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Fascicolo 1, Marzo 2024


«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali",

significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte,

"socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali».

Antonio Gramsci

 

Editoriale

«Ehi voi, addo ite?»
«Eh, così, sanza meta…»
«Venimo?»
«No, no, siamo anco noi sanza meta, ma de un’altra parte»
Le battute de «L’Armata Brancaleone» di Mario Monicelli, che Gassman/Brancaleone da Norcia scambia con un altro sgangherato condottiero in cenci che si crede valoroso crociato, tutto sommato riassumono bene il contesto politico-istituzionale nel quale esce il terzo numero del 2019 di Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. Ma si può a guardar bene utilizzare l’intera scena che origina il buffo dialogo. Brancaleone si vuole infatti liberare da scomodi compagni di viaggio e coglie l’occasione di un altro ponte che cede al passaggio (perché «deus vult»…) per ritenersi svincolato dal giuramento che li legava. Lui rimarrà al comando, ma invece di puntare alla Terra Santa riprende la spedizione verso il feudo pugliese di Aurocastro, da raggiungere però senza l’altra parte della male assortita schiera.
Molti dei contributi di questo numero nascono evidentemente sulla scia di quanto fatto dal governo improvvisamente venuto meno, per il quale i temi dell’immigrazione e della cittadinanza, che la nostra Rivista da vent’anni accosta al «diritto» nel suo titolo, erano tra i principali elementi di costruzione di un’identità politica e di ricerca del consenso. L’immagine del Presidente del Consiglio che si fa riprendere in conferenza stampa sorreggendo un foglio con la scritta «decreto Salvini - immigrazione e sicurezza», modalità comunicativa inedita nella storia politica del paese, ben rappresenta la rilevanza del capitale simbolico investito nei due provvedimenti che hanno dato molto da lavorare alla rete di giuristi di varia estrazione che ruota intorno alla Rivista.
L’improvviso cambiamento delle coordinate politiche della maggioranza, in forme così peculiari, rende difficile – e forse inutile – fare ipotesi su quello che sarà il diritto dell’immigrazione italiano prossimo venturo, come dimostrato dall’apparente difficoltà per la nuova compagine di apportare correttivi immediati ai due “provvedimenti bandiera” già fortemente voluti dall’ex Ministro dell’Interno. Sembra infatti probabile che quanto elaborato nella Rivista sui «decreti sicurezza» mantenga la sua attualità molto più a lungo di quello che – forse ingenuamente – veniva spontaneo sperare nell’immediatezza dei rivolgimenti politici.
Già il primo dei saggi che appaiono in questo numero, scritto da Ilaria Tani, è fortemente radicato nel contesto politico di pochi mesi fa, e collega efficacemente quanto praticato in tema di ricerca e soccorso nel Mediterraneo alle modalità con le quali i fenomeni migratori sono oggetto di narrazione in ambito istituzionale in Italia e in Europa, al di là del linguaggio normativo in senso stretto. Modalità narrative che hanno da sempre un’importanza capitale nella costruzione delle politiche concernenti il confronto con identità avvertite come “altre” e “minacciose” (non obbligatoriamente collegate a migrazioni, basti pensare alle “diversità interne” come i rom), non fosse altro per la loro efficacia nell’orientare in modo capillare, e spesso inosservato dal giurista attento solo al dato positivo, l’azione di chi detiene il monopolio dell’uso della forza dello stato. È legittimo chiedersi se il nuovo frame politico porterà alle «soluzioni pragmatiche, ponderate e costruite sulla realtà dei fenomeni, piuttosto che su “criminalizzazioni discorsive” o formalismi», «rispettose di quei diritti fondamentali che nessuna società civile auspicherebbe di vedersi negare» auspicate da Ilaria Tani o se semplicemente si proseguirà «sanza meta, ma de’ un’altra parte», con un diritto dell’immigrazione puramente declamatorio, comprensibile solo attraverso l’osservazione delle prassi e dei suoi effetti finali.
Il saggio di Roberto Cherchi che segue, dedicato al respingimento alla frontiera, riguarda a ben pensarci proprio uno di quegli ambiti in cui la forza degli apparati dello stato è più difficile da imbrigliare, e dove le possibilità di una persona di godere della tutela fornita dal nostro stato di diritto possono essere fortemente ridotte per via di atti compiuti nel limbo dei controlli di frontiera, anche senza giungere ad affermare come fanno gli americani – con la chiarezza che li caratterizza – che l’alien non gode in questi casi del pieno diritto alla tutela giurisdizionale fornita dalla norma costituzionale sul due process.
