Famiglia e minori

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FAMIGLIA
Diritti del partner non registrato di cittadino dell’Unione, nel caso di rientro dello stesso nel Paese di cittadinanza.
A norma dell’art. 21, par. 1, TFUE,
 
lo Stato membro il cui cittadino, dopo aver esercitato il diritto alla libera circolazione trasferendosi per lavorare in un altro Stato membro, faccia ritorno nel suo Paese di origine, è tenuto ad agevolare il rilascio di un’autorizzazione al soggiorno in favore del partner non registrato, cittadino di un Paese terzo, con il quale il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
L’eventuale diniego dell’autorizzazione al soggiorno deve essere motivato e fondato su un esame approfondito della situazione personale del richiedente.
 
Con la sentenza del 12.7.2018 (C- 89/17) Secretary of State for the Home Department c. Rozanne Banger, la Corte di Giustizia chiarisce che anche il partner non registrato di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato la libera circolazione ha diritto a che la sua vita familiare con il cittadino dell’Unione sia presa in considerazione al fine del rilascio dell’autorizzazione al soggiorno nel Paese di cittadinanza del partner che, dopo avere esercitato la libera circolazione in un altro paese europeo, torni nel Paese di cittadinanza.
Nel caso esaminato dalla Corte, una cittadina del Sud Africa aveva ottenuto nei Paesi Bassi la carta di soggiorno come partner non registrato di cittadino del Regno Unito che lavorava in tale Paese europeo.
Al ritorno nel Regno Unito, le autorità britanniche hanno rifiutato di riconoscere un diritto al soggiorno alla cittadina sudafricana, allegando che per essere riconosciuto come familiare di un cittadino del Regno Unito, il richiedente deve essere coniuge o partner registrato dello stesso.
Fino alla presente controversia, la Corte di Giustizia aveva avuto modo di chiarire che, quando un cittadino dell’Unione fa ritorno nello Stato membro di cui ha la cittadinanza, dopo avere esercitato il diritto di soggiorno in un altro Stato membro, i suoi familiari hanno diritto di ingresso e soggiorno nel primo Stato e devono beneficiare, quantomeno degli stessi diritti che spetterebbero loro, in forza del diritto dell’Unione, in un altro Stato membro (cfr. in particolare, sentenza del 7.7.1992, Singh (C-370/90). La Corte non aveva tuttavia avuto ancora modo di pronunciarsi sulla questione quando ad essere coinvolta nella vicenda era una coppia di partner non coniugati né registrati.
In proposito, nella sentenza 12.7.2018, la Corte ha affermato che, in analogia con quanto previsto dall’art. 3 della Direttiva 2004/38, «un provvedimento di diniego di rilascio di un’autorizzazione al soggiorno per il partner non registrato, cittadino di un Paese terzo, di un cittadino dell’Unione il quale, dopo aver esercitato il suo diritto di libera circolazione in un altro Stato membro, faccia ritorno nello Stato membro di cui ha la cittadinanza, deve essere fondato su un esame approfondito della situazione personale del richiedente e deve essere motivato». Infine, la Corte stabilisce che «i cittadini di Stati terzi devono disporre di un mezzo di impugnazione per contestare il provvedimento di diniego di rilascio di un’autorizzazione al soggiorno. In tale contesto, il giudice nazionale deve poter verificare se tale provvedimento si fondi su una base di fatto sufficientemente solida e se le garanzie procedurali siano state rispettate».
Tale sentenza è rilevante anche per l’Italia, dal momento che obbliga gli Uffici immigrazione a prendere una decisione motivata in relazione al partner non registrato che abbia vissuto in un altro paese europeo con un cittadino italiano, in caso di rientro in Italia di quest’ultimo.
 
