranieri, dal d.lgs. n. 142/2015, che all’art. 18, co. 1 stabilisce che «nell’applicazione delle misure di accoglienza previste dal presente decreto assume carattere di priorità il superiore interesse del minore in modo da assicurare condizioni di vita adeguate alla minore età, con riguardo alla protezione, al benessere ed allo sviluppo anche sociale del minore, conformemente a quanto previsto dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dalla legge 27.5.1991 n. 176».
Qualsiasi trattamento di svantaggio nei confronti dei minori stranieri rispetto ai minori italiani, sulla base della nazionalità, così come qualsiasi irragionevole disparità di trattamento tra minori stranieri non accompagnati risulta incostituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nonché dell’art. 117, ai sensi del quale la potestà legislativa deve essere esercitata dallo Stato nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Le oggettive e rilevanti problematiche derivanti dall’arrivo di un numero molto elevato di minori stranieri non accompagnati in tempi ravvicinati e le gravi difficoltà che le istituzioni italiane stanno incontrando nel garantire adeguata accoglienza a tutti questi minori devono essere affrontate urgentemente, ma non attraverso misure emergenziali che presentano profili di incostituzionalità, bensì nel pieno rispetto della nostra Costituzione e della normativa comunitaria e internazionale in materia.
ASGI auspicava quindi che l’art. 1-bis fosse stralciato dal disegno di legge di conversione in legge del decreto legge 24.6.2016 n. 113 e che si adottino norme e politiche volte a rafforzare e a rendere più efficiente il sistema di accoglienza ordinario dei minori stranieri non accompagnati, in particolare aumentando il numero di posti per minori stranieri non accompagnati attivati nell’ambito dello SPRAR, attraverso lo stanziamento di adeguati fondi da parte dello Stato e l’adozione di misure (in termini di incentivi e/o di previsione di specifici obblighi) volte ad assicurare che i Comuni partecipino a tale Sistema.
Per affrontare efficacemente le problematiche connesse agli arrivi consistenti e ravvicinati di minori stranieri non accompagnati, è inoltre urgente ridurre la concentrazione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in alcune Regioni, segnatamente la Sicilia, che ad oggi accoglie circa un terzo del totale dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia.
Mentre, infatti, la distribuzione dell’accoglienza degli adulti tra le Regioni viene concordata nell’ambito del Tavolo di coordinamento nazionale, tale meccanismo non è previsto per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Di conseguenza, l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non sono trasferiti nei Centri FAMI ovvero in strutture SPRAR resta a carico del Comune di arrivo/rintraccio.
Al fine di consentire un certo livello di distribuzione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati tra Regioni e Comuni, ASGI auspica che non si ricorra all’attivazione di CAS per minori, promuovendo invece la distribuzione nell’ambito del sistema di accoglienza ordinario, secondo modalità concordate nell’ambito del Tavolo di coordinamento nazionale, d’intesa con la Conferenza unificata.
Si noti che la possibilità per un Comune di dare la propria disponibilità all’accoglienza di due o tre minori stranieri non accompagnati in una comunità per minori, senza impegnarsi nella predisposizione di un progetto SPRAR, potrebbe favorire l’ampliamento del numero di Comuni disponibili all’accoglienza, i quali dopo una prima esperienza limitata, potrebbero aprirsi alla prospettiva di entrare nello SPRAR.
 
 
Il contrasto dello sfruttamento lavorativo degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare e la nuova legge sul caporalato in agricoltura
La legge 29.10.2016 n. 199 recante «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo» (pubblicata in G.U. n. 257 del 3.11.2016) mira a garantire una maggiore efficacia all’azione di contrasto del c.d. caporalato.
La legge prevede una nuova formulazione dell’art. 603-bis c.p. (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), il quale prevede una fattispecie-base di reato che prescinde da comportamenti violenti, minacciosi o intimidatori nella condotta illecita del caporale, ovvero di chi recluta manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.
Il nuovo reato di caporalato, per il quale è reso obbligatorio l’arresto in flagranza, prevede anche la sanzionabilità del datore di lavoro che utilizzi, assuma o impieghi manodopera reclutata anche - ma non necessariamente con l’utilizzo di caporalato - mediante l’attività di intermediazione, sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno. Tra le condizioni ritenute indice di sfruttamento sono contemplate le violazioni “sistematiche” nel pagamento di retribuzioni palesemente difformi da quanto previsto dai contratti collettivi territoriali e quelle relative ad orario di lavoro, riposi, aspettative e ferie. È previsto, altresì, un ampliamento dei casi che ricadono nella fattispecie di condizione di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative degradanti.
Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro viene inserito tra i reati per i quali è disposta la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del denaro, dei beni o di altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui risulti abbia disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
I proventi delle confische, ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro verranno assegnati al Fondo anti-tratta, destinando tali risorse anche all’indennizzo delle vittime del reato di caporalato.
Come misura cautelare è stata introdotta la possibilità che il giudice disponga la misura di controllo giudiziario dell’azienda nel corso del procedimento penale per il reato di caporalato, quando l’interruzione dell’attività agricola possa compromettere i livelli occupazionali e diminuirne il valore economico.
Il provvedimento, inoltre, modifica la cd. Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita presso l’INPS, integrando il catalogo dei reati ostativi all’iscrizione e introducendo due ulteriori nuovi requisiti per le imprese agricole più virtuose che intendano partecipare alla Rete: obbligo di applicazione dei contratti collettivi; non essere controllate da soggetti non in possesso del complesso dei requisiti richiesti.
Infine, sono introdotte misure di sostegno per i lavoratori stagionali in agricoltura attraverso un piano di interventi per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori stagionali, nonché con l’introduzione di disposizioni in materia di contratti di riallineamento retributivo.
Occorre osservare che le nuove norme penali incidono anche sugli indici di sfruttamento che sono alla base del grave sfruttamento lavorativo in presenza del quale l’art. 22 d.lgs. n. 286/1998 prevede che al lavoratore gravemente sfruttato che denunci il datore di lavoro e collabori nel processo penale sia rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
 
La nuova disciplina degli ingressi e soggiorni per lavoro stagionale
Il decreto legislativo 29.10.2016 n. 202 (pubblicato in G.U., Serie generale n. 262 del 9.11.2016) dà attuazione della direttiva 2014/36/UE sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali.
Duplice l’obiettivo della direttiva europea: da un lato, consentire ai datori di lavoro di soddisfare il proprio fabbisogno di manodopera stagionale e, dall’altro garantire che i cittadini di Paesi terzi, lavoratori stagionali, non siano impropriamente utilizzati per lavori annuali.
Il nuovo decreto legislativo nel recepire la direttiva, ha introdotto modifiche agli artt. 5, co. 3-ter, e 24 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286 (Testo unico immigrazione - TUI) e ha abrogato gli artt. 38 e 38 bis del relativo regolamento di attuazione (d.p.r. 31.8.1999, n. 394).
Importante si specifica che gli stagionali stranieri possono essere impiegati soltanto nei settori “agricolo e turistico-alberghiero”.
Le nuove norme rendono più semplice il rilascio dei permessi pluriennali all’ingresso: in presenza di impieghi ripetitivi allo straniero che dimostra di essere venuto in Italia almeno una volta nei cinque anni precedenti (e non più due anni come ora) per prestare lavoro stagionale, può essere rilasciato un permesso pluriennale con indicazione del periodo di validità per ciascun anno.
Vengono, inoltre, modificate le condizioni della sistemazione alloggiativa soprattutto nelle ipotesi in cui essa verrà fornita dal datore di lavoro. Quest’ultimo, infatti, al momento della sottoscrizione del contratto di soggiorno, dovrà esibire un titolo idoneo a provare non solo l’effettiva disponibilità dell’alloggio e le relative condizioni e idoneità alloggiativa, ma anche che il relativo canone non sarà decurtato automaticamente dalla retribuzione del lavoratore (come attualmente previsto).
Tra le ulteriori novità vi è la previsione della possibilità, per il lavoratore stagionale che ha svolto, per almeno tre mesi, regolare attività lavorativa, di convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, nei limiti delle quote definite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ciò comporta un notevole cambiamento rispetto all’assetto previgente diventando assai conveniente (e non più rinviata al successivo ingresso regolare per lavoro stagionale) la conversione del permesso per lavoro stagionale in permesso per lavoro subordinato anche dopo il primo ingresso
Nuove norme elencano, infine, dettagliatamente, i casi di rifiuto o revoca del nulla osta al lavoro stagionale per cause imputabili al datore di lavoro. Tra queste vi è anche il caso in cui il datore di lavoro abbia effettuato licenziamenti nei 12 mesi precedenti, al fine di creare un posto da coprire mediante la richiesta di assunzione.
Nei casi di revoca del nulla osta e del permesso di soggiorno per lavoro stagionale per colpa del datore di lavoro è prevista la liquidazione, a favore del lavoratore, di un’indennità la cui misura è rapportata alle retribuzioni dovute ai sensi del contratto collettivo nazionale e non corrisposte, per i mesi in cui il lavoratore avrebbe dovuto lavorato in Italia.
Infatti il nuovo decreto stabilisce che il nulla osta al lavoro stagionale può essere rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, può essere revocato quando:
  1. il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni a causa di lavoro irregolare;
  2. l’impresa del datore di lavoro è stata liquidata per insolvenza o non è svolta alcuna attività economica;
  3. il datore di lavoro non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di previdenza sociale, tassazione, diritti dei lavoratori, condizioni di lavoro o di impiego, previsti dalla normativa nazionale o dai contratti collettivi applicabili;
  4. nei dodici mesi immediatamente precedenti la data della richiesta di assunzione dello straniero, il datore di lavoro ha effettuato licenziamenti al fine di creare un posto vacante che lo stesso datore di lavoro cerca di coprire mediante la richiesta di assunzione.
 
I nuovi ingressi e soggiorni degli stranieri per investimenti
La legge di bilancio 2017 (legge 11.12.2016, n. 232, pubblicata in G.U. n. 297 del 21.12.2016 - Suppl. ordinario n. 57) tra le tante norme prevede anche che al fine di attrarre investimenti esteri è prevista una imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero in favore delle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia nonché di un «visto di ingresso per investitori» (introdotto nel testo unico delle leggi sull’immigrazione) in favore degli stranieri che intendono entrare e soggiornare per effettuare significativi investimenti in Italia, anche preordinati ad accrescere i livelli occupazionali o per effettuare una donazione a carattere filantropico di almeno € 1 mln a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori, fra gli altri, dell’istruzione, della ricerca scientifica, della cultura e del recupero dei beni culturali e paesaggistici (art. 1, co. 148-159), nonché agli stranieri che intendono effettuare un investimento di almeno 500.000 euro in start-up innovative; sono previsti specifici controlli sui richiedenti e sulla provenienza dei fondi da investire (art. 1, co. 148).
 
Le altre misure finanziarie in favore delle politiche migratorie previste dalle legge di bilancio 2017
Nella legge di bilancio 2017 (legge 11.12.2016 n. 232, pubblicata in G.U. n. 297 del 21.12.2016 - Suppl. ordinario n. 57) sono previste numerose misure finanziarie in materia di immigrazione:
1) per far fronte alle esigenze di accoglienza connesse al massiccio afflusso di immigrati, viene introdotta la facoltà di destinare le risorse relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, nel limite massimo di 280 milioni di euro, alle attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati, oltre quelle già stanziate nella sezione II del bilancio (art. 1, co. 630). 
2) La sezione II della legge di bilancio opera, a sua volta, un rifinanziamento di 320 milioni di euro per il 2017 per le attività di trattenimento ed accoglienza degli immigrati (cap. 2351/2 dello stato di previsione del Ministero dell’interno - tabella 8). Nel complesso, le previsioni di spesa a legislazione vigente per la missione n. 27 «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti» ammontano a circa 2.864 milioni di euro.
3) Al fine di rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie si prevede l’istituzione di un Fondo per l’Africa presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con una dotazione di 200 milioni di euro per l’anno 2017 (art. 1, comma 621).
 
