Penale

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Le previsioni di cui all'art. 12, co. 3 TU: circostanze aggravanti o ipotesi autonome di reato?
Le Sezioni Unite penali della Cassazione (sent. 24.9.2018 n. 40982/18, Rv 15148) hanno risolto una interessante questione giuridica di rilevante impatto pratico
di cui avevamo trattato nella rassegna pubblicata nel numero 3/2017 della Rivista.
A fronte di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura giuridica di circostanze aggravanti ovvero ipotesi autonome di reato delle previsioni di cui all’art. 12, co. 3 TU rispetto a quelle di cui al co. 1 (che come noto punisce da uno a cinque anni di reclusione e con la multa di € 15.000 per ogni persona la condotta di chi compie atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso di cittadini stranieri nel territorio dello Stato)1 il massimo consesso interpretativo di legittimità sceglie la prima strada, aprendo la strada  alla possibilità di bilanciamento ai sensi dell’art. 69 c.p di dette aggravanti con eventuali attenuanti, con conseguente applicazione della pena edittale di cui al primo comma. Non si applica pertanto a dette previsioni del co. 3, da qualificarsi come circostanze aggravanti, la preclusione a tale bilanciamento, che invece sussiste, in base al comma 3-quater, per le diverse circostanze aggravanti di cui ai co. 3-bis e 3-ter. Le Sezioni Unite, come accennato, dovevano dirimere il contrasto tra due opposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità. 
Secondo un primo orientamento, valorizzato in particolare dalla sentenza Cass., sez. I., n. 14654/2017, Rv. 259538, commentata in Rassegna nel n. 3/2017, nonostante una tecnica di redazione normativa inusuale (frutto delle 11 modifiche succedutesi nel tempo dal 1998), le previsioni di cui al comma 3 dell’art. 12 sulla base della struttura del precetto (criterio strutturale) risultavano aggiungere elementi di specializzazione al genus costituito dalla fattispecie delittuosa di cui al comma 1 (criterio di specialità ex art. 15 c.p.) e andavano a rappresentare connotazioni accessorie del fatto, varianti di intensità che ne incrementavano il disvalore, in una prospettiva dunque tipica dell’elemento circostanziale.
Altro indirizzo leggeva invece la norma in chiave di ipotesi autonoma di reato, valorizzando elementi sia di tipo letterale, sia legati alla successione nel tempo delle norme in oggetto e l’argomento relativo al notevole incremento sanzionatorio delle previsioni di cui al comma 3 rispetto alla fattispecie base. Per restituire poi ragionevolezza costituzionale al sistema sanzionatorio nel suo complesso, detta lettura normativa riteneva che mentre la fattispecie di cui al comma 1 andasse configurata come reato di pericolo a consumazione anticipata, quella autonoma di cui al comma 3 richiedesse l’effettivo ingresso della persona straniera in Italia (o altro Stato di cui la persona stessa non sia cittadina) e dunque costituisse un reato di evento (cfr. Cass., sez. I. sent. n. 40624/2014, Rv. 259923).
Era appunto questa la questione oggetto del ricorso in Cassazione assegnato alle S.U.; la sentenza della Corte d’appello di Brescia era stata impugnata dal Procuratore Generale territoriale, in quanto, in ordine a un reato contestato ai sensi dell’art. 12, co. 3 lett. d), TU – relativo alla condotta di un imputato che aveva ottenuto il fraudolento rilascio di nulla osta al lavoro e di visti di ingresso per 131 cittadini stranieri – i giudici di secondo grado avevano derubricato la condotta ai sensi del comma 1 dell’art. 12 proprio ragionando sul fatto che l’ingresso in questione (ritenuto configurare una ipotesi autonoma rispetto alla fattispecie base) non si era effettivamente verificato.
Orbene le Sezioni Unite – operata una ricostruzione dell’evoluzione nel tempo della normativa e ritenuto in particolare superato con la riforma di cui alla legge n. 94/2009 l’assetto normativo nel quale al centro della previsione del comma 3 c’era un chiaro elemento distintivo costituito dall’elemento del profitto (anche indiretto), che allora giustificava in senso di ipotesi autonoma di reato un salto di qualità rispetto alla previsione del comma 1 – hanno ritenuto più convincenti le argomentazioni sviluppate dal primo indirizzo che qualifica come circostanza aggravante l’ipotesi del comma 3, in conformità del resto ai criteri adoperati in casi analoghi dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare le Sezioni Unite insistono sulla centralità del criterio strutturale) per distinguere tra elementi costitutivi e circostanziali di un reato (ad esempio a proposito del rapporto tra la norma di cui all’art. 640-bis c.p. e il reato di truffa ex art. 640 c.p., oppure in ordine alla previsione di cui al comma 5 dell’art. 73 TU stupefacenti, prima della riforma di cui alla legge n. 10/2014).