Prodotto diretto degli indirizzi politici del governo che fu è anche il saggio di Nicoletta Vettori dedicato alla recente riforma del sistema pubblico di accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale, che ne mette in luce i profili di illegittimità per violazione di norme costituzionali, europee e internazionali, e in generale il decadimento che ha indotto nel livello delle prestazioni fornite tra quelle essenziali per la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, finendo «per pregiudicare le forme di accoglienza più efficaci, sia in termini di tutela dei migranti che di corretta allocazione delle risorse pubbliche». Un decadimento espressamente ricercato, che è per certi versi anche più significativo degli indubbi aspetti di incostituzionalità e tutto sommato ne prescinde (un sistema può essere inefficace e vessatorio, ma non per questo ipso facto incostituzionale), in quanto rivelatore della visione del mondo propria dei policymaker in carica sino alla crisi agostana, che il mondo dividevano – senza nasconderlo – in una parte più degna e un’altra meno (in termini anche solo di necessità di cura dei corpi e delle menti), da ciò facendo a cascata derivare tutta una serie di atti assolutamente coerenti con tale partizione.
Le potenzialità di un approccio pragmatico e razionale alla gestione dei flussi migratori sono invece illustrate nel saggio di Giovanni Calvellini sull’integrazione come fattore di sviluppo dell’economia locale, a partire dall’esperienza di un comune dell’Emilia Romagna ove è stato approvato un progetto che prevede l’attivazione, con alcuni richiedenti e titolari di protezione internazionale, di tirocini da svolgersi con il riconoscimento di un’indennità da corrispondersi in moneta complementare (convertibile in Euro dopo sei mesi dall’emissione) spendibile per l’acquisto di beni e servizi presso esercizi commerciali siti nel territorio comunale.
Si ricollega da un punto di vista applicativo alle scelte compiute nei «decreti sicurezza», pur partendo da una prospettiva più generale e transnazionale, anche il saggio di Marcella Ferri sul diritto alla riparazione e a un risarcimento equo per le vittime di tortura e trattamenti inumani e degradanti alla luce dell’articolo 14 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, dove si evidenziano in chiusura alcune specificità dei processi riabilitativi, che possono avere ricadute di rilievo dopo l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari compiuta dal d.l. 113/2018.
Alcuni lettori noteranno con piacere la presenza di ben due saggi in lingue straniere. Il primo è uno scritto in inglese di Giuseppe Morgese, dedicato alle possibilità di temperare l’apparente antinomia tra il c.d. sistema di Dublino e il principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri di cui all’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’UE, una volta preso atto che il processo di riforma del regolamento Dublino III non sembra poter offrire uno sbocco efficace a fronte della drammaticità dei problemi dell’immediato. Il secondo invece, di Céline Chassang, ci spiega con grande precisione l’evoluzione in corso in Francia riguardo al famoso délit de solidarité, solo intaccato dalla (molto mediatizzata) pronuncia del Conseil constutionnel dell’estate 2018 a partire dal noto caso Herrou. Délit de solidarité tutt’altro che scomparso e che anzi sembra essere all’origine di un’attività repressiva di polizia molto intensa, che vive all’ombra dei dibattiti specialistici sulla precisa delimitazione dell’area di punibilità. Come Céline Chassang sottolinea in chiusura, l’eliminazione pura e semplice del délit de solidarité (invece di procedere alla ridefinizione dell’ambito della non punibilità) sarebbe possibile senza pregiudicare la lotta al traffico dei migranti. Anche oltralpe, evidentemente, molte disposizioni in materia di immigrazione vivono di una vita propria che prescinde dalla loro effettiva portata normativa, ma si fonda piuttosto nel loro carattere da un lato di “norme simbolo”, la cui abrogazione – a prescindere dalle effettive implicazioni tecnico-giuridiche – potrebbe essere vista