La nuova disciplina del distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi
Il 22 luglio 2016 è entrato in vigore il d.lgs. 17 luglio 2016 n. 136 (pubblicato in G.U. n. 169 del 21.7.2016), relativo al distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, emanato in attuazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, che ha abrogato il d.lgs. n. 72/2000 di recepimento della direttiva 96/71/CE, mutuandone le relative disposizioni.
Le norme si riferiscono al lavoratore distaccato, da intendersi quale lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro dell’UE che, per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia.
L’art. 10 del d.lgs. n. 136/2016 ha introdotto nell’ordinamento italiano una serie di adempimenti amministrativi, tra i quali l’obbligo, per le imprese straniere che intendano distaccare lavoratori in Italia nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi, di effettuare la comunicazione preventiva di distacco, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro le ore ventiquattro del giorno antecedente l’inizio del distacco e di comunicare tutte le successive modificazioni entro cinque giorni. La comunicazione preventiva di distacco deve contenere le seguenti informazioni: a) dati identificativi dell’impresa distaccante; b) numero e generalità dei lavoratori distaccati; c) data di inizio, di fine e durata del distacco; d) luogo di svolgimento della prestazione di servizi; e) dati identificativi del soggetto distaccatario; f) tipologia dei servizi; g) generalità e domicilio eletto del referente di cui al co. 3, lett. b); h) generalità del referente di cui al co. 4; i) numero del provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione, in caso di somministrazione transnazionale ove l’autorizzazione sia richiesta dalla normativa dello Stato di stabilimento.
Le modalità di effettuazione sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
Il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 10.8.2016 e i relativi allegati (pubblicato in G.U. del 27.10.2016 ed entrato in vigore il 26 dicembre 2016) disciplinano le modalità per l’effettuazione della dichiarazione preventiva di distacco.
 
La nuova disciplina dell’ingresso e del soggiorno dei dirigenti, dei lavoratori specializzati e dei lavoratori in formazione di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari
Il decreto legislativo 29.12.2016 n. 253 (pubblicato in G.U. n. 7 del 10.1.2017) dà attuazione della direttiva 2014/66/UE sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari.
Il decreto legislativo introduce numerose modifiche al Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d.lgs. 25.7.1998 n. 286, e successive modificazioni).
Infatti il decreto legislativo sottrae i lavoratori in possesso di permesso di soggiorno con la dicitura ICT alla normativa generale dei “fuori quota”, di cui all’art. 27 dello stesso Testo unico per dedicare loro una disciplina specifica che prevede requisiti, stabiliti dalla direttiva, quali una durata minima del rapporto di lavoro e il possesso di titoli di studio specifici per l’esercizio delle funzioni alle quali sono chiamati.
Si segnalano le disposizioni che agevolano la possibilità per i lavoratori ICT di spostarsi per motivi di lavoro all’interno dell’Unione europea in virtù di un unico titolo abilitante rilasciato da uno Stato membro (la c.d. mobilità intracomunitaria).
Anzitutto si introduce nel testo unico un nuovo art. 27-quinquies che prevede che l’ingresso e il soggiorno in Italia per svolgere prestazioni di lavoro subordinato nell’ambito di trasferimenti intra-societari per periodi superiori a tre mesi è consentito (al di fuori delle quote di cui all’art. 3, co. 4) agli stranieri
- che soggiornano fuori del territorio dell’Unione europea al momento della domanda di ingresso
- o che sono stati già ammessi nel territorio di un altro Stato membro
- e che chiedono di essere ammessi nel territorio nazionale in qualità di dirigenti o di lavoratori specializzati o di lavoratori in formazione.
Il trasferimento intra-societario è il distacco temporaneo di uno straniero da un’impresa stabilita in un Paese terzo (cui lo straniero è legato da un rapporto di lavoro che dura da almeno tre mesi) a un’entità ospitante stabilita in Italia, appartenente alla stessa impresa o a un’impresa appartenente allo stesso gruppo di imprese ai sensi dell’art. 2359 c.c. Il trasferimento intra-societario comprende i casi di mobilità dei lavoratori stranieri tra entità ospitanti stabilite in diversi Stati membri.
Le disposizioni non si applicano agli stranieri che chiedono di soggiornare in qualità di ricercatori o che beneficiano dei diritti alla libera circolazione o che lavorano presso un’impresa stabilita in Paesi terzi nel quadro di accordi conclusi tra il Paese di appartenenza e l’Unione europea e i suoi Stati membri o che soggiornano in Italia, in qualità di lavoratori distaccati, ai sensi della direttiva 96/71/CE, e della direttiva 2014/67/UE o che svolgono attività di lavoro autonomo o che svolgono lavoro somministrato o che sono ammessi come studenti a tempo pieno o che effettuano un tirocinio di breve durata e sotto supervisione nell’ambito del percorso di studi.
La procedura di richiesta nominativa di nulla osta al trasferimento intra-societario, le modalità di rilascio del nulla osta e del permesso di soggiorno per trasferimento intra-societario (ICT) sono descritte nei co. 5-10. La modulistica è disponibile sul sito del Ministero dell’interno.
La durata massima del trasferimento intra-societario è di tre anni per i dirigenti e i lavoratori specializzati e di un anno per i lavoratori in formazione. Tra la fine della durata massima del trasferimento intra-societario e la presentazione di un’altra domanda di ingresso nel territorio nazionale per trasferimento intra-societario per lo stesso straniero devono intercorrere almeno tre mesi.
Nel caso in cui l’entità ospitante abbia sottoscritto con il Ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un protocollo di intesa, con cui garantisce la sussistenza delle condizioni previste dal co. 5 dell’art. 1 del decreto, il nulla osta è sostituito da una comunicazione presentata, con modalità telematiche, dall’entità ospitante allo Sportello unico per l’immigrazione (co. 13).
In secondo luogo si introduce nel testo unico un nuovo art. 27-sexies che disciplina l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale di dirigenti, lavoratori specializzati o lavoratori in formazione di Paesi terzi titolari di un permesso ICT rilasciato da altro Stato membro.
Si prevede che per periodi inferiori a novanta giorni si applicano le disposizioni di cui all’art. 5, co. 7, del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede una «dichiarazione di presenza» (co. 1).
Per le richieste di mobilità di lunga durata (superiore ai 90 giorni), si prevede invece il rilascio di un nuovo tipo di permesso di soggiorno (permesso “mobile ICT”), di durata pari a quella del periodo di mobilità richiesta, attraverso una procedura analoga a quella prevista per il rilascio del permesso “ICT”, compresa la possibilità, per l’entità ospitante, di stipulare protocolli di intesa con il Ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro.
 
Determinazione del prezzo del nuovo permesso di soggiorno elettronico “PSE 380”
Il decreto 10.3.2016 n. 3203 del Ministro dell’economia e delle finanze (pubblicato in G.U. Serie generale n. 97 del 27.4.2016) determina in euro 24,56, al netto dell’IVA, l’importo delle spese per la produzione e la spedizione del nuovo permesso di soggiorno elettronico “PSE 380”, nonché per la manutenzione necessaria all’espletamento dei servizi connessi, da porre a carico dei soggetti richiedenti il documento.
A tale importo, maggiorato dell’IVA nella misura tempo per tempo vigente, va aggiunta la commissione di euro 0,50, esente dall’IVA, prevista dalla Convenzione, tra il Ministero dell’economia e delle finanze e le Poste italiane S.p.A., del 17 luglio 2015.
Tali importi sono riscossi all’atto della presentazione della richiesta del permesso di soggiorno elettronico, mediante versamento sul conto corrente postale n. 67422402 intestato al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del Tesoro, con causale «importo per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico».
 
Istituzione dei Centri governativi di prima accoglienza dedicati ai minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo
Il decreto del Ministro dell’interno 1.9.2016 (pubblicato in G.U. Serie generale n. 210 dell’8.9.2016) istituisce i Centri governativi di prima accoglienza dedicati ai minori stranieri non accompagnati.
Il decreto individua i requisiti dei centri (art. 3), che devono «assicurare la permanenza continuativa del minore straniero non accompagnato nell’arco delle 24 ore, per un periodo non superiore a sessanta giorni», e garantire «l’ospitalità di 50 minori in almeno due sedi alla stessa destinate in via esclusiva», tenuto conto che «ciascuna sede può accogliere fino ad un massimo di 30 minori».
Il decreto disciplina anche i servizi che le strutture devono erogare ai giovani ospiti (art. 4): da quelli relativi alla gestione amministrativa - con la registrazione dell’ingresso e dell’uscita definitiva dal Centro, e dei movimenti giornalieri - a quelli relativi alla persona - come la mensa, i beni per la cura personale, l’orientamento linguistico e la mediazione culturale, l’informazione giuridico-legale, il supporto alle autorità competenti e all’identificazione e all’affidamento successivo del minore. Le strutture devono dotarsi, inoltre, di un regolamento.
Si dà così attuazione alla recente normativa su accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e su riconoscimento e revoca del relativo status (d.lgs. 18.8.2015 n.142) incentrata, per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, sul «superiore interesse del minore in modo da assicurare condizioni di vita adeguate alla minore età, con riguardo alla protezione, al benessere ed allo sviluppo anche sociale del minore».
In fase di prima applicazione (art. 9), il bando di gara deve prevedere modalità di attestazione dei requisiti strutturali «tali da consentire l’adeguamento delle strutture di accoglienza già autorizzate ai sensi della normativa nazionale e regionale in materia di minori».
 
Le nuove linee guida dei servizi dello SPRAR e la nuova disciplina delle modalità di accesso degli enti locali al Fondo nazionale per i servizi dell’asilo
Il decreto del Ministro dell’interno 10.8.2016 (pubblicato in G.U. il 27.8.2016) disciplina le modalità di accesso da parte degli enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo per la predisposizione dei servizi di accoglienza per i richiedenti e i beneficiari di protezione internazionale e per i titolari del permesso umanitario e approva le linee guida per il funzionamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).
Il decreto regola modalità e procedure per il nuovo funzionamento dello SPRAR, a partire dai contenuti dell’Intesa tra Governo, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014 al fine di attuare un sistema unico di accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale attraverso l’ampliamento della rete SPRAR. Il Decreto favorisce la stabilizzazione dei progetti SPRAR già attivi e lo snellimento delle procedure di accesso alla rete per nuovi enti locali che intendano farvi ingresso, permettendo di superare la precedente rigidità imposta dalla periodicità di pubblicazione dei bandi di adesione e optando per una gestione “a liste sempre aperte”, così da accogliere le domande degli Enti locali senza più vincoli temporali ma solo in base alla disponibilità delle risorse. Ciò al fine di stimolare una costante progettualità coinvolgendo tutti i soggetti qualificati attivi nel settore attraverso il coordinamento dei Comuni.
Il decreto fa parte del nuovo orientamento del Ministero dell’interno e dell’ANCI che mira alla diffusione in tutti i Comuni italiani dei Centri di accoglienza afferenti allo SPRAR, nel tentativo di riuscire a superare l’attuale sistema di accoglienza duale (Centri temporanei di accoglienza straordinaria temporanee, da una parte, Centri afferenti allo SPRAR dall’altra). Il decreto deriva da diverse esigenze: a) favorire la stabilità dei servizi di accoglienza integrata già attivi nel Sistema SPRAR che veda una distribuzione più diffusa e più equa; b) semplificare le procedure per la prosecuzione dei servizi di accoglienza integrata già attivi nel Sistema SPRAR; c) snellire le procedure di accesso degli enti locali al sistema SPRAR
In primo luogo si introduce un sistema d’accesso permanente al Sistema SPRAR:
a) Una domanda per la procedura di prosecuzione dei progetti SPRAR già in atto: gli Enti locali già titolari di un progetto finanziato nell’ambito dello SPRAR, se in fase di conclusione, potranno presentare domanda di prosecuzione per ciascuna tipologia di servizi di cui è titolare. La prosecuzione ha durata triennale e al termine di ogni triennio potrà essere nuovamente riformulata domanda di prosecuzione;
b) una procedura per le domande di accesso al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo riferita a tutti gli Enti locali che presentano una nuovi progetti triennali SPRAR: le domande di nuovo ingresso possono essere presentate con continuità e valutate con decorrenza di due volte l’anno e quegli enti locali che siano ammessi in graduatoria, ma i cui progetti non siano finanziabili per insufficienza di risorse, avranno accesso al fondo prioritariamente rispetto alla graduatoria del semestre successivo.
In secondo luogo si introducono nuove modalità di funzionamento dello SPRAR:
1) Sono previste due decorrenze annuali di conferma sia per le graduatorie dei nuovi progetti (31 marzo e 30 settembre) che per la prosecuzione dei servizi già attivi (il 30 settembre 2017 per i progetti in scadenza al 31 dicembre 2017);
2) il finanziamento del Ministero dell’interno dei costi di ogni progetto è portato fino al 95% del costo del progetto;
3) la commissione permanente di verifica delle domande di prosecuzione e di valutazione delle nuove domande d’accesso;
4) l’utilizzo della figura di un revisore esterno a tutela dell’ente titolare nel controllo delle procedure amministrative;
5) la possibilità, nel corso del triennio di attività, di sottoporre variazioni del servizio di accoglienza finanziato.
Il decreto reca altresì in allegato le importanti linee guida per i servizi da svolgersi all’interno di ogni struttura dello SPRAR.
 