Stabilito il principio di diritto nel senso della natura circostanziale delle previsioni di cui all’art. 12, co. 3, TU e così rispondendo al primo quesito loro sottoposto, le Sezioni Unite hanno inteso affrontare approfonditamente anche la seconda questione relativa alla natura del reato, se di evento o pericolo, che peraltro si era posta solo nell’ambito dell’orientamento (respinto dalle stesse Sezioni Unite) che qualificava le ipotesi di cui al comma 3 come figure autonome di reato. Sono state così sviluppate le ragioni per le quali tutte le norme contenute nell’art. 12 attengono coerentemente ad una fattispecie di reato a consumazione anticipata, dovendosi secondo la Corte escludere «che la descrizione delle ipotesi specializzanti contenute nel comma 3 risulti “incentrata su fatti evocativi di una effettiva violazione della disciplina di controllo dell'immigrazione”, in quanto le ipotesi contemplate dalle lettere da b) ad e) riguardano condotte compatibili anche con attività che non hanno determinato un effettivo ingresso, mentre il riferimento all'ingresso e alla permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone contenuto nella lett. a) deve essere rapportato alla descrizione generale della condotta contenuta nella prima parte del comma» (cfr. § 8 del considerato in diritto). Non viene accolto neppure l’argomento secondo cui il rigoroso trattamento punitivo si giustificherebbe solo quando la condotta criminosa abbia condotto all’effettivo ingresso irregolare degli stranieri, posto che «il massiccio incremento sanzionatorio è frutto della valutazione discrezionale del legislatore e in nessun modo può univocamente orientare l'interpretazione della norma in senso contrario alla lettera della norma, escludendo dal perimetro della sua applicazione condotte espressamente considerate» (cfr. § 8 del considerato in diritto).
Nella parte finale della sentenza le Sezioni Unite si preoccupano infine di precisare le molteplici conseguenze, ulteriori rispetto alla possibilità di bilanciamento ex art. 69 c.p., che derivano dall’affermato principio di diritto per cui le ipotesi di cui al comma 3 sono da ritenersi fattispecie circostanziali della figura-base di cui al comma 1.
La sentenza ricorda in primo luogo come la tale qualificazione comporti ai sensi dell’art. 59, co. 2 c.p. l’imputabilità anche a titolo di colpa, mentre la qualificazione a titolo di figura di autonoma di reato avrebbe richiesto sempre l’accertamento del dolo, e sottolinea come (almeno quando ricorra una solo delle ipotesi di cui al comma 3) l’applicabilità dell’art. 69 c.p. in tema di bilanciamento apra ampi spazi alla discrezionalità del giudice di merito (la Corte rammenta in questo passaggio un principio giuridicamente ovvio, quanto nella pratica giudiziaria poco applicato, ovvero che nonostante la concessione di circostanze attenuanti si possa applicare egualmente l’aumento di pena per le aggravanti non “blindate” da norme specifiche).
La Corte passa poi a disegnare una sorta di protocollo operativo nell’applicazione della varia casistica posta dal regime sanzionatorio di cui all’art. 12, invero di qualche complessità, e nel farlo risolve in particolare due possibili questioni ermeneutiche, in entrambi i casi adottando la soluzione di maggior rigore.