come prova di scarso vigore nella difesa delle patrie frontiere, e dall’altro di base formale di un’azione di polizia che – a prescindere dagli esiti giudiziari ultimi – rappresenta un ottimo deterrente verso slanci solidaristici nei confronti di immigrati irregolari. Due saggi in inglese e francese nello stesso numero non sono pochi, e la stessa cosa era avvenuta solo nel primo fascicolo del 2017 che inaugurava la versione online della Rivista. Se certamente la presentazione di saggi in inglese o francese riduce in qualche misura la platea dei lettori che possono usufruire delle analisi della Rivista, altrettanto certamente permette di attingere a un bacino di potenziali autori molto più vasto, necessario per il carattere ormai transnazionale del dibattito, con l’Italia catapultata in un tempo relativamente breve al centro dell’attenzione internazionale in materia di derive populiste nel governo dell’immigrazione.
La dimensione transnazionale e le ricadute giuridiche delle derive populiste sono ben rappresentate anche tra i commenti. Marco Borraccetti tratta del controllo di proporzionalità in materia di misure di revoca della cittadinanza nazionale a partire dalla sentenza Tjebbes della corte di giustizia dell’UE, interrogandosi in chiusura sulla rilevanza «del principio di non discriminazione, di cui all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali, nelle ipotesi in cui la revoca andasse a riguardare solo alcuni gruppi di cittadini dello Stato, come – ad esempio – il tenore della disciplina italiana recentemente innovata porta ad ipotizzare». Donatella Loprieno invece commenta una sentenza della stessa corte circa i limiti alla possibilità per gli stati di allontanare dal proprio territorio persone alle quali sia stata revocata la protezione internazionale per la commissione di reati, e corrano tuttavia il rischio di persecuzioni qualora l’allontanamento venisse effettivamente posto in atto. Una decisione quest’ultima che non aveva mancato di entrare nella macchina mediatica populista, vista la sua apparente riducibilità alla stringa «l’Europa ci dice che dobbiamo tenerci anche i criminali».
Un commento di Fabio Corvaja mette invece a confronto due pronunce della Corte costituzionale in materia di accesso degli stranieri alle prestazioni sociali, evidenziando molto bene la permanente incertezza circa il quantum di eguaglianza da riconoscere nel godimento dei diritti sociali agli stranieri regolarmente soggiornanti, incertezza che dipende anche qui dal concorso di fonti e di giurisdizioni diverse, interne, sovranazionali ed internazionali. Eleonora Frasca analizza invece l’ordinanza del tribunale di Roma del febbraio 2019 che ha imposto al Ministero degli esteri l’obbligo di rilasciare un visto umanitario ex art. 25 del codice dei visti europeo nei confronti di un minore non accompagnato bloccato in Libia. Partendo da un caso specifico, l’autrice ci mostra come anche qui il giudice si trovi, sulla base del quadro giuridico in tema di protezione dei diritti fondamentali, a correggere in extremis le iniquità insite in meccanismi molto più ampi come il sistema dei visti che «risponde a una logica di separazione tra un “nord” globale e un “‘sud” globale, basata principalmente sulla nazionalità e sulla posizione socio-economica del richiedente» e dove il visto funge «da filtro e da controllo pre-frontiera che, di fatto, limita le possibilità per i richiedenti asilo e rifugiati (che sono per la stragrande maggioranza cittadini di Paesi per cui è richiesto il visto […]) di entrare nel territorio europeo e ivi richiedere il riconoscimento di una forma di protezione internazionale».
Anche questo numero della Rivista cerca come sempre di aprire delle finestre su un ambito di problemi enormemente complesso e articolato, non riducibile a formule e slogan. Salvo, naturalmente, non optare per un governo dei fenomeni migratori completamente distaccato dal dato di realtà, sia in termini di rappresentazione dei problemi che come prospettazione di strumenti possibili. Se abbiamo aperto questo editoriale nei toni della commedia, va da sé che le conseguenze ultime per le persone che subiscono un diritto delle migrazioni che procede «sanza meta» sono, purtroppo, una cosa seria.

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Rubrica di Questione Giustizia & Diritto, Immigrazione e Cittadinanza

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