Regole per l’avvio di un sistema di ripartizione graduale e sostenibile dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul territorio nazionale attraverso lo SPRAR
La direttiva del Ministro dell’interno 10.10.2016 invita i prefetti ad attuare un Piano operativo che, muovendo dal sistema di quote fissato nella Conferenza unificata del 10 luglio 2014, consenta, anche all’interno delle singole Regioni, una distribuzione di migranti più equilibrata e sostenibile tra le diverse realtà locali, grazie alla definizione di un numero di presenze rapportato alla popolazione residente nel Comune.
Si tratta di un Piano di fondamentale importanza, che richiede il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti istituzionali interessati affinché - sia pur con la gradualità imposta dagli aspetti di natura tecnica, organizzativa e amministrativa - possa esplicare appieno i propri effetti sull’intero territorio nazionale e garantire, così, il conseguimento dell’obiettivo di un’accoglienza equilibrata e diffusa dei migranti, condivisa con il sistema degli Enti locali.
In vista dell’imminente divulgazione del nuovo sistema di distribuzione e dei criteri operativi ad esso sottesi, si prescrive ai prefetti di attivare una politica di governance applicando una clausola di salvaguardia che renda esenti i Comuni che appartengono alla rete SPRAR o che abbiano già formalmente manifestato la volontà di aderirvi, dall’attivazione di ulteriori forme di accoglienza. Si specifica che tale clausola di salvaguardia deve applicarsi nella misura in cui il numero di posti SPRAR soddisfi la quota di posti assegnata a ciascun Comune dal predetto Piano.
Coerentemente si prescrive ai prefetti di operare affinché i Centri di accoglienza temporanea eventualmente presenti sul territorio dei Comuni aderenti alla rete SPRAR vengano gradualmente ridotti, ovvero ricondotti ove possibile a strutture della rete SPRAR medesima, fino al raggiungimento della predetta quota di posti.
 
La definizione dei meccanismi per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati vittime di tratta
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10.11.2016 n. 234 (pubblicato in G.U. Serie generale n. 298 del 22.12.2016) reca il regolamento recante definizione dei meccanismi per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati vittime di tratta, in attuazione dell’art. 4, co. 2, del d.lgs. 4.32014 n. 24.
Il decreto «individua i meccanismi attraverso i quali, nei casi in cui sussistano ragionevoli dubbi sulla minore età della presunta vittima di tratta e l’età del minore non accompagnato non sia accertabile da documenti identificativi, si procede, nel rispetto del superiore interesse del minore, alla determinazione dell’età, attraverso una procedura multidisciplinare, condotta da personale specializzato e che tengano conto anche delle specificità relative all’origine etnica e culturale del minore».
Il decreto chiarisce le procedure che devono essere adottate per determinare l’età dei minori vittime di tratta e introduce alcune fondamentali garanzie, prevedendo che:
- soltanto ove sussistano fondati dubbi sull’età e questa non sia accertabile attraverso documenti identificativi (passaporto o altro documento di riconoscimento munito di fotografia), le forze di polizia possono richiedere al giudice competente per la tutela l’autorizzazione all’avvio della procedura multidisciplinare per l’accertamento dell’età. Inoltre, quando il presunto minore manifesta la volontà di richiedere o richiede la protezione internazionale, è precluso ogni intervento o accertamento presso le istituzioni del Paese di appartenenza dell’interessato, nonché il coinvolgimento della relativa rappresentanza diplomatico-consolare;
- tale accertamento è condotto da un’équipe multidisciplinare presso una struttura sanitaria pubblica, individuata dal giudice, ed è svolto attraverso un colloquio sociale, una visita pediatrica auxologica e una valutazione psicologica o neuropsichiatrica, alla presenza di un mediatore culturale, tenendo conto delle specificità relative all’origine etnica e culturale dell’interessato;
- il minore deve essere adeguatamente informato, con l’ausilio di un mediatore culturale, sul tipo di esami cui sarà sottoposto, sulle loro finalità e sul diritto di opporvisi;
- la relazione conclusiva, redatta dall’équipe multidisciplinare, deve riportare l’indicazione di attribuzione dell’età cronologica stimata specificando il margine di errore insito nella variabilità biologica e nelle metodiche utilizzate ed i conseguenti valori minimo e massimo dell’età attribuibile;
- nei casi in cui, considerando il margine di errore, la maggiore o minore età resti in dubbio, la minore età è presunta;
- il provvedimento di attribuzione dell’età, adottato dal giudice competente per la tutela, è notificato, con allegata traduzione, all’interessato e al tutore, e può essere oggetto di reclamo;
- in attesa della determinazione dell’età, l’interessato deve comunque essere considerato come minorenne al fine dell’accesso immediato all’assistenza e alla protezione.
La corretta identificazione come minorenni dei ragazzi e delle ragazze di età inferiore ai 18 anni che giungono in Italia costituisce un presupposto essenziale affinché siano loro applicate le misure di protezione e assistenza previste dalla normativa vigente. Se erroneamente identificati come maggiorenni, infatti, questi adolescenti non vengono accolti in strutture per minori e spesso vengono lasciati per strada, con l’elevato rischio di essere vittime di sfruttamento a scopo sessuale o di altro tipo. In alcuni casi, inoltre, vengono trattenuti in un centro di permanenza ed espulsi.
Ad oggi, non esiste alcun metodo scientifico che consenta una determinazione certa dell’età perché le differenze di maturazione scheletrica, accrescitiva e puberale fra soggetti della stessa età anagrafica sono frequenti, ampie e fisiologiche. Il metodo attualmente più utilizzato, la valutazione della maturazione ossea del polso e della mano, comporta un margine di errore di ± 2 anni. Spesso, tuttavia, sul referto non viene indicato il margine di errore, il che impedisce l’applicazione del principio di presunzione della minore età in caso di dubbio. Tale metodo, sviluppato per lo studio dei disordini della crescita e della pubertà e non per finalità medico legali, si basa su standard ormai datati e comunque definiti su popolazioni (caucasici, per lo più anglosassoni americani o britannici) ben differenti rispetto a quelle di appartenenza dei soggetti valutati. Inoltre, diverse situazioni fisiologiche e genetiche, patologiche o ambientali possono accelerare o rallentare la maturazione scheletrica. A questo si aggiunge la possibilità di errore di refertazione da parte di operatori non esperti che eseguono solo occasionalmente tale prestazione.
Anche nei casi in cui gli accertamenti siano effettuati in modo così gravemente inadeguato, in genere i risultati non possono essere oggetto di contestazione in quanto il referto non viene quasi mai consegnato all’interessato né al tutore. Vi sono, poi, casi in cui vengono effettuati accertamenti sanitari anche su individui in possesso di un documento identificativo da cui risultano minorenni.
Il d.p.c.m. n. 234/16 chiarisce le procedure che devono essere adottate per determinare l’età dei minori vittime di tratta e introduce alcune fondamentali garanzie.
Mentre il d.p.c.m. n. 234/16 disciplina finalmente in modo chiaro le procedure per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati vittime di tratta, vi sono ancora significative lacune normative per quanto riguarda i minori non accompagnati che non siano riconosciuti come vittime di tratta. Questi ultimi rappresentano ad oggi la quasi totalità dei minori non accompagnati presenti in Italia (in alcuni casi effettivamente non vi è alcun reato di tratta, in altri casi il minore è vittima di tratta ma non viene riconosciuto come tale).
Le disposizioni previste dal d.p.c.m. n. 234/16 dovrebbero ritenersi applicabili in via analogica a tutti i minori stranieri non accompagnati, anche non vittime di tratta.
Apparirebbe del tutto irragionevole, infatti, ipotizzare che i meccanismi per la determinazione dell’età debbano essere differenti a seconda che il minore non accompagnato sia o meno vittima di tratta, fatta eccezione per l’esigenza di tenere in considerazione gli specifici traumi derivanti dallo sfruttamento e dagli abusi subiti dai minori vittime di tratta.
Si ricorda che il Ministero dell’interno ha in passato chiarito come il principio di presunzione della minore età in caso di dubbio, sancito dal codice di procedura penale minorile, «possa trovare applicazione in via analogica anche in materia di immigrazione», dunque anche con riferimento ai minori non sottoposti a procedimento penale (circolare del Ministero dell’interno del 9.7.2007). Lo stesso ragionamento vale per l’applicazione in via analogica delle norme di cui al d.p.c.m. n. 234/16 ai minori che non siano vittime di tratta.
Nella circolare del 25.72014, il Ministero dell’interno ha poi espressamente previsto, con riferimento a tutti i minori non accompagnati per i quali si renda necessario l’accertamento dell’età e non solo ai minori vittime di tratta, che tale accertamento debba essere svolto «secondo i criteri dell’art. 4 del d.lgs. n. 24/2014», in attuazione del quale è stato adottato il d.p.c.m. n. 234/16.
Il d.lgs. 142/2015, all’art. 2 lett. e), prevede una definizione unitaria di «minore non accompagnato», tale essendo «lo straniero di età inferiore agli anni diciotto, che si trova, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privo di assistenza e rappresentanza legale», senza distinguere, dunque, dalla ragione della presenza in Italia. Tale definizione unitaria esclude la possibilità che possa attuarsi un trattamento discriminatorio in sede di accertamento dell’età, poiché sarebbe fondato su una illegittima differenziazione basata sulla condizione personale, vietata dall’art. 3 della Costituzione.
L’immediata applicazione delle norme previste dal d.p.c.m. n. 234/2016 anche ai minori che non siano vittime di tratta può consentire dunque un’efficace identificazione dei minori non accompagnati, nel rispetto delle principali raccomandazioni adottate in materia a livello internazionale e nazionale (tra cui le raccomandazioni dell’UNHCR del 2014 e il parere del Consiglio superiore della sanità del 2009), ai fini di una piena tutela dei diritti loro riconosciuti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dal diritto comunitario e dalla normativa interna.
 