Precisa innanzitutto la Corte che se ricorrono due o più ipotesi di cui al comma 3 (ad es. fatto concernente l’ingresso di cinque o più persone e con utilizzo di servizi di trasporto internazionali), risulta integrata l’aggravante di cui al comma 3-bis e con essa il divieto di bilanciamento con attenuanti (diverse da quelle della minore età ex art. 98 c.p. e della minima partecipazione ex art. 114 c.p.) di cui al comma 4-quater. Ciò fa sì che anche l’aggravante di cui al comma 3 venga ad essere sottratta al bilanciamento medesimo e che l’aumento di pena fino ad un terzo di cui all’aggravante ex co. 3-bis operi sulla pena da 5 a 15 anni, oltre alla multa, determinata in modo autonomo (rispetto alla sanzione del reato base ex comma 1) dall’aggravante del comma 3. Ciò perché altrimenti ragionando (e operando prima un bilanciamento tra le attenuanti e l’aggravante di cui all’art. 12, co. 3, e poi l’aumento per il co. 3-bis) si perverrebbe a una lettura abrogatrice più che del divieto di cui al co. 3-quater (che alla lettera non riguarda le singole circostanze aggravanti del co. 3), dell’ordine di applicazione delle circostanze previsto dalla stessa norma, secondo la quale le attenuanti vanno calcolate solo dopo aver operato l’aumento per le “predette” aggravanti (che sempre alla lettera sarebbero però solo quelle di cui ai commi 3-bis e 3-ter per le quali vige il divieto di bilanciamento, salve eccezioni). Dunque le Sezioni Unite privilegiano in questo caso una soluzione di tipo sistematico rispetto ad altra fondata sul tenore letterale delle norme.
Una seconda questione interpretativa è invece risolta privilegiando il criterio letterale. Si tratta del caso in cui concorrano l’aggravante di cui al comma 3 (che come visto determina la pena in maniera indipendente rispetto a quella della fattispecie base, ma comunque superiore ad un terzo di aumento) e l’altra circostanza ad effetto speciale del comma 3-ter secondo la quale la sanzione detentiva è aumentata da un terzo alla metà (quando il fatto sia stato compiuto al fine di reclutamento a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo, ovvero a fine di profitto, anche indiretto). Ritiene la Corte che «la lettera del comma 3 ter comporta una deroga al principio generale stabilito dall’art. 63, co. 4, c.p. in base al quale, se ricorrono più circostanze ad effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla: sia quella del comma 3 che quella del comma 3-ter sono aggravanti ad effetto speciale, ma, in conseguenza della previsione contenuta nella seconda, si applicano entrambi gli aumenti da esse previste» (cfr. § 11 del considerato in diritto).
In realtà, la lettera del comma 3-ter (che risente del riconosciuto faticoso processo di aggiornamento normativo nel tempo) non ci pare così chiara come ritiene la Corte, posto che fa riferimento “ai fatti” di cui ai commi 1 e 3. Mentre non sorgono problemi quanto al richiamo alla fattispecie base di cui al comma 1, questo riferimento ai fatti del comma 3 aveva contribuito a sostenere l’indirizzo sulla natura degli stessi come ipotesi autonome, indirizzo che le Sezioni Unite ritengono come visto di superare a favore dell’opposto orientamento. Una volta qualificati i fatti di cui al comma 3 come circostanze aggravanti, non ci pare così scontato, almeno alla stregua di un criterio letterale, ricavare la conseguenza cui giungono le Sezioni Unite. È certamente vero infatti che esiste un indirizzo consolidato della Cassazione (il leading case di tale indirizzo può essere rinvenuto nella sentenza Cass. sez. 6, n. 41233/2007, Rv. 237671, est. Conti), anche in materia di calcolo dei termini di custodia cautelare, secondo il quale «le regole di cui all’art. 63, comma 4, c.p. non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l’entità della pena è risolta nell’ambito della singola fattispecie», e laddove vi sia all’interno della norma una stretta concatenazione tra i vari aumenti di pena da operare. L’esempio tipico è quello del concorso tra l’aggravante di cui all’art. 416-bis, co. 4, c.p. (associazione di tipo mafioso armata) e quella di cui al successivo comma 6 (per i casi di controllo di attività economiche finanziate con il provento di delitti), che prevede un aumento da un terzo alla metà «sulle pene stabilite dai commi precedenti», compresa quella del comma 4, determinata in modo autonomo rispetto alle ipotesi di partecipazione o promozione all’associazione di cui ai commi 1 e 2: ma in questo caso si deve constatare come il dato letterale sia molto più definito rispetto al comma 3-ter e all’insieme dell’art. 12 TU.
In conclusione i piatti della bilancia del trattamento sanzionatorio che grazie all’iniziale affermazione del principio di diritto tendevano a spostarsi verso il basso tornano ad alzarsi molto in alto (soprattutto nei minimi edittali di pena) nella seconda parte della sentenza, lasciando al giudice ben pochi poteri di intervento discrezionale per riportare la proporzionalità nei casi concreti.
 
 

Si riporta il testo vigente dell’art. 12 TUI nelle parti qui d’interesse:

Art. 12 Disposizioni contro le immigrazioni clandestine (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 10)
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.
2, Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.
3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto.
3-quater. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.