Competenza in materia di espulsione in caso di pendenza di un ricorso in materia di diritto al soggiorno per motivi di famiglia ovvero avanti al Tribunale per i minorenni ex art. 31, co. 3 TU.
Spetta al Tribunale ordinario in composizione monocratica, e non al Giudice di Pace, la competenza a decidere della legittimità di un provvedimento di espulsione, quando sia pendente avanti al Tribunale ordinario un giudizio contro un provvedimento amministrativo in materia di diritto all’unità familiare ai sensi dell’art. 30, co. 6 TU, ovvero quando sia stata chiesta la speciale autorizzazione al Tribunale per i minorenni.
 
Con la ordinanza n. 18622/2018, la Corte di Cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale di Aosta, anziché del Giudice di pace, in un caso di opposizione a decreto di espulsione, in quanto davanti allo stesso Tribunale era pendente un ricorso, promosso dallo stesso ricorrente, per il rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari.
La Suprema Corte ha ricordato come, nel sostituire la competenza del Tribunale in composizione monocratica prevista dall’art. 13 TU, con quella del Giudice di Pace, il d.l. n. 241/2004, convertito in legge n. 271/2004, ha previsto al comma 2-bis dell’art. 1, che «rimane ferma la competenza del Tribunale in composizione monocratica e del Tribunale per i minorenni ai sensi del comma 6 dell’art. 30 e del comma 3 dell’art. 31» e che «In pendenza di un giudizio riguardante le materie sopra citate, i provvedimenti di convalida di cui agli articoli 13 e 14 dello stesso decreto legislativo e l’esame dei relativi ricorsi sono di competenza del Tribunale in composizione monocratica».
Il richiamo a tale previsione risponde secondo la Corte di cassazione alla volontà del legislatore di «concentrare la cognizione dei provvedimenti incidenti sul diritto all’unità familiare presso il medesimo organo giudicante».
Quanto all’ampiezza delle materie che in base a tale disposizione restano di competenza del Tribunale in composizione monocratica, appare del tutto condivisibile la conclusione cui perviene la Corte, laddove indica che è la stessa collocazione sistematica della norma richiamata che rende «insostenibile l’interpretazione accolta dal Tribunale», secondo la quale il legislatore avrebbe mantenuto la competenza del giudice ordinario solo «per i procedimenti di convalida dei provvedimenti di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera e non anche per le impugnazioni contro i provvedimenti di espulsione, la cui disciplina è contenuta nell’art. 13 cit.».
Conclusivamente, il mantenimento della competenza in capo al Tribunale in composizione monocratica nei casi indicati dall’art. 1, co. 2-bis, del d.l. 241/2004, convertito in l. n. 271/2004, non solo è da ritenersi in vigore anche dopo l’attribuzione di competenza al Giudice di pace in materia di opposizione ai provvedimenti di espulsione di cui all’art. 18, co. 2, del d.lgs. 150/2011, ma trova la sua piena giustificazione nella “forza attrattiva” della tutela dei diritti fondamentali della famiglia e dei minori, che risulta rafforzata dal trasferimento di competenza.
 
MINORI
Sospensione del provvedimento di espulsione in caso di pendenza di ricorso avanti al T.M. ex art. 31, co. 3 TU.
È possibile sospendere l’esecutività di un provvedimento di espulsione in pendenza di un procedimento avanti al Tribunale per i minorenni per la concessione della speciale autorizzazione alla permanenza in Italia del genitore straniero.
Il Giudice di pace di Napoli (sez. stranieri, ord. 16 novembre 2018 n. 330), investito del ricorso per l’annullamento di decreto di espulsione emesso nei confronti di uno straniero il cui figlio era nato in Italia nel gennaio 2017, a fronte della pendenza avanti al Tribunale per i minorenni della richiesta della speciale autorizzazione alla permanenza in Italia di cui all’art. 31, co. 3, ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre sia la sospensione necessaria del ricorso avverso il decreto di espulsione ex art. 295 c.p.c., sia la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato, ex art. 337 c.p.c. Secondo il Giudice di pace di Napoli, infatti, la soluzione della controversia relativa alla speciale autorizzazione riveste carattere di pregiudizialità rispetto all’esito del ricorso contro l’espulsione.