L’accesso degli stranieri lungo soggiornanti e dei titolari di protezione internazionale al SIA (Sostegno per l’inclusione attiva)
Con il decreto interministeriale del 26.5.2016 (pubblicato in G.U. n. 166 del 18.7.2016) il Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), già sperimentato nelle città più grandi dal 2013 e noto come «carta acquisti sperimentale», è stato completamente ridisegnato ed esteso a tutto il territorio nazionale.
Il Sostegno per l’inclusione attiva (SIA) è una misura di contrasto alla povertà che prevede l’erogazione di un beneficio economico alle famiglie in condizioni economiche disagiate nelle quali almeno un componente sia minorenne oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata.
La misura - una carta di credito che consente l’acquisto di beni di prima necessità si affianca alla Carta acquisti ordinaria (sussidio limitato agli ultrasessantacinquenni e ai genitori di bimbi di età inferiore a tre anni), che continua ad essere erogata. Si tratta di una misura, già nota come Carta acquisti sperimentale, introdotta dall’art. 60 del decreto legge 5/2012, e sperimentato nel corso del 2013 in alcuni grandi Comuni (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Verona e Roma).
Nelle more della definizione del Piano nazionale triennale per la lotta alla povertà e all’esclusione, il co. 387 della legge di stabilità 2016, ha esteso il Sostegno per l’inclusione attiva a tutto il territorio nazionale secondo le modalità attuative indicate dal decreto del 26.5.2016.
Rispetto a quanto indicato dal decreto del 10.1.2013, attuativo del SIA in via sperimentale nelle grandi città, il nuovo decreto amplia i requisiti del nucleo familiare che possono farne richiesta: vengono infatti considerate, oltre alla presenza di un figlio minorenne, anche la presenza di un figlio disabile, ovvero di una donna in stato di gravidanza accertata. Non è invece più richiesto, come in precedenza, che i componenti del nucleo siano disoccupati e che almeno uno di essi abbia svolto attività lavorativa continuativa per un minimo di sei mesi nei tre anni precedenti alla richiesta del SIA.
I requisiti concernenti la condizione economica del nucleo familiare rimangono quasi identici a quelli previsti dal decreto 2013 (ISEE inferiore a 3.000 euro; cade il requisito del patrimonio inferiore a 8.000 euro; trattamenti di natura previdenziale e assistenziale non superiori a 600 euro mensili; vincoli riguardanti il possesso di autoveicoli); è stato inoltre specificato che non si può contemporaneamente beneficiare di strumenti di sostegno al reddito per i disoccupati.
Un’ulteriore novità è la valutazione multidimensionale del bisogno. La valutazione tiene conto dei carichi familiari, della situazione economica e di quella lavorativa. Sono favoriti i nuclei con il maggior numero di figli minorenni, specie se piccoli (età 0-3); quelli in cui vi è un genitore solo o in cui sono presenti persone con disabilità grave o non autosufficienti. I requisiti familiari sono tutti verificati nella dichiarazione presentata a fini ISEE.
La nuova prestazione fa propria un’impostazione già ipotizzata per la carta acquisti sperimentale, cioè è erogata soltanto se il beneficiario aderisce a un «progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa» predisposto e gestito dai Comuni, cui spetta uno stretto controllo sul rispetto del progetto che potrebbe anche portare, in caso di inadempimento del beneficiario, alla revoca della prestazione.
Per poter beneficiare del trasferimento monetario, il nucleo familiare deve quindi stipulare e rispettare un patto di inserimento con i servizi sociali degli enti locali di riferimento. I servizi sociali, per parte loro, si impegnano a favorire con servizi di accompagnamento il processo di inclusione e di attivazione sociale di tutti i membri del nucleo, promuovendo, fra l’altro, il collegamento con i Centri per l’impiego, per la partecipazione al mercato del lavoro degli adulti, e il collegamento con il sistema scolastico e sanitario per l’assolvimento da parte dei minori dell’obbligo scolastico e il rispetto dei protocolli delle visite sanitarie pediatriche.
Hanno diritto al beneficio non soltanto i cittadini italiani, ma anche alcuni stranieri (seppur non tutti coloro che abbiano almeno un permesso unico per lavoro, in violazione del principio di parità di trattamento previsto dalla relativa direttiva)
1) i cittadini degli altri Stati membri dell’UE residenti in Italia
2) I familiare di cittadino italiano o comunitario, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che siano titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
3) I cittadino stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
4) I titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria).
Il richiedente deve risultare, al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, residente in Italia e il requisito di residenza deve essere posseduto da almeno due anni al momento di presentazione della domanda.
Come per la Carta acquisti ordinaria, il beneficio è concesso bimestralmente e viene erogato attraverso una Carta di pagamento elettronica (Carta SIA). Con la Carta si possono effettuare acquisti in tutti i supermercati, negozi alimentari, farmacie e parafarmacie abilitati al circuito Mastercard. La Carta può essere anche utilizzata presso gli uffici postali per pagare le bollette elettriche e del gas e dà diritto a uno sconto del 5% sugli acquisti effettuati nei negozi e nelle farmacie convenzionate, con l’eccezione degli acquisti di farmaci e del pagamento di ticket. Con la Carta, inoltre, si può accedere direttamente alla tariffa elettrica agevolata, a condizione di aver compilato l’apposita sezione presente nel modulo di domanda. Non è possibile prelevare contanti o ricaricare la Carta. Il suo uso è consentito solo negli ATM Postamat per controllare il saldo e la lista movimenti.
Le Carte vengono rilasciate da Poste Italiane con la disponibilità finanziaria relativa al primo bimestre, determinata in base alla numerosità del nucleo familiare (per un nucleo familiare con un membro il beneficio è pari a 80 euro al mese, con due membri il beneficio sale a 160 euro al mese, con tre membri a 240 euro al mese, con quattro membri a 320 euro al mese e per i nuclei familiari con 5 o più membri il beneficio è pari a 400 euro al mese).
Le domande per il SIA possono essere presentate dal 2 settembre 2016. Entro due mesi dalla richiesta, se sussistono tutti i requisiti per averne diritto, viene erogato il beneficio economico.
La circolare n. 133 del 19.7.2016 dell’INPS - Direzione generale specifica le modalità di erogazione del beneficio e con il messaggio 3322 del 5.8.2016 dell’INPS - Direzione centrale assistenza e invalidità civile, Direzione centrale organizzazione, Direzione centrale pianificazione e controllo di gestione, Direzione centrale sistemi informativi e tecnologici, Direzione centrale formazione è stato diffuso il modulo per la presentazione delle domande, che possono essere consegnate ai Comuni. Il metodo è quello già sperimentato per altre prestazioni: domanda presentata ai Comuni, verifica dei requisiti da parte dei Comuni stessi, successiva erogazione da parte dell’INPS.
Entro 60 giorni dall'accreditamento del primo bimestre (entro 90 giorni per le richieste presentate fino al 31 ottobre) i Comuni, coordinati a livello di ambiti territoriali, predispongono il progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa, che viene costruito insieme al nucleo familiare sulla base delle indicazioni operative fissate a livello nazionale dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali d’intesa con le Regioni.
 
 
Rassegna delle circolari delle amministrazioni statali
 
 
Asilo
 
 
Accesso alla procedura di asilo. Garanzie e modalità
Con la circolare dell’8.1.2016 del Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione il Capo del Dipartimento richiama le questure sulle garanzie che la legge prevede a tutela del diritto all’informazione dei migranti e del diritto a presentare domanda di asilo, che, peraltro può essere esercitato dall’interessato in qualsiasi momento, anche quando già si trova da tempo in Italia.
In particolare, con riferimento al diritto all’informazione, si ricorda che l’art. 8 della direttiva 2013/33/UE ha introdotto il principio secondo il quale hanno diritto all’informazione tutti coloro per i quali sussistano elementi che lascino supporre l’intenzione di presentare una domanda di asilo.
Il diritto all’effettiva informazione è stato, peraltro, più volte affermato anche in sede giurisprudenziale: si richiama al riguardo, tra le altre, l’ordinanza 25.3.2015 n. 5926 della sez. IV civ. della Corte di cassazione, che ha precisato che «qualora vi siano indicazioni che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, le autorità competenti hanno il dovere di fornire loro informazioni sulla possibilità di farlo, garantendo altresì servizi di interpretariato nella misura necessaria per favorire l’accesso alla procedura di asilo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento».
In relazione al momento di presentazione della domanda di protezione internazionale, si evidenzia altresì che l’art. 8, co. 1, del d.lgs. 25/2008 dispone espressamente che «le domande di protezione internazionale non possono essere respinte, né escluse dall’esame per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente».
Si ricorda anche l’art. 29 del d.lgs. 25/2008 che ha attribuito alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, insediate presso le prefetture e composte da funzionari ed esperti appositamente formati, la competenza esclusiva non solo ad esaminare, nel merito, la fondatezza della domanda di protezione, ma anche a decidere sull’inammissibilità della domanda medesima, che può essere dichiarata dalla Commissione nei soli limitati casi espressamente previsti ex lege (domanda reiterata, in assenza di nuovi elementi; domanda presentata da soggetto già titolare di protezione internazionale).
In considerazione della particolare vulnerabilità dei richiedenti asilo, la normativa vigente ha previsto una serie di garanzie procedimentali volte ad assicurare l’effettività del sistema di protezione: il diritto ad una puntuale informazione sui propri diritti e doveri nell’ambito della procedura; il diritto di avvalersi dell’assistenza di un interprete della sua lingua o di lingua a lui comprensibile; il diritto all’assistenza ed alla rappresentanza legali; il diritto di non essere respinto o espulso solo per la propria nazionalità; il diritto di non essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.
Si ricorda anche che l’Italia non ha ritenuto di adottare fino ad oggi una lista di Paesi cd. sicuri proprio in attuazione del principio costituzionale contenuto nell’art. 10, che, riconoscendo il diritto di asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, impone una valutazione individuale, caso per caso, delle specifiche situazioni che vengono in esame a seguito dell'ingresso nel territorio nazionale.
 
Il rilascio del permesso di soggiorno in conformità alle decisioni del Tribunale sui ricorsi dei richiedenti la protezione internazionale
La circolare del 2.2.2016, prot. n. 400/A/2016/15.1.10.1 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere (http://www.asgi.it/banca-dati/circolare-del-ministero-dellinterno-del-2-febbraio-2016-2/) ricorda alle questure che la disciplina applicabile alle controversie, aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti emessi dalle Commissioni territoriali è quella prevista per i c.d. procedimenti sommari, ai sensi degli artt. 702-ter e 702-quater c.p.c., che si concludono con ordinanza dotata di immediata efficacia esecutiva a cui l’operato dell’autorità amministrativa deve prontamente adeguarsi e che in base al d.lgs. n. 142/2015 i provvedimenti emessi dal Tribunale sono comunicati alle parti (Commissione competente e soggetto ricorrente) a cura della propria Cancelleria e che poi sono le Commissioni territoriali a trasmettere i medesimi provvedimenti alle questure.
Perciò si dispone che, anche nelle more della comunicazione d’ufficio, qualora l’ordinanza di definizione del giudizio pervenga all’amministrazione su iniziativa dell’interessato, le questure dovranno aver cura di adottare gli adempimenti conseguenti concernenti il permesso di soggiorno, perché deve ritenersi che la comunicazione della conclusione del giudizio alle questure giunga proprio perché queste si conformino al giudicato intervenuto sulla questione, adottando i provvedimenti di competenza, senza bisogno di dover cautelativamente interessare le Commissioni competenti per una nuova presa d’atto.
 
Il rilascio del codice fiscale (numerico) ai richiedenti asilo e i profili di illegittimità rilevati dalle associazioni
La comunicazione di servizio 26.7.2016 n. 8 dell’Agenzia delle entrate dispone l’attribuzione del codice fiscale da parte delle questure o della polizia di frontiera con procedura telematica agli stranieri richiedenti la protezione internazionale.
Essa è stata adottata di concerto con il Ministero dell’interno e il Ministero della salute e stabilisce una nuova procedura per l’attribuzione di un codice fiscale provvisorio ai richiedenti protezione internazionale già al momento del rilascio della ricevuta attestante la verbalizzazione della domanda di protezione internazionale e la conversione del codice fiscale numerico in uno alfanumerico definitivo al momento della notifica della decisione favorevole da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Il fine della procedura - si legge nella comunicazione - è quello di dare piena attuazione ad alcune disposizioni del d.lgs. n. 142/2015 ed, in particolare, di garantire l’iscrizione al servizio sanitario e l’accesso al lavoro ai sensi degli artt. 21 e 22 d.lgs. 142/2015 al richiedente protezione internazionale che sia in possesso del permesso di soggiorno o della sola ricevuta rilasciata al momento della verbalizzazione, ricevuta che, come previsto dall’art. 4 co. 3 d.lgs. 142/2015, vale come permesso di soggiorno provvisorio.
Di concerto con il Ministero dell’interno e il Ministero della salute è stata attivata un’apposita procedura telematica per l’attribuzione del codice fiscale ai richiedenti protezione internazionale già al momento del rilascio della suddetta ricevuta da parte della questura/polizia di frontiera, al fine di consentire ai richiedenti protezione internazionale di iscriversi sin da subito al Servizio sanitario nazionale per usufruire di una copertura sanitaria completa e di svolgere attività lavorativa.
La questura/polizia di frontiera contestualmente alla verbalizzazione della richiesta di protezione internazionale del cittadino straniero richiede in via telematica l’attribuzione del codice fiscale provvisorio numerico e questo viene riportato sulla richiesta di protezione internazionale. Le ASL con il codice provvisorio possono procedere all’inserimento del richiedente tra gli assistiti del Servizio sanitario nazionale. L’assegnazione del codice fiscale provvisorio non prevede l’invio automatico al richiedente della tessera sanitaria.
Si stabilisce che il codice fiscale provvisorio è convertito in codice fiscale alfanumerico definitivo soltanto in seguito alla determinazione favorevole da parte della Commissione territoriale per la protezione internazionale.
Infine si dispone che la cancellazione del codice fiscale provvisorio numerico è prevista nei seguenti casi:
- esito negativo della richiesta di asilo, una volta decorsi i termini per il ricorso;
- conferma del diniego a seguito del contenzioso;
- trasferimento in altro paese;
- in ogni caso di revoca del permesso di soggiorno.
Tuttavia nella prassi quando il richiedente protezione internazionale ha un codice provvisorio «si riscontra l’impossibilità di accedere al Servizio sanitario nazionale, di iscriversi ai tirocini formativi, di partecipare ai corsi di formazioni professionale, di accedere al lavoro, di ottenere la residenza e/o il rilascio dei farmaci con la prescrizione medica anche a causa dell’incapacità dei sistemi operativi telematici di riconoscere la validità del codice fiscale così assegnato», denunciano alcune associazioni, tra cui l’ASGI, in una lettera inviata il 23 novembre ai ministeri dell’interno, dell’economia e delle finanze e della salute.
Le associazioni hanno ricevuto numerose segnalazioni da tutto il territorio nazionale secondo le quali diverse questure non sanno ancora come creare i codici provvisori numerici e come fornirli ai richiedenti asilo, mentre altre non sanno come convertire il codice provvisorio in codice alfanumerico definitivo nella lettera di notifica della decisione favorevole al richiedente.
L’impossibilità pratica di accedere ai diritti fondamentali rappresenta una violazione del d.lgs. n. 142/2015 nonché un trattamento discriminatorio nei confronti degli stranieri vietato ai sensi dell’art. 43 d.lgs. n. 286/1998: mediante tale prassi infatti illegittimamente si impongono condizioni più svantaggiose nell’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità.
Si invita pertanto a riconsiderare la scelta di assegnare un codice fiscale provvisorio numerico più breve per assicurare l’effettiva parità di trattamento per i richiedenti la protezione internazionale, riconoscendo ad essi il comune codice fiscale alfanumerico o fornendo adeguata informazione a tutti gli uffici periferici anche rispetto all’aggiornamento dei sistemi informatici.
 
Necessaria adozione del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno per richiesta asilo, in esito al rigetto dell’istanza di protezione internazionale, da parte della competente Commissione territoriale
La circolare 21.7.2016 n. 31404 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere  ricorda alle questure che l’accoglienza dei richiedenti asilo deve essere assicurata fino alla decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e, in caso di rigetto, fino alla scadenza del termine per la proposizione del ricorso davanti alle autorità giudiziarie (15 giorni o 30 giorni, in base alle previsioni dell’art. 19, co. 3 del d.lgs. n. 150/2011, come modificato dal d.lgs. n. 142/2015). In caso di ricorso, se il ricorrente è autorizzato a rimanere sul territorio nazionale, l’accoglienza deve essere prestata fino alla decisione del Tribunale.
Perciò si prescrive che le questure a seguito al rigetto dell'istanza di protezione internazionale e decorso il termine per la proposizione del ricorso davanti all’autorità giudiziaria (15 giorni o 30 giorni) senza che l’interessato l’abbia adita, procedano, sempre, alla revoca del permesso di soggiorno per richiesta asilo, motivata dall’assenza dei requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, da cui conseguirà la cessazione delle misure di accoglienza. Per tale ragione, della revoca del permesso di soggiorno dovrà esserne data sempre notizia al competente prefetto.
Per i casi in specie non si potrà far ricorso all’adozione di un provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno, previsto dalle norme di carattere generale, all’art. 12, co. 1 e 2, del novellato d.p.r. 31.8.1999 n. 394, in quanto:
- il destinatario rientra nelle ipotesi di applicazione del respingimento, previsto dall’art. 10, del TU, poiché, generalmente, è temporaneamente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soccorso;
- il destinatario è privo dei requisiti richiesti, necessariamente, per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato;
- il co. 1, del richiamato art. 12, esclude esplicitamente l’applicazione nelle ipotesi in cui debba disporsi il respingimento o l’espulsione del destinatario.
Laddove, invece, il ricorso sia presentato dal richiedente la protezione internazionale e la specifica ipotesi non preveda la sospensione ex lege del provvedimento impugnato, si prescrive ai questori di verificare, preliminarmente all’adozione della revoca del permesso di soggiorno per richiesta asilo se la sospensiva sia stata richiesta dall’interessato; difatti, solo laddove essa non sia stata richiesta oppure sia stata richiesta ma non sia stata concessa, le SSLL dovranno procedere all’emissione del citato provvedimento di revoca.
Perciò si prescrive che le questure, di seguito all’adozione ed alla notifica all’interessato del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno per richiesta asilo, valutato il singolo caso, dovranno proporre al prefetto l’espulsione dal territorio nazionale, ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), del TU.
Il menzionato dispositivo, infatti, esplicitamente, prevede l’applicazione dell’espulsione «quando lo straniero [...] si è trattenuto nel territorio dello Stato [...] ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato [...]».
Richiamando, pertanto, le direttive diramate in materia di rimpatrio ed in particolare quelle contenute nella circolare n. 400/A/2011/10.2.5 del 29.6.2011, a firma del Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza pro-tempore, e nella circolare n. 400/A/2013/10.2.5. prot. 26419, del 12.8.2013, si prescrive alle questure di far precedere ogni attività correlata all’allontanamento dello straniero, da una attenta valutazione della sua situazione personale, rilevabile nel corso della rituale intervista e documentabile, da parte dei preposti Uffici, mediante la compilazione dell’apposito “foglio notizie” in uso dal 29 giugno 2011, che dovrà riportare sempre la firma dell’interessato, nell’apposito campo “firma del dichiarante”.
 
Permanenza nei centri SPRAR degli stranieri a cui è riconosciuta la protezione internazionale o è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari
La circolare del 7.7.2016 del Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati fornisce agli enti che gestiscono i progetti SPRAR informazioni sui tempi di permanenza dei beneficiari di protezione internazionale e di coloro che attendono l’esito della richiesta di asilo nei Centri di accoglienza.
La circolare ricorda che i richiedenti protezione internazionale hanno diritto a permanere all’interno del circuito di accoglienza dello SPRAR sino al momento nel quale la domanda di protezione internazionale valutata verrà notificata al richiedente. Per coloro i quali abbiano ricevuto una forma di protezione internazionale o riconosciuta la protezione umanitaria, la permanenza dedicata sarà pari a sei mesi o prorogabile su autorizzazione da parte del Servizio centrale, che ne valuterà l’opportunità.
La circolare ricorda anche che le misure di accoglienza già assicurate sono garantite al richiedente protezione in caso di rigetto della domanda di protezione, fino alla scadenza del termine per l'impugnazione della decisione, e una volta impugnata, per tutta la durata del procedimento in primo grado.
Infine, la circolare chiarisce che nei casi nei quali il richiedente ricorrente impugni il diniego della Commissione territoriale anche in grado di appello, secondo quanto disposto dall’art. 14, co. 4 del d.lgs. 142/2015, il percorso giuridico e amministrativo del beneficiario, anche nella fase del ricorso, non esula dal percorso di accoglienza integrata intrapreso all'interno del circuito dello SPRAR, sia relativamente ai servizi usufruiti che agli obiettivi raggiunti, rispetto ai quali andrà fatta caso per caso idonea valutazione circa l’opportunità e/o la necessità sul prosieguo dell’accoglienza.
 
 
Detenuti stranieri ed espulsioni
 
 
Identificazione dei detenuti stranieri
Con circolare 6.5.2016 n. 155957 del Ministero della giustizia -Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Direzione generale detenuti e trattamento si ribadiscono e si innovano le procedure di identificazione e di individuazione della nazionalità dei detenuti stranieri. In particolare si istituisce un nuovo Certificato per l’identificazione del detenuto straniero - C.I.De.S. in sostituzione del  precedente C.I.D.I. (Certificato di identificazione del detenuto immigrato) che era stato attivato dal 10 dicembre 2015 mettendolo a disposizione degli Uffici immigrazione delle questure, che, per competenza, avviano procedure identificative a carico di stranieri detenuti, consentendo agli operatori di tali Uffici, dotati di apposite credenziali di accesso, di disporre di tutti i dati e di tutte le informazioni indicate negli artt. 2 e 4 del Protocollo sottoscritto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno il 9 giugno 2015 in materia di procedure di identificazione e di individuazione della nazionalità dei detenuti stranieri.
Ora la nuova procedura informatica è stata resa possibile grazie ad un aggiornamento del Sistema Siap-Afis, che prevede, a cura del personale degli Uffici matricola degli istituti penitenziari, la registrazione dei documenti di riconoscimento che sono nella disponibilità del detenuto.
 
Impulso e coordinamento delle attività di rintraccio ed espulsione degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare
Con circolare del 30.12.2016 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza il Capo della polizia - Direttore generale della Pubblica sicurezza  impartisce ai prefetti e ai questori la direttiva di conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini dei Paesi terzi in posizione irregolare, in particolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse forze di polizia. In particolare raccomanda che in caso di rintraccio di stranieri in situazione di soggiorno irregolare si assumano diretti contatti con gli Uffici immigrazione delle questure cui spetta l’avvio delle procedure per l’adozione dei provvedimenti di espulsione.
Si dispone altresì che abbiano un ruolo centrale i Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica, proprio perché potranno essere attivati piani straordinari di controllo del territorio volti non soltanto al contrasto dell’immigrazione irregolare, ma anche allo sfruttamento della manodopera e alle varie forme di criminalità che attingono dal circuito della clandestinità.
Si dispone altresì di attivare coordinamenti tra le forze statali di polizia e forme di coordinamento tra queste e i corpi di polizia locale.
La Direzione centrale per l’immigrazione e della polizia delle frontiere curerà il necessario raccordo con gli Uffici immigrazione delle questure per una pianificazione più specifica di tale attività di controllo straordinaria della presenza straniera in territorio nazionale, con riguardo, in particolare, all’assegnazione dei posti nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE).
 
 
Lavoro e previdenza sociale
 
Le quote di ingresso per il 2016 per lavoro subordinato, autonomo e stagionale per i lavoratori di stati non appartenenti all’UE
Nel febbraio 2016 è entrato in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.12.2015 (pubblicato in G.U. n. 26 del 2.2.2016) che determina le quote di ingresso di lavoratori non comunitari per l’anno 2016.
Il decreto fissa quote sia per le conversioni e per l’ingresso per lavoro autonomo e alcune altre categorie di lavoratori non stagionali, sia per lavoro stagionale.
In base al decreto - così come chiarito nella circolare congiunta dei Ministeri dell’interno e del lavoro del 29.1.2016 - sono ammessi in Italia 17.850 lavoratori stranieri per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo. La quota complessiva è così ripartita:
- 1.000 lavoratori stranieri che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286;
- 100 lavoratori stranieri cittadini di Paesi che hanno partecipato all’esposizione Universale di Milano del 2015;
- 2.400 lavoratori autonomi appartenenti alle seguenti categorie: imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro e provenienti da fonti lecite, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro; liberi professionisti riconducibili a professioni vigilate oppure non regolamentate ma rappresentative a livello nazionale e comprese negli elenchi curati dalla Pubblica amministrazione; figure societarie, di società non cooperative, espressamente previste dalla normativa vigente in materia di visti d’ingresso; artisti di chiara fama internazionale, o di alta qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici oppure da enti privati; cittadini stranieri per la costituzione di imprese “start-up innovative” ai sensi della legge 17.12.2012 n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e a favore dei quali sia riconducibile un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa;
- 100 lavoratori stranieri per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado di linea diretta di ascendenza, residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile.​
Le restanti 14.250 quote vengono riservate a coloro che devono convertire in lavoro subordinato il permesso di soggiorno già posseduto ad altro titolo. In particolare in tale ambito le quote sono così ripartite:
 

4.600 quote

riservate a chi ha un permesso di soggiorno per lavoro stagionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale

​6.500 quote

riservate a chi ha un permesso di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale

​1.500 quote

riservate a chi ha un permesso di soggiorno per studio,  tirocinio e/o formazione professionale da convertire in permesso di soggiorno per lavoro autonomo

​1.300 quote

riservate a chi ha un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato non dall’Italia ma da altro Stato membro dell’Unione europea da convertire in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale

​350 quote

riservate a chi ha un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro dell’Unione europea da convertire in permesso di soggiorno per lavoro autonomo

 
Al fine di far coincidere i reali fabbisogni territoriali con le richieste presentate le quote per lavoro subordinato previste dal decreto sono state ripartite dalle Direzioni territoriali del lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base delle effettive domande pervenute agli Sportelli unici per l’immigrazione.
Come di consueto le domande potevano essere presentate esclusivamente con modalità telematiche collegandosi al sito https://nullaostalavoro.dlci.interno.it/Ministero/index2.jsp
A partire dalle ore 9,00 del 3 febbraio 2016 fino al 31 dicembre 2016 è stato disponibile l’applicativo per la compilazione dei moduli di domanda, previa registrazione sul sito, secondo le modalità indicate nel manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, è stato previsto un servizio di assistenza agli utenti attraverso un help desk raggiungibile tramite un modulo di richiesta disponibile per tutti gli utenti registrati sull’home page dell’applicativo.
Le associazioni e i patronati accreditati potevano fornire assistenza per la compilazione e l’invio delle istanze: per loro resta disponibile il numero verde già in uso.
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda. L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda.
All’indirizzo http://domanda.nullaostalavoro.interno.it sarà possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico immigrazione.
Nella circolare si ricorda che, nel caso di conversione in lavoro subordinato, il lavoratore dovrà presentare, al momento della convocazione presso lo Sportello unico, la proposta di contratto di soggiorno sottoscritta dal datore di lavoro - valida come impegno all’assunzione da parte dello stesso datore di lavoro - utilizzando il modello Q, ricevuto insieme alla lettera di convocazione.
Successivamente, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione secondo le norme vigenti e a darne copia al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico per la richiesta di conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato. Per i casi di conversione di un permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato (Modello VB), come già disposto dalla circolare congiunta del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 5.11.2013, si ricorda che è possibile convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, anche in occasione del primo ingresso del lavoratore stagionale senza che sia necessario il preventivo rientro dello stesso nel proprio Paese di origine. A tal fine le Direzioni territoriali del lavoro verificheranno la presenza dei requisiti per la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro e l’avvenuta assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale (tramite il riscontro della comunicazione obbligatoria di assunzione), nonché la durata dello stesso rapporto stagionale che per il settore turistico - alberghiero non potrà essere stato inferiore ai tre mesi e per il settore agricolo dovrà essere stato pari ad almeno 13 giorni mensili nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate)
La circolare congiunta contiene, inoltre, alcuni chiarimenti in merito all’ingresso per lavoro autonomo per le start up innovativee ad essa sono allegate le linee guida ministeriali e la modulistica necessaria.
Viene, inoltre, chiarito che lo straniero che intende chiedere la conversione del permesso di soggiorno ai fini della costituzione di una startup innovativa dovrà richiedere al Comitato tecnico Italia startup visa il nulla osta secondo le modalità indicate nelle linee guida ed esibire allo Sportello unico per l’immigrazione la certificazione di nulla osta rilasciata dal predetto Comitato.
In base all’art. 4 del nuovo decreto - così come chiarito nella circolare congiunta dei Ministeri dell’interno e del lavoro del 29.1.2016 - sono ammessi in Italia 13.000 lavoratori stranieri per motivi di lavoro subordinato stagionale.
La quota complessiva riguarda i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Albania, Algeria, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Ucraina, Tunisia. Con una successiva circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali tali quote verranno ripartite tra le Direzioni territoriali del lavoro sulla base del fabbisogno scaturito dalle consultazioni effettuate a livello locale con Regioni, parti sociali e organizzazioni sindacali.
Nell’ambito della quota di 13.000 unità, 1.500 ingressi sono riservati alle richieste di nulla osta stagionale pluriennale, ovvero relative a quei lavoratori che abbiano già fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi e per i quali il datore di lavoro può presentare richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
Come di consueto le domande sono state presentate esclusivamente con modalità telematiche. A partire dalle ore 9.00 del 10 febbraio 2016 fino al 31 dicembre 2016 è stato disponibile l’applicativo per la compilazione dei moduli di domanda (mod. C -stag) all’indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.interno.it/Ministero/index2.jsp.
Le procedure riguardanti la registrazione dell’utente, l’invio delle domande e la verifica dello stato di avanzamento della pratica sono identiche a quelle previste per i lavoratori non stagionali e sono rinvenibili sul sito internet del Ministero dell’interno (www.interno.gov.it).
Le domande sono state trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione.
Anche in questa occasione, le associazioni di categoria firmatarie dei protocolli stipulati con i Ministeri dell’interno e del lavoro, hanno potuto inviare le istanze per conto dei datori di lavoro che aderiscono alle rispettive associazioni. La circolare contiene una serie di chiarimenti sulla relativa procedura.
All’indirizzo http://domanda.nullaostalavoro.interno.it è possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico immigrazione.
Riguardo l’istruttoria relativa alle domande di lavoro stagionale nonché alle richieste di lavoro stagionale pluriennale, la circolare rinvia alle istruzioni già diramate con le circolari congiunte n. 1602 del 25.2.2011, n. 1960 del 20.3.2012 e n. 1845 del 19.3.2013.
La circolare richiama l’attenzione sulla procedura del silenzio assenso per le richieste di nulla osta al lavoro stagionale e stagionale pluriennale a favore degli stranieri già autorizzati l’anno precedente a prestare lavoro stagionale presso lo stesso datore di lavoro.
Si ricorda, infatti, che in base all’art. 17 della legge n. 35/2012, si applica una procedura più veloce per l’assunzione dei lavoratori stagionali che sono già stati in Italia l’anno precedente e sono tornati in patria alla scadenza del permesso. È stato, infatti, introdotto, già a partire da alcuni anni, un meccanismo di silenzio-assenso in base al quale, nel caso in cui il datore di lavoro sia lo stesso dell’anno precedente, qualora lo Sportello unico per l’immigrazione, decorsi i venti giorni previsti dalla legge, non comunichi al datore di lavoro il proprio diniego, la richiesta di nulla osta al lavoro si intende accolta.
Al fine di avvalersi di tale semplificazione è però necessario, come chiarito nella circolare congiunta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’interno del 20.3.2012, che il datore di lavoro specifichi, nell'apposito campo inserito nel modello C-stag, i dati, relativi all’anno precedente, della comunicazione obbligatoria riferita all’assunzione del lavoratore e quelli del permesso di soggiorno o dell’assicurata posseduti da quest’ultimo .
Si ricorda, infine come la sottoscrizione del contratto di soggiorno presso lo Sportello unico servirà anche ad assolvere agli obblighi della comunicazione obbligatoria di assunzione.
La circolare 22.2.2016 n. 11 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione - Divisione III ha poi provveduto a ripartire tra i vari territori le quote disponibili.
 
L’estensione dell’assegno di natalità (bonus bebé) agli stranieri di titolari protezione internazionale e ai familiari di cittadini UE
Con messaggio dell’INPS - Direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito del 10.3.2016 n. 1110 relativo all’assegno di natalità di cui all’art. 1, co. da 125 a 129 della legge 23.12.2014, n. 190 - (cd. bonus bebè) l’INPS torna sulla questione degli stranieri aventi diritto, confermando sostanzialmente quanto già comunicato nella circolare n. 93 dell’8.5.2015.
Fornendo «chiarimenti istruttori per la gestione delle domande di assegno di natalità presentate da cittadini extracomunitari», il nuovo messaggio conferma la medesima scelta contraddittoria di cui alla precedente circolare in relazione agli aventi diritto: oltre ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo (l’unica categoria di stranieri espressamente prevista dalla legge) vengono indicati tra gli aventi diritto anche i titolari dello status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria evidentemente in applicazione del principio di parità sancito dall’art. 28 della direttiva 83/2004 e vengono invece ignorate le altre categorie protette da analoghe direttive (cfr. per i familiari di cittadini comunitari art. 24 direttiva 38/2004, per i titolari di Carta blu art.14 direttiva 50/2009, per i titolari di permesso unico art. 12 direttiva 98/2011). Rimangono dunque inascoltati i rilievi sollevati da ASGI con la conseguenza che anche su questo punto si svilupperà inevitabilmente un vasto contenzioso giudiziario.
Paradossalmente lo stesso messaggio ricorda che in altra occasione il comportamento dell’INPS era stato diverso (circolare n. 35/2010): con riferimento all’assegno di maternità di base ex art. 74 d.lgs. n. 151/2001 l’INPS aveva infatti esteso in via amministrativa il diritto non solo ai rifugiati politici ma anche ai familiari di cittadini comunitari. Ma il messaggio non spiega perché in questo caso la scelta è stata diversa.
Il messaggio interviene poi sulla questione delle domande presentate da cittadini stranieri non titolari di uno dei due permessi sopra indicati e che al momento non hanno ancora avuto una risposta negativa. E fornisce in proposito le seguenti indicazioni procedurali:
  1. Per le domande che sono già state respinte resta valido il provvedimento di rigetto;
  2. Per le domande che sono state tenute in sospeso gli uffici dovranno indagare se per caso l’altro genitore sia titolare di uno dei due permessi sopra indicati e in tal caso la domanda verrà accolta;
  3. Per le nuove domande l’ufficio non sarà più tenuto a verificare la condizione dell’altro genitore e la domanda verrà “tempestivamente” comunque respinta al fine di dar modo all’altro genitore avente titolo di ripresentarla.
Il differente trattamento dei casi b) e c) - che finisce per favorire del tutto casualmente coloro che hanno presentato domanda presso sedi che non hanno provveduto tempestivamente - appare in realtà del tutto illogico e lesivo degli interessi degli aventi diritto: l’istituto dovrebbe infatti essere tenuto a verificare in ogni caso il titolo dell’altro genitore (eventualmente prevedendo una casella apposita sul modulo di domanda) o comunque a tener conto della data di domanda presentata dal primo genitore, anche se non avente titolo. Va infatti ricordato che, in caso di presentazione della domanda oltre i 90 giorni dalla nascita, l’assegno decorre dalla data della domanda, sicché la soluzione indicata dall’INPS rischia di creare notevole pregiudizio a famiglie che hanno comunque diritto all’assegno e che semplicemente fanno presentare la domanda al genitore non avente titolo, invece che al genitore lungosoggiornante.
Con l’occasione va ricordato che il provvedimento di rigetto dell’INPS non è soggetto a ricorso amministrativo al comitato provinciale non trattandosi di materia inclusa nell’art. 46 legge n. 88/1989; tanto è vero che nei provvedimenti di reiezione viene indicata esclusivamente la possibilità di istanza di riesame e di azione giudiziaria. Ricordiamo che il ricorso dovrà essere (prudenzialmente) proposto entro un anno dalla data di rigetto ai sensi dell’art. 47 comma 3 d.p.r. n. 639/1970 ovvero, in caso di mancata risposta, entro un anno dal decorso del termine di 120 giorni (che presume un rigetto) di cui all’art. 7 legge n. 533/1973.
La circolare dell’INPS - Direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito e Direzione centrale sistemi informativi e tecnologici 6.12.2016 n. 214 estende agli stranieri titolari di carta di soggiorno e di carta di soggiorno permanente di familiari di cittadini dell’UE rilasciate ai sensi del d.lgs. n. 30/2007 l’assegno di natalità (bonus bebé) istituito e regolato dall’art. 1, commi da 125 a 129 della legge 23.12.2014, n. 190 che lo consentiva soltanto agi stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
 
 
Ingressi e soggiorni per motivi familiari
 
 
Il ricongiungimento familiare degli stranieri legati da un’unione civile
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23.7.2016 n. 144 (pubblicato in G.U. Serie generale n. 175 del 28.7.2016) ha stabilito le disposizioni transitorie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ai sensi dell’art. 1, co. 34, legge 20.5.2016 n. 76 (pubblicata in G.U. Serie generale n. 118 del 21.5.2016), recante «regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze».
La circolare 28.7.2016 n. 15 del Ministero dell’interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha stabilito gli adempimenti degli ufficiali dello stato civile.
La circolare ricorda, tra l’altro, che alla trascrizione delle unioni civili e del matrimonio contratto all’estero, nonché al nulla osta richiesto al cittadino straniero al fine di costituire l’unione civile, e dedicato, nelle more dell'entrata in vigore dei decreti delegati, l’art. 8 del citato d.p.c.m. Con riguardo al nulla osta e, in particolare, al riferimento alla dichiarazione dell’autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che, giusta le leggi cui e sottoposto, nulla osta all’unione civile, contenuto nel co. 2, il Consiglio di Stato ha sottolineato che tale disposizione non va interpretata nel senso di includere nelle leggi cui e sottoposto lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso. Ha precisato, inoltre, che il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, e divenuto una norma di ordine pubblico e dunque prevale, secondo l’art. 16 della legge 31.5.1995, n. 218, sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti diversi.
In seguito la circolare del 5.8.2016 (prot. 0003511) del Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione-Direzione centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo fornisce indicazioni operative agli Sportelli unici per l’immigrazione delle prefetture ai fini del rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare, chiarendo che, in conseguenza dell’entrata in vigore e della prima attuazione della legge 20.5.2016 n. 76, le disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 (cd. Testo unico immigrazione) in materia di ricongiungimento familiare (art. 29) e di permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30) si estendono anche alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Ciò comporta che:
a) lo straniero regolarmente soggiornante in Italia possa richiedere il ricongiungimento familiare del partner unito civilmente (in Italia o all’estero), straniero e non residente in Italia, ai sensi dell’art. 29 del Testo unico, e alle medesime condizioni previste per i coniugi;
b) lo straniero presente sul territorio nazionale che contragga l’unione civile con un cittadino italiano possa richiedere (e ottenere) il permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30 del medesimo Testo unico, alle medesime condizioni previste per il coniuge del cittadino italiano.
Si tratta di una chiarificazione importante, che argina sin da subito - anche in considerazione delle prime costituzioni di unioni, già in atto - ogni incertezza interpretativa sulla condizione dello straniero unito civilmente con l’italiano (o con altro straniero, nel caso del ricongiungimento), quantomeno in relazione alle condizioni e al titolo di soggiorno sul territorio nazionale.
Particolarmente rilevante, infine, la circostanza che l’estensione dell’applicazione degli artt. 29 ss. del Testo unico agli uniti civilmente sia fatta discendere, dal Ministero dell’interno, dal co. 20 della legge.
Tale disposizione - che contiene, come noto, una clausola antidiscriminatoria - mira ad eliminare, con alcuni limiti, il trattamento differenziato tra unione civile e matrimonio e prevede che «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
La direttiva formulata dal Ministero alle amministrazioni periferiche si basa su tale disposizione, con il riconoscimento espresso del fatto che, in virtù della nuova legge, diritti già previsti per i coniugi (ricongiungimento familiare e permesso di soggiorno per motivi familiari) si estendono ora alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
 
 
Tratta delle persone e assistenza e protezione sociale
 
Nuovo Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento 2016 - 2018
Il Consiglio dei Ministri, in attuazione della direttiva 2011/36/UE relativa alla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani ed alla protezione delle vittime, ha adottato il 26 febbraio 2016 un nuovo Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento 2016 - 2018.
L’adozione del Piano da parte del Governo è prescritta dall’art. 9 del d.lgs. 4.3.2014, n. 24 (attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime al fine di definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento degli esseri umani, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all’emersione e all’integrazione sociale delle vittime.
Il piano è propedeutico alla emanazione del nuovo programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale e le relative modalità di attuazione e finanziamento.
Gli obiettivi del Piano sono 4: prevenzione, azione penale, protezione e cooperazione.
Gli interventi ipotizzati sono di due tipi: 1) contrasto e repressione del crimine di sfruttamento di esseri umani, affidato alle forze dell’ordine, 2) prevenzione e protezione delle vittime, affidato ai servizi sociali e del privato sociale accreditato.
Il Governo mira a creare nel 2016-2018 un coordinamento più efficace multi agenzia e multidisciplinare, attraverso il Meccanismo nazionale di referral (un insieme di raccomandazioni e misure pratiche che guideranno tutti gli attori coinvolti), sulle diverse forme di tratta e sui vari target di vittime.
Le novità principali riguardano la formazione di tutti gli attori impegnati nel campo: sono state infatti realizzate linee guida per l’identificazione delle potenziali vittime sia tra i migranti irregolari sia tra i profughi richiedenti asilo, e procedure operative per la prima assistenza e la presa in carico dei minori. Tra i contenuti del Piano nazionale, cui hanno contribuito molte delle organizzazioni impegnate nel settore, vanno segnalate alcune previsioni di particolare rilevanza in considerazione della necessità che l’Italia adotti le misure previste dalla direttiva europea:
- la formazione multidisciplinare di tutti i soggetti che potenzialmente entrano in contatto con le vittime di tratta e dunque in primo luogo forze dell’ordine, polizia di frontiera, operatori dei diversi centri di accoglienza, magistrati, operatori legali.
- la definizione di linee guida volte alla corretta identificazione delle potenziali vittime di tratta nei diversi contesti in cui questa può verificarsi, tra cui quello della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale
- l’introduzione di un National Referral Mechanism, di cui l’Italia non è ancora dotata, volto a realizzare un sistema di cooperazione tramite cui gli attori statali adempiono ai propri obblighi per proteggere e promuovere i diritti umani delle vittime di tratta, in coordinamento con la società civile;
- l’aggiornamento delle misure di accoglienza in modo da rispondere alle mutate fenomenologie e caratteristiche delle vittime;
- l’attuazione di misure di tutela specifiche per i minori vittime di tratta.
Gli aspetti critici riguardano la scarsità delle risorse attualmente messe a disposizione, la scarsa valorizzazione delle esperienze positive già realizzate in materia dal mondo delle associazioni, in specie quelle di ripensamento urbanistico e sociale delle nostre periferie, dove maggiore è la concentrazione delle situazioni che generano, da una parte, conflittualità sociale e, dall’altra, minor tutela delle vittime.
 
 
Programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16.5.2016 recante «Definizione del Programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale a favore degli stranieri e dei cittadini di cui al co. 6 bis dell’art. 18 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, vittime dei reati previsti dagli artt. 600 e 601 c.p., o che versano nelle ipotesi di cui al co. 1 dello stesso art. 18».
Il Programma fonde in un unico programma tutte le azioni previste dall’art. 13 l. 228/2003 e dell’art. 18 d.lgs. n. 286/1998 garantendo alle vittime di tratta e sfruttamento, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, e, successivamente, la prosecuzione dell’assistenza e l’integrazione sociale, volto a semplificare e potenziare le modalità di protezione e assistenza alle vittime.
Nel giugno 2016 è stato pubblicato il primo Bando 1/2016 per il finanziamento dei progetti territoriali di attuazione del Programma unico e sono stati resi disponibili 13 milioni di euro per progetti della durata di 15 mesi, poi elevati a 14, 5 milioni di euro a seguito dello scorrimento della graduatoria dei progetti positivamente valutati all’esito del bando. Rammentando che le risorse poste a bando rappresentano, storicamente, la cifra più elevata appostata per il finanziamento dei progetti di protezione delle vittime, sono stati finanziati n. 18 progetti territoriali.
 
Quote di ingresso per lavoratori sportivi stranieri per l’anno 2016
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4.11.2016 adottato previa deliberazione del CONI, e con il parere favorevole del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fissa in 1.160 unità il limite massimo di sportivi extracomunitari che possono essere tesserati da società sportive italiane. Tale quota verrà ripartita dal CONI tra le varie Federazioni sportive nazionali.
Nell’ambito di tale quota sono possibili sia gli ingressi di sportivi per lavoro subordinato o autonomo, sia i tesseramenti di stranieri già in Italia con regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro o per motivi familiari (fatte salve le norme che regolano i vivai giovanili). Gli atleti tesserati da una FSN per una stagione sportiva, se riconfermati nella successiva, dovranno corrispondere a una nuova quota. Tale tetto numerico non si applica invece agli allenatori ed ai preparatori atletici.
 
 
Soggiorno
 
Il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in caso di disoccupazione
La circolare 3.10.2016 (prot. n. 0040579 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere ha fornito, a seguito delle richieste recentemente pervenute dal mondo sindacale, alcuni chiarimenti in merito alla corretta applicazione della norma che disciplina il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
La circolare ricorda che in base all’art. 22, co. 11, del TU del d.lgs. n. 286/98 (TU immigrazione), come modificato dalla legge 28.6.2012, n. 92 , e in base all’art. 37, co. 5 del d.p.r. 394/1999 (Regolamento attuativo), il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione è possibile anche oltre l’anno, non avendo il legislatore posto un limite massimo all’eventuale rinnovo del titolo autorizzatorio originariamente conferito.
Alle questure la circolare raccomanda una valutazione caso per caso della situazione del richiedente, facendo particolare attenzione ai legami familiari, al numero di anni passati in Italia e ad eventuali precedenti penali dell’immigrato. In pratica, nel valutare la richiesta di un rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione le questure devono quindi tenere presente il livello di “inclusione sociale”, ovvero di integrazione del richiedente.
La circolare del Ministero dell’interno ricorda anche che per il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione serve comunque un reddito minimo pari almeno all’importo annuo dell’assegno sociale. Per determinarlo «si potrà tenere conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente». Quindi, ad esempio, un disoccupato potrà rinnovare il permesso per attesa occupazione se ha un familiare convivente che lavora.
Infine, sempre riguardo all’accertamento del reddito minimo, il Ministero dell’interno ricorda una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 2730 del 22.6.2016) secondo cui, in presenza di un contratto di lavoro stipulato da pochi mesi, la questura in sede di rinnovo del permesso di soggiorno non può limitarsi a valutare il reddito storico che è sicuramente insufficiente, ma deve compiere una prognosi che tenga conto della natura del contratto di lavoro, valutando se si tratti di contratto a tempo pieno o a tempo parziale, considerando in tal caso quante siano le ore lavorative, se si tratti di contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato, prendendo in considerazione in tale ultimo caso la sua durata, al fine di compiere una prognosi sull’idoneità del contratto di lavoro a produrre un reddito corrispondente al limite previsto dall’ordinamento per il rinnovo del permesso di soggiorno.
In questo modo si evita di pregiudicare i cittadini stranieri che hanno stipulato il contratto di lavoro a ridosso del momento in cui la loro domanda di rinnovo del permesso di soggiorno viene esaminata dalla questura, specie in un periodo storico caratterizzato dalla difficoltà a reperire un lavoro in modo stabile.
 
Semplificazione delle procedure di ingresso e soggiorno per lavoro nei casi dei dirigenti e dei lavoratori specializzati
Con circolare 14.7.2016 n. 3303 dei Ministeri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali si sono disposte procedure semplificate per i procedimenti di competenza degli Sportelli unici per l’immigrazione circa la documentazione occorrente ai fini dell’ingresso, al di fuori delle quote, dei lavoratori che rientrano nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 27, co. 1 e 27-quater del d.lgs. n. 286/98, così riducendo gli oneri amministrativi per le imprese, al fine di facilitare l’ingresso il trasferimento di dirigenti e lavoratori altamente qualificati. In particolare alla circolare sono annessi 5 allegati:
1) All. 1 - Documentazione occorrente ai fini dell’ingresso, al di fuori delle quote, dei lavoratori che rientrano nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 27 co. 1, 27-quater;
2) All. 2 - Modulo 1 - Richiesta proroga dell'autorizzazione al lavoro, ex art. 27, co. 1, lett. a), f) e g) d.lgs. n. 286/1998 e art. 40 co. 2 e 23 del d.p.r. 394/1999;
3) All. 3 - Modulo 2 - Proroga autorizzazione al distacco di cui al nulla osta al lavoro ex art. 27 co. 1 lett. a), f) e g) d.lgs. n. 286/1998 e art. 40 co. 2 e 23 del d.p.r. 394/1999;
4) All. 4 - Modulo 3 - Richiesta proroga comunicazione ex art. 27 co. 1-ter d.lgs. 286/1998 e art. 40 co. 2 e 23 d.p.r. 394/1999;
5) All. 5 - Modulo 4 - Proroga autorizzazione al distacco di cui alla comunicazione ex art. 27 co. 1-ter d.lgs. n. 286/1998 e art. 40 co. 2 e 23 d.p.r. 394/1999.
 
Cessazione del pagamento della tassa per il rilascio del permesso di soggiorno
La circolare 26.10.2016 n. 43699 del Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere ha preso atto della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, n. 04487/2016, reg. prov. coll. e n. 07047/2016 reg. ric. del 26.10.2016, di conferma della sentenza n. 060095 del 24.5.2016 del Tar del Lazio, di annullamento del decreto ministeriale del 6.10.2011 che prevedeva il pagamento di un contributo da 80 a 200 euro per il rilascio di ogni permesso di soggiorno.
Perciò gli stranieri interessati al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno non dovranno assolvere al pagamento degli importi previsti dall’art. 5, co. 2-ter, d.lgs. n. 286/1998, fermo restando l’obbligo del versamento relativo al costo del permesso di soggiorno elettronico, disponendo che tutte le istanze, comprese quelle giacenti in fase istruttoria o in attesa di consegna del titolo, siano portate a compimento prive del citato contributo.
  
 
Rassegna degli altri atti rilevanti
 
I protocolli per gli ingressi per motivi umanitari in favore di persone bisognose di protezione internazionale
Il Protocollo tecnico per la realizzazione del progetto “apertura di corridoi umanitari” sottoscritto il 15 dicembre 2015 dal Ministero degli affari esteri e della Cooperazione internazionale - Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, dal Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio prevede l’arrivo in Italia entro la fine del 2017 di 1000 persone profughi dal Libano (per lo più siriani fuggiti dalla guerra), dal Marocco (dove approda gran parte di chi proviene dai Paesi subsahariani interessati da guerre civili e violenza diffusa) e dall’Etiopia (eritrei, somali e sudanesi).
Il progetto ha la finalità di evitare altre morti in mare favorendo l’arrivo in Italia in modo legale e in condizioni di sicurezza personale dei potenziali destinatari del sistema di protezione internazionale e in particolare dei più vulnerabili.
Il Protocollo stabilisce che saranno vagliate le domande tenendo conto di tre indici preferenziali: a) persone riconosciute prima facie dall’UNHCR meritevoli del riconoscimento dello status di rifugiato (cioè quelle rientranti tra gli sfollati in evidente bisogno di protezione internazionale che rientrerebbero nella raccomandazione della Commissione UE sul reinsediamento), b) persone che, pur non essendo riconoscibili prima facie come rifugiati, manifestano una comprovata condizione di vulnerabilità determinata dalla loro situazione personale, dall’età e dalle condizioni di salute, c) persone di cui si possa comprovare la consistenza e gravità di tali motivi.
In aggiunta a tali criteri e per favorire l’integrazione sociale ed evitare movimenti migratori secondari nell’ammissione al progetto si tiene conto di ulteriori fattori: a) persone che possano beneficiare di sostegno in Italia per la dichiarata disponibilità di soggetti singoli, Chiese, associazioni, a provvedere inizialmente alla loro ospitalità e al loro sostentamento per un congruo periodo iniziale; b) persone che hanno una rete familiare o sociale stabile in Italia e per tale motivo hanno dichiarato di volersi stabilire e integrare in Italia.
La Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio si impegnano a predisporre una lista di potenziali beneficiari, sino alla predisposizione dei dossier familiari e personali, nel rispetto del criterio di riservatezza, in collaborazione con l’UNHCR per individuare le persone meritevoli del riconoscimento dello status di rifugiato.
Dopo che i proponenti avranno effettuato la loro scelta la trasmetteranno al Ministero degli affari esteri - Direzione generale per gli italiani all’estero e le Politiche migratorie e il Ministero dell’interno effettuerà i suoi controlli. Una volta approvata la liste il Ministero degli affari esteri consentirà il rilascio di visto a validità territoriale limitata ai sensi dell’art. 25 del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.7.2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti).
La Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio si impegnano poi a farsi carico del trasferimento in Italia delle persone a cui è stato rilasciato il visto e alla loro successiva accoglienza e al loro inserimento in progetti, anche con assistenza legale nella presentazione della domanda di protezione internazionale, di inclusione sociale, assistenza sociale, educativa, culturale, di acquisizione delle abilità linguistiche, lavorative e sociali per favorirne la stabilizzazione in Italia di ogni persona ed evitare movimenti migratori secondari.
Il Ministero dell’interno si impegna a portare a conoscenza delle Commissioni territoriali per la protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo le finalità e le modalità operative del progetto, con particolare riferimento alle persone da ammettere al progetto e alla predisposizione dei dossier preliminari al rilascio dei visti.
Il progetto sarà svolto in favore di 150 persone per il Marocco (con preferenza per siriani riconoscibili prima facie come rifugiati e per persone provenienti da Stati subsahariani in condizione di vulnerabilità) e in 250 per il Libano (con prevalenza per persone provenienti dai conflitti regionali e per persone siriane vulnerabili). A tal fine saranno intensificati i rapporti con le rappresentanze consolari italiane presenti in tali Stati, con gli organi pubblici di tali Stati, e si attiveranno coordinamenti con UNHCR e OIM.
Il progetto sarà esteso all’Etiopia con l’obiettivo di coinvolgere persone provenienti dal Sud Sudan, dall’Eritrea e dalla Somalia e complessivamente entro la fine del 2017 il progetto coinvolgerà 1000 persone.
Per questi motivi i corridoi umanitari si propongono come un modello replicabile dagli Stati dell’area Schengen e non solo da associazioni o privati.
L’accoglienza e l’integrazione sono a carico delle organizzazioni promotrici Una volta arrivati in Italia i profughi sono accolti dai promotori del progetto e, in collaborazione con altri partner, vengono ospitati in diverse case e strutture di accoglienza disseminate su tutto il territorio nazionale. Qui viene loro offerta un’integrazione nel tessuto sociale e culturale italiano, attraverso l’apprendimento della lingua italiana, la scolarizzazione dei minori ed altre iniziative. In questa prospettiva viene loro consegnata una copia della Costituzione italiana tradotta nella loro lingua.
I fondi per la realizzazione del progetto provengono in larga parte dall’otto per mille della Chiesa Valdese, ma anche da altre raccolte, come la Campagna di donazioni lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio. La stessa Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche (nell’ambito del suo programma Mediterranean Hope) e la Tavola valdese per il tramite della Commissione sinodale per la diaconia (CSD), provvedono alle spese per l’ospitalità dei profughi. Inoltre, i promotori del progetto si avvalgono della collaborazione di alcuni partner e associazioni terze. Sta partecipando attivamente al progetto anche la Repubblica di San Marino offrendo ospitalità.
Il successivo Protocollo d’intesa per la realizzazione del progetto denominato «Apertura di corridoi umanitari» sottoscritto il 12 gennaio 2017 tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministero dell’interno, la Conferenza episcopale italiana (CEI) e la Comunità di Sant’Egidio ha anch’essa la finalità di favorire l’arrivo in Italia in modo legale ed in condizioni di sicurezza di potenziali beneficiari di protezione internazionale, che manifestano una comprovata condizione di vulnerabilità determinata dalla situazione personale, dall’età e dalle condizioni di salute e quasi tutti riconosciuti, prima facie, rifugiati dall’UNHCR.
Il progetto si attuerà principalmente in Etiopia e riguarderà al massimo 500 persone, ma è possibile che una parte dei beneficiari sia individuata anche in altre aree geografiche caratterizzate dalle stesse problematiche a cui l’iniziativa vuole fornire risposta.
Le norme del Protocollo, inclusa l’indicazione dei potenziali beneficiari, sono identiche a quelle del protocollo del 2015, ma in più si prevede che gli accertamenti del Ministero dell’interno sono svolti dal Dipartimento della p.s. all’esito delle verifiche nelle banche dati pertinenti e degli accertamenti dattiloscopici di